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ANTICHI POPOLI DEL CENTRO ITALIA

ANTICHI POPOLI DEL CENTRO ITALIA PRIMA DELLE CONQUISTE DI ROMA

CAPENATI 
 
I Capenati facevano parte delle popolazioni italiche che prosperavano nel Lazio prima dell’avvento di Roma. La loro cultura ebbe degli aspetti propri, ma si notano anche varie influenze esterne. Parlavano una lingua del tutto originale, affine all’ etrusco, molto simile al latino e con influenze sabine. Il territorio dell’antico popolo Capenate era situato lungo la riva destra del Tevere: confinava a Nord con i Falisci, a Est con il Tevere e i Sabini, a Sud e a Ovest con il territorio etrusco di Veio.
Esso comprendeva gli attuali comuni di Capena, Fiano, Morlupo, Civitella, Nazzano, Ponzano, Filacciano, Torrita, Rignano, S. Oreste, Castelnuovo e Riano. 

Determinante per la sua formazione più antica fu la vicinanza con il Tevere, importante via di traffico che dall’Adriatico centro-orientale, attraverso il Piceno e la Sabina, giungeva al Tirreno, permettendo numerosi scambi economici e culturali fino dall’Età del Bronzo. I principali centri abitati della zona erano: Capena, sul colle della Civitucola, o Castellaccio, il Lucus Feroniae, importante centro di culto e commercio e la città di Saperna, di cui non è ancora certa l’esatta ubicazione. Da alcune fonti antiche però, risulta che un altro centro religioso si trovava anche sul monte Soratte, al confine con il territorio falisco, dove c’era il culto di Apollo Sorano. Dalla fine del VII sec., inizi del VI a.C., si nota una sempre maggiore influenza della cultura etrusca su quella capenate, che culminerà con l’ammissione del territorio di Capena nella Confederazione dei popoli etruschi. Nel IV sec. a.C. ebbe luogo la mitica e decennale guerra tra Veio, i Capenati e i Falisci alleati e Roma, per il controllo di questa zona del Tevere. Queste lotte terminarono con la sconfitta degli alleati da parte di Roma nel 395 a.C. e con la caduta di Veio per mano di Furio Camillo.
Dopo la conquista romana, tutto il territorio fu ascritto alla Tribù Stellatina con la creazione di un Municipio Federato nel 387 a.C. Del periodo repubblicano non si hanno molte notizie, certo è che Capena mantenne la sua importanza di "Municipio Federato", ricco e fiorente, come testimoniano i numerosi ritrovamenti di manufatti del periodo ellenistico e la fama dei tesori del Lucus Feroniae, che attirò anche Annibale, il quale nel 211 a.C. saccheggiò il santuario. Nel periodo imperiale, parte del territorio fu inglobato nel "Patdmonium Caesaris" e aumentarono i latifondi, come dimostrano le numerose Ville sorte nella zona, la più famosa delle quali è la Villa dei Volusii. Infatti, a causa dell’instabilità dell’autorità imperiale e dell’inflazione, che determinò l’abbandono delle città da parte dei nobili, questi si ritirarono nei propri latifondi. Ogni villa del tardo Impero cominciava così, ad avere l'aspetto di quello che doveva essere più tardi, il feudo Medioevate con il suo castello come nucleo centrale e il borgo fortificato, che era chiamato "Castrum". Nell'era Cristiana, il territorio fu chiamato Collinense, per la natura del suolo, e il primitivo "Patrimonium Caesarìs" divenne un feudo della Chiesa di Roma e fu un baluardo contro l'invasion dei Longobardi e dei Franchi, del cui passaggi si hanno testimonianze storico-artistiche. Notizie di questa denominazione si hanno in una bolla di Leone IV dell'854 in cui c'è un elenco dei beni del Monastero di S. Martino che per lungo temp ospitò i Monaci Benedettini. Un'altra citazione del territorio Collinense la si ha in un "Istrumentum Rogatum" del 962, sotto il papato di Giovanni XII, dove una certa Agata dona al Monastero di S. Martino, alcuni beni del territorio Collinense.
 
Capena Veteres (Civitucola)
 
La sede dell'antica Capena, distante alcuni chilometri dall'attuale paese, si trova in località "Macchie", sulla collina denominata "Civitucola", che viene però chiamata comunemente "Castellaccio" a causa del rudere che sovrasta l'altura. La tradizione, riferita da Servio, attribuisce la fondazione della città agli abitanti di Veio. La collina è di difficile accesso, e difesa naturalmente.
 Ha una forma semilunata, simile a quella delle alture di Albalonga e Gabii.

È situata tra il "Fosso dell'Olio", che ha origine dal Monte Soratte, e il "Fosso del Laghetto", emissario di un bacino lacustre - corrispondente a un antico cratere vulcanico - che si trova ai piedi della Civitucola. I due fossi confluiscono nel fosso di "Gramiccia", l'antico "Capenas", il fiume nazionale dei Capenati, che sfociava nel Tevere all'altezza del Lucus Feroniae. I saggi di scavo fatti dopo la scoperta dell'esatta ubicazione, portarono alla luce tratti delle mura costruite in opera quadrata, con blocchi di tufo irregolari. Furono individuati una delle due porte d'accesso alla città, resti di edifici e opere idrauliche.
Fu evidenziato anche un tratto di strada romana basolata, la V. Capenate, che collegava la Via Flaminia con la Via Tiberina, passando per Capena e per il Santuario di Lucus Feroniae, da dove partiva e dove se ne può ammirare un altro tratto. La zona centrale della città è denominata da un antico rudere in opera cementizia, a pianta rettangolare. Si tratta quasi certamente di un edificio di epoca romana che nel Medioevo fu adibito a Monastero dei Benedettini con annessa una chiesa dedicata al culto di S. Giovanni Apostolo e Evangelista.
Nell'area della città affiorano ancora numerosi frammenti di ceramica e marmo di età romana e anche frammenti ad impasto del periodo arcaico. Da quest'area provengono le statue e le numerose iscrizioni su basi onorarie che sono attualmente conservate in parte nell'edificio del Comune e in parte nei Giardini Pubblici.
Piatto dell'elefante (VI sec. a.C.)

Si tratta di monumenti eretti dai Capenati - come era costume nell'età imperiale - in onore degli imperatori romani e dei personaggi illustri dell'epoca. Da notare soprattutto quelle riguardanti Settimio Severo e sua moglie Giulia Domna e Caracalla. Queste basi furono poste nell'antica Capena il 18 settembre del 198 d.C., come risulta da uno di questi cippi, probabilmente nel Foro, dal pretore capenate Manilio Crescente. In una di queste basi è interessante notare la cosiddetta "damnatio memoriae" nei confronti dei Geta, fratello minore di Caracalla. Il nome di Geta fu abraso dopo che fu ucciso per ordine del fratello. Nelle altre iscrizioni sono onorati altri imperatori come Aureliano e Gordiano III e alcune sacerdotesse di Cerere e di Venere: Giulia Paolina e Varia Italia.
 
Le necropoli
 
Intorno all'altura dell'antica città di Capena si trovano alcune necropoli. Non si è sicuri se queste necropoli fossero utilizzate solo dagli abitanti dell'antica Capena, sulla Civitucola. Probabilmente esse erano usate non solo dai Capenati, ma anche dai villaggi che dovevano sorgere sulle alture circostanti. A Nord, dopo il Fosso dell'Olio, c'è la monumentale necropoli di S. Martino con numerose tombe a camera. A Nord-Ovest si trova la necropoli detta delle Saliere, i cui scavi furono iniziati ai primi del '900, mentre la terza necropoli è quella di Monte Cornazzano che è ancora in corso di studio. Le due necropoli di San Martino e delle Saliere presentano caratteristiche simili. Il periodo più antico è caratterizzato dalle tombe a fossa semplice che si trovano in maggior numero nelle Saliere. Il rito di sepoltura di questo periodo è soprattutto l'inumazione e le tombe sono generalmente singole. Esse testimoniano una cultura omogenea, tipica della 1° Età del Ferro che generalmente va dal IX sec. alla fine dell'VIlI sec. a.C. Vi sono state trovate numerose suppellettili di bronzo: soprattutto grandi fibule in cui venivano infilati cerchi di bronzo che venivano messi sul petto del defunto per indicare il ceto sociale. La tomba generalmente aveva un corredo funebre molto ricco, con ornamenti di bronzo e anche in pasta vitrea e ambra.
Numerose le ceramiche di impasto di colore bruno, con decorazioni geometriche incise. I corredi funebri erano differenziati: quello femminile era più ricco e con utensili per uso domestico, mentre quello maschile aveva generalmente armi e rasoi. Nelle tombe a fossa con loculo e nelle tombe a camera si nota un grande cambiamento culturale, dovuto all'influenza dello stile orientalizzante e arcaico, caratteristico del VII sec. fino alla fine del VI sec. a.C.
La ceramica tipica di questo periodo, produzione originale Capenate, è caratterizzata da manufatti d impasto molto fine, di colore camoscio di diverse tonalità. La decorazione è graffita oppure ad "excisione" (intagliata), e riempita di colore rosso. I motivi ricorrenti sono soprattutto animali fantastici e cavalli, a volte rappresentati ai lati di una figura umana: quest'ultimo è generalmente conosciuto come "il Signore dei cavalli".
Veduta della necropoli di San Martino

In quest'epoca si trovano numerosi cinturoni di bronzo a lamina sbalzata, molto belli, simili ad altri esemplari trovati nel Piceno. Dalla fine del VI sec. a.C. si nota un'apertura verso la cultura etrusca: si trovano, infatti, esemplari prodotti direttamente in Etruria come vasi in bucchero, con pareti molto sottili e con decorazioni graffite e incise di motivi geometrici (rosette, ventaglietti, righe etc.), oppure importati direttamente dalla Grecia sempre attraverso le città etrusche, come vasi protocorinzi e corinzi decorati con i caratteristici motivi di animali fantastici. Dalla metà del V sec. a.C. fino al periodo ellenistico (IV sec.) sembra che nelle necropoli ci sia un vuoto o quantomeno una rarefazione di manufatti. Il fenomeno rispecchia un periodo di crisi economico-politica che investe tutta l'Etruria. Nel periodo ellenistico c'è invece un rifiorire nella produzione di bronzi, ceramiche e oreficerie, segno evidente di una ripresa economica e culturale della città che ha molti contatti con il vicino territorio Falisco e soprattutto con il capoluogo Falerii (l'attuale Civita Castellana) che gode di un periodo di particolare splendore artistico.
Le necropoli sono state usate anche nel periodo romano, sia repubblicano che imperiale: le tombe assumono un aspetto diverso: non sono più tombe con camere centrali e eventualmente piccoli vani laterali, ora sono soprattutto tombe formate da un lungo e stretto corridoio, ai lati del quale si aprono numerose camere. Un altro tipo di tomba, più povero, è quello cosiddetto "a cappuccina": consiste in una fossa, più o meno grande, coperta con tegole. I corredi funebri sono sempre molto ricchi: si trovano infatti numerosi manufatti in ceramica, a vernice nera con decorazioni a stampo dipinti con figure chiare di produzione locale. E' probabilmente di questo periodo il famoso "piatto dell'elefante" trovato in una delle necropoli. È un piatto con al centro la figura di un elefante bardato da guerra seguito da un altro elefantino. Molti hanno voluto vedervi un ricordo del passaggio di Pirro nella sua guerra contro Roma. Nelle tombe più tarde numeroso è il materiale del periodo augusteo: ceramiche a vernice rossa, anfore e vetri. Le necropoli furono usate e riusate per tutto il periodo imperiale.

Lucus Feroniae
 
Il Lucus (bosco sacro) di Feronia sorge su una piattaforma di travertino e ha origini molto antiche così come antichissime sono le origini del culto della dea. È un culto italico e se ne trovano corrispondenze anche nei santuari di Trebula Mutuesca, Terracina, Amiterno e un altro in Umbria, scoperto recentemente. Il Santuario si trova al 18° Km della Via Tiberina, presso Scorano; l'esatta ubicazione fu individuata solo nel 1953, quando il principe Vittorio Massimo, proprietario del Castello di Scorano e dei terreni circostanti, segnalò alla Soprintendenza dell'Etruria Meridionale l'affioramento, durante dei lavori, di reperti archeologici. La località era già chiamata "Bambocci" per la notevole quantità di ex-voto anatomici che spuntavano dal terreno. Gli scavi furono diretti dal prof. Bartoccini e misero in luce i resti di una vera e propria città. La dea Feronia era soprattutto la protettrice degli schiavi liberati e di tutto ciò che sottoterra esce alla luce del sole. Erano quindi sotto la sua protezione le acque sorgive e ogni tipo di fertilità: la fertilità del suolo, quella umana etc. Aveva inoltre proprietà guaritrici confermate anche dai numerosi ex-voto anatomici. La divinità, di origine locale, assume anche attributi greci e romani come Giunone Vergine e Persefone. Del luogo di culto si hanno notizie anche di alcuni storici (Dionigi d'Alicarnasso, Strabone e Livio) che affermano che il santuario era un centro fiorente già in epoca regia e vi si raccoglievano mercanti e fedeli dall'Etruria, dal Lazio e dalla Sabina. Il Santuario - famoso per le sue ricchezze - fu saccheggiato da Annibale nel 211 a.C., ma il culto continuò fino alla costruzione in quel luogo di una colonia: COLONIA IULIA FELIX LUCUS FERONIAE. In questo periodo la città si ingrandì notevolmente e l'attuale impianto urbano risale in gran parte proprio al periodo Augusteo. L'ultimo dato epigrafico che ci testimonia la frequentazione del santuario è del 266 d.C. e probabilmente il suo completo abbandono risale al V sec. d.C.
Prima di iniziare la descrizione del sito archeologico è necessario avvertire il lettore che tutta l'area è ancora in fase di studio per cui alcune parti possono essere suscettibili di ulteriori approfondimenti o precisazioni. Appena entrati nell'area archeologica ci si imbatte immediatamente in un incrocio tra l'antica V. Tiberina e la strada che congiungeva il Santuario con la città di Capena: la Via Capenate; in questo punto si notano tracce di una porta d'ingresso. Il bivio era un importante nodo stradale e proprio in questo luogo furono trovati i cippi miliari datati al III sec. d.C., che ci danno la datazione del restauro più recente delle strade. Su questo bivio si affaccia un piccolo ambiente che molti hanno voluto identificare con una latrina pubblica.
Tabernae (particolare) Proseguendo lungo la Via Tiberina, immediatamente si notano sulla destra del visitatore degli ambienti non molto ampi, che sono stati identificati come luoghi d'incontro e ristoro, forse tabernae, dove è interessante notare il sistema di chiusura a saracinesca. Si arriva quasi subito a delle scale di ferro che ricalcano quelle antiche. Arrivati alle scale si lascia la V. Tiberina e subito sulla sinistra si notano tre colonne: è ciò che resta del portico davanti all'entrata della Basilica, mentre le scale ci immettono nel porticato che delimita su questo lato occidentale la Piazza del Foro.

Del portico rimangono numerose tracce delle basi e numerosi resti di colonne ancora in piedi. La piazza era rettangolare e aveva un orientamento Est-Ovest. Si conserva ancora una parte della pavimentazione fatta con lastre rettangolari di calcare. Il lato con il porticato ha una gradinata alla base della quale è ancora ben conservato il canale per lo scolo delle acque (Euripo). Nel canale si notano ancora degli incassi che forse servivano per tenere pilastrini che sorreggevano spranghe o catene che in certe occasioni isolavano la piazza. Poiché nel Foro si tenevano anche cerimonie in onore della Dea, le gradinate servivano anche come sedili per il pubblico. Sotto il portico, sul lato opposto alla gradinata, ci sono numerose basi onorarie dedicate a personaggi illustri che finanziavano le varie manifestazioni pubbliche; da notare quella riguardante la famiglia Apronia, un componente della quale ricopriva la carica di Soprintendente all'edilizia pubblica ed era anche questore alimentare; quella in onore di Lucio Ottavio che rifece per due volte il Foro e molte dedicate da Q. Vibio Paride che fra l'altro, era duoviro (sindaco) della città. L'altro lato lungo - quello situato a Est era invece chiuso da un muro in opus reticulatum che serviva anche per sostenere l'acquedotto che alimentava tutta la città. Addossata all'acquedotto si nota ancora una lunga vasca di raccoglimento delle acque, usata anche come fontana
Questo muro divideva il Foro dall'Area Sacra arcaica, di cui rimane visibile solo un basamento piuttosto vasto in opera quadrata, in blocchi di tufo, relativo a uno degli edifici di culto.
Area sacra

Il lato meridionale è quello meno conservato e recentemente, proprio in questa zona, sono venuti alla luce alcune strutture che sicuramente sono repubblicane, con un orientamento diverso, a un livello inferiore da tutto il resto e di cui non si conosce ancora la funzione. Sul lato Nord si trova l'area prettamente religiosa, punto focale della vita politica e dell'amministrazione del culto della città. Questo lato è delimitato da un alto basamento formato da blocchi di calcare, ai piedi del quale, sulla sinistra, si trova un ambiente, in parte ricavato nella roccia e in parte costruito, chiuso anticamente da una saracinesca, dove si trovava l'aerarium (il tesoro) della città.
Quasi attaccato alla porta dell'erario, si nota un grosso avancorpo in opera cementizia, costruito successivamente, che originariamente era ricoperto con lastre di marmo grigio. Probabilmente si tratta del podio dove si svolgevano le cerimonie civili in onore della dea. Ai suoi lati, a ridosso del basamento, si trovano ancora le due epigrafi con gli attributi della dea Feronia di SALUS e FRUGIFERA. Davanti c'è la copia della base marmorea circolare decorata con bucrani e festoni, che sosteneva un tripode. Era l'ara sacrificale. Sopra il basamento in calcare c'è ancora una pavimentazione a lastre squadrate di travertino che mostra evidenti segni di restauro. Si tratta di un ambiente basilicale, datato ai primi anni di vita della colonia, con una navata centrale delimitata da colonne, di cui rimangono ancora le basi, e con ambulacri laterali.
L'entrata della basilica era laterale, a destra, delimitata da un portico, di cui rimangono tre colonne. Sul lato di fondo di questo ambiente si trovano due costruzioni: una è di forma rettangolare: è un tempietto con davanti una scalinata e l'altare circolare usato per le funzioni religiose, di cui si nota ancora la base. La seconda costruzione è un'aula con un'abside. Era ornata di marmi, di cui rimangono numerosi resti e con un pavimento in opus sectile, con una cornice in mosaico. Era probabilmente "L'Augusteo" in onore della famiglia imperiale; infatti all'interno si trovano ancora le basi che sostenevano le statue onorarie dedicate ai suoi membri. Proviene da qui il maggior numero di statue marmoree rinvenute al Lucus, tra cui la statua togata di Agrippa e epigrafi dedicatorie. Da iscrizioni ritrovate nell'interno, le due costruzioni sono databili al I sec. d.C. Uscendo dalla piazza del Foro, sull'altro lato del portico si aprono delle botteghe molto ben conservate. Sono in gran numero "termopolia" taverne e punti di mescita. In alcune si conservano ancora i banchi originali in marmo, con i grossi dolii usati per contenere le bevande e i cibi. È interessante vedere che tutte avevano un piccolo tavolo separato in muratura e marmo, dove gli avventori consumavano le bevande a degli ambienti interni che si aprono su un cortile posteriore che generalmente ha un pozzo al centro. Edifici simili si trovano anche a Ostia e a Pompei. Nel primo tratto di taberne, all'angolo con la strada che conduce all'Anfiteatro, l'ultimo ambiente fu successivamente ristrutturato e trasformato in un edificio pubblico, forse una scuola o la sede dei Duoviri (una sorta di edificio comunale). Oltre le botteghe si trova un complesso termale che gli studiosi datano, per i materiali ceramici rinvenuti, all'età imperiale. Il complesso forse tu costruito quando la città si allargò perché le Vecchie Terme non erano più sufficienti, e per la sua costruzione furono sacrificate due botteghe. Vi si possono ammirare dei pregevoli pavimenti in mosaico bianco e nero, con motivi geometrici. Si conserva ancora tutto l'impianto di riscaldamento che avveniva tramite il passaggio di aria calda sotto i pavimenti e lungo le pareti. Ritornando sulla piazza del Foro e costeggiando il muro a Est, che sorregge l'acquedotto, si esce su una piccola strada basolata. Questa strada era usata solo per i servizi e si poteva sbarrare, in occasione delle manifestazioni religiose, per impedire l'accesso al Foro. Si conserva infatti ancora il sistema di chiusura.
Tornati al Bivio, prendendo la strada che conduceva all'antica Capena, si arriva a un altro impianto termale: sono le Antiche Terme principali, dove è stata trovata un'iscrizione molto interessante perché reca elencati tutti i "Castella Aquarum": i punti di raccolta e di sbocco dell'Acqua Augusta. Di solito ciò è importante per stabilire i punti principali di una città e di conseguenza i vari quartieri, ma in questo caso specifico, ciò non è stato ancora possibile perché l'epigrafe, e quindi le indicazioni che essa contiene, non sono verificabili topograficamente. Oltrepassate le Terme, si giunge in vista dell'Anfiteatro. L'Anfiteatro, di cui rimangono le strutture portanti, ha una forma molto singolare: è infatti quasi circolare, ma, pur essendo molto piccolo, presenta tutti gli aspetti caratteristici di un anfiteatro: ha porte molto ben conservate, con i "vomitoria" (uscite per il pubblico) e ambienti di servizio sottostanti le gradinate.

Si notano resti delle gradinate in muratura, effettuate sfruttando la natura del terreno, ma l'anfiteatro doveva averne anche altre mobili, di legno.
Anfiteatro

Inoltre, non essendoci ipogei (sotterranei, con gabbie), era destinato soltanto ai giochi gladiatori e non ai combattimenti con le belve. Si sa con esattezza la data della sua costruzione che fu iniziata dal liberto M. Silius Aepaphroditus nell'epoca Giulio-Claudia, come ci dice l'iscrizione dedicatoria.
A conclusione, un cenno meritano i vari collegi addetti al culto della dea Feronia: 1) "Mulieres Feronenses", associazione di donne fedeli a Feronia al di fuori del culto ufficiale e che erano presenti anche a Roma; 2) "Iuvenes Lugo Feronense", associazione giovanile di carattere ginnico-militare; 3) "Seviri Augustales", collegio addetto al culto particolare di Augusto. La prima e la terza associazione erano probabilmente collegate tra loro come risulta da molte epigrafi dove le due associazioni fanno spesso dediche insieme.
 
Villa dei Volusii Saturnini
 
La Villa dei Volusii Saturnini, venuta alla luce durante i lavori per la costruzione dell'Autostrada del Sole, si trova a 500 mt. a Nord-Est di Lucus Feroniae, ed è raggiungibile da qui attraverso i campi, oppure dall'area di servizio Feronia dell'Autostrada. I Volusii Saturnini furono una potente famiglia Senatoria. Il primo personaggio che si conosce è il pretore Quinto Volusio, al quale va attribuita la prima edificazione della Villa (50 a.C.).
La villa fu ampliata dal figlio Lucio Volusio Saturnino, tra la media età augustea e la prima età tiberiana (10 a.C - 20 d.C.). Gli ultimi esponenti della famiglia dei Volusii sono due fratelli, consoli nell'87 e nel 92 d.C. La famiglia probabilmente declinò a causa delle persecuzioni antisenatorie di Domiziano.
Veduta generale

La villa presenta, come abbiamo visto, due fasi di costruzione: alla prima appartiene il nucleo centrale o parte signorile; nella seconda fase fu ristrutturata in parte la zona residenziale già esistente e fu creato un grande peristilio con intorno gli ambienti "servili". All'inizio la villa ebbe l'aspetto di una lussuosa abitazione di campagna, in seguito prese l'aspetto di un vasto complesso rurale con numerosi schiavi che lavoravano la terra, unico esempio del genere arrivatoci così ben conservato. La parte centrale della residenza padronale è composta da un peristilio con 6 x 4 colonne tuscaniche di calcare, con un ambulacro (corridoio), pavimentato con marmi colorati inseriti su un fondo nero. Sul peristilio si aprono numerosi ambienti: un vasto tablinio (sala da pranzo) a triplice ingresso che ha un vano di passaggio a Sud e una sala a Nord; un oecus (sala di soggiorno), pavimentata in opus sectile (con marmi intarsiati); un'esedra divisa in due parti. Sempre sul peristilio si aprono anche cubicoli (stanze da letto) e recessi intimi.
Alcuni ambienti hanno bei mosaici policromi decorati a "cassettoni' e a "cancellata in prospettiva" rifiniti con uccelli, fiori e simboli vari; altri sono pavimentati con mosaici in bianco e nero.
Pavimenti in mosaico

Dietro ai vani del lato Nord-Est del peristilio, vi sono alcuni ambienti identificati come appartenenti ad un frantoio. Un passaggio univa la zona signorile con il peristilio del complesso servile (ergastulum). Gli ambienti del lato meridionale del nucleo padronale, appartengono per la maggior parte al periodo repubblicano . Le costruzioni di prima fase sono eseguite in "opus incertum" e predomina la pavimentazione a mosaico policromo. L'opus reticulatum" invece, caratterizza le strutture della seconda fase e i mosaici sono in bianco e nero. Il grande complesso "servile" si sviluppa a Nord e a Est della villa signorile; vi si accedeva da una strada lastricata proveniente dalla campagna. Il vastissimo peristilio di questa zona aveva delle colonne su tre lati e mezzo. Lungo i portici si aprono una ventina di stanze col pavimento a nuda roccia: quasi certamente si tratta delle cellette degli schiavi del latifondo (forse alcune centinaia). All'estremità orientale si trova una latrina con il pavimento in "opus spicatum" (mattoni di cotto messi a spina di pesce). Al centro del lato più lungo e in asse con l'ingresso alla casa signorile, si trova il "larario" della casa, costituito da una grande sala. Sul pavimento vi è un mosaico molto bello, di forma circolare, a motivo radiante in bianco e nero, con al centro il simbolo policromo della vita.

Larario Al centro della sala è situato l'altare di marmo con i simboli del sacerdozio della famiglia: l'albero sacro degli Arvali e il lituo dell'Augure.

Su di un lato vi è una tavola rotonda e una sella (sedia) - copie degli originali - con bei piedi di leone, di stile neo-attico. Su di un bancone, nel fondo della sala, venivano poste le statue degli avi e le iscrizioni in loro onore.

Villa dei Volusii Saturnini
 
La Villa dei Volusii Saturnini, venuta alla luce durante i lavori per la costruzione dell'Autostrada del Sole, si trova a 500 mt. a Nord-Est di Lucus Feroniae, ed è raggiungibile da qui attraverso i campi, oppure dall'area di servizio Feronia dell'Autostrada. I Volusii Saturnini furono una potente famiglia Senatoria. Il primo personaggio che si conosce è il pretore Quinto Volusio, al quale va attribuita la prima edificazione della Villa (50 a.C.).
La villa fu ampliata dal figlio Lucio Volusio Saturnino, tra la media età augustea e la prima età tiberiana (10 a.C - 20 d.C.). Gli ultimi esponenti della famiglia dei Volusii sono due fratelli, consoli nell'87 e nel 92 d.C. La famiglia probabilmente declinò a causa delle persecuzioni antisenatorie di Domiziano.
Veduta generale

La villa presenta, come abbiamo visto, due fasi di costruzione: alla prima appartiene il nucleo centrale o parte signorile; nella seconda fase fu ristrutturata in parte la zona residenziale già esistente e fu creato un grande peristilio con intorno gli ambienti "servili". All'inizio la villa ebbe l'aspetto di una lussuosa abitazione di campagna, in seguito prese l'aspetto di un vasto complesso rurale con numerosi schiavi che lavoravano la terra, unico esempio del genere arrivatoci così ben conservato. La parte centrale della residenza padronale è composta da un peristilio con 6 x 4 colonne tuscaniche di calcare, con un ambulacro (corridoio), pavimentato con marmi colorati inseriti su un fondo nero. Sul peristilio si aprono numerosi ambienti: un vasto tablinio (sala da pranzo) a triplice ingresso che ha un vano di passaggio a Sud e una sala a Nord; un oecus (sala di soggiorno), pavimentata in opus sectile (con marmi intarsiati); un'esedra divisa in due parti. Sempre sul peristilio si aprono anche cubicoli (stanze da letto) e recessi intimi.
Alcuni ambienti hanno bei mosaici policromi decorati a "cassettoni' e a "cancellata in prospettiva" rifiniti con uccelli, fiori e simboli vari; altri sono pavimentati con mosaici in bianco e nero.
Pavimenti in mosaico

Dietro ai vani del lato Nord-Est del peristilio, vi sono alcuni ambienti identificati come appartenenti ad un frantoio. Un passaggio univa la zona signorile con il peristilio del complesso servile (ergastulum). Gli ambienti del lato meridionale del nucleo padronale, appartengono per la maggior parte al periodo repubblicano . Le costruzioni di prima fase sono eseguite in "opus incertum" e predomina la pavimentazione a mosaico policromo. L'opus reticulatum" invece, caratterizza le strutture della seconda fase e i mosaici sono in bianco e nero. Il grande complesso "servile" si sviluppa a Nord e a Est della villa signorile; vi si accedeva da una strada lastricata proveniente dalla campagna. Il vastissimo peristilio di questa zona aveva delle colonne su tre lati e mezzo. Lungo i portici si aprono una ventina di stanze col pavimento a nuda roccia: quasi certamente si tratta delle cellette degli schiavi del latifondo (forse alcune centinaia). All'estremità orientale si trova una latrina con il pavimento in "opus spicatum" (mattoni di cotto messi a spina di pesce). Al centro del lato più lungo e in asse con l'ingresso alla casa signorile, si trova il "larario" della casa, costituito da una grande sala. Sul pavimento vi è un mosaico molto bello, di forma circolare, a motivo radiante in bianco e nero, con al centro il simbolo policromo della vita.

Larario Al centro della sala è situato l'altare di marmo con i simboli del sacerdozio della famiglia: l'albero sacro degli Arvali e il lituo dell'Augure.

Su di un lato vi è una tavola rotonda e una sella (sedia) - copie degli originali - con bei piedi di leone, di stile neo-attico. Su di un bancone, nel fondo della sala, venivano poste le statue degli avi e le iscrizioni in loro onore.

I MARSI
Roma nei secoli V e IV prima di Cristo, dopo circa 150 anni di lotte - ora ricorrendo alle armi ora stipulando trattati di pace - aveva esteso i suoi domini su tutti i popoli latini, che possiamo considerare circoscritta entro i primitivi confini del Lazio.
La politica adottata dai Romani in questa espansione era improntata alla romanizzazione delle terre e delle città sulle quali estendevano i loro domini. Essa consisteva nel lasciare alle terre sottomesse piena autonomia, considerando quelle popolazioni più come soci che come sottomessi. Con questo atteggiamento il Senato e il Popolo Romano non solo non opprimevano l'autonomia degli altri, ma davano la netta impressione di rispettarla e di garantirla. Le condizioni, possiamo dire di contropartita, richieste ai sottomessi si riducevano al divieto di stipulare trattati ed alleanze fra di loro e di stabilire qualsiasi altro rapporto con altri popoli. Inoltre dovevano contribuire con uomini e materiali al potenziamento dell'esercito di Roma. In sostanza, oggi diremmo che la politica estera e militare era riservata al Senato e al Popolo Romano, la politica interna era autonoma. Garantiva, infine, il rispetto di questi patti la presenza di presidi e di fortezze, che i Romani stabilivano in ogni città e luogo strategico dei popoli sottomessi.
Dopo il 350 a.C. Roma era una vera potenza militare e politica, naturalmente portata ad espandersi e ad essere contrastata. Difatti, venne subito a contatto con due dei popoli più forti, che le intralciarono il cammino: a Nord gli Etruschi e a Est i Sanniti. Con gli Etruschi c'erano già stati degli scontri e, ormai, la raffinata civiltà di quell'antichissimo popolo si trovava nel periodo della decadenza: tuttavia, opponeva ai Romani ancora una valida resistenza.
Molto più dura e più lunga fu la lotta con i Sanniti, che si protrasse ancora per 50 anni, fino al 290 a.C..
Durante questa guerra i popoli Marsi , di origine indoeuropea, con caratteri prevalentemente sabini, dapprima furono alleati dei Sanniti, e, trovandosi essi a confine tra il Sannio e il territorio dei Latini già conquistato dai Romani, dovettero subire il primo urto della guerra fra le due grandi potenze di allora. I Marsi si difesero in modo strenuo e già da allora si acquistarono la fama di guerrieri forti e coraggiosi, come in seguito li descriverà e li tramanderà concorde tutta la letteratura latina.
I Marsi avevano nel loro territorio città e fortezze ben munite, fra le quali Marruvio (San Benedetto), Angizia (Avezzano), Pago di Venere, Cerfegna (Collarmele), Pliestilia (Pescina?), Fresilia (Pescasseroli?), Opi .
Milionia, come abbiamo detto, sorgeva nei luoghi attualmente denominati Casei, Rivoli e Colle Cavallo, ed era, dal punto di vista strategico, una fortezza di capitale importanza per i Marsi e per gli alleati Sanniti : infatti, essa, per essere posta sui monti circostanti le rive dei lago Fucino dal lato Sud - Est, era un passaggio obbligato per accedere alle località settentrionali dei Sannio e poteva agevolmente contrastare i valichi di Forca Caruso e Carrito - Cocullo, uniche vie accessibili per raggiungere da Roma i Peligni ed i Subequani. Iniziate, pertanto, le ostilità tra Roma e i Sanniti, i Marsi furono attaccati subito, e furono sconfitti. Per cui fu stipulata una pace tra Roma e i Marsi. Ma le vicende di questa guerra, di capitale importanza per Roma, furono per molti anni incerte ed ingarbugliate. Effimeri patti di alleanza e di amicizia, tradimenti, imboscate, guerriglie: tutti gli eventi di una guerra di supremazia li ritroviamo nel lungo conflitto fra Roma e il Sannio. Nel 304 a.C. di nuovo ci incontriamo con i Marsi alleati con i Sanniti. Ma i Romani in quell'anno ebbero ancora vittorie strepitose, delle quali fu decisiva quella di Boiano nel cuore stesso dei Sannio (Molise).
Ci fu un'ennesima pace fra i Romani e i Sanniti. Anche gli altri popoli italici accettarono le condizioni di pace, in verità molto moderate, dettate da Roma. In quell'occasione "sulla sponda settentrionale dei lago di Fucino fu costruita ALBA, con un presidio di 6.000 uomini, specie di trincea contro i bellicosi Marsi.
Quindi furono fondate Turano e Carseoli.
Nel frattempo i Romani prolungarono la via Valeria fino ad Alba e a Cerfegna (Collarmele).
I Marsi divennero famosi anche per aver dato il via alla Guerra Sociale, che portò il paese alla lotta tra Mario e Silla. I Marsi erano famosi per le loro arti lottatorie: quasi tutti i Marsi erano gladiatori presso i Romani.
Si raccontava che quattro soldati romani equivalevano ad uno marsicano.

FRENTANI
Popolazione di origine illirica che ha subito un processo di fusione con una autoctona, residente già dal Neolitico. Teneva il proprio dominio nella regione relativa all'alto Molise.
Il principale centro abitato fu Larinum, divenuto in seguito colonia romana. Furono spesso alleati con i Sanniti . Altri centri importanti dei Frentani furono: Epineion (Ortona) il cui significato in osco è "arsenale organizzato sul mare", Lanciano (colonia romana Anxanum), Vasto (Histonium ).
Popolo guerriero si difese sino allo stremo dal processo di romanizzazione, subendo successivamente la conquista dei  Romani. Vivevano di agricoltura, pesca ed allevamento, nonchè producevano prodotti agro-alimentari.

FALISCI
 
Questo popolo dell'Italia antica, di ceppo linguistico differente a quello degli Etruschi, ha un'entità etnica diversa da questi ultimi, nonostante in alcuni periodi della sua storia si notino dei chiari contatti con la cultura etrusca. Il territorio dello stato falisco era compreso tra i confini naturali del fiume Tevere, dei Monti Cimini e Sabatini, corrispondente a parte della provincia di Roma a nord della capitale ed al settore meridionale della provincia di Viterbo. Le città principali della nazione falisca erano, da nord a sud, Vignanello, Fescennium, Falerii (Civita Castellana,la capitale), Sutri, Nepi, Capena e Narce (presso l'odierna Calcata). Sutri e Nepi erano poste in un'area di confine tra lo stato etrusco e quello falisco e la loro posizione ha talmente permeato della cultura di questi due popoli le cittadine da rendere difficile, agli storici, stabilirne l'appartenenza ad una nazione piuttosto che all'altra. Come accennato, il ceppo linguistico dei Falisci ricade nell'area indoeuropea, in cui sono comprese altre lingue dell'Italia antica tra cui il latino: le due parlate infatti hanno una radice comune "protolatina" che risale a periodi molto antichi, presumibilmente all'età del Bronzo (II millennio a.C.) in cui latini e falisci vivevano in un territorio comune. Ma se possiamo parlare con certezza di una comune matrice linguistica tra Falisci e Latini, del resto testimoniata dalle epigrafi rinvenute in territorio falisco, la gran parte dei reperti archeologici rinvenuti mostra, specialmente per l'età del Ferro, una stretta affinità culturale con gli Etruschi di questo periodo, cioé con la Cultura Villanoviana, nonché la nascita di forti caratteri peculiari falisci. Nell' Orientalizzante (soprattutto nel VII secolo a.C.) il patrimonio iconografico tipico di questo periodo viene rielaborato dagli artigiani con una forte caratterizzazione locale, sia nella realizzazione delle figure sui vasi che nella tecnica di realizzazione delle stesse: diffusi sono i vasi di impasto rosso, di diversa tipologia, decorati con la tecnica dell'excisione (cioè incidendo l'impasto di argilla non ancora cotta, lasciando in rilievo i particolari che si desiderava far risaltare). Ricchi i corredi delle tombe a camera del periodo Orientalizzante, soprattutto provenienti da Narce ed in parte esposti nel Museo Nazionale dell'Agro Falisco a Civita Castellana: essi testimoniano lo stato di sviluppo raggiunto da alcuni centri falisci nel VII secolo a.C..
La capitale dei Falisci, Falerii, raggiunge il massimo splendore nel periodo arcaico (VI secolo a.C.), come del resto l'Etruria ed il Latium vetus (dalla riva sinistra del Tevere al confine con l'attuale provincia di Latina): in questo periodo si assiste ad una forte ellenizzazione della cultura falisca con la conseguente rielaborazione dei temi iconografici provenienti appunto dal mondo ellenico. La cultura falisca, che trova il centro emettitore proprio in Falerii, ha il suo floruit nel V e nel IV secolo a.C., nel periodo in cui la città ha ormai raggiunto uno stabile assetto urbanistico: testimonianza dell'abilità degli artisti, soprattutto dei coroplasti, cioè degli artigiani impegnati nella produzione di piccoli oggetti o grandi statue in terracotta, sono le decorazioni architettoniche rinvenute nei grandi templi di Falerii, sia di quelli inclusi nel perimetro urbano (tempio Maggiore e Minore in località Vignale), che extraurbani (Tempio di Giunone Curite in località Celle, Tempio di Mercurio in località Sassi Caduti, Tempio dello Scasato). Le numerose terrecotte architettoniche ed i doni votivi rinvenuti negli scavi attestano l'esistenza di una scuola locale attiva almeno dalla fine del VI secolo a.C. sino agli inizi del III secolo a.C.: gli artisti-artigiani che vi operavano, nei secoli, hanno appreso ed elaborato influssi artistici greci propri di nomi quali quelli di Fidia per il periodo classico e di Lisippo, Prassitele e Skopas per l'ellenistico.
Anche la produzione di ceramica, soprattutto quella d'età ellenistica (IV-III secolo a.C.), mostra numerosi punti di contatto con l'analoga produzione greca, in particolare attica, con un' interessante caratterizzazione locale. Le forme in ceramiche maggiormente prodotte sono il cratere a calice ed a campana, l'oinochoae, la kylix e lo stamnos. Tra i temi rappresentati più frequentemente sui vasi vi sono quelli dionisiaci, legati cioè alla sfera del dio Dioniso, il Bacco dei latini, dio del vino. Dalla metà del IV secolo a.C. si assiste ad una prima fase di questa produzione ceramica: essa raggiunge livelli artistici assai elevati come ci attesta il celebre cratere a volute del Pittore dell'Aurora (375 a.C.). Tipiche di questa fase sono le numerose kilykes con soggetti dionisiaci rinvenute soprattutto nel mondo etrusco. Dalla seconda metà del IV secolo a.C. dalle botteghe falische esce una produzione relativamente meno originale, molto più standardizzata e di larga diffusione. La vicinanza con gli Etruschi fu spesso causa di scelte politiche comuni tra i due popoli: abbiamo notizia di alleanze strette per contrastare Roma che, dal V secolo a.C., diviene sempre più minacciosa nell'avanzata per la conquista dei territori dell'Italia centrale. Dopo la presa dell'etrusca Fidene da parte dei Romani, questi si rivolgono verso Veio, altra cittadina etrusca posta sul Tevere, ingaggiando una lunga guerra che si concluderà con la sua conquista nel 396 a.C.: gli Etruschi avranno come alleati proprio i Falisci ed, insieme ad essi, riporteranno diverse vittorie, seguite, come ritorsione, da razzie e incursioni romane nel territorio falisco-capenate. Veio viene dunque conquistata nel 396 a.C.; l'anno successivo è la volta di Capena e, ben presto, anche Sutri e Nepi che, nonostante una strenua difesa, cadono nelle mani di Roma. Lo scontro diretto è ora tra quest'ultima e Falerii: nel 394 a.C. è stipulato un trattato di pace; nel 358 a.C. i Tarquiniesi insorgono contro una Roma sempre più prepotente e minacciosa e, con essi, i Falisci; nel 351 a.C. si assiste ad una clamorosa sconfitta che ha, come epilogo, una tregua quarantennale ed un trattato di alleanza (343 a.C.). L'alleanza sembra reggere a lungo, tanto che nel 298 a.C. la città ospita una guarnigione romana.
Le vessazioni romane, soprattutto amministrative e fiscali, inducono i Falisci a nuove ribellioni che hanno il tragico epilogo nella distruzione di Falerii (241 a.C.): la città viene rasa al suolo e gli abitanti, privati dei loro averi e di buona parte del territorio, sono costretti a trasferirsi in una nuova sede, Falerii novi appunto. Le sorti del popolo falisco seguono quelle dell'etrusco e degli altri popoli dell'Italia antica: di fronte all'espansione militare, politica e culturale di Roma, le singole culture sono gradualmente "assorbite" in quella romana in un processo di lenta, progressiva ed irreversibile uniformità.

Narce
 
La storia del popolamento antico risale a tempi preistorici. Le testimonianze più importanti sono del periodo protostorico: nella vicina altura di Narce infatti, sono state rinvenute numerose strutture e reperti relativi alle fasi più antiche della civiltà etrusco-falisca; nell'Orientalizzante (fine VIII - VII secolo a.C.) appaiono più nette le caratteristiche peculiari della cultura falisca, sino ad allora permeata quasi esclusivamente di elementi etruschi. L'abitato di Narce, arroccato su di un'alta rupe tufacea, segue le sorti del mondo falisco ed etrusco, subendo la conquista romana sin dalla metà del IV secolo a.C.. A questo periodo della storia si attribuisce l'ultima fase di un santuario extraurbano rinvenuto in località Le Rote - Monte Li Santi, proprio ai piedi di Calcata Vecchia: al suo interno gli scavi archeologici hanno permesso il rinvenimento di numerosi ex voto di terracotta raffiguranti anche elementi anatomici.
Attorno a Narce si estendono diversi nuclei di necropoli le cui tombe hanno restituito una grande quantità di reperti, oggi custoditi all'interno del Museo Nazionale dell'Agro Falisco di Civita Castellana. In età romana la fertilità dei territori permette l'insediamento di numerose ville rustiche. Il nome di Calcata, di cui è arduo stabilire l'etimologia, appare per la prima volta in un documento della fine dell'VIII secolo, sotto il pontificato di Adriano I (772-795). Con il possesso dei territori da parte della nobile famiglia degli Anguillara, a Calcata viene eretto un castello (fine XIII secolo) e la cinta muraria. Il borgo medievale inizia ad essere abbandonato da prima dell'ultima guerra per i crolli frequenti della rupe tufacea: si pongono le basi per il nuovo insediamento, posto due km di distanza, dove si trasferiscono in massa i Calcatesi a partire dagli anni '60. Il caratteristico borgo, anzichè spopolarsi, inizia una fase di nuova vita, complice il boom economico e la fuga dalle città, con la conseguente ricerca di un luogo tranquillo ove vivere. Le case di tufo rosso di Calcata vecchia si popolano di artisti, intellettuali e personaggi "alternativi" che portano una nuova luce al paesino. Non tutti i Calcatesi però abbandonano il borgo, oggi meta privilegiata dei romani per le gite domenicali.

Falerii Novi
 
Adagiata nella valle del fiume Treia, in una zona che si pone a confluenza di torrenti originati dai Monti Cimini (Vicano e Fosso Maggiore), Falerii Veteres rappresenta uno dei principali centri, del territorio, compreso fra i Monti Sabatini, i Monti Cimini e il fiume Tevere, anticamente occupato dai Falisci, popolazione che parlava una lingua italica di origine indoeuropea molto simile al latino. Il nome di Falerii (<Falesioi) era anticamente derivato da quello del suo mitico fondatore: Halesus (<Falesos), ritenuto figlio di Nettuno e capostipite della dinastia del re Morrio di Veio. La città antica insisteva sui colli di Civita Castellana e Vignale, protetta da una imponente cinta muranea arcaica (V-IV secolo a.C.), ancora in parte preservata. La contiguità territoriale di queste popolazioni di lingua latina con gli Etruschi costituì un sicuro veicolo di scambi culturali e commerciali, tanto che già in epoca protostorica le influenze irradiate della cultura villanoviana si mescolarono agli aspetti propriamente locali e tipicamente italici, quali, nel costume funerario, l'impiego del vaso cinerario di forma tondeggiante.

EQUI
Popolazione di origine indoeuropea che viveva di pastorizia e di agricoltura. Abitavano la regione del Lazio a ridosso dell'Abruzzo. Ebbero come centri principali Carseoli e poi Alba Fucens , di cui divisero la fondazione con i Marsi .
Popolo guerriero si difese sino allo stremo, subendo successivamente la conquista dei  Romani.
Furono spesso in rivolta con i Romani e parteciparono con forze alle guerre civile e sociale, uscendone sconfitti.
CARSULAE
Carsulae, cittadina romana in tutti i suoi elementi, nata ed abbandonata come tale, ignorata dagli antichi itinerari,  e misteriosamente pressoché dimenticata dagli autori antichi, viene tagliata dall’antica via Flaminia che ne costituisce il cardo maximus. 

Nonostante ciò, o forse proprio per questo motivo, Carsulae si presenta oggi come  una suggestiva cittadina “fantasma”, completa di ogni elemento necessario per renderla un esempio-tipo di municipium romano, concluso a nord da un arco a tre elementi, cosiddetto di S. Damiano, del quale si conserva elemento unico a se stante, il fornice centrale, del  quale i conci radiali sono stupendamente disposti e privi di malta. 
Conservandosi miracolosamente attraverso i secoli, l’arco è diventato nel tempo l’elemento identificativo della città per i viaggiatori di ogni epoca. Scavi archeologici della città di Carsulae sono stati eseguiti già nel 1783 e nel  1851.

Le ricerche sistematiche intraprese dalla Soprintendenza hanno permesso la ricostruzione planimetrica del municipio giulio-claudio. Sono oggi  riconoscibili la piccola area del foro con vari edifici non tutti identificabili,  la basilica absidata con accesso  sulla via Flaminia, due templi gemelli tetrastili, il teatro, interamente costruito, l’anfiteatro, insieme a varie strutture tra le quali abitazioni, botteghe, cisterne, ed alcune tombe monumentali nella  zona della necropoli al di fuori del cosiddetto arco di S.Damiano menzionato sopra.  Molto diversi tra di loro di questi monumenti funerari uno sorge su di uno zoccolo quadrato una grande forma cilindrica,  la base della quale è divisa in spicchi da mura radiali che dovevano reggere un tamburo in opera quadrata.  Un secondo monumento funerario collocato poco più a nord,   è notevolmente più piccolo e costituito da una base quadrangolare in opera quadrata e sormontato da un cilindro chiuso  di 4,60 m. Che termina con una cuspide alta 3,75 m.  Da notare è il fregio con bassorilievi rappresentanti simboli d’epoca giulio-claudia.L’unico edificio del municipio romano, riutilizzato in epoca successiva, è l’edificio conosciuto oggi come la chiesa di S. Damiano situata poco a sud del foro e la basilica.  L’edifico del I-II secolo d.C. sembrerebbe consacrato e dedicato ai SS. Cosma e Damiano.  E’ necesssario qui ricordare i templi gemelli che si trovano pochi metri oltre questo luogo, probabilmente dedicati ai Dioscuri.
ALBA FUCENS
Alba Fucens è l'antica città colonizzata dai Romani alla fine della Guerra Sociale nel 450-304 a.C., sorta presso l'antico lago Fucino. La vicinanza della città con le acque del lago che lambivano il suo territorio fu provata nel 1973 quando fu scoperto un cippo presso Luco dei Marsi, detto De Rosa, dal nome dei fratelli Sinibaldo ed Ersilio De Rosa che lo trovarono durante l'aratura del loro campo.
 Il territorio
L'antica città, posta su di un colle dalle tre cime (S. Pietra, S. Nicola e Pettorino), è situata a circa 1000 metri d'altitudine tra il Velino ed il lago Fucino (donde l'appellativo di Fucens o Fucentia) nel territorio degli Equi, dove i Romani nel 303 a.C.,sterminati gli Equi, fondarono una colonia latina di 6000 anime eretta poi a municipio.


Attraversata da un'importante arteria di comunicazione, quale la Via Valeria (ancora oggi un cippo miliario indica la distanza da Roma), prolungamento della Tiburtina, costituiva il crocevia dell'Italia centrale per i traffici romani e rappresentava pertanto un centro strategicamente rilevante.
Nota per la sua fedeltà a Roma, durante la guerra annibalica e quella sociale, fu luogo di confino pubblico e prigione di Stato. Tra gli altri, furono qui relegati Siface re di Numidia (207 a.C.) e Perseo re di Macedonia (171 a.C.).
Le ceramiche, la produzione scultorea ed i ritratti (dello pseudo-Silla e di giovinetto), sono di ottima fattura.
Al periodo imperiale risalgono tentativi di bonifica del lago Fucino ed interventi di notabili indigeni nella costruzione di edifici sacri e nella ripartizione del terreno, in lotti quadrati di uguale misura, da assegnare in proprietà privata agli abitanti romani e latini.
Precedenti all'arrivo dei coloni sono le mura di fortificazione poligonali del periodo italico, formate da blocchi squadrati e con un tracciato che asseconda gli andamenti altimetrici del terreno. La porta occidentale, larga 10 metri, costituiva l'accesso principale in città dalla Via Valeria; quella settentrionale, ampia 4 metri, era affiancata da pareti che si dischiudevano verso l'interno; ed infine, quella meridionale, di età posteriore, conduceva all'anfiteatro e presentava un bastione poligonale a pianta quadrata.
L'impianto urbanistico è regolare ed è composto di strade che intersecandosi formano una sorta di scacchiera. La via principale percorre l'intero asse centrale della città.
Tra le altre strade, caratteristica è la via dei Pilastri, parallela alla Via Valeria, così denominata per la presenza di pilastri in pietra, tre dei quali sono stati rialzati, che formavano il porticato di alcune botteghe che s'affacciavano sull'omonima via: nella seconda bottega si può ancora riconoscere un Thermopolium (vendita di bevande) con relativa vasca.
Nel settore pubblico insieme al comizio, alla basilica, alle terme e al santuario di Ercole vi è anche il macellum, con varie botteghe ed ai margini, tra la Via Valeria e la Via dei Pilastri, il foro (fine IV secolo a.C.) di foggia rettangolare e circondato da edifici, probabilmente tempietti.
A Nord della città v'era il comizio (III secolo a.C.): un edificio circolare inscritto in un quadrato, con la porta assiale.
Sul lato opposto c'era un portico con un triplice colonnato tardo repubblicano.
A Sud del portico era posta la basilica, di epoca sillana, che, suddivisa in navate, aveva tre ingressi sul lato principale.

All'interno dell'edificio sacro si possono ammirare i pavimenti e le pitture parietali (II secolo a.C.). Visibile è anche la pianta delle tabernae aperte sulla via principale.
Più a Sud troviamo le terme (I-II secolo d.C.), documentate da iscrizioni che attestano vari interventi edilizi. Un'area porticata di 83 metri per 36 ospita il santuario di Ercole (I secolo a.C.). Due colonne immettono in uno spazio che custodiva un altare con la statua di Ercole a banchetto; il pavimento è costituito da un mosaico con tessere bianche e nere.
A Est del santuario sorgeva il teatro (I secolo a.C.): la cui cavea semicircolare, era ricavata dalle pendici del colle sovrastante.
Attorno al I secolo a.C. nasce anche l'acquedotto.

A Sud troviamo l'anfiteatro (periodo giulio-claudio) che, scavato nella roccia ed adiacente alle mura meridionali della città, misurava 96 metri per 79 ed ospitava le esibizioni dei gladiatori, documentate da molte iscrizioni: oggi si riconoscono ancora i parapetti a protezione delle belve lungo il perimetro dell'arena.
Dello stesso periodo sono i templi ed anche le terme che presentano un bel mosaico d'ingresso, visibili sono anche gli ambienti del Tepidarium, Calidarium e Frigidarium che conservano la canalizzazione delle acque che, insieme a quelle reflue, erano di servizio anche alla Lavanderia. Restano inoltre vestigia di un tempio tuscanico incorporato nella romanica chiesa di San Pietro del XII secolo edificata sui resti del tempio di Apollo del III a.C. Nuovi scavi hanno portato alla luce alcune abitazioni signorili, una delle quali conserva un'affresco raffigurante un felino.

MARRUCINI
Popolazione di origine illirica che ha subito un processo di fusione con una autoctona, residente già dal Neolitico. Subì influenze umbro-osche e teneva il proprio dominio nella regione relativa al basso Abruzzo.
Il principale centro abitato fu Teate, divenuto in seguito colonia romana, ed oggi conosciuta come Chieti. Testimonianze romane sono i tre piccoli tempietti (I secolo d.C.), i resti del teatro, le grandi terme (alimentate da una cisterna costituita da nove vani scavati in una collina). Il Museo archeologico nazionale conserva notevoli reperti provenienti dagli scavi della regione (celebre la statua del Guerriero di Capestrano del VI secolo a.C.).
Popolo guerriero si difese sino allo stremo dal processo di romanizzazione, subendo successivamente la conquista dei Romani. Vivevano di agricoltura, pesca ed allevamento.

SABINI 

La Sabina é stata abitata fin dalla preistoria, lo attestano resti di insediamenti umani ed attrezzi in selce, databili al Paleolitico (60.000 -30.000 a.C.) trovati in tutta la zona. Nei periodi successivi sono poche le testimonianze di presenza umana, fino al 3.000 a.C., epoca alla quale sono attribuibili i resti dell'antica città di Eretum. L'abitato arcaico di Eretum sorgeva sulla collina di Casacotta nel comune di Montelibretti in posizione di grande importanza strategica. La ricognizione archeologica ha evidenziato lo sviluppo dell'insediamento dall'VIII secolo al VI a.C., quando Eretum va incontro ad un periodo di decadenza dopo la disfatta dell'esercito sabino avvenuta nel suo territorio ad opera di Tarquinio il Superbo .
La Sabina ha rappresentato il centro della cultura italico-sabellica, da cui si sono diffusi tutti i miti della cultura osca.

I Sabini, giunti dalla costa Adriatica, arrivano nella zona intorno all X -IX secolo a.C., fondando le città di Reate, Nurcai, Trebula Mutuesca e Cures Sabini. Grazie alla sua posizione strategica vicino al fiume Tevere e la Salaria, Cures (nei pressi dell' odierno paese di Talocci) diventò ricca, arrivando ad occupare ben trenta ettari. Inoltre controllava gran parte delle terre intorno, che fornivano prodotti agricoli.
I Sabini costituirono una delle più antiche razze d'Italia e un gran numero di loro si fusero coi romani, sia concludendo numerosi parentati, sia stabilendosi in Roma e divenendo cittadini Romani. Secondo alcuni i Sabini non sarebbero altro che discendenti di una razza umbra, e ciò sembra confermato dal fatto che una delle principali deità dei Sabini era venerata dagli Umbri, e che vari punti delle religioni umbra e sabina erano simili. Così pure vi era una grande affinità fra le loro lungue. Il nome sembra che derivi da Sabo , figlio della principale divinità dei Sabini, ma è questa una congettura molto probabilmente priva di seria base.
Catone crede che la prima dimora dei Sabini fosse intorno ad Amiternum, cioè presso la base del Gran Sasso d'Italia. E' certo però che da tempo antichissimo i Sabini occuparono la fertile valle del Velino e vi si stabilirono. Da qui sembra che scendessero a mano verso il basso Tevere e venissero così con l'andare del tempo, a contatto con la nuova città di Roma. Gran parte della storia latina in età arcaica ruota intorno a Cures Sabini, ai miti ed alle leggende che hanno contornato i primi contatti con tra sabini e romani. La regione sabina al suo interno non mostrava un aspetto coerente dal punto di vista della cultura materiale dando, vita ad una rappresentazione mentale bipartita: i due volti della Sabina. La ricca Sabina tiberina, quella curense caratterizzata dai bracciali e dagli anelli d'oro dei sui guerrieri, contrapposta alla povera sabina montuosa, quella di Rieti, di Norcai, di Amiternum, che venne in contatto con il mondo romano molto più tardi, agli inizi del III secolo a.C. Non stupisca dunque questa immagine scissa in due parti, fortemente contrastata, non soltanto socialmente ed economicamente , ma anche geograficamente e climaticamente.
E' certo che una parte della popolazione di Roma era di origine Sabina, come i mille modi è facile provare. E che Sabini fossero in gran numero i primi abitanti di Roma lo dimostra il fatto che alla morte di Romolo fu eletto re il sabino Numa, cosa che non sarebbe certo in quei tempi avvenuta se i sabini non avessero costituito una gran parte della sua popolazione. Anche il re Anco Marzio re di Roma, era Sabino.
Ciò non impedì che le altre popolazioni della Sabina fossero spesso in guerra con Roma. La prima grande guerra fra i Romani e i Sabini fu combattuta parecchi secoli dopo la fondazione di Roma e precisamente nell'anno 290 a.C. I Romani, guidati dal console M.C. Dentato, vinsero completamente, facendo numerosi prigionieri e sottoposero al dominio di Roma le loro città.
Dopo la sconfitta dei Sabini nel 290 a.C., Cures venne gradualmente assorbita dallo Stato romano. La città di Cures si estendeva sulle due alture del Casino d'Arci e S. Maria degli Arci. Il sito e stato oggetto di una serie di campagne di scavi che hanno portato alla luce un edificio di epoca arcaica costituito da alcuni ambienti. Le aree adibite a necropoli erano situate sui costoni dei colli. Dopo la conquista romana la citta decadde riducendo considerevolmente la sua estensione.
Il suo declino definitivo avviene nel 174 a.C. a causa di un forte terremoto, che cominciasse con la riorganizzazione del territorio e dell'agricoltura, dovuta alla necessità di incrementare le rese usando nuovi sistemi produttivi. Segno di questi cambiamenti sono le numerose ville romane sorte nella Sabina intorno al II secolo a.C., ad esempio "i Casoni ", una villa romana attribuita a Varrone, vicino al'odierno Poggio Mirteto. Vennero chiamate villae rusticae, la loro produzione fu orientata verso il mercato romano, facilmente raggiungibile sfruttando il Tevere ed era costituita nella maggior parte dalla vinicoltura, dall' olivicoltura e da qualche allevamento, (incluso quello dei tordi) molto apprezzato dal mercato romano.
Nei primi tempi della repubblica romana, di Reate, il cui nome è legato alla dea Rea, non si hanno notizie prima dell'anno 290 a.C., quando il console Curio Dentato la sottopose alla dominazione romana. Qualche ricordo di Rieti si ha ai tempi di Annibale e si sa che i reatini accorsero sotto le bandiere di Scipione.
Amiternum
ROMA e la leggenda sui Sabini
Narra la leggenda che Romolo, una volta creata la città di Roma cercò di risolvere il problema di popolarla:raccolse i pastori dalle zone circostanti, ma mancavano le donne. Pensò allora di organizzare una festa, alla quale invitò i Sabini, con mogli e figlie.
Mentre il festino si svolgeva fra canti e danze, ad un segnale convenuto, i giovani romani rapirono le donne sabine e, armati di pugnali, misero in fuga gli uomini.
Questi ritornarono, poco tempo dopo, guidati da Tito Tazio, re della tribù sabina dei Curiti, con l'intento di liberare le loro donne e di vendicarsi dell'affronto ricevuto.
Una fanciulla, Tarpea, aprì loro le porte della città: ma pagò immediatamente il suo gesto con una morte atroce, infatti fu schiacciata dagli scudi dei Romani. Le generazioni future daranno poi il nome di lei alla rupe Tarpea, dalla quale diverrà consuetudine gettare i condannati a morte.
Penetrati a Roma, i Sabini si lanciarono contro i guerrieri nemici; ma appena iniziò la battaglia, le donne intervennero per ottenere un armistizio: molto fanciulle infatti, si erano già affezionate agli sposi romani e non potevano tollerare la vista di quella sanguinosa battaglia nella quale erano coinvolti i loro padri e i loro mariti.
La vicenda ebbe così una pacifica conclusione: Romolo e Tito Tazio regnarono in comune sulla città: Sabini e Romani si fusero in un solo popolo.
Dal nome della tribù di Tito Tazio, quella dei Curiti, derivò poi ai Romani l'appellativo di Quiriti.
Questa leggenda svela il fatto che l'origine di Roma è vincolata alla presenza dei Sabini che in parte già popolavano quella regione, limitatamente verso il Gianicolo.
AMINTERNUM
Nel versante occidentale della conca aquilana, presso l'odierno San Vittorino, si trovano le rovine di questa città dei Sabini che nel 293 a.C. fu conquistata da Roma.
Il nome deriverebbe dal fiume Aterno che attraversava la città.
Fu una prefettura romana fino all'età augustea e successivamente, da quanto si evince dalle fonti epigrafiche, un municipio.
 Anfiteatro

Patria dello storico Sallustio (I secolo a.C.).

I resti più importanti sono:
l'anfiteatro (I secolo d.C.) era costituito da 48 arcate su due piani, che si aprivano lungo il perimetro ancora oggi visibile, le gradinate potevano ospitare circa 6000 persone;
accanto all'anfiteatro v'è un edificio di età tardo-romana con ambienti decorati a mosaico e affresco; il teatro, d'età augustea, ha una cavea con un diametro di 54 metri che sfrutta la pendenza della collina su cui sorge, le gradinate potevano ospitare fino a 2000 persone: ciò che resta del teatro è visibile al km.9 della s.s.80;
 Resti della città

sono inoltre conservati resti delle terme, di un acquedotto d'età augustea o tiberiana, varie iscrizioni oltre a materiale scultoreo e architettonico.
CURES

Delle antiche città Sabine: Cures, Eretum, Trebula Mutuesca e Forum Novum la prima in ordine di importanza  è senza dubbio Cures (individuata in località Arci tra Talocci e Passo Corese). Le fonti la considerano come prima fondazione Sabina nella valle del Tevere e di notevole importanza,  in stretto rapporto con le origini di Roma (basta mettere in relazione la leggenda del fondatore Modius Fabidius che ricorda quella di Romolo e Remo).
Cures era una città che oltre al centro, presentava agglomerati di abitazioni distribuiti in un'area piuttosto vasta che dal Fosso Corese arrivavano quasi fino a Farfa. I principali edifici pubblici di Cures erano il foro, il tempio, le terme, un teatro ed un anfiteatro.

La presenza di un anfiteatro a Cures, edificio destinato alle lotte dei gladiatori ed alla caccia agli animali, è attestata soltanto da una iscrizione, che ricordava, uno splendido spettacolo con cinque coppie di gladiatori allestito a sue spese da un cittadino  benemerito, rimasto senza nome, nessuna traccia rimasta sul terreno.
AMINTERNUM
Nel versante occidentale della conca aquilana, presso l'odierno San Vittorino, si trovano le rovine di questa città dei Sabini che nel 293 a.C. fu conquistata da Roma.
Il nome deriverebbe dal fiume Aterno che attraversava la città.
Fu una prefettura romana fino all'età augustea e successivamente, da quanto si evince dalle fonti epigrafiche, un municipio.
 Anfiteatro

Patria dello storico Sallustio (I secolo a.C.).

I resti più importanti sono:
l'anfiteatro (I secolo d.C.) era costituito da 48 arcate su due piani, che si aprivano lungo il perimetro ancora oggi visibile, le gradinate potevano ospitare circa 6000 persone;
accanto all'anfiteatro v'è un edificio di età tardo-romana con ambienti decorati a mosaico e affresco; il teatro, d'età augustea, ha una cavea con un diametro di 54 metri che sfrutta la pendenza della collina su cui sorge, le gradinate potevano ospitare fino a 2000 persone: ciò che resta del teatro è visibile al km.9 della s.s.80;
 Resti della città

sono inoltre conservati resti delle terme, di un acquedotto d'età augustea o tiberiana, varie iscrizioni oltre a materiale scultoreo e architettonico.

PELIGNI
Popolo autoctono di origine umbro-sabella.
Il loro territorio, abitato già nel neolitico, che si colloca in Abruzzo, attorno al complesso montuoso della Maiella, diede origini alla famiglia imperiale romana dei Flavi di Vespasiano, Tito e Domiziano.
Popolazione dedita alla pastorizia ed all'allevamento. I centri di maggiore interesse furono Sulmo (Sulmona), Lama e Corfinium.
La secoda città divenne capitale della lega italica durante la guerra sociale contro Roma. Questo testimonia il livello di importanza politica e militare che aveva raggiunto questa popolazione.
La loro cultura venne soppiantata da quella romana e rapidamente il territorio peligno divenne luogo di possedimenti agricoli dei nobili romani.
CORFINIUM
L’antica Corfinium si trova nella conca di Sulmona nei pressi dell'Aterno, a 345 metri d'altezza in posizione strategica sulla Via Valeria, prosecuzione della Tiburtina, percorso che collegava Roma con Ostia Aterni (Pescara) ovvero il Tirreno con l'Adriatico.
L'attuale Corfinio, ha un aspetto medievale e sorge su uno sperone roccioso sull’attuale strada statale che nel tracciato ricalca quella secolare; anche l'abitato più antico si trova dov'era la vecchia capitale. Si entra nel centro storico lungo la Via Italiea e si giunge in Piazza Corfinio, ove le case disposte in curva seguono la linea della cavea dell'antico teatro romano. Qualche centinaio di metri prima di giungere a Corfinio, per chi proviene da Roma, accanto ai resti murari si erge la basilica Valvense, o di San Pelino, sorta sul luogo d’un cimitero paleocristiano dov'era sepolto Pelino, vescovo di Brindisi, martirizzato a Corfinium attorno all’anno 350. La prima chiesa fu eretta nel V secolo; devastata tra il IX e il X secolo dai Saraceni e dagli Ungari, nel 1120 il vescovo Gualtiero la fece rifare in stile romanico e successivamente subì ulteriori trasformazioni, specie all'interno. Conserva uno splendido ambone commissionato dal vescovo Oderisio sul finire del 1170, importanti affreschi del XIV secolo e, nelle mura, parte delle circa 250 lapidi con iscrizioni che ci sono giunte dall'antichità.

Forse non tutti sanno che Corfinium, già capitale dei Peligni, fu la prima capitale d'Italia.
Quando la Roma precristiana iniziò la sua ascesa, assoggettando gran parte dei popoli della penisola, si limitava a concedere a taluni la cittadinanza latina, o, secondo criteri legati al censo, quella romana; ma questa prerogativa era legata più ai singoli che alle popolazioni nel loro insieme. Roma pensava così di mantenere il controllo in base al principio del "divide et impera". Ma le legittime aspirazioni dei popoli del centro-sud che spesso al suo fianco avevano combattuto nelle campagne di conquista, fecero sì che, nel 90 a. C., confederandosi, si ribellarono e istituirono un primo nucleo di Stato italiano eleggendo come capitale Corfinium, cui fu dato il nome di Italica, e coniando proprie monete.
Come capitale ebbe però circa un anno di vita, perché la Lex Iulia, concedendo la cittadinanza romana alla maggior parte dei popoli confederati, sciolse la confederazione trasformando Corfinium in municipio romano.
 Rovine di Corfinium
Già nel II secolo a.C. si dibatteva su quale status giuridico assicurare agli Italici. In proposito la "Lex Licinia Mucia de civibus redigendis” del 95 a.C., aveva mantenuto i criteri restrittivi di una precedente legge. 4 anni dopo però, il tribuno Livio Druso, vincendo le tante opposizioni, riuscì a far ottenere agli italiani il diritto di cittadinanza. Purtroppo, assassinato Druso, il tribuno Quinto Varo, cittadino romano, ma nativo di Sucrone in Iberia, fece abrogare la legge, scatenando il malcontento delle popolazioni colpite. Il pretore romano Servilio fu inviato ad Ascoli per inquisire secondo le nuove norme; qui si espresse in termini tanto minacciosi che fu massacrato assieme al seguito ed ai Romani residenti in città.
Gli Italici si riunirono in un’assemblea per discutere su come reagire alle prepotenze di Roma. Vi parteciparono Marsi, Peligni, Marrucini, Vestini, Piceni, Sanniti, delegati dalla Lucania e dall'Apulia.
I Vestini di Pinna, odierna Penne, la maggioranza degli Irpini, Nola e Nocera in Campania, le città greche di Napoli e Reggio parteggiarono per Roma. Erano popoli e città che già avevano ottenuto un trattamento di favore da Roma, come del resto Umbri ed Etruschi, che non intervennero all'assemblea dei rivoltosi. Tuttavia gli Italici fecero un ultimo tentativo di conciliazione, chiedendo nuovamente a Roma la cittadinanza. Di fronte all'ennesima risposta negativa, decisero di proclamare il nuovo Stato, con capitale Corfinium e creando una struttura politica simile a quella di Roma. Furono eletti due consoli, il marso Pompedio Silone ed il sannita Papio Mutilo, dodici pretori, nonché un Senato di 500 membri, e si coniarono monete con il nome del nuovo stato.
La guerra divampò, con fasi alterne, specie in Abruzzo e Campania; molti gli scontri, migliaia i caduti da ambo le parti. Verso la fine del 90, il console Lucio Cesare fece votare in Senato la "Lex Iulia de civitate", che concedeva la piena cittadinanza alle comunità latine ed italiane rimaste fedeli. All'inizio dell'anno 89 la nuova "Lex Plautia Papiria", proposta dai tribuni Plusio Silvano e Papirio Carbone, allargò i nuovi benefici a tutti i latini e gli Italici. Le riforme impiegarono molto tempo ad attuarsi pienamente.
Gli scontri militari continuarono, trasformandosi nella cosiddetta guerra sociale e nel conflitto tra Caio Mario e Cornelio Silla, che capeggiavano opposte fazione nell'ambito del potere romano. Corfinio si trovò coinvolta nelle lotta fin quando, nel 49 a.C., presidiata da truppe fedeli a Pompeo, fu conquistata.

VESTINI

Popolazione di origine illirica che ha subito un processo di fusione con popolazioni autoctone ed altre di origine osco-sabella.
Ebbero rapporti con Umbri e Piceni e subirono un processo di romanizzazione. Presero parte alle guerre sociale e civile, subendo notevoli perdite.
Il loro territorio divenne provincia romana. Le città dei Vestini più famose furono Pinna (Penne) e Peltuinum, divenuta città romana.
PELTUINUM
Prata d'Ansidonia (AQ) Situata nella piana ad oriente di L'Aquila, questa città, originariamente dei Vestini, è stata ricostruita ai tempi di Roma tra la metà del I secolo a.C. e la prima metà del secolo successivo.
Servito dall'antica Via Claudia Nova, fu importante centro romano, ma andò distrutto per cause non ancora conosciute. In epoca normanna tornò a nuova vita con il nome di Civita Sedonia dal nome di Sidonio suo fondatore, ma non raggiunse più l'importanza precedente.
Della città romana restano le rovine dell'anfiteatro, di cui si riconosce solo la forma della cavea nel terreno, il teatro d'età augustea e tratti delle mura.
Sulla piazza dell'antica città si affacciano i ruderi del basamento di un tempio. L'edificio, forse dedicato al culto pastorale di Apollo, era inserito all'interno di un recinto sacro porticato.
Accanto ai resti antichi è la chiesa di S.Paolo di Peltuino, del XII secolo.

LIBURNI 

Popolazione di origine illirica, residente prevalentemente in Istria che ebbe alcuni porti di scambio e piccole comunità nel Piceno, in Campania ed in Etruria.
Abili navigatori, insegnarono a navigare ai Romani.
Fondarono Livorno (Liburnae), nonchè alcuni centri nelle Marche, fra quali rilevante quello di Truentum, sulla sponda Sud del Tronto, ed abitarono presso Cuma.  Rapidamente subirono l'espansione picena.

PETRUZI

Popolazione autoctona residente nell'Abruzzo meridionale.
Il centro principale fu Teramo. Erano dediti alla pastorizia ed all'allevamento. Vennero rapidamente assorbiti dalla cultura della civiltà picena.

UMBRI 


Crocevia tra nord e sud, tra mare Adriatico e Tirreno, l’Umbria ha visto scorrere più di tre millenni ininterrotti di storia sul suo territorio.
In Umbria la presenza dell'uomo (documentata da manufatti litici) risale al Paleolitico superiore medio ed inferiore (50.000, 100.000, 200.000 anni fa ca.), fino ad arrivare alla "Pebble culture" (cultura di manufatti su ciottoli).

Dai terrazzi fluviali del Chiascio e del Tevere, dall’area di Norcia e da località sulle rive del Trasimeno provengono amigdale e punte di frecce. Al Paleolitico Superiore risale la raffinata statuetta a tutto tondo, nota come Venere del Trasimeno, e al Neolitico Superiore appartiene la tomba di Poggio Aquilino a Marsciano, presso Perugia. Nelle necropoli di Monteleone di Spoleto , sono state trovate tracce di sepolture a incinerazione del periodo di transizione tra età del bronzo e del ferro.
Agli inizi del primo millennio a.C. la penisola italiana, fu interessata dall'arrivo di varie popolazioni che si sovrapposero, talora si sostituirono, a quelle già esistenti. Tra queste popolazioni, all'incirca nel I millennio a.C., vi fu un'ondata che si stabilì nel territorio dell'alta e media valle del Tevere fino all'Adriatico. Questi furono gli Umbri, chiamati dagli autori antichi gens antiquissima italiae , perché appunto riconosciuti come una delle più antiche genti che popolò la penisola.
Da loro prese dunque nome la regione che noi conosciamo come Umbria.
Per quello che attualmente conosciamo, gli Umbri svilupparono, a partire dal 700 a.C. circa, un'economia legata essenzialmente all'agricoltura e all'allevamento, mentre per la zona di Terni è documentata anche l'attività di estrazione e lavorazione del metallo, a testimonianza dell'antichissima vocazione della città.
Nel 500 a.C., circa, gli Umbri non conoscevano ancora la vita cittadina, difatti l'occupazione del territorio era basata su piccoli villaggi fortificati in altura e non su grandi città, come nella vicina Etruria. Punti di aggregazione furono soprattutto i grandi santuari, legati alle divinità del mondo agricolo-pastorale: qui infatti si raccoglievano varie comunità per celebrare festività e ricorrenze ma anche per prendere decisioni di carattere politico.
A partire dal 450 a.C. circa gli Umbri furono sempre più influenzati dal mondo greco ed etrusco. Questa massiccia influenza ebbe come prima conseguenza la nascita di città sul modello greco-etrusco; i primi insediamenti sorsero a Otricoli, Amelia, Terni, Narni, Todi, Spoleto, Nocera, Foligno, Assisi, Bettona, Gualdo Tadino, Gubbio, Città di Castello: si suppone che i loro domini si estendessero dal mare Adriatico all’alta e media valle sulla destra del Tevere e forse toccassero il Tirreno.
antico tratto della via Flaminia
Progressivamente, però, il territorio controllato dagli Umbri si restrinse sotto la pressione delle popolazioni vicine come i Sabini a sud, i Piceni a est, gli Etruschi e i Galli Senoni che si insediano a nord del Tevere nel cosiddetto Ager gallicus , costringe gli Umbri a restringere i propri domini.
I primi contatti tra gli Umbri e i Romani, all'inizio perlopiù commerciali, poi politici e militari, si formalizzano nel corso del IV sec. a.C., epoca in cui inizia la decadenza della Necropoli Preromana di Montecchio, riferita ad un nucleo abitato, non chiaramente identificato, da localizzarsi su un'altura sovrastante la necropoli. Si è ipotizzata, nella zona, l'esistenza di un grande centro commerciale dove, data la vicinanza del Tevere allora navigabile, confluivano merci provenienti da culture diverse.
Successivamente Roma, approfittando della crisi dell'Etruria, tenta con successo di sostituirsi agli Etruschi per poter controllare la valle del Tevere e per potersi espandere verso le regioni del medio e alto Adriatico. Con la sconfitta nella storica battaglia di Sentinum, ad opera dei Romani, della Lega Gallo-Etrusco-Italica (295 a.C.), gli Umbri furono sottomessi e il processo di romanizzazione del territorio si realizzò con la fondazione di colonie come Spoletium (Spoleto) nel 241 a.C. Conseguente fu la centuriazione del territorio e l'apertura di importanti vie di comunicazione, tra cui la Flaminia (Roma-Rimini).
Dopo la seconda metà del III sec. a.C. i Romani controllavano l’intera regione e a loro fianco apparivano i contingenti piceni ed Umbri in tutte le battaglie, comprese le guerre puniche dove si distinsero le coorti dei Camerti e dei Piceni.
SENTINUM
Le prime notizie certe di questa città si hanno intorno al 600 a.C. come sito umbro. Nel 295 a.C. nel suo territorio ebbe luogo la celebre battaglia della III querra sannitica con vittoria dei romani contro la lega Gallo-Sannita. In questa battaglia morì il console Decio Mure, che si votò agli Dei.

Sentinum fu data alle fiamme dalle forze di Ottaviano durante la guerra dei Triunviri nel 41 a.C. Fu ricostruita in forma migliore per volere dello stesso Cesare Augusto e vi posero residenza molti dei suoi veterani che avevano ricevuto in dono le migliori terre dell'agro sentinate.
La città scomparve tra l'VIII e X secolo, non per violenza nemica, ma perché, come quasi tutte le città picene, fu abbandonata dagli abitanti, decimati dalla fame e dalla peste incapaci di difenderla dalle irruzioni nemiche, specialmente dai feroci Ungari.
Sin dall'alto medioevo le rovine della città romana di Sentinum furono utilizzate nella costruzione di Sassoferrato e delle zone limitrofe, un tipico esempio è l'abbazia di Santa Croce del sec. XII. L'ubicazione della città era conoscita già dal Rinascimento per i numerosi rinvenimenti di iscrizioni, statue e mosaici, come quello trovato e asportato nel 1806 ed oggi conservato nel museo di Monaco di Baviera. Solo alla fine del secolo scorso furono iniziate regolari campagne di scavo e fu in quell'occasione individuata la topografia urbana della città. Campagne di scavo successive hanno portato a quello che a tutt'oggi è visibile.

PICENI

I Piceni (o Picenti) erano una popolazione italica, stanziata in età romana nel Piceno che fu abitato oltre che dai Picenti a nord (Ager Picenus) anche dai Petruzi a sud (Ager Praetutianus) e da gruppi di Liburni.
La civiltà picena sviluppò un rilevante nucleo abitato nelle attuali basse Marche comprendente un’area sacra che si dimostrò essere la più importante nella vita religiosa di quella che ancor oggi, per molti aspetti, rimane una popolazione misteriosa.
Sulla sponda sinistra della foce del Tesino i Piceni eressero il tempio della loro massima divinità: la dea Cupra, ovvero la dea della fertilità, la grande madre protettrice. Per capire perché essi si stabilirono in questa località e quale fu la reale importanza del loro insediamento, che costituì il nucleo primario di quella che nel corso dei secoli sarebbe poi diventata la cittadina di Grottammare, non ci si può esimere dal tracciare, ovviamente a grandi linee, la storia di questo popolo illustrandone almeno le fondamentali caratteristiche. Varie sono le ipotesi avanzate sull’origine dei Piceni che nella prima età del ferro (circa decimo - nono secolo a. C.) occuparono il tratto di costa adriatica compreso tra i fiumi Foglia a Nord e Pescara a Sud e delimitato ad Ovest dagli Appennini.

(Il Guerriero di Capestrano)Per gli scrittori antichi (Strabone, Plinio il Vecchio e Festo) avrebbero avuto origine da una migrazione di Sabini: un picchio (picus), uccello sacro a Marte dal quale il gruppo trasse il nuovo nome, li avrebbe guidati posandosi durante il viaggio sul loro vessillo. Il motivo di questa migrazione sarebbe stato un voto di "primavera sacra": presso le antiche popolazioni era consuetudine offrire agli dei tutti i nati tra il 1° marzo ed il 30 aprile di un anno di carestia o di guerra; gli animali venivano immolati mentre i bambini, una volta raggiunta l’età adulta, all’inizio della bella stagione erano accompagnati ai confini da dove partivano alla ricerca di nuove terre in cui stabilirsi e fondare nuove sedi per gli dei nazionali.

Ultimamente alcuni storici hanno messo in dubbio la consuetudine di ritenere i Piceni generati da uno sciame votivo dei Sabini. Alla luce dei vari ritrovamenti archeologici è stata avanzata l’ipotesi che questo popolo non sia di derivazione indoeuropea.
Solo in epoca successiva ad esso si sarebbero sovrapposti i Picenti, cioè appunto quelle tribù italiche del gruppo umbro–sabellico cui fanno riferimento gli scrittori classici (i Sabini concordemente erano ritenuti una diramazione degli Umbri). Tuttavia altri studiosi - ed è questa oggi l’ipotesi prevalente - non fanno distinzione tra Piceni e Picenti e ritengono, in sintonia con l’antica tradizione, che questo popolo derivi dal grande gruppo etnico degli Umbro–Sabelli. Per fortuna i vasti rinvenimenti archeologici di abitati, necropoli e stipi votive, oltre a creare discordanza di opinioni sulla sua genesi, hanno anche consentito di pervenire a maggiori conoscenze su questa civiltà. E’ stato così appurato che i Piceni si appropriarono dei territori occupati, non aggregandosi in forti nuclei (non fondarono mai grosse città), bensì dando vita a piccoli stanziamenti, dividendosi e disperdendosi per famiglie e per tribù. Questo frazionamento tribale ha fatto sì che essi non arrivassero mai a costituire un’unità cosciente della propria autonomia culturale e la loro civiltà, pur con una sua innegabile caratterizzante fisionomia, si differenziò di località in località, a volte in modo notevole. Ed è proprio per questa struttura che si potrebbe definire cantonale, che si può parlare di confederazione picena. Gli scavi hanno dimostrato come queste tribù si stabilirono principalmente lungo la costa e lungo le vallate dei fiumi che dagli Appennini si gettano in Adriatico. E’ stato notato come l’agglomerato piceno sorgesse sempre nei pressi dei precedenti insediamenti delle popolazioni dell’età del bronzo (alcune volte si sovrappose direttamente ad essi). Infine è stato rimarcato un ulteriore aspetto di questo popolo: la sua attiva partecipazione agli scambi commerciali, in modo particolare a quelli via mare, con gli altri popoli affacciati sull’Adriatico (Liburni, Illiri, Dauni , Etruschi adriatici ).
      Il Piceno rappresentò poi uno snodo cruciale della celebre "via dell’ambra" (che veicolava sulle rotte adriatiche questa preziosa resina fossile proveniente dalle regioni baltiche) e di tutti gli altri traffici marittimi che si svilupparono in Adriatico. Ciò è dimostrato dal rinvenimento nella necropoli di Novilara (Pesaro) sia di materiali che attestano una direttrice di traffico in senso Nord-Sud (ceramica daunia e ambra) sia di prodotti in bronzo (e particolarmente fibule) che documentano invece una relazione tra l’area picena e le coste dalmate.

Dunque appare evidente che i Piceni abbiano posseduto, se non veri e propri porti, almeno dei luoghi di attracco.

I Piceni in età romana
Nel 299 a.C. si allearono ai Romani, con i quali vennero più tardi a conflitto, cosicché, sconfitti dopo due anni di lotta, furono in parte trapiantati nella zona tra Salerno e il Sele, che da essi prese il nome di Ager Picentinus.
A eccezione della capitale Asculum (Ascoli) e della colonia greca di Ancona (268 a.C.), che divennero alleate dei Romani, il resto del loro territorio fu annesso dai Romani che vi fondarono numerose colonie quali Hadria (o Hatria, o Atri), Firmum Picenum (Fermo), Castrum Novum Piceni (presso l'odierna Giulianova), Potentia (Potenza Picena) e Auximum (Osimo).
Nel 295 a.C. Romani, Piceni, Lucani prevalsero contro Umbri, Etruschi, Sanniti nella storica battaglia di Sentinum, nelle vicinanze dell’attuale Sassoferrato.
Dopo la seconda metà del III sec. a.C. i Romani controllavano l’intera regione e a loro fianco apparivano i contingenti piceni ed Umbri in tutte le battaglie, comprese le guerre puniche dove si distinsero le coorti dei Camerti e dei Piceni.
Nel 207 a.C., dopo l’importante battaglia del Metauro, dove le truppe romane sconfissero quelle Cartaginesi guidate da Asdrubale ( fratello di Annibale ), iniziò il processo di romanizzazione dei popoli abitanti le Marche.
La divisione augustea si configurò con il Regio V ( Piceno ) comprendente parte dell’Abruzzo e il Regio VI ( Flaminia ) che andava dal Tevere fino all’Adriatico.
I resti d’epoca augustea sono numerosi: l’Arco di Augusto a Fano, le piscine epuratorie romane a Fermo, l’Arco di Traiano ad Ancona, la porta Gemina ad Ascoli Piceno, la galleria del Furlo sulla via Flaminia e le rovine delle città Urbs Salvia ( Urbisaglia ), Helvia Recina ( Macerata ) e Faleria .
Dopo lo scompiglio provocato dalle orde barbariche ( V sec. ), nel 568 si giunse ad un nuovo assetto territoriale con i Longobardi dominatori del Piceno e la restante parte dominata dai Bizantini.




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