A partire dal 1907, anno in cui fu pubblicata la memoria contenente la celebre equazione che afferma l'equivalenza fra massa ed energia, Einstein iniziò a lavorare a una teoria più generale, che potesse essere estesa ai sistemi non inerziali, cioè in moto accelerato l'uno rispetto all'altro. Il primo passo fu l'enunciazione del principio di equivalenza, in base al quale il campo gravitazionale è equivalente a una accelerazione costante che si manifesti nel sistema di coordinate, e pertanto indistinguibile da essa, anche sul piano teorico. In altre parole, un gruppo di persone che si trovino su un ascensore in moto accelerato verso l'alto non possono, per principio, distinguere se la forza che avvertono è dovuta alla gravitazione o all'accelerazione costante dell'ascensore. La teoria della relatività generale venne pubblicata nel 1916, nell'opera intitolata I fondamenti della relatività generale. In essa le interazioni dei corpi, che prima di allora erano state descritte in termini di forze gravitazionali, vengono spiegate come l'azione e la perturbazione esercitata dai corpi sulla geometria dello spazio-tempo, uno spazio quadridimensionale che oltre alle tre dimensioni dello spazio euclideo prevede una coordinata temporale. Einstein, alla luce della sua teoria generale, fornì la spiegazione delle variazioni del moto orbitale dei pianeti, dando conto in modo soddisfacente del moto di precessione del perielio di Mercurio, fenomeno fino ad allora non pienamente compreso, e previde che i raggi luminosi emessi dalle stelle si incurvassero in prossimità di un corpo di massa elevata quale, ad esempio, il Sole. In base a quest'ultimo fenomeno, si è avuta una conferma sperimentale, realizzata in occasione dell'eclissi solare del 1919, che fu un evento di enorme rilevanza. Per il resto della sua vita Einstein si dedicò alla ricerca di un'ulteriore generalizzazione della teoria in una teoria dei campi che fornisse una descrizione unitaria per i diversi tipi di interazioni che governano i fenomeni fisici, incluse le interazioni elettromagnetiche, e le interazioni nucleari deboli e forti. Tra il 1915 e il 1930 si stava sviluppando la teoria quantistica, che presentava come concetti fondamentali il dualismo onda-particella, postulato da Einstein fin dal 1905, nonché il principio di indeterminazione di Heisenberg, che fornisce un limite intrinseco alla precisione di un processo di misurazione. Einstein mosse diverse e significative critiche alla nuova teoria e partecipò attivamente al lungo e tuttora aperto dibattito sulla sua completezza. Commentando l'impostazione da un punto di vista strettamente probabilistico della meccanica quantistica, egli affermò che "Dio non gioca a dadi con il mondo". Cittadino del mondo Dopo il 1919 Einstein divenne famoso a livello internazionale; ricevette riconoscimenti e premi, tra i quali il premio Nobel per la fisica, che gli fu assegnato nel 1921. Lo scienziato approfittò della fama acquisita per ribadire le sue opinioni pacifiste in campo politico e sociale. Durante la prima guerra mondiale fu tra i pochi accademici tedeschi a criticare pubblicamente il coinvolgimento della Germania nella guerra. Tale presa di posizione lo rese vittima di gravi attacchi da parte di gruppi di destra; persino le sue teorie scientifiche vennero messe in ridicolo, in particolare la teoria della relatività. Con l'avvento al potere di Hitler, Einstein fu costretto a emigrare negli Stati Uniti, dove gli venne offerta una cattedra presso l'Institute for Advanced Study di Princeton, nel New Jersey. Di fronte alla minaccia rappresentata dal regime nazista egli rinunciò alle posizioni pacifiste e nel 1939 scrisse assieme a molti altri fisici una famosa lettera indirizzata al presidente Roosevelt, nella quale veniva sottolineata la possibilità di realizzare una bomba atomica. La lettera segnò l'inizio dei piani per la costruzione dell'arma nucleare. Al termine della seconda guerra mondiale, Einstein si impegnò attivamente nella causa per il disarmo internazionale e più volte ribadì la necessità che gli intellettuali di ogni paese dovessero essere disposti a tutti i sacrifici necessari per preservare la libertà politica e per impiegare le conoscenze scientifiche a scopi pacifici. Albert Einstein e il pensiero filosofico Einstein definì i principi fisici come libere invenzioni del nostro intelletto anziché come a comode formulazioni sintetiche dei rapporti fra fenomeni, come avrebbe supposto un vero seguace di Mach. Benché, però, potesse esserci bisogno dell'intelletto creativo umano per andare oltre i modi di pensiero tradizionali, ciò non significava che secondo Einstein qualsiasi vecchio principio potesse funzionare. Egli pensava, piuttosto, che quando una teoria riusciva a dare una correlazione matematica semplice e una rappresentazione altrettanto semplice dell'esperienza, stava fornendo una copia adeguata della realtà. Senza dubbio non intendeva asserire che la scienza sarebbe riuscita infine a conseguire una descrizione completa e definitiva del mondo. Nella sua filosofia della scienza c'era nondimeno una forte componente "realistica": egli credeva che una teoria scientifica fosse composta da un insieme di assiomi o principi fondamentali che potevano essere scelti liberamente dall'atto creativo dello scienziato. Da questi assiomi si potevano dedurre matematicamente teoremi, i quali dovevano poi essere verificati sperimentalmente. A differenza di Newton, Einstein non credeva che gli assiomi potessero venire derivati direttamente o logicamente dai dati dell'esperienza, da fenomeni. Essi richiedevano, invece, un atto creativo di costruzione matematica. La connessione con i fenomeni veniva alla fine della catena di deduzioni, quando i teoremi del sistema matematico venivano messi a confronto con l'esperienza. L'intero processo era guidato da un assunto apparentemente a priori, che ci fosse una sorta di "armonia prestabilita" fra pensiero e realtà, quasi come avevano supposto molto tempo prima gli aristotelici. Sociologia ed Antropologia Nietzsche Friedrich Einstein Albert Freud Sigmund Indice Generale Sigmund Freud Sigmund Freud segna la rivoluzione del 900 e completa la declamazione dell'uomo facendo emergere in esso una natura limitata. La vera natura dell'uomo è l'irrazionalità, l'inconscio. Ebreo di Vienna, dopo l'annessione alla Germania, fugge in Inghilterra. E' medico un medico specializzato in neuropsichiatria e dà origine alla psicoanalisi, che però, nonostante il suo impegno, non venne accetta come scienza. Inizia come neuropsichiatra, accanto al prof. Breuer studiando l'isteria. Il primo studio fu il "Caso di Anna O.". Prima delle innovazioni apportate da Freud, l'isteria veniva studiata somministrando al paziente dei psicofarmaci che inducevano il sonno; nel sonno si facevano della domande e il paziente inconsciamente rispondeva. Quando però finiva l'effetto del farmaco, il malato i ritrovava nelle stese condizioni di partenza. Freud capì che i farmaci non erano una cura adeguata, infatti per curare il problema psichico dell'ammalato bisognava scavare alla radice, attraverso i sogni o l'ipnosi. All'ammalato da sveglio venivano poste delle domande a cui lui rispondeva facendo delle associazioni libere. Da ciò Freud capì che la psiche umana ha delle zone nascoste che devono essere scoperte e fatte venire alla luce per poter capire il comportamento di ogni individuo. Secondo lui la struttura della psiche è triatica: La zona es oppure id in cui risiede l'inconscio; La zona super ego o (super ich) in cui risiedono gli insegnamenti sociali e culturali; La zona Ego in cui risiede la coscienza; La zona Es Nell'es, l'inconscio, è la parte più ricca di noi. Esso si divide in tre parti: pre oppure sub conscio inconscio inconscio biologico ereditario Nell'inconscio biologico ci sono le pulsioni che appartengono alla stirpe ereditaria. Le pulsioni ereditarie sono: Pulsioni sessuali (cerchiamo di riprodurci) Pulsioni di conservazione (cerchiamo di salvarci) Pulsioni Gregario (cerchiamo di stare con gli altri) Nell'inconscio ci sono le nostre esperienze personali rimosse e represse. Rimosse significa messe da parte volontariamente, mentre represse quando ce ne dimentichiamo casualmente. Noi non dimentichiamo niente, specialmente dai 0 ai 5 anni. Il preconscio è il guardiano che controlla tutte le nostre esperienze, le pulsioni; quando dormiamo si apre la porta e vengono fuori dai nostri pensieri i sogni. Tutta la nostra vita cosciente è solo un campo di battaglia tra la spinta dell'eroe (che rappresenta gli impulsi: il piacere, l'affermazione) e Thanatos (distruzione, superego) Questa è la spinta di Eros (subconscio). Nella vita quotidiana "Patologia della vita quotidiana", abbiamo tanti piccoli gesti che non facciamo, ma non per dimenticanza, ma perché non la volevamo fare. Anche i lapsus (penso una cosa ne dico un'altra), in realtà volevamo dire la cosa "sbagliata". Quello che ricordiamo è solo quello che vogliamo ricordare. Scriverà pure "Totem e tabù" sul significato della religione e sul desiderio della morte del padre. Freud istituisce quello che ormai e "il rito" della psicoanalisi: il lettino, il dottore seduto dietro il paziente e gli formula delle domande o indaga i suoi sogni interpretando ciò che il paziente ricorda (che è ciò che vuole ricordare). Fu una novità la sua impostazione sessuale, interpretare la vita solo dall'ottica dell'affettività (piacere - dispiacere) (affettività non è interesse, esso c'è se è motivato). La vita di ciascuno di noi è segnata dalle nostre motivazioni affettive. Adesso si parla di psicologia dinamica (cioè azione e reazione, stimolo e risposta che avvengono nella psiche). Noi ci andiamo via via strutturando. Stadi di vita dell'uomo Per Freud la vita comincia nel grembo materno. Già nel ventre materno, il bambino avverte se è voluto o meno e se è amato. Quindi il primo è un rapporto di accettazione, tra madre e figlio si realizza uno scambio di emozioni oltre che fisiologico. Durante il parto c'è il momento dell'angoscia, perché siamo abbandonati nel mondo. Il pianto del bambino è il pianto dell'angoscia, perché prima ha vissuto un contatto psicologico con la madre, e adesso è solo nel mondo e si sente abbandonato. Oggi sappiamo che il bimbo, non piange per angoscia, ma per il dolore dovuto al fatto che respira per la prima volta con i suoi polmoni. Il pianto è vita. Questo primo momento è quello del vagito. Durante tutto il primo anno di vita si deve ristabilire l'unione psicologica che c'era tra madre e figlio, e bisogna ristabilirlo all'inizio per avere quella fiducia basica che serve al bambino per non sentirsi più angosciato. Questa fiducia si realizza on le sensazioni termiche; il bambino riconosce il battito del cuore della madre, ma soprattutto con l'allattamento che ricostituisce l'unione che c'era con la madre prima del parto. La prima soddisfazione che prova il bambino appartiene alla "fase orale", ossia portando tutto in bocca, succhiando e mordendo. Verso i 3 mesi (Spitz) il bambino ha un modo suo i comunicare: il sorriso, come se sorridesse al viso materno (visto solo frontalmente e non di profilo) e contemporaneamente ha l'angoscia per i visi estranei (piange se non conosce qualcuno). Al 1° anno inizia la fase "autonoma", il bambino inizia a camminare, scopre gli oggetti e li esamina. Importante per lui sarà sempre la figura che gli parlerà e gli lancerà messaggi. Ai 2 anni si ha la fase "Anale": se prima il bimbo teneva il pannolino ora impara ad andare in bagno, riconosce lo stimolo: la gratificazione è quella di saper controllare i propri sfinteri. La fase anale prepara il bambino alla fase "fallica" (periodo omosessuale: il bambino scopre se stesso). Dopo essere riuscito a controllare i propri sfinteri scopre i propri organi sessuali. Fase Omosessuale (zero - cinque anni): Fase orale Fase anale Fase fallica Fase Eterosessuale Dopodiché inizia la fase eterosessuale. Scoprendo i genitali, sposta l'oggetto del desiderio da sé al sesso opposto. La prima donna della sua vita è la madre, il primo amore. (Per la bambina sarà il padre). Qui si innesca quel processo che prende il nome di "complesso di Edipo" o, per la bambina "complesso di Elettra". Il bambino ha sentimenti sessuali verso la madre, ma comprende che appartiene al padre. Il bambino introietta (fa sua) la figura paterna, perché ritiene che somigliando al padre potrà avere la madre. Se invece intrometta la figura materna, diventerà omosessuale. Dai 5 ai 10 anni c'è la fase "produttiva", il bambino va a scuola, è indaffarato e non pensa più alla tempesta sessuale che ha avuto dai 0 ai 5 anni. E' una fase di "Plateau" o latenza. Dopo i 10 anni si ha la "fase puberale" e "prepuberale": tutto ciò che era in latenza riaffiora di nuovo. E' una fase di ricerca della propria identità, si avverte che si cresce e ci si sente dibattuti e incerti, non ci si riconosce neanche esteriormente, fisicamente. Dai 15 ai 18 anni si cerca di riordinare le proprie idee: è la fase della "Maturità". Può durare fino ai 24, ma anche fino ai 90. Per Freud essere maturi vuol dire dare una risposta a tutti i problemi della vita. Se riusciamo a rispondere a queste domande, noi siamo maturi e siamo pronti a formare una famiglia. Verso i 50 anni si attraversa una fase di II immaturità, diffusa nella società. Freud era laico, ma rigoroso contro tutto ciò che era contro un ordine naturale. Il vivere in società ci procura disagio: l'uomo non può esprimere se stesso ("il disagio della civiltà"). Il motto del cristianesimo: "ama il prossimo tuo come te stesso" è contro natura, anzi dovrebbe essere "odia il prossimo tuo con tutto te stesso". Tutto il romanzo del 900 sarà di tipo psicologico. Poincaré Henri Marcuse Herbert Bergson Henri Croce Benedetto Husserl Edmund Heidegger Martin Popper Karl Indice Generale Poincaré Henri (1854 - 1912) Secondo Poincaré il compito principale della scienza non è quello di informarci sulla natura delle cose, ma sui rapporti, sulle relazioni tra oggetti; le leggi fisiche rappresentano appunto le relazioni esistenti tra oggetti e solo in queste relazioni consiste l'oggettività della scienza. Il circolo di Vienna Caratteri generali del neopositivismo Durante il secondo quarto del XX secolo emersero due scuole di pensiero inspirate al filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein. La prima di queste scuole, l'empirismo logico, o neopositivismo logico, ebbe origine a Vienna diffondendosi successivamente in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Gli empiristi logici sostenevano l'esistenza di un solo tipo di conoscenza, la conoscenza scientifica; la verificabilità empirica di ogni conoscenza valida; il fatto che ciò che è stato ritenuto filosofia non è né vero né falso ma letteralmente insensato. Quindi la filosofia viene ridotta a logica e si arriva a studiare la filosofia attraverso i simboli matematici. Avviene quindi una ripresa di Leibiniz riguardo ai principi logici di identità e di non contraddizione. La filosofia all'interno del circolo di Vienna, assume un carattere prevalentemente matematico (Rossa fu un grande rappresentante del circolo viennese a cui si deve la nascita della più moderna logica matematica fondata su principi atomici e proposizioni molecolari). I principi utilizzati dai neopositivisti sono di verificabilità e di confutabilità (confutabili e quindi scientifici). Questi principi usati in matematica servono a dimostrare delle tesi e lo stesso ora avviene in filosofia. "Dobbiamo avere elementi logici su cui basare le nostre discussioni" (es. le geometrie non euclidee si basavano sulla validità logica; non importa se vera o falsa). Il filone del positivismo logico si basa sul linguaggio riprendendo le teorie di Hume. I neopositivisti dicono: "Se Hume ha usato come criterio l'esperienza, noi usiamo come criterio di conoscenza il linguaggio" "Se noi studiamo il linguaggio come logica scientifica allora siamo di fronte al positivismo logico, se noi invece cerchiamo di studiare il linguaggio nelle sue regole quotidiane siamo di fronte alla filosofia analitica di Ayer e Wittgestein". Quest'ultimo scrive il trattato logico analogico e parla i tautologia (partire da un discorso in cui poi si rimane intrappolati). Lui parla di "giochi linguistici". Sia l'empirismo logico che il neopositivismo logico fanno una distinzione tra le proposizioni che concernano i fatti e le proposizioni che concernano le idee. Le proposizioni che si riferiscono ai fatti non hanno necessità, sono probabili; le proposizioni che concernano le idee sono tutte ipotesi (non ci sono certezze). Popper dirà: "Nella scienza si va avanti senza certezze". Egli fu vicino al circolo di Vienna ma non ne fece mai arte, rimase sempre isolato. Poincaré Henri Marcuse Herbert Bergson Henri Croce Benedetto Husserl Edmund Heidegger Martin Popper Karl Indice Generale Marcuse Herbert Nel 1922 un gruppo i intellettuali di orientamento marxista fondò a Francoforte "l'Istituto per la Ricerca Sociale". Esso fu diretto dall'economista Kurt Gerlach, a cui successe nel 1924 il professore si scienze politiche Karl Grunberg, fondatore dell'"Archivio per la storia del socialismo e del movimento operaio". Un impulso nuovo alla scuola di Francoforte fu impresso da Max Horkheimer quando nel 1930 fu nominato direttore. Nella "Rivista per la ricerca sociale" da lui fondata, venne elaborata la "teoria critica della società" che si apprestò a fornire delle acute analisi della società contemporanea. Dopo l'avvento del nazismo, il gruppo si trasferì a Ginevra e poi a Parigi, stabilendosi infine negli Stati Uniti. Nel 1950 Horkheimer ritornò in Germania ridando vita all'Istituto. I contributi sociologici collettivi più significativi sono stati gli "studi sull'autorità e la famiglia" e quelli su "La personalità autoritaria". Fecero parte dell'Istituto pure Franz Neuman e Herbert Marcuse. Il pensiero di Marcuse ha ottenuto un largo consenso, specie da parte dei giovani durante la fine degli anni sessanta. Le sue opere fondamentali sono: "Eros e civiltà" e soprattutto "l'Uomo ad una dimensione". In essa Marcuse sostiene tre tesi: La società contemporanea reprime i desideri e la creatività dell'uomo; Tale società è andata via via integrando tutti i ceti sociali e pertanto nega l'autonomia e la libertà individuale; Esistono determinate forze sociali in grado di condurre un processo di liberazione sociale. Secondo Marcuse tale repressione è legata allo sviluppo dell'odierna società "opulenta". L'inconscio è il luogo ove si trovano le tracce delle nostre fantasie e dei nostri desideri repressi, e l'arte è la forma di comunicazione che dà voce a queste esigenze di libertà. L'eros è creatività non repressa né utilizzata a fini di dominio ma di espansione della libertà umana, e la filosofia ha un compito eminentemente critico, cioè quello di indicare gli ostacoli da superare per raggiungere la liberazione umana. Nella seconda opera citata, egli sostiene che il controllo esercitato dalla società è oggi così elevato che l'uomo si può definire a una sola dimensione: quella si supina accettazione del potere, essendogli stata sottratta la facoltà di decidere autonomamente. Di fronte a questa situazione, l'unica possibilità di liberazione è affidata a quei gruppi sociali emarginati: ceti e uomini del tutto estranei a questa società pertanto disposti a opporvi un "rifiuto totale". Poincaré Henri Marcuse Herbert Bergson Henri Croce Benedetto Husserl Edmund Heidegger Martin Popper Karl Indice Generale Bergson Henri (1859 - 1941) Bergson è universalmente considerato il maggiore filosofo francese della prima metà dal XX secolo. Egli rappresenta il punto conclusivo del movimento spiritualista francese. Caratteristica fondamentale di questa corrente è la critica al positivismo per mettere in luce i tratti dello spirito umano. Il Positivismo si è interessato dello spirito come qualcosa di scientifico da poter analizzare ed è per questo che sono nate le varie scienze umane. Ma lo spirito vuole essere libero, non vincolato da regole fisse. Lo spirito ha come caratteristica l'asculatazione interiore cioè la riflessione interiore: riguarda il nostro stare con noi stessi. Lo Spiritualismo vuole mettere in luce questa riflessione interiore non soggetta a leggi universali. Esso prende spunto da filosofi quali S. Agostino e Cartesio i quali hanno basato la loro filosofia sulla riflessione interiore. Punto fondamentale di questo movimento è la superiorità dell'infinito rispetto al finito. Per Bergson essenza della vita, dell'universo e della realtà è lo slancio vitale (cioè l'eros di Platone), un'energia che dà la vita; Leibniz avrebbe parlato di monadi. Il mondo però resta mistero: si avverte nei rapporti con questo, uno slancio vitale per cui il dinamismo del mondo non è l'evoluzione tipica del Positivismo ma un evoluzione creatrice. (Evoluzione è un termine tipico di un interpretazione materialista della vita, mentre, evoluzione creatrice sembra quasi l'accostamento di due termini antitetici a cui Bergson da un'interpretazione mistica). Per Bergson l'uomo conosce attraverso due facoltà: l'istinto e l'intelletto. Qualsiasi espressione dello slancio vitale come evoluzione creatrice si presenta sempre con due biforcazioni che lui chiama istinto (parte materiale) e intelligenza (parte spirituale). L'aspetto dell'intelligenza si presenta per Spinosa come memoria, come ricordo. Bergson si sofferma molto sul ricordo che può essere puro o immagine. L'istinto si presenta più come percezione per sottolineare il nostro aspetto legato alla sensibilità. Quest'attività dell'uomo avviene nelle nostra coscienza, dato essenziale dell'uomo, dato fondamentale. La coscienza deve essere vista come fluire continuo in cui le immagini, i ricordi, l'istinto, appartengono alla coscienza che lui chiama durata reale (tempo della coscienza). Il tempo non esiste di per sé ma come tempo della coscienza, e lo spazio non è che il tempo spazializzato cioè un insieme di istanti messi vicini. Tempo e spazio non sono altro che l'essere della coscienza. S. Agostino diceva che il tempo è la distensione dell'anima. Il tempo non è oggettivo ma assolutamente soggettivo. Il momento finale in cui tutti e due gli aspetti si risolvono in un tutt'uno, è il momento dell'intuizione (aspetto del Decadentismo, non consente di conoscere ma rappresenta il tener presente tutta la persona). Intuere vuol dire comprendere se stessi immersi nella realtà. Questo si ritrova nelle "Due sorgenti della morale". Bergson ci presenta due tipi di morale: la morale aperta e la morale chiusa. La morale chiusa è quella basata su leggi e norme tradizionali seguite pedessiquamente. La morale aperta è basata sull'evoluzione creatrice; è una morale che si mette in discussione, è critica (rivoluzionaria). Alle due morali corrispondono due tipi di religione: La religione chiusa cioè quella del cerimoniale, del rito (la religione riesce ad incantare). La religione aperta cioè quella dei grani mistici, di S, Francesco, di Santa Caterina, di S. Teresa, dei personaggi che sono stati eroi della religione e che hanno avuto una forza evolutiva, rivoluzionaria. I grandi santi rappresentano la morale aperta perché vanno avanti. Poincaré Henri Marcuse Herbert Bergson Henri Croce Benedetto Husserl Edmund Heidegger Martin Popper Karl Indice Generale Croce Benedetto (1866 - 1952) Verso la fine dell'800 si ricomincia a studiare Hegel nella scuola di Napoli. Tra i maggiori esponenti del neo hegelismo, possiamo ricordare Augusto Vera e Spaventa zio di Croce. Croce nasce nel 1866 ma ben presto a causa di un incidente rimase orfano. Così in età ancora adolescenziale, fu accolto in casa dallo zio Spaventa. Ciò gli permise di entrare a contatto con personalità molto importanti e di conoscere pienamente il pensiero hegeliano. Egli non fece mai parte della vita accademica; fu grande amico di Gentile, almeno fino a quando dopo l'avvento del fascismo, questo decise di sostenere il governo autoritario mentre Croce si schierò all'opposizione. Le opere scritte da Croce, sono tantissime, tra le più importanti ricordiamo: "La storia come pensiero e azione", "Teoria e storia della storiografia". L'enorme eredità lasciatogli dalla famiglia gli permise, senza altre distrazioni, di dedicarsi agli studi. Arriva ad Hegel attraverso lo studio dell'economia di Marx e della struttura dialettica. Di Hegel egli accetta l'interpretazione della realtà come movimento dello spirito però non accetta che l'attività di quest'ultimo sia solo dialettica. Secondo lui infatti, l'attività dello spirito sarebbe regolata da categorie fondamentali legate insieme da un rapporto di "distinzione". SPIRITO Attività teoretica Del Particolare (intuizione) "estetico" Dell'Universale (vero) "logica" Attività Pratica Volizione del particolare (utile) "economia" Universale "etica" Secondo Croce le categorie fondamentali dello spirito sono quattro: due appartenenti all'attività teoretica e due invece all'attività pratica. La storia è attività teoretica e pratica. Il movimento dello spirito quindi è storia ed è circolare. Fra le due categorie appartenenti all'attività teoretica, la prima, ossia l'estetica, denota la forma dello Spirito rivolta alla visione. L'opera d'arte è libera, è manifestazione dello spirito umano. Tutti siamo poeti, tutti possiamo creare, però non tutti siamo artisti, in quanto l'artista è colui che riesce ad avere un'intuizione "lirica" che riesce ad esprimere i sentimenti dell'artista, trasfigurandoli e purificandoli da ogni contenuto passionale. Ciò non vuol dire che,non rappresenta la realtà con tutti i suoi aspetti contrastanti, ma che riesce a ricomporli in una forma più armoniosa. Quindi l'opera d'arte è un tutt'uno tra intuizione ed espressione; è sintesi a priori. La logica, denota invece la forma riflessiva, razionale e dà luogo alla filosofia. Per Croce la filosofia però ci insegna dei concetti che in effetti sono dei "pseudoconcetti". Il vero concetto è l'universale cioè lo spirito e quindi l'arte. L'economia dà luogo alla ricerca "dell'utile". Nell'utile ci rientra lo Stato in quanto questo nasce solo per utilità (come sosteneva Machiavelli) e non per etica (come invece affermava Hegel). I vari movimenti fino al bene appartengono alla storia. Per "storicismo" si intende una interpretazione della filosofia che voglia cogliere i valori. Quello di Croce possiamo chiamarlo storicismo assoluto; infatti per lui tutto il movimento dello spirito è "storia". Tutta la storia è contemporanea in quanto viene studiata sempre secondo la mentalità contemporanea. La storia non fa mai morale, non è mai giustiziera, ma tutto comprende. Davanti al tribunale della storia tutto è giustificato. Quando studiamo avvenimenti della storia non possiamo fare giudizi; nella storia non si possono mai mettere "se". "Ritengo che liberale sia la stessa vita umana", egli ritiene che ci deve essere sempre rispetto delle libertà umane infatti è proprio della natura umana rispettare gli altri e le proprie libertà. Poincaré Henri Marcuse Herbert Bergson Henri Croce Benedetto Husserl Edmund Heidegger Martin Popper Karl Indice Generale Husserl Edmund Edmund Husserl nasce in Moravia e precisamente a Friburgo nel 1859 (morirà nel 1938). I suoi interessi iniziali sono matematici, comincia i suoi studi con Frege, uno dei più grandi matematici del '900. Nel 1891 pubblicò anche un compendio matematico: "Filosofia dell'aritmetica". Dallo studio dell'analisi matematica Husserl elabora la sua analisi della realtà che chiama Fenomenologia. Mentre per Hegel il termine fenomenologia aveva significato tracciare il cammino della coscienza, per Husserl e Brentano significherà proprio lo studio della coscienza. Quindi punto chiave della filosofia di Husserl sarà la coscienza. Per lo spiritualismo la coscienza era una sostanza, un ente ma Husserl si vorrà differenziare anche in questo prendendo le distanze da Cartesio. Husserl dice che la coscienza non è un essenza, un ente, ma è attività (erlebniz = fluire incessante; un continuo avere coscienza). La coscienza però è pure intenzionalità (dal termine della scolastica "intentio" che significa dirigersi verso; avere coscienza di). Noi parliamo di coscienza solo perché abbiamo coscienza di qualche cosa. Ma di che cosa? Husserl dice che la coscienza è sempre coscienza di noesis e noema [noesis = soggetto che conosce (il sogg. ricorda); noema = oggetto conosciuto (noema è il ricordato)]. Da ciò deriva che la coscienza è sempre una coscienza soggettiva (protagonista sarà sempre il soggetto). Per Husserl la filosofia è: - TEORETICA - EDETICA - NON OGGETTIVA Teoretica in quanto è una filosofia di riflessione, di contemplazione perché riguarda sempre il soggetto conoscente. Edetica poiché la filosofia si occupa delle essenze. La filosofia non ha un rapporto con la realtà come essa è, ma come alla coscienza appare. Ogni coscienza ha una percezione Analogica = non è la realtà vera e propria che vede (quella oggettiva), ma è la propria realtà (quella soggettiva). In questo modo la coscienza si organizza le cosi dette Analogie regionali = delimitare la conoscenza a ciò che ci pare, noi ci facciamo degli schemi (appare qui una ripresa di Liebniz). Husserl, nei rapporti con le altre persone, dice che si può avere solo Empatia cioè delle corrispondenze: noi giudichiamo l'altro con la nostra coscienza, attraverso ciò che corrisponde in noi, cioè attraverso ciò che io nell'altro voglio vedere. Non oggettiva, in quanto la filosofia sarà sempre più soggettiva. Per questo lui scrive "Le crisi delle coscienze europee" in cui lui vuole vedere la crisi delle scienze. Husserl prende le masse da Spengler con il suo libro "Il tramonto dell'occidente" e da Nietzsche che già aveva parlato di crisi delle coscienze e delle certezze. Il '900, in effetti, presenta una crisi un po' generale, si ci ritrova in un mondo in decadenza, di tenebre, dove i valori tradizionali perdono tutta la loro importanza. "Il sonno della ragione genera mostri" aveva detto Gramsci. E' quindi il periodo della crisi della coscienza della scienza. Per Husserl questa crisi è dovuta al fatto che si è dato troppo valore alla Natura. Le varie scienze non hanno avuto altro oggetto che la natura. Ma l'oggetto della ricerca di ognuno di noi deve essere la coscienza. Non esiste una realtà oggettiva per tutti, ma la natura è solo ciò che noi vogliamo vedere in essa. Quindi la scienza si deve occupare solo della coscienza perché tutta la realtà è in essa. Il suo riferimento è quindi l'ascultazione interiore. Quello che lui sta smantellando è la rappresentazione reale. Potremmo parlare quindi pure di soggettivismo Husserliano. La filosofia di Husserl si presenta come Apofantica: la coscienza è solo la manifestazione dell'essere. Solo la coscienza può rivelare l'essere: essere è solo ciò che è per la coscienza: ognuno quindi ha una sua interpretazione della realtà. Riguardo al momento della maturità, Husserl riprenderà il termine Epochè, ma mentre inizialmente questo termine indicava una totale sospensione dei giudizi, lui lo interpreterà come il mettere tra parentesi: per Husserl quindi il mondo della natura sarà tra parentesi (cioè sarà messo in secondo piano, come qualcosa di meno importante). Husserl fa riferimento anche a Kant; per Kant il soggetto conosceva a priori e la conoscenza era sintesi a priori. Husserl invece per la sua concezione di conoscenza userà il termine trascendentale. Per lui base e condizione per fare conoscenza non è basarsi sulla realtà. Infatti la sua filosofia non si basa sulla realtà oggettiva ma sulla realtà soggettiva di ogni singola coscienza: siamo noi a dare le leggi alla realtà. L'esistenzialismo prenderà spunto da Husserl ma vedrà la coscienza soprattutto come angoscia. Husserl non farà parte di nessun gruppo, la sua filosofia rimarrà isolata, chiusa. Edet Starlen, israelita, una sua alunna, dallo studio della coscienza arriverà a San Tommaso e quindi alla religione cattolica, diventando pure suora carmelitana. Lo stesso faranno altri suoi alunni: faranno un salto arrivando alla religione cattolica. Ad Husserl però non interessa la religione. La coscienza è solo il nostro essere presente nella realtà. Quindi Husserl ha dato della coscienza un'interpretazione personale. Poincaré Henri Marcuse Herbert Bergson Henri Croce Benedetto Husserl Edmund Heidegger Martin Popper Karl Indice Generale Martin Heidegger Martin Heidegger (1889-1976) è il massimo rappresentante dell'esistenzialismo europeo. Professore universitario ha legato la sua vita al nazismo. Un giorno, mentre scartabellava nella biblioteca dell'università, trova delle opere interessantissime di Kierkegaard. E' infatti a Heidegger che si deve la riscoperta di Kierkegaard e del suo pensiero filosofico. Per Heidegger questa scoperta fu fondamentale perché secondo lui, Kierkegaard è riuscito a capire l'uomo nella sua categoria fondamentale: la possibilità; infatti la vita dell'uomo è caratterizzata dall'angoscia (sentirsi abbandonati nel mondo). Questo aspetto sarà la caratteristica fondamentale dell'esistenzialismo. Questa corrente si basa sull'analisi dell'esistenza umana. Quindi l'esistenzialismo è quella corrente che ha come oggetto l'esistenza, sullo studio di questa, incidono il pensiero di Husserl, Kierkegaard, Nietzsche (per l'interpretazione della vita come irrazionalità), +Pascal (che parla dell'uomo visto come canna al vento), ma anche scrittori come Dostoieski e Kafka. I caratteri principali dell'estetismo sono: interpretare l'esistenza umana come "abbandonata nel mondo" e vedere la ragione ùnell'interpretazione "apofantica" di Husserl. Questo movimento si sviluppa nel periodo compreso tra le due guerre; in Italia come rappresentanti avremo Abbagnano ed Enzo Paci. Le opere fondamentali per Heidegger sono "Essere e tempo" e "Cos'è la metafisica". Prima fase del suo pensiero Egli affermava che l'"Essere" per ciascuno di noi è sempre un "Esserci" = Dasein (non esistere il mio essere ma un essere nel mondo). Noi possiamo essere in due modi nel mondo: Con angoscia "vita autentica" essere abbandonati nel mondo, non avere alcuna certezza, vita abbandonata nell'indeterminato. Con cura "vita inautentica" ci prendiamo "cura" di qualsiasi cura per non pensare all'angoscia; ci creiamo tanti pensieri. Però questa è una vita inautentica perché non ci riporta al nostro vero essere. Caratteristica di questa vita inautentica è la "chiacchiereta" = vuoto (parlare a vuoto, parlare di niente, di cose vuote). La vita autentica invece ci dovrebbe fare capire la nostra vera condizione, che è quella di esseri abbandonati nel mondo. L'angoscia è modalità di presenza nel nulla, comporta il delineare la nostra esistenza che è "vivereper la morte": la morte è l'unica nostra vera certezza; "Noi camminiamo, ma dove conducono i nostri passi? Da nessuna parte, solo verso la morte". Se ci divertiamo, se lavoriamo, se facciamo qualsiasi cosa, allora stiamo conducendo una vita non autentica perché ci discosta dal nostra +vero essere che è la morte. Però, si può passare tutta la vita pensando solo alla morte, senza far nulla per non condurre una vita inautentica? E' impossibile vivere così e ognuno quindi si dà da fare. Allora Heidegger afferma: "La morte è lo scacco del nostro esistere". Se io tutta la vita conduco un'esistenza inautentica, qual è allora il mio momento autentico? Solo la Morte. Ma io non ci sono più nel momento della morte, ma in effetti è il momento della morte, ma in effetti è il momento in cui io ci sono veramente. "Quindi io sono nel momento in cui non sono" che cosa sono allora io? Nella mia solitudine esistenziale il vero essere è la morte. Seconda fase del suo pensiero. Ma per scoprire l'essere di ognuno di noi, in questa seconda fase, lui delinea una via alternativa. Durante questo periodo Heidegger scopre Holderlin e la poesia (linguaggio dell'essere e l'uomo è il custode della casa dell'essere. Quindi la poesia è l'espressione del nostro essere. (Ogni manifestazione dell'uomo è poesia). L'uomo con la poesia esprime la sua esistenza. Ognuno di noi si deve sentire custode di se stesso, della sua poesia. L'uomo deve cercare di valorizzare la sua propria vita : il valore della sua vita è fare poesia (linguaggio come poesia). Il nostro valore è la ricerca dell'essere come linguaggio poetico. "La poesia è il linguaggio dell'essere l'uomo è il custode della casa dell'essere". Tutti noi possiamo fare poesia perché è espressione del nostro essere. L'uomo deve cercare di valorizzare la propria vita. Il valore dell'uomo è il linguaggio ed egli se ne deve fare custode. La tecnica via via uccide l'uomo che diviene oggetto della tecnica. Il tempo per Heidegger è l'orizzonte dell'essere (è una linea non definitiva). Nei momenti conclusivi del suo pensiero fece degli attacchi a ciò che succedeva intorno a lui. Fu sconvolto dalla scienza e dalla tecnica (in questo periodo si crea la bomba atomica). Lui fa delle riflessioni sui prodotti che si stavano realizzando in senso critico: ha paura del valore che sta assumendo la tecnica la quale si è ormai inserita in tutti i campi della vita. La tecnica per Heidegger uccide l'uomo perché sposta lo sguardo dal problema esistenziale dell'uomo alla scienza. Poincaré Henri Marcuse Herbert Bergson Henri Croce Benedetto Husserl Edmund Heidegger Martin Popper Karl Indice Generale Popper Karl Nasce a Vienna nel 1902 da una famiglia ebraica e muore nel 1994. Si avvicinò ben presto al Circolo di Vienna ma non vi partecipò mai. In seguito alle leggi razziali si trasferì prima a Cambridge, poi ad Oxford e in Nuova Zelanda tenendo conferenze sul suo razionalismo critico. Popper rappresentò il punto di riferimento della riflessione scientifica e filosofica di tutto il '900. Fu un grande musicista. Le sue opere filosofiche più importanti sono: "La logica della ricerca", "Congetture e confutazioni", "Città aperta". Egli afferma che è finito il tempo dell'empirismo classico che si basava sulla raccolta dei dati dall'esperienza, ma per Popper non ha importanza il metodo induttivo. La conoscenza si basa sulle intuizioni: anche Einstein si basa sull'intuizione soggettiva, su ipotesi. Il metodo induttivo non ha a che fare con la scienza, con Einstein ha inizio la rivoluzione scientifica; il nucleo è stato l'argomento cosmologico. Tutta la conoscenza scientifica ha questo nucleo: quale deve essere la linea di demarcazione tra la scienza e ciò che non lo è? Spesso la conoscenza scientifica arriva fino ad un certo punto dove si ferma e lascia che ognuno dia la sua risposta. Quindi lascia il campo alla metafisica e all'etica. Per Popper la linea di demarcazione è costituita dal principio di fallibilità. Al contrario del principio della certezza noi dobbiamo dire che qualcosa è scienza solo se è fallibile. Nella scienza noi procediamo sempre per congetture e confutazioni. Le congetture sono proposizioni, ipotesi non spiegate. Le confutazioni sono risposte critiche alle congetture. "Più nelle ipotesi che io vado avanzando trovo critiche, più vado avanti". Il nostro procedere scientifico è basato su: 1) Il problema 2) Ipotesi di risoluzione del problema 3) Orizzonte prospettico (si aprono nuove prospettive) La scienza quindi non può dare la risoluzione finale, ma permette di andare avanti infatti: "Nella scienza si procede senza certezze". Cosa significa essere fallibile? Essere come Socrate: "Io so di non sapere" (dotta ignoranza). In questo senso ogni scienziato deve essere come dice Socrate: deve essere sempre in prospettiva di superare se stesso. La nostra società deve essere una società aperta (riprende Berson). Popper va contro tutte le politiche dette solistiche (Marxismo, Stalinismo,.) cioè organiche, non consone ala natura umana, che ha bisogno di libertà e di democrazia. La società aperta "Noi abbiamo tre mondi: il primo è il mondo degli enti fisici (la natura, il mondo, l'universo); il secondo è il mondo dello spirito, delle coscienze; il terzo mondo, è quello dell'arte e della produzione dell'uomo, è il mondo di tutto ciò che fa l'uomo. I primi due mondi non sono atti per noi e quindi noi non li possiamo padroneggiare. Solo il terzo mondo è tutto nostro, perché solo questo riguarda la produzione dell'uomo." (Vico dice che la storia è l'unica scienza, una scienza tutta nuova perché l'abbiamo fatta tutta noi). L'ultima sua parola fu: "Noi possiamo definire solo quello che esce dalle nostre mani, ma la nostra coscienza ci presenta l'orizzonte prospettico che si va spostando sempre di più". l lavoro per le tesine dell'esame di maturità. Grazie al materiale inviato da molti lettori, il sito è in costante crescita. I riassunti sono stati suddivisi in capitoli che possono essere raggiunti o tramite link rapidi; oppure cliccando sui pulsanti storia e filosofia per avere maggiori dettagli. Alla sinistra troverete le nuove sezioni riguardanti tutte le principali civiltà del passato e svariati approfondimenti. Riassunti di storia Capitolo 1: Giolitti, Crispi e Depretis Capitolo 2: Prima guerra mondiale Capitolo 3: La pace e i problemi del dopoguerra Capitolo 4: Mussolini: fascismo ed antifascismo giochi programmi Scommesse Scuola ViboOnLine Capitolo 5: Hitler: Avvento del Nazismo e scoppio della guerra Capitolo 6: Seconda guerra mondiale Capitolo 7: Dopoguerra e miracolo economico Nuova sezione di storia + romani + Papa Giovanni Paolo II Filosofico.net - Portale filosofia Riassunti di filosofia Capitolo 1: Kant, Fichte, Schelling, Hegel, Schopenhauer, Feuerbach, Marx Capitolo 2: Sociologia, Antropologia, Nietzsche, Einstein, Freud Capitolo 3: Poincaré, Marcuse, Bergson, Croce, Husserl, Heidegger, Popper Filosofi Aristotele Agostino Bruno Cartesio Epicuro Hegel Heidegger Kant Marx - Engel Nietzsche Platone Spinoza Olio su tela 125 x 191 cm. Presentato da Olaf Schou. Il tema di Munch qui è la danza dell' amore di una donna attraverso la vita. Un fiore cresce accanto alla giovane donna in bianco: con le guance rosse, giovane e bellissima cammina verso l' osservatore. La donna in nero, sulla destra, sta in piedi immobile come una statua con le mani giunte di fronte a lei e con un espressione avvizzita e terribile sulla faccia. Al centro del quadro danza la coppia innamorata, assorbita l' uno nell' altra. Il vestito rosso della donna avvolge lui, e i loro corpi si combinano in una forma ondulata. Altre coppie sono dipinte mentre danzano estatiche. Al confine tra rappresentazione naturalistica e simbolismo, quest' opera è tipica del suo tempo. L' ambiguità dei temi dà credito ad associazioni entrambi con la moderna vita libera che con i riti primitivi delle stagioni. Ma in questo dipinto Munch sta trattando prima di tutto un soggetto ricorrente nella sua arte - i tre stadi della vita di una donna: giovinezza e innocenza, amore e passione e, finalmente, l' inesorabile insorgere della vecchiaia. Dal punto di vista stilistico, colori e forme sono stati più semplificati qui che in Ceneri. Questa evoluzione è spesso considerata in relazione al lavoro di Munch su litografie e incisioni nella seconda metà degli anni '90 dell' ottocento. esistenzialismo s.m. Dottrina filosofica secondo la quale l'esistenza precede e crea continuamente l'essenza. L'e. si è in genere affermato come una reazione filosofica mirante a valorizzare l'uomo contro le astrazioni delle filosofie idealistiche. L'e. si presenta come una volontà di riflessione concreta sull'uomo e sulla sua condizione; e, dato che ogni individuo possiede una sua personale sensibilità che gli fornisce una particolare «intuizione del mondo», l'e. si è sviluppato secondo direttrici diverse, fondate ciascuna su un diverso modo di sentire la realtà: e. ateo con Heidegger e Sartre, esistenzialismo religioso con Kierkegaard, Jaspers, Gabriel Marcel, e. «positivo» con Merleau-Ponty e, in Italia, con Nicola Abbagnano. essènza s.f. FILOS. Natura propria e necessaria di un essere, che fa sì che esso sia quello che è, distinguendolo da tutti gli altri. Ciò che costituisce la natura intima, i caratteri costitutivi di una cosa. esistenza, della quale non una definizione ma una breve argomentazione che ho trovato molto esauriente Se cerchiamo un'essenza che sia comune a tutte le cose, troviamo che la caratteristica presente in ognuna di esse è il fatto di essere o esistere. Perciò, possiamo definire l'esistenza come l'essenza più generale comune a tutte le cose che sono in un qualsiasi modo e che le distingue da ciò che non è in alcun modo . Di fronte all'esistenza , qualunque altra caratteristica è meno generale e determina il modo in cui si manifesta l'esistenza in un certo tipo di cose o in una cosa specifica. Ad es. il gatto del mio vicino ha una esistenza che noi diciamo fisica , mentre l'immagine di un centauro ,che creo con la mia mente, ha una esistenza immaginaria. Perciò ,quando diciamo che una cosa esiste, è preferibile specificare come esiste e ,quando diciamo che qualcosa non esiste, occorre specificare se riteniamo che non esista in assoluto o solo riguardo ad una determinata modalità di esistenza (ad es. fisicamente). Da un punto di vista linguistico, il verbo esistere equivale al verbo essere, quando quest'ultimo viene utilizzato senza una parte nominale ( ad es. "Io sono colui che è" = "Io sono colui che esiste") Alienazione.Termine che indica il processo di estraniazione del soggetto o della coscienza da sè stessi. In senso generale il termine indica la situazione di disagio dell' uomo all' interno della società industriale. DOTTRINA EPICUREA E' di Epicuro la celebre sentenza: Vana è la parola del filosofo se non allevia qualche sofferenza umana. Se la filosofia ha diritto di cittadinanza nel mondo degli uomini, ciò è dovuto alla sua capacità di placare le sofferenze che la vita comporta. Il valore della filosofia è dunque strumentale: il suo fine principale è di raggiungere la felicità. Epicuro ritiene infatti che la verità possa facilmente essere scoperta e compresa dall'uomo e che quindi la filosofia, come attività che ci permette di conoscere razionalmente la verità, sia alla portata di tutti ed abbia un carattere liberatorio. E' naturale quindi, come corollario, che la filosofia sia per tutti - uomini e donne - e per tutte le età. Coerentemente con questa tesi, le comunità epicuree erano aperte a tutti, senza distinzione di sesso o di condizione sociale. "Se siamo felici abbiamo tutto ciò che ci occorre", e la felicità è ottenibile da parte di tutti ed è per tutti. Per possederla però il giovane deve liberarsi dalle paure "per affrontare con coraggio l'avvenire", mentre il vecchio deve saper conservare i bei ricordi per rimanere giovane nello spirito. La filosofia si presenta sotto una duplice veste: da una parte insegna, attraverso la conoscenza della natura delle cose, a liberare la mente dalle inquietudini; dall'altra insegna a godere dei piaceri della vita. E' quello che Epicuro esprime nella sua dottrina del quadrifarmaco: la filosofia 1) libera l'uomo dalla paura degli dèi; 2) libera l'uomo dalla paura della morte; 3) dimostra la brevità e provvisorietà del dolore; 4) dimostra la facile raggiungibilità della felicità, che consiste nel piacere. Vediamo uno per uno i singoli punti. 1) Per quanto riguarda il timore verso gli dèi, Epicuro sostiene che gli dèi di certo esistono, hanno forma simile all'umana ma più perfetta, ed abitano gli spazi vuoti tra i mondi (intermundia) che sono infiniti, ed in essi ogni cosa è composta di atomi e vuoto. L'uomo non deve avere paura degli dèi perché essi non si preoccupano né del mondo né tantomeno dell'uomo. Ogni preoccupazione sarebbe infatti contraria alla loro beatitudine giacché sarebbe una sorta di obbligo nei nostri confronti, mentre invece essi sono senza obblighi e beati. D'altra parte, nel mondo vi è il male e ciò indica che gli dèi non intervengono. Infatti -dice Epicuro - "la divinità o vuol togliere i mali o non può, oppure può e non vuole o anche non vuole né può o infine vuole e può. se vuole e non può, è impotente; se può e non vuole, è invidiosa; se non vuole e non può, è invidiosa e impotente; se vuole e può, donde viene l'esistenza dei mali e perché non li toglie?". Perciò il saggio, liberato dalle superstizioni, può vivere con pienezza la sua vita terrena e attingere in questo modo la felicità. 2) La morte non deve essere temuta perché... non è nulla. "Quando ci siamo noi, la morte non c'è, e quando c'è la morte, non ci siamo noi", dice Epicuro. Inoltre, visto che la morte consiste nella separazione dell'anima dal corpo e visto che per Epicuro anche l'anima è materiale essendo composta da atomi, nel momento della morte, quando gli atomi si separano, ogni sensazione cessa, e noi non 'sentiamo' più nulla, né dolore né piacere. La morte è quindi semplice assenza di sensazioni, ed è dunque sciocco averne paura. 3) Per dimostrare la brevità del dolore, Epicuro afferma quanto segue: se il male è lieve, il dolore fisico è sopportabile, e non è mai tale da offuscare la gioia dell'animo; se è acuto, passa presto; se è acutissimo, conduce presto alla morte, la quale non è che assoluta insensibilità. E i mali dell'anima? Essi sono prodotti dalle opinioni fallaci e dagli errori della mente, contro i quali c'è la filosofia e la saggezza. La felicità è facilmente raggiungibile e consiste nel piacere. Ma che cosa intende Epicuro per piacere? Per rispondere dobbiamo anzitutto dire che si assiste qui ad un clamoroso rovesciamento di valori e di fini: a differenza di Platonismo, Aristotelismo e anche Stoicismo, il piacere viene considerato da Epicuro come il principio e il fine della vita felice. Di più: il piacere è il bene primo, connaturato con noi stessi. L'uomo quindi è felice secondo natura, a meno che non gli manchi qualcosa. Infatti il piacere è la felice sensazione di pienezza che l'uomo prova naturalmente se non lo limitano dei piaceri insoddisfatti. Tutto ciò che dobbiamo fare è mantenerci nel piacere, eliminando le cause che disperdono la pienezza del nostro essere. L'infelicità degli uomini deriva dal fatto che essi temono le cose che non devono essere temute e desiderano le cose che non è necessario desiderare e che sfuggono loro. Sono dunque privati dell'unico piacere autentico, che è il piacere di essere. Anziché rappresentarci i mali in anticipo per prepararci a subirli, dobbiamo, al contrario, staccare la nostra mente dalla visione delle cose dolorose e fissare lo sguardo sui piaceri. Occorre far rivivere il ricordo dei piaceri passati e godere dei piaceri del presente, riconoscendo quanto siano grandi e piacevoli tali piaceri del presente. Non tanto quindi vigilanza, quanto scelta deliberata, sempre rinnovata, della distensione e della serenità, ed una gratitudine profonda verso la natura e la vita che ci offrono incessantemente, se sappiamo trovarli, il piacere e la gioia ("Sia reso grazie alla beata natura che fece le cose necessarie facilmente procacciabili, quelle difficilmente procacciabili non necessarie"). Vivere nel momento presente è, ancora una volta, un invito alla distensione e alla serenità: la preoccupazione rivolta al futuro, che ci lacera, ci nasconde il valore incomparabile del semplice fatto di esistere. Inoltre, per gli Epicurei, proprio il piacere è una sorta di "esercizio spirituale": piacere intellettuale della contemplazione della natura, pensiero del piacere passato e presente, piacere infine dell'amicizia. Nell'esaltare l'amicizia, Epicuro assume a volte dei toni di pura poesia. Vi è per lui nella amicizia (philia) una serenità più profonda, superiore anche a quella dell'amore (eros), perché più facilmente si può conservare libera da sentimenti che procurano dolore come la gelosia o il dolore del distacco o la paura di non essere riamati. L'atteggiamento di Epicuro verso gli altri uomini è riassumibile nella sua massima: "E' non solo più bello ma anche più piacevole fare il bene anziché riceverlo". In questa massima, il piacere assurge a fondamento e a giustificazione della solidarietà fra tutti gli uomini. E infatti Diogene Laerzio ci testimonia l'affetto di Epicuro per i genitori, la sua fedeltà agli amici, il suo senso di solidarietà umana. Noi compiamo tutte le nostre azioni - dice Epicuro - al fine di non soffrire e di non avere l'animo turbato. Se ci troviamo già in questa condizione, non desideriamo nulla, perché nulla ci manca. E' questo l'obiettivo da raggiungere, è in questo che consiste la felicità o il piacere, e cioè appunto nella aponia (assenza di dolore fisico) e nella atarassia (assenza di dolore spirituale). E' qui il "segreto" della felicità degli dèi ed è questo il motivo per cui noi dobbiamo imitarli, anche se essi non si curano di noi. In altre parole, la felicità consiste nel piacere stabile, che è assenza di dolore, e non nel piacere in movimento, che sono i momenti di gioia, di allegria, e simili. Se è così, la pienezza del piacere si attinge nella caduta del desiderio. Non per nulla, per Epicuro, solo i desideri naturali e necessari vanno appagabili (quelli legati alla salute, alla vita, al piacere), mentre gli altri vanno limitati o abbandonati. Da questo punto di vista, è più felice un vecchio che un giovane. Dice infatti Epicuro: "Non il giovane è felice, ma il vecchio che ha vissuto una vita bella; poiché il giovane nel fiore dell'età è mutevole ludibrio della sorte; il vecchio invece giunse a vecchiezza come a tranquillo porto e di tutti i beni che prima aveva con dubbio sperato ora ha sicuro possesso nella tranquilla gioia del ricordo". Il piacere - in quanto sensazione interiore - deve essere posto come norma delle nostre affezioni. Il principio è il seguente: ogni piacere è di per sé un bene, ma non è detto che le sue conseguenze nel tempo siano vantaggiose per noi. Viceversa, ogni dolore è un male, ma non è detto che da un male non possa derivare un bene per noi. Quindi il piacere diventa la norma su cui giudicare le nostre azioni perché ci suggerisce cosa scegliere, spingendoci verso ciò che nel tempo ci è più favorevole. Solamente un accorto calcolo dei piaceri può far sì che l'uomo basti a se stesso e non diventi schiavo né dei desideri né delle preoccupazioni, rinunciando ai piaceri da cui deriva un dolore maggiore e sopportare i dolori da cui potrà derivare un piacere maggiore. Insomma, per Epicuro il piacere è il bene completo e perfetto quando sia inteso come non aver dolore nel corpo né turbamento nell'animo. Per questo egli fa un elogio della phronesis (=saggezza, prudenza), considerata il fondamento di tutte le virtù. Essa ci abitua a contenere i desideri, a valutare con cura le conseguenze delle nostre scelte, prevedendo un ampio margine di sicurezza, per evitare che da un bene abbia a derivarne un male. Dice infatti Epicuro: "Per ognuno dei desideri va posta questa domanda: che cosa mi accadrà se si realizza il mio desiderio, e che cosa, se non si realizza?". In conclusione, la vita sarà felice se saprà essere vissuta con saggezza, semplicità e giustizia. "Non ci può essere vita felice se non è anche saggia, bella e giusta; e non vi è vita saggia, bella e giusta che non sia anche felice. Le virtù sono infatti connaturate ad una vita felice, è questa è inseparabile dalle virtù". Agli uomini del suo tempo, Epicuro ricordava che il vero bene è sempre e soltanto in noi. Il vero bene è la vita, e a mantenere la vita basta pochissimo, e quel poco è a disposizione di tutti, di ogni singolo uomo. L'espressionismo si sviluppò in Germania all'inizio del XX secolo, dapprima nel campo della pittura, poi negli altri settori artistici quali letteratura, teatro, cinema, musica. Nacque dal contrasto fra il metodico, tranquillo e burocratico mondo borghese del XIX secolo e le esigenze individuali dell'artista, insofferente di una realtà ordinata e monotona, sentita quasi come qualcosa di disumano. Fu quindi un movimento fortemente antiborghese e polemico contro le strutture della società e sentì in particolare il bisogno di esprimere (da cui il nome) la parte più segreta che è nell'uomo e quindi le sue inquietudini. Contro l'oggettività dell'arte tradizionale che cercava di presentare fatti e figure come si mostravano agli occhi nelle loro ordinate apparenze, l'espressionismo propose visioni assolutamente soggettive, trasformando la realtà in un pretesto per rivelare particolari stati d'animo. Nacque perciò una concezione di arte come "Urschrei" ("grido originario") come espressione di un grido dell'anima in preda all'angoscia di fronte a un mondo insopportabile. Il movimento pittorico si sviluppò in particolar modo attorno alla formazione compatta de "Die Brücke" che sorse a Dresda nel 1905 e che si trasferì nel 1911 a Berlino dove due anni dopo si sarebbe sciolto. Si tratta di una vera e propria comunità di artisti tra cui Karl Ludwig Kirchner e Emil Nolde che aderirono ad un programma scritto comune. L' ESTETISMO L' estetismo ha origine in Francia, verso il 1835 con Téophile Gautier e influenza nomi illustri come Oscar Wilde, D'annunzio e Huysmans: è una delle principali tematiche della cultura decadente. La figura dell' esteta nasce dal rifiuto della visione utilitaristica del mondo tipica della borghesia del tempo, nonchè della sua stessa morale, che viene vista sotto occhio critico e abbandonata per essere sostituita dalla volontà, assolutamente amorale, dell' individuo. L' artista, che si è liberato da qualunque imperativo etico, si pone quindi l' obbiettivo di ricercare e conseguire il bello, il sublime, in qualunque modo egli voglia e possa esprimersi a cominciare dalla sua stessa vita; se impegnato in questa missione edonistica si trova a dover agire immoralmente, lo fa senza curarsene perchè, si è detto, egli trascende i concetti di bene e di male. Il piacere diviene il fine ultimo, la giovinezza, la potenza, la nobiltà vengono riscoperte come valori assoluti, da ammirare nel loro aspetto transeunte ma intensissimo: sembrerebbe che l'estetismo sia la scelta di un uomo sicuro e già forte di per sè. Prima di vedere che non è esattamente così, lascio descrivere questa filosofia di vita da chi, esteta, scrive meglio di me di estetismo. Quello che segue è un passo del secondo capitolo di The Picture Of Dorian Gray e descrive gli imperativi dell' esteta, nonchè la concezione di fondo da cui scaturisce tale figura. "Let us go and sit in the shade," said Lord Henry. "Parker has brought out the drinks, and if you stay any longer in this glare, you will be quite spoiled, and Basil will never paint you again. You really must not allow yourself to become sunburnt. It would be unbecoming." "What can it matter?" cried Dorian Gray, laughing, as he sat down on the seat at the end of the garden. "It should matter everything to you, Mr. Gray." "Why?" "Because you have the most marvellous youth, and youth is the one thing worth having." "I don't feel that, Lord Henry." "No, you don't feel it now. Some day, when you are old and wrinkled and ugly, when thought has seared your forehead with its lines, and passion branded your lips with its hideous fires, you will feel it, you will feel it terribly. Now, wherever you go, you charm the world. Will it always be so? . . . You have a wonderfully beautiful face, Mr. Gray. Don't frown. You have. And beauty is a form of genius--is higher, indeed, than genius, as it needs no explanation. It is of the great facts of the world, like sunlight, or spring-time, or the reflection in dark waters of that silver shell we call the moon. It cannot be questioned. It has its divine right of sovereignty. It makes princes of those who have it. You smile? Ah! when you have lost it you won't smile. . . . People say sometimes that beauty is only superficial. That may be so, but at least it is not so superficial as thought is. To me, beauty is the wonder of wonders. It is only shallow people who do not judge by appearances. The true mystery of the world is the visible, not the invisible. . . . Yes, Mr. Gray, the gods have been good to you. But what the gods give they quickly take away. You have only a few years in which to live really, perfectly, and fully. When your youth goes, your beauty will go with it, and then you will suddenly discover that there are no triumphs left for you, or have to content yourself with those mean triumphs that the memory of your past will make more bitter than defeats. Every month as it wanes brings you nearer to something dreadful. Time is jealous of you, and wars against your lilies and your roses. You will become sallow, and hollow-cheeked, and dull-eyed. You will suffer horribly.... Ah! realize your youth while you have it. Don't squander the gold of your days, listening to the tedious, trying to improve the hopeless failure, or giving away your life to the ignorant, the common, and the vulgar. These are the sickly aims, the false ideals, of our age. Live! Live the wonderful life that is in you! Let nothing be lost upon you. Be always searching for new sensations. Be afraid of nothing. . . . A new Hedonism--that is what our century wants. You might be its visible symbol. With your personality there is nothing you could not do. The world belongs to you for a season. . . . The moment I met you I saw that you were quite unconscious of what you really are, of what you really might be. There was so much in you that charmed me that I felt I must tell you something about yourself. I thought how tragic it would be if you were wasted. For there is such a little time that your youth will last--such a little time. The common hill-flowers wither, but they blossom again. The laburnum will be as yellow next June as it is now. In a month there will be purple stars on the clematis, and year after year the green night of its leaves will hold its purple stars. But we never get back our youth. The pulse of joy that beats in us at twenty becomes sluggish. Our limbs fail, our senses rot. We degenerate into hideous puppets, haunted by the memory of the passions of which we were too much afraid, and the exquisite temptations that we had not the courage to yield to. Youth! Youth! There is absolutely nothing in the world but youth!" Insomma, la consapevolezza di un' esistenza fuggevole e di una vecchiaia sterile, l' esaltazione della giovinezza e del piacere, unico valore reale che si sublima nelle arti. L' esteta vive cogliendo l' attimo irripetibile, in cerca di sensazioni nuove e talvolta deleterie, modello di vita che, se osservato con attenzione, riflette l' ansia e il desiderio di una vita diversa. L' estetismo sarà, come vedremo, considerato e superato anche da D' Annunzio. Questa corrente si sviluppa nel periodo del Decadentismo -D'annunzio Eterno ritorno se un giorno o una notte un demone strisciasse dentro la tua più solitaria solitudine e ti dicesse: "questa vita, questo che adesso tu vivi ed hai vissuto, dovrai viverla ancora una volta e un numero infinito di volte; e non vi sarà niente di nuovo, ma tutto ritornerà, ogni dolore e ogni piacere, ogni pensiero ed ogni sospiro, ogni cosa piccola o grande, e tutto nello stesso ordine... anche questo ragno, e questo chiaro di luna tra gli alberi, ed anche questo momento, ed io stesso" [.] Non ti getteresti per terra digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? [.] Se quel pensiero si impadronisse di te, farebbe di te un altro da quello che sei. Di fronte a tutte le cose ti porresti la domanda: "Vuoi questo di nuovo e per innumerabili volte? ", e questa domanda graverebbe come un peso tremendo su ogni tuo atto. Penso che questo aforismo, il 341esimo de La Gaia Scienza chiarisca il significato dell' eterno ritorno dell' eguale. Ed all' annuncio dell' eterno ritorno l' uomo normale si dispera, e lo sente come un peso enorme, più grande di lui, travolto da un ineluttabile destino è invaso dal terrore; il superuomo (e qui si vede se è tale) invece accoglie entusiasticamente questa prospettiva, poichè ha accettato totalmente la vita e ne gioisce come se non avesse mai udito cosa più divina: quindi la reazione all' eterno ritorno segna la demarcazione tra l' uomo e il superuomo. Questa teoria riporta in auge concezioni classiche del tempo come ciclico, contrapposte a quella dominante della Cristianità, che crede il tempo una linea retta a senso unico: ciò per Nietzsche porta a considerare ogni attimo figlio parricida del precedente, secondo un processo che Vattimo ha denominato "struttura edipica del tempo", ovviamente il valore dell' attimo in questione diviene poco rilevante e conseguentemente chi lo vive non può viverlo in piena felicità, sapendo che esso è irripetibile. Ma pensare invece all' attimo come ripetituro e perciò immortale significa innanzitutto considerare il senso dell' essere intrinseco dell' essere stesso, e non ad esso estraniato, attendendo al lato dionisiaco dell' esistenza, vuol dire poi doversi disporre a vivere la vita come coincidenza di essere e di senso, e di chiuderla in un circolo di felicità. L' uomo occidentale che conosciamo, attanagliato da dubbi esistenziali e convinto della scissione fra essere e senso di esso, non è in grado di concepire tale prospettiva; per lui il tempo è una tensione angosciosa verso un compimento sempre al di là da venire: solo il superuomo può godere della vita come gioco creativo e sensato in sè, per questo la teoria dell' eterno ritorno rappresenta il massimo grado dell' accettazione della vita in sè, ovvero la massima espressione del superuomo. Nietzsche sembra dare anche una spiegazione cosmologica del perchè tutto dovrebbe ritornare: essendo la quantità di energia dell' universo finita, mentre è infinito il tempo in cui essa si esprime, le combinazioni di essa dovranno riproporsi prima o poi; le interpretazioni dell' eterno ritorno sono comunque diverse: non si capisce se per Nietzsche "decidere" l' eterno ritorno significhi prendere atto di una struttura cosmica oppure istituirla; oppure questa concezione è una metafora, e l' eterno ritorno vuole essere solo un atteggiamento in cui porsi rispetto alla propria esistenza Foscolo -Nichilismo di Foscolo VS nichilismo attivo di Nietszche -Alla sera -Le illusioni -I Sepolcri ESISTENZIALISMO Innanzitutto è opportuno chiarire l' obbiettivo della tesina, ovvero analizzare il significato del termine "esistenzialismo" e le sfumature che assume in un raggio più ampio possibile di discipline, con particolare attenzione per alcuni suoi aspetti conseguenti. Dunque, dopo aver fornito alcune brevi definizioni, passo ad esporre il problema, perchè di problema si tratta. Nella filosofia classica fino all' idealismo essenza ed esistenza sono distinte fra loro: l' essenza è l' essere universale e necessario quale pensato dall' intelletto; l' esistenza è l' essere particolare e contingente quale si attua concretamente nella realtà ed è oggetto di esperienza. L' essenza rappresenta la possibilità di esistere, l' esistenza è l' attuazione di tale possibilità. L' essenza sembra quindi dia significato all' esistenza, essendo quest' ultima una manifestazione della prima: l' esistenzialismo inverte questo rapporto, affermando che è l' esistenza che dà validità all' essenza perchè l' individuo, soltanto attuandosi nella singolarità irripetibile del suo essere, acquista la propria essenza, che altrimenti rimarrebbe astratta e vuota. L' uomo non deve essere che il risultato delle sue scelte, ovvero deve creare la sua essenza partendo dal proprio modo di vedere il mondo. Ho scritto deve non perchè questo rappresenti un qualsivoglia imperativo morale, bensì perchè, visto che l' essenza crea e precede continuamente l' esistenza (come avete visto nelle definizioni), l' esistenzialismo è il modo corretto di porsi rispetto a sè stessi e alla realtà. Scegliere la propria essenza significa quindi scegliere il proprio modo di vivere secondo la propria sensibilità personale; ovvio che ciò non è comunque semplice, e una volta presa coscienza del problema non se ne perviene immediatamente alla soluzione, perchè esso ne genera altri e altri. Non a caso ho voluto inserire per primo nel menu sovrastante Kirkegaard, che focalizza la diretta conseguenza di questa tesi: l'angoscia. L' angoscia, ovvero un senso di terrore per qualcosa di indefinito, la paura per la nullità dell' esistenza umana... se l' esistenzialista è preda dell' ansia è ovvio che rifiuta idee come quelle della felicità, della serenità stoica, dell' ottimismo; egli vede la vita umana vissuta nella sofferenza, nel peccato e nella colpa. L' esistenza è vista perciò come assurda: venirsi a trovare in uno spazio e in un tempo senza ragione di esservi, vivere nella contingenza. A tal proposito sono significative alcune parole del filosofo e matematico francese Blaise Pascal:"Quando considero la breve durata della mia vita, inghiottita nell'eternità prima e dopo, e il minuscolo spazio che io riempio, e persino che posso vedere, inghiottito nell'infinita immensità dello spazio che ignoro e che mi ignora, io sono spaventato e stupito di essere qui piuttosto che là ed adesso piuttosto che allora." E dunque ci si sente dispersi nel nulla: visto che nessuna essenza può definire l' uomo, egli rifiuta tutte le filosofie, le scienze, le religioni, le teorie politiche che falliscono nel rispecchiare la sua esistenza come essere cosciente; quindi non c' è niente che strutturi il suo mondo, ed egli si sente angosciato sul bordo dell' abisso, cercando nel vuoto del nulla. Il tema del nulla è connesso con quello della morte, che è la negazione totale della coscienza e che emerge continuamente all' attenzione dell' esistenzialista provocando un senso di angoscia, per affrontare il quale Foscolo propone alcune (illusorie) teorie. La morte è una spada di Damocle che pende in ogni istante sulla vita umana, quando si pensa ad essa ci si sente risucchiati nel nulla, e purtuttavia Heidegger afferma "la mia morte è il più autentico, significante momento, la mia personale potenzialità che solo in solitudine devo "soffrire". E se io accetto la morte nella mia vita, ne sperimento la conoscenza e la affronto correttamente, mi libererò dall' ansia della morte e dalla meschinità della vita - e solo allora sarò libero di diventare e stesso"...su questo punto Sartre dissente "Cos' è la morte? La morte è la mia totale inesistenza. La morte è assurda some la nascita - non è il definitivo, autentico momento della mia vita, non è altro che "il passare lo strofinaccio" sulla mia esistenza come essere cosciente. La morte è un' altra testimone dell' assurdità dell' esistenza umana" Nietzsche critica il positivismo e la mentalità scientifica perchè crede che la scienza non costituisca un sapere oggettivo privo di presupposti, poichè anch' essa parte dalla concezione extra-scientifica che la conoscenza abbia un' utilità assoluta e che sia tuttavia disinteressata, pacifica, autosufficiente; parte da desideri umani di comprendere una saggezza divina, e infine dalla presunzione di ordinare il mondo, che è caotico, indeterminabile e pluriforme, in un sistema fatto di astratte matematiche che non lo possono rappresentare. E poi c' è la critica al culto del "fatto", che il positivismo ritiene oggettivo e significativo in sè, quando invece per Nietzsche ha un senso soltanto la sua interpretazione: essa infatti è ciò che permette realmente di conoscere l' oggetto; la scienza tende ad esaminare i meccanismi intrinsechi del reale ma essi non significano nulla per l' uomo, significa invece l' impressione che l' oggetto lascia, l' interpretazione superficiale ed esteriore, il "massimamente apparente". Un mondo inteso meccanicisticamente è privo di senso: Nietzsche fa l' esempio della musica, la quale si può misurare, calcolare e ridurre in formula, e tuttavia non se ne avrà mai compreso l' essenza se non la si ascolta. KIRKEGAARD L' esistenzialismo di Kirkegaard nasce da una considerazione sulla possibilità. La possibilità viene intesa come forza attanagliante che sovrasta l' esistenza umana, che può condurre all' annullamento di tutto e che lascia l' uomo in un dubbio angoscioso: Kirkegaard ne ha una visione essenzialmente negativa e minacciosa. Dalla possibilità deriva infatti l' angoscia, ovvero la consapevolezza delle alternative terribili e annientatrici che si possono presentare dipendentemente dalle scelte che si intraprendono. Scelte che sono per Kirkegaard fondamentalmente tre: lo stadio estetico (estetismo), quello etico e quello religioso. Ora Kirkegaard vede in questi tre stili di vita dei passaggi evoluzionistici ovvero da uno si passa all' altro senza soluzione di continuità bensì attraverso salti, dovuti a crisi esistenziali. Lo stadio estetico è basato fondamentalmente sull' inseguimento di sensazioni sempre nuove, dell' attimo irripetibile: l' esteta vive la vita come un' opera poetica, della quale coglie l' aspetto meraviglioso e inebriante, rifugge la banalità e la ripetizione, che lo deprimono nella sua ricerca del piacere sensistico ed estetico, esalta e sviluppa la propria raffinatissima sensibilità. L' incarnazione di questo modello di vita, secondo Kirkegaard è il Don Giovanni del Diario del seduttore, che sa porre il suo godimento non nella ricerca sfrenata e indiscriminata del piacere, ma nella limitazione e nell' intensità dell' appagamento. Ma la vita estetica rappresenta l' ansia di una vita diversa che si prospetta come alternativa possibile, e infine porta irrimediabilmente alla noia. A questo punto si può scegliere di disperarsi (perchè per Kirkegaard si può) e considerare un altro possibile modello di vita, scegliendo lo stadio etico. Questo significa scegliere di rinunciare ad essere l' eccezione, adeguarsi all' universale e riscoprire la piacevole continuità del banale; scegliere di essere sè stessi dopo aver considerato il proprio ruolo, ovvero affermarsi ed essere fedeli e leali verso ciò che ci rappresenta: significa scegliere la propria scelta in quanto scegliere di essere sè stessi vuol dire scegliere la libertà. La persona etica per eccellenza è il marito, felice del proprio banale matrimonio, che è l' espressione dell' eticità essendo a portata di tutti; il lavoro è importante in questo stadio, perchè mette l' uomo in relazione con gli altri, gli fornisce una vocazione e lo appaga completamente. Così facendo la persona etica riscopre la propria storia, si rivede nei suoi rapporti interpersonali, scopre in sè una ricchezza infinita; comunque proprio quando riconsidera la propria vita passata e vi vede il peccato, non potendo rinnegare niente di sè perchè, si è detto, ha scelto di non farlo, non può rinnegare nemmeno i suoi peccati. Quindi si pente di essi. Si pente di tutte le colpe che riguardano lui e tutto ciò che contribuisce a renderlo ciò che è, quindi il suo pentimento abbraccia i peccati della sua famiglia, dei suoi antenati, del genere umano... Riconoscendo la propria colpevolezza si è pronti a passare allo stadio religioso, che è comunque fortemente desiderato visto che l' uomo tende per natura a ricercare un significato profondo e metafisico alla propria esistenza, e l' ansia di questa ricerca non viene placata dalla condizione etica. Quindi nel pentimento disperato si ritrova in Dio che lo assolve e gli offre il suo infinito amore. Il passaggio alla vita religiosa è comunque molto drammatico, come fu drammatica la scelta di Abramo: viene chiesto di rinunciare alle tradizioni, alle consuetudini convenzionali e normative, ed il rischio angoscioso di scegliere l' incertezza è evidente; alla fine però, come Abramo riottenne il figlio, si ottiene in premio Dio, e per Kirkegaard non si potrebbe ottenere di più. "La verità consiste nel colpo di audacia di scegliere ciò che obbiettivamente è incerto con la passione dell' infinità. Senza rischio non vi è fede. La fede è appunto la contraddizione tra l'infinita passione dell' interiorità e la certezza obiettiva". La figura di Abramo, che incarna il modello della vita religiosa, è significativa, perchè simboleggia il distacco dai valori morali al cospetto del verbo divino, nonchè la paura di distaccarsene, la solitudine di fronte ad una scelta che non può essere condivisa nè approvata da nessuno, l' incertezza che deriva dal non avere conferma di voci umane, nè un tracciato di regole scritte: la fede mette in contatto diretto l' uomo con Dio, che è l' assoluto e l' infinito. Per ottenere questo rapporto l' uomo deve rompere tutti i legami e dimenticare le leggi secondo le quali ha agito finora. Ma la solitudine provoca incertezze, come si può essere sicuri che per il religioso sia lecito trasgredire le leggi dell' etica in quanto chiamato da Dio? Per Kirkegaard la risposta è proprio nella forza con cui questa domanda si propone all' attenzione del religioso e nell' angoscia che causa in lui: la fede è infatti certezza angosciosa, l' angoscia che si rende certa di sè e di un nascosto rapporto con Dio. L' uomo è posto di fronte a un bivio: credere o non credere. Da un lato è lui che deve scegliere, dall' altro ogni sua iniziativa è esclusa perchè Dio è tutto e da lui deriva anche la fede. La vita religiosa è nelle maglie di questa contraddizione inesplicabile. -vita religiosa vs Materialismo di Epicuro -Estetismo di D'Annunzio, Oscar Wilde Leopardi Leopardi avverte pesantemente il disagio esistenziale, tutte le sue opere ne sono più o meno pervase. Il tema centrale del suo pensiero, espresso nello Zibaldone, è la condizione infelice dell' uomo, che si origina dalla sua teoria del piacere. Leopardi pensa infatti che la natura umana spinge a desiderare un piacere (inteso settecentescamente in senso materialistico e sensistico) infinito per durata ed estensione, impossibile da conseguire nella finitezza della vita e della realtà. Un desiderio congenito che, non potendo essere soddisfatto, fa l' uomo preda dell' ansia e lo costringe alla continua e frustrante ricerca di piaceri che non possono che essere aleatori e transeunti in confronto a ciò a cui in realtà tende. (Schopenhauer) E dunque, inappagato e frustrato, l' uomo è infelice per sua stessa natura, natura che comunque gli fornisce una via di fuga, attraverso le illusioni, ovvero artifici intellettuali che all' uomo viene concesso di creare per sè, che in un certo qual modo gli permettono di sopravvivere. L' uomo infatti possiede una innata e irrefrenabile capacità immaginativa, che può concepire cose che non sono, e che quindi può figurarsi l' infinito; essendo comunque il piacere un tema ricorrente nel pensiero umano è poi ovvio che finisca per essere immaginato, e immaginato con caratteristiche di infinitezza che non gli corrispondono in realtà. E l' uomo trae sostentamento dalle chimere che così crea e più ne ha più è felice. Dunque nasce il contrasto tra le illusioni e la realtà, inferiore ad esse: toccando con mano la realtà effettuale, tutte le costruzioni psicologiche che, come detto, le venivano associate quando era ancora semplice aspettativa vengono infrante nel finito, nell' insoddisfacente e nel prosaico. La conoscenza del reale perciò mortifica e castra, e coloro che hanno minore intuizione di esso sono privilegiati (ecco perchè il Leopardi fa un gran parlare di antichi e fanciulli), vivono nell' illusione, che non può che essere benigna; tuttavia in alcuni emblematici componimenti----------A Silvia----------Sabato del villaggio-----------e nello Zibaldone stesso Leopardi puntualizza l' asprezza dell' infrangersi dei sogni, che non possono rimanere tali a lungo perchè destinati a confrontarsi con la realtà: ora vediamo di riassumere i meriti e le colpe della natura. La natura è in primo luogo maligna, perchè carica l' uomo del desiderio di un piacere infinito, ma gli fornisce una via di fuga: le illusioni, che però sono solo un palliativo, visto che poi la realtà si ripropone violentemente e disastrosamente, causando una sconfitta maggiore. -pessimismo -Leopardi e Schopenhauer Lucrezio Ovvero un eccellente e fedelissimo epicureo. Le notizie su di lui sono scarse; Napoli sembra il luogo di nascita attribuitogli per via dell'epicureismo che svilupperà nelle sue opere; la data di nascita sembra essere quella riportata da S. Girolamo nel suo Chronicon, il 94 a.C. Si suppone, con poco fondamento, che sia impazzito a causa di una bevanda amorosa, e che scrisse tutta la sua opera negli intervalli della pazzia (sempre notizie reperibili nel Chronicon), ipotesi corroborata dal carattere discontinuo e a volte controverso dell' opera. Si sarebbe infine suicidato all'età di quarantaquattro anni. Questa notizia pero`suscita nella critica pareri contrastanti. Se fosse stato davvero pazzo gli scrittori cristiani avrebbero sfruttato questa sua condizione per scagliarsi contro il poeta , mentre nessuno degli autori fa il benché minimo cenno a questa sua condizione. Inoltre, anche la data di morte è incerta. Se fosse veramente morto suicida a quella età, di dovrebbe far risalire la data di scomparsa al 50 a.C, mentre in una lettera di Cicerone al fratello Quintio, del 54 a.C, esprime un giudizio sulla produzione dell'autore facendone intendere la recente scomparsa (attorno al 55 quindi). Visse al tempo di Cicerone e Cesare, ebbe fortissime influenze dall'epicureismo, tanto da farlo celebrare come poeta dalla filosofia, oltre che della scienza e della natura. DOTTRINA EPICUREA L' URLO 1893, olio, tempera e pastello su cartone 91 x 73.5 cm. Oslo, Nasjonalgalleriet. L' opera più famosa di Edvard Munch ha guadagnato molto n popolarità, specialmente dalla Seconda Guerra Mondiale. Forse la paura esistenziale resa qui dall' artista è divenuta più diffusa nelle decadi recenti? In primo piano, su una strada con un parapetto che vi corre, si vede una figura: le mani portate alla testa, occhi fissati, bocca spalancata. Più avanti due gentiluomini eleganti e dietro di loro un panorama di fiordi e colline: la prima volta che Munch descrive l' esperienza che diede vita a questo dipinto fu nel suo diario, sotto il 22 gennaio 1892: "Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò il cielo si tinse all' improvviso di rosso sangue mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto sul fiordo neroazzurro e sulla città c' erano sangue e lingue di fuoco i miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura." Il paesaggio serale è distillato attraverso un ritmo astratto di linee ondulate. L' opera è ricca di significati simbolici: il ponte, che tende all' infinito rappresenta le innumerevoli difficoltà che presenta la vita umana e contemporaneamente crea un potente aggancio prospettico intensificando l' ossessività dell' atmosfera, i due amici, incuranti del dramma che sta vivendo la figura in primo piano rappresentano la falsità e la superficialità dei rapporti umani, ovvero l' impossibilità di uscire dalla solitudine; poi c'e' l' urlante in primo piano, che esprime il dramma collettivo dell' umanità intera con le sue nere labbra putrescenti che ricordano quelle di un morto, la testa ridotta ad un teschio, gli occhi sbarrati e le narici ridotte a due fori; il suo grido disperato e selvaggio si propaga attraverso la natura circostante: vediamo infatti che il fiordo oleoso e il cielo infuocato riprendono il movimento serpentinante della figura, sono pervasi dalla stessa angoscia diffusasi nell' ambiente. L' opera comunque non ritrae nè un fatto nè un paesaggio ma uno stato della mente: il dramma è interno, eppure il soggetto è strettamente ancorato alla topografia di Oslo - la vista è quella che si vede da Nordstrand guardando verso le due baie di Oslofjord, con Holmenkollen sullo sfondo. MORTE NELLA CAMERA DELLA MALATA Tempera e pastello su tela. 125,5 x 169,5 cm. Presentato nel 1910 da Olaf Schou. La memoria infantile della morte della sorella di Munch si materializza in molti quadri ben noti. In Morte nella camera della malata la famiglia è riunita sul letto di morte di Sofie. Per facilitarle la respirazione, la paziente siede in una sedia dallo schienale alto, girata di spalle. L' artista vuole ritrarre non la fanciulla malata ma la reazione degli altri membri della famiglia quando si trovano faccia a faccia con la morte. Non c' è comunicazione fra le persone, ognuno è rinchiuso nel proprio mondo. Del padre, che era un dottore, è visibile la faccia, e le sue mani sono congiunte in una preghiera. La zia, Karen Bjolstad, attende alla malata. Il gruppo in primo piano comprende le altre due sorelle di Munch. Laura siede con le mani in grembo; Inger è in piedi esattamente come nel ritratto del 1892. Edvard è voltato verso la sorella morente, mentre il fratello Peter Andreas sta lasciano la stanza attraverso la porta sulla sinistra. "Dipingo non quello che vedo, ma quello che ho visto", diceva Munch della sua arte. Questo è il ritratto di un ricordo, non uno stato della mente fedelmente riportato, e così tutti i dettagli non necessari sono omessi. Dal tempo dell' evento lui e le sue sorelle sono cresciuti, divenuti adulti, e il padre e la madre sono morti. La disposizione delle figure diviene un simbolo di dolore intorpidito. Munch ripetè la composizione in molte versioni e in litografie. L' ALIENAZIONE Per Hegel l' alienazione è il momento dialettico (antitesi) in cui l' idea si oggettiva e diventa altro, cioè natura che viene poi superata dallo spirito (sintesi). In Feuerbach e in Marx il significato del termine muta. Per Feuerbach l' alienazione è il processo in cui l' uomo proietta la propria essenza nella divinità, sottomettendosi ad essa (alienazione in campo religioso). Per Marx l' alienazione indica il processo che si verifica nel sistema di produzione capitalistico per cui il prodotto del lavoro si pone di fronte al lavoratore come estraneo e il lavoro lungi dall' essere realizzazione dell' uomo è alienazione e espropriazione (lavoro alienato). E' questa la tesi del giovane Marx: il lavoratore è alienato da sè stesso, dal prodotto del suo lavoro, dalla società veneratrice del denaro, da tutte quelle istituzioni sociali - famiglia, morale, legge, governo - che lo costringono al servizio del dio denaro e si allontana dal realizzare la sua potenzialità creativa. Nel Marxismo più maturo, l' alienazione è espressa attraverso la divisione del lavoro e delle sue molte ramificazioni. L' alienazione in termini esistenzialistici è in questa considerazione: a prescindere dal proprio essere cosciente, tutto il resto è alterità da cui si è alienati. Siamo costretti in un mondo di cose che ci appaiono opache e che non riusciamo a capire. In più la stessa scienza ci ha alienato dalla natura con il suo sommergerci di concetti altamente specializzati e resi matematici e, leggi, teorie e tecnologie che sono incomprensibili ai non specialisti ed ai profani; questi prodotti della scienza adesso stanno tra noi e la natura. Inoltre la rivoluzione industriale ha alienato l'operaio dal prodotto del suo lavoro, rendendolo una componente meccanica del sistema produttivo, come ci insegna Marx. Noi siamo pure alienati dalle istituzioni umane - dal governo burocratico, sia a livello nazionale che locale, dai partiti politici, dalle imprese multinazionali, dalle organizzazioni religiose nazionali - esse sembrano enormi ed impersonali fonti di potere aventi vita propria. Come individui noi non sentiamo né di esserene parte di né possiamo capire come funzionano. Noi viviamo alienati dalle nostre stesse istituzioni. Inoltre, dicono gli esistenzialisti, noi siamo esclusi dalla storia. Non abbiamo più il senso delle nostre radici in un passato significante né vediamo muoverci verso un futuro significante. Come risultato, noi non apparteniamo né al passato, al presente o al futuro. E per ultimo punto, forse il più penoso, l'esistenzialismo evidenzia che tutte le nostre relazioni personali sono avvelenate da sentimenti di alienazione dall' "altro". L'alienazione e l'ostilità nascono all'interno delle famiglie tra genitori e figli, tra marito e moglie, tra i figli stessi. L'alienazione infetta tutte le relazioni sociali e lavorative e, più crudelmente, essa domina i rapporti sentimentali. Munch Munch, uno dei padri dell' espressionismo insieme a Van Gogh, riesce a rappresentare nelle sue opere l' angoscia e il tormento esistenziale che lo attanaglia. Nasce nel 1863 a Löten, in Norvegia e l' anno dopo si trasferisce a Cristiania, l' odierna Oslo. Le disgrazie familiari (la morte della madre nel 1868, della sorella nel 1877 e del padre nel 1889) influirono in maniera determinante sulla sua vita da artista: Munch è il pittore dell' angoscia (L'Urlo), della solitudine, della paura di vivere; profondamente influenzato dalle teorie esistenzialiste di Kirkegaard, dai drammi di Ibsen e di Strindberg Munch si sente oppresso dal senso incombente e angoscioso della morte che pervade insistentemente la maggior parte delle sue opere. La sua prima formazione, tendenzialmente naturalistica, avviene alla Scuola Reale di Pittura di Oslo, ma compie anche molti viaggi soprattutto a Parigi, dove viene in contatto con l' Impressionismo, di cui non condivise però le premesse: la pittura en plen air infatti non lo soddisfa in quanto quello che egli vuole rappresentare non è il momento fuggevole bensì il fatto, denso di significato, che è rimasto impresso nella memoria. Grazie alla sua tecnica veloce Munch dipinge diversi abbozzi e copie di ogni sua opera: dipinge finchè quello che rimane sulla tela non coincide con il ricordo stampato nella memoria dell' artista; quando si criticò il carattere di incompletezza delle sue opere, il suo maestro e pittore Christian Krohg rispose per lui: "Oh, si! Sono complete. Uscite dalla sua mano. L'arte è completa quando l' artista ha detto tutto quello che doveve dire veramente; e questo è il vantaggio che Munch ha su generazioni di pittori, ha l' abilità unica di mostrarci cosa ha provato e cosa lo tormentava, facendo sembrare tutto il resto senza importanza" Questa parte me l' hanno chiesta in molti: se non è abbastanza esauriente chiedete pure al riguardo- Alla base di tutte le correnti letterarie (in latino, inglese, arte, etc) c'è una filosofia: capita per alcune, come l' estetismo, il neoclassicismo di foscolo e praticamente tutto il pensiero di Leopardi che tale filosofia riguardi il porsi dell' uomo di fronte alla propria esistenza (che è ancora esistenzialismo). Il primo a concentrarsi principalmente sull' esistenzialismo è Kirkegaard, che analizza il problema essenza-esistenza, e a ne trae riflessioni sostanzialmente etiche, non fini a dare basi per opere di poesia, come wilde o d' annunzio, e altri. E quindi Kirkegaard, per focalizzare il problema, è necessario. Chiarito poi il problema, le conseguenze etiche, lo si può ampliare con la filosofia di Nietzsche e di Schopenhauer che, l' uno e l' altro, propongono le proprie posizioni rispetto all' essere. Da Nietzsche si può passare a D' Annunzio, con il superuomo, e da Schpenhauer a Leopardi, prima con la comune visione cosmologica, poi con le conclusioni sul pessimismo. Tornando a Kirkegaard si può ampliare il discorso sull' esteta e parlare di Oscar Wilde e Dorian Gray. L' epicureismo (e Lucrezio, che ne è uno dei pochi testimoni) è una visione rilassata, che parte da una cosmologia come Leopardi e Schopenhauer, ma giunge ottimisticamente a una soluzione, passando per l' atarassia (simile all' ascetismo di Schopenhauer, ma non uguale). L' esistenzialismo ispira anche l' espressionismo, dal tema di partenza dell' angoscia, --non si può tralasciare almeno l' Urlo di Munch, che è un pò un manifesto di tutto il discorso--, e poi Gauguin che dedica molti quadri al tema, è un buon riempitivo. Il tema dell' alienazione (Seneca) nasce da considerazioni leggermente diverse, dello stato della Roma imperiale, ma comunque ha molto a che vedere con il rapporto ontologia-etica, su cui (a mio avviso) si basa l' esistenzialismo. Se fra le materie d' esame c' è anche Francese (fra le mie non c' era), si potrebbe fare anche un collegamento a Foscolo e la sua visione della morte (che è lett. italiana, ma per quello che ne so io il tema si ritrova anche in letteratura francese). SCHOPENHAUER Schopenhauer parte dalla distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno, ma mentre per Kant il noumeno non è conoscibile e fissa il limite della conoscenza, per Schopenhauer esso è una realtà che il filosofo in quanto tale deve riuscire a comprendere. E il fenomeno è invece pura illusorietà, che Schopenhauer identifica con il "velo di Maya" delle filosofie indiane, dalle quali trae ispirazione insieme al Buddismo e al kantismo. Dunque, egli vede kantianamente che l' oggetto conosciuto è passato attraverso tre forme a priori (spazio, tempo e causalità) ed è stato deformato da esse: nella realtà non può quindi essere quale noi lo conosciamo. Perciò la vita è un "sogno" ingannevole, il mondo ci è nascosto e i suoi meccanismi non sono evidenti, tuttavia nell' uomo c'è una naturale propensione a interrogarsi sul significato della propria esistenza e a tentare di carpire l' essenza di questa realtà inconosciuta. Schopenhauer è un filosofo romantico, che parte dalla filosofia di Kant e si propone di integrarla: egli crede di aver trovato il modo di conoscere il noumeno proprio attraverso ciò che un' illuminista non avrebbe mai pensato essere significativo, ovvero la volontà. La volontà, che costituisce una parte irrazionale della mente umana, è ciò che ci rende parte del meccanismo che regola il mondo e che permette di squarciare il velo di Maya. -Caratteri e manifestazioni della volontà. -si sottrae alle forme a priori (spazio, tempo e causalità) -oltre la forma del tempo -> eterna -oltre la forma della causalità -> libera, indipendente -si sottrae al principio di individuazione -> unica e si esprime in forme molteplici -si oggettiva per fasi, prima nelle idee, o archetipi del mondo, poi nei singoli individui, che non sono nient' altro che la moltiplicazione delle idee -tra individui e idee rapporto copia-modello. -La vita non ha motivo di essere, essendo la volontà indipendente e fine a sè stessa. -la vita tra noia e dolore. -> pessimismo cosmico radicale. -la formica gigante d' Australia. -il rifiuto del suicidio. -arte, morale ed ascesi. -arte- il soggetto contempla l' idea dietro la forma, trascendendola e sentendosi in contatto con il principio primo -morale- compatendo si sente ciò che sentono gli altri, che sono parte di un tutto Tat Twan Asi (questo vivente sei tu)- giustizia - carità -L' ascetismo come liberazione. voluntas-noluntas. SENECA La filosofia di Seneca unisce elementi pitagorici e cinici, provenienti dalla sua prima educazione, dando grande importanza all'esame di coscienza quotidiano e alle scienze naturali. Anche nelle tragedie vengono rappresentati caratteri estremamente negativi, forse a significare proprio che "senza retta ratio e filosofia non esiste via di scampo". Per inquadrare il pensiero di Seneca bisogna ricordare che essendo figlio di un importante retore ed era destinato ad una carriera politica di prim'ordine. Furono però i casi della vita (malattia, esilio, ruolo di educatore e di consigliere) che accentuarono nella sua filosofia il carattere etico del quale trattò tutti i temi fondamentali: passioni, rapporto tra uomo e tempo, libertà, incoerenza della schiavitù, felicità, ruolo del sovrano. Dal canto suo Seneca aggiunse uno spiccato interesse per la natura ed i suoi fenomeni. Molte furono le filosofie che ispirarono il pensiero di Seneca nella sua vita, le principali furono quella stoica, epicureista e platonica. Stoicismo in Seneca - sostiene che ci si possa gradatamente avvicinare alla perfezione del saggio controllando e superando la propria ira - è convinto che al raggiungimento della felicità non nuocciano le buone condizioni - ha una visione del saggio libero da ogni condizionamento esterno ed è capace di considerare le difficoltà della vita come puri esercizi alla virtù - nega la proprietà privata e considera assurda la divisione tra liberi e schiavi utilizzando questi punti: la fortuna è in grado di invertire in ogni momento i ruoli, tutti gli uomini appartengono comunemente allo stesso universo e si può essere liberi giuridicamente, ma schiavi delle proprie passioni. Epicureismo in Seneca - l'invito a non temere la morte - il tentativo di interiorizzare i problemi esistenziali cercando in se stessi la soluzione - la concezione del tempo e l'invito a vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo Platonismo in Seneca - l'elogio dalla conoscenza pura - la filosofia come iniziazione che porta l'uomo dalle tenebre dell'ignoranza alla luce della conoscenza distinguendolo dall'animale - la filosofia come mezzo per raggiungere un distacco dalla quotidianità - il progetto di un principato filosoficamente orientato IL SUPEROMISMO Il concetto di superuomo può essere considerato come un' evoluzione di quello dell esteta, oppure come una reazione decadente e illusoria alla sensazione di impotenza provata di fronte agli eventi del secolo in cui si sviluppa. Le caratteristiche principali del superomismo nietszchiano sono una forte inclinazione al vitalismo e al materialismo, un rifiuto a priori di ogni valore che trascende la realtà terrena nichilismo l' imposizione della sua volontà incontaminata e inalienabile sul mondo esterno. Il superuomo rappresenta un oltrepassamento del concetto di uomo: l' Ubermensch tedesco infatti significa oltre-uomo, di cui il "superuomo" italianizzato è traduzione solo approssimativa, in quanto non rende completamente il significato di trascendenza dalla condizione umana ma sembra connotare un potenziamento di essa, cosa che propriamente non è. L' Ubermensch infatti appartiene ad un' altra razza, egli sta all' uomo come l' uomo sta alla scimmia, deve essere come un mare che accoglie e purifica le imperfezioni del fiume che è stato. Peculiare di questo modello di vita perfetto è la volontà di potenza: una forza libera e creatrice, che impone sè stessa sul caos del mondo, e ai fatti da e prende per vere le proprie interpretazioni: questo significa accettare l' essere (amor fati) e ricrearlo a propria misura; in questo modo la vita reinventa e sorpassa continuamente sè stessa, tutto sotto il controllo della volontà. Accettare quindi la propria vita e la sua fine senza appigli metafisici è dunque fondamentale per il superuomo, che vi si deve lanciare, dominarla e viverla come se dovesse riviverla infinie volte (eterno ritorno) -D'Annunzio -vitalismo estetizzante panico e sensuale -carattere eroico del superuomo -Il programma politico del superuomo -Le vergini delle rocce
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