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STORIA DELL'ANTICA ROMA 2

Inizio Prima Pagina

 

Pompeo e Crasso - L'ultima guerra contro Mitridate
(70-63 a.C.)
Pompeo e Crasso consoli - Pompeo contro i pirati - La fine di Mitridate -
Nuova sistemazione delle provincie orientali
Pompeo e Crasso consoli
 
Dopo la conclusione delle numerose rivolte che fecero seguito alla morte di Silla, Pompeo e Crasso uscirono come gli incontrastati protagonisti della scena politica romana. Sebbene i due avessero motivo di osteggiarsi in ambizioni, decisero comunque di trovare un accordo politico che garantisse loro il potere: per il 70 a.C. vennero eletti come consoli, mentre i loro due eserciti mantennero quella funzione di pressione militare sul senato e suoi poteri politici già in voga da molto tempo.
 
Venne abolita la costituzione sillana e venne restaurato l'ordine democratico (si ricordi come Pompeo e Crasso dovevano le loro fortune al regime dittatoriale sillano, così, per opportunità politica, cavalcarono l'onda democratica). Vennero abolite le limitazioni al potere dei tribuni (lex Pompeia Licinia), e promossa dal pretore Lucio Aurelio Cotta una nuova riforma giudiziaria.
 
Sempre nel 70 i censori epurarono il senato da 64 senatori troppo compromessi coi poteri sillani. In sostanza tutto l'apparato dittatoriale sillano fu di fatto demolito.
 

Pompeo contro i pirati
 
La lunga situazione di instabilità politica e militare che imperversava nello stato romano aveva creato problemi di ordine pubblico e provocato un aumento esponenziale della illegalità. In particolare la politica di Sertorio e le pressioni belliche di Mitridate avevano favorito lo sviluppo incontrollato della pirateria. Questi pirati provenivano prevalentemente dalla Cilicia, la zona sudorientale della Turchia, e da Cipro. I pirati imperversavano nel Mediterraneo, avevano saccheggiato Ostia distruggendo le navi romane attraccate, ed erano sbarcati a più riprese sulle coste della Campania, spingendosi fino alle coste meridionali della Spagna: il prezzo del grano salì alle stelle. Urgeva una soluzione.
 
Nel 67, il tribuno Aulo Gabinio propose di investire uno dei due consoli di poteri straordinari e pluriennali per ciò che riguardava le acque del Mediterraneo. Il senato si oppose alla proposta, nel timore che tali poteri straordinari prendessero la mano a chi li avrebbe esercitati, ma alla fine la lex Gabinia fu approvata e venne fatto il nome di Pompeo.
 
Con 500 navi, 24 legati, 120.000 fanti e 5.000 cavalieri, Pompeo si apprestava a salpare verso i covi dei pirati per debellarli. La sua campagna fu caratterizzata dalla soprendente velocità: in soli 40 giorni ristabilìi l'ordine sulle coste occidentali del Mediterraneo, poi, mandati i legati in avanscoperta, si diresse verso oriente, e in 49 giorni distrusse i covi dei pirati cilici, aggiungendo all'azione militare quella diplomatica. Furono uccisi 10.000 pirati, 800 navi vennero catturate e 120 fortezze distrutte. Il Mediterraneo fu liberato momentaneamente dalla pirateria e i commerci poterono riprendere.
 

La fine di Mitridate
(terza guerra contro Mitridate)
 
Dopo la pace di Dardano dell'85, che segnò la fine della prima guerra mitridatica (la seconda risaliva al periodo della guerra civile e fu vinta sempre da Silla nell'82 a.C.), Mitridate ritornava alla ribalta.
 
Nel 75 a.C. Nicomede III di Bitinia aveva lasciato in eredità il suo regno ai romani. Questo diede il pretesto a Mitridate di dichiarare guerra alla Bitinia (e a Roma) in un periodo che vedeva gli avversari impegnati nella repressione della rivolta spagnola di Sertorio (lo stesso Mitridate tesse rapporti con il governatore romano ribelle e con i pirati). Da Roma furono inviati i due consoli del 74 a.C. Marco Aurelio Cotta e Lucio Licinio Lucullo.
 
Lucullo, in particolare, riuscì brillantemente a liberare la Bitinia e il Ponto e costringere Mitridate a rifugiarsi presso il genero Tigrane. Questi aveva notevolmente ingradito i suoi possedimenti, diventando uno dei più potenti sovrani dell'Asia Minore (aveva conquistato la Cilicia, la Siria e le coste dell'Asia minore fino all'Egitto). Lucullo si diresse verso l'Armenia e la sua capitale, Tigranocerta. Qui sconfisse Mitridate e Tigrane, accorsogli in aiuto, e i due dovettero rifugiarsi a Artaxana, antica capitale armena. La Siria, intanto, venne restituita a uno dei sovrani seleucidi ai quali era stata sottratta (69 a.C.).
 
All'improvviso però la situazione di Lucullo cambiò. A Roma lo vedevano come un seguace di Silla e il nuovo clima democratico non lo favorì, mentre nelle truppe il malconento aumentava, un pò per la fatica delle marce in un terreno montagnoso e un pò perché i cavalieri cominciarono a osteggiarlo, visto che la disciplina imposta da Lucullo non permise loro di mettere le mani sul bottino. Da Roma giunse nell'67 a.C. il console democratico Manio Acilio Glabrione per sostituirlo.
 
Mitridate sfruttò immediatamente il momento e riconquistò il Ponto e la Cappadocia. A questo punto il tribuno Caio Manilio propose a Pompeo di occuparsi della questione mitridatica. Analogamente a quanto successe con i pirati, dopo un primo tentennamento del senato, la lex Manilia fu approvata e Pompeo fu incaricato di dar man forte a Glabrione (Pompeo si trovava ancora in Cilicia dopo la sconfitta dei pirati).
 
Pompeo cercò subito l'azione diplomatica: proposa a Mitridate la resa (che rifiutò) e strinse un accordo con i Parti in modo che invadessero l'Armenia per tenere occupato Tigrane. Mitridate fu sconfitto una prima volta da Pompeo sull'Eufrate. Egli si ritirò quindi nella Colchide, dopo che Tigrane (occupato dai Parti) gli rifiutò l'aiuto per non inimicarsi ulteriormente i romani.
 
A questo punto Mitridate tentò l'azione definitiva: ormai settantenne tentò di organizzare un'invasione dell'Italia riunendo i popoli barbari del Mar Nero settentrionale e del Danubio. Per fare ciò si installò nel regno del Bosforo, dove la situazione era più che mai instabile (il Re del Bosforo era appena stato usurpato da figlio, con l'arrivo di Mitridate questi fu obbligato a cedergli il regno e a suicidarsi). Mitridate, nel suo tentativo di servirsi dei barbari instaurò un regno di violenza nel Bosforo raccogliendo così l'avversione delle città greche. Una dopo l'altra insorsero Fanagoria, Cheroneso e Teodosia. Vistosi con le spalle al muro, Mitridate rovesciò tutta la sua rabbia su parte della sua famiglia, filogreca, fu così che il suo figlio prediletto, Farnase, si mise alla testa dei rivoltosi. L'esercito e la flotta di Mitridate passò con Farnase, e all'anziano re non restò altro che suicidarsi (temprato dal veleno, chiese a uno schiavo di finirlo, quando già aveva imposto il suicidio alla moglie e alle figlie). Ciò accadeva nel 63 a.C.
 

Nuova sistemazione delle provincie orientali
 
Intanto, Pompeo procedeva alla normalizzazione: Tigrane fu costretto al vassallaggio e alla rinuncia delle sue conquiste orientali, mentre il Ponto fu sottomesso (64 a.C.), e, incorpato poi con la Bitinia, fu trasformato in provincia romana. Il Bosforo fu lasciato a Farnase come compenso per il tradimento del padre. Nel 63 a.C., constatato l'invalidità delle decisioni di Lucullo sulla Siria (il monarca seleucide di fatto non aveva poteri e non controllava il territorio), procedette alla sua trasformazione in provincia. Altri regni minori, quali la Cappadocia, la Paflagonia e la Galazia furono resaturati.
 
In Giudea (Palestina) Pompeo intervenì in favore di Ircano nella lotta che lo vedeva contrapposto al fratello Aristobulo, il primo sostenuto dai Farisei, il secondo dai Sadducei. I Farisei rappresentavano gli interessi del clero e miravano alla costituzione di un potere forte ecclesiastico contrapposto a quello laico, mentre i Sadducei avevano fama di pensatori liberi ed eretici, sostenuti dagli intellettuali e dai commercianti, e miranti a un potere laico e militare.
Aristobulo aprì le porte ai romani, constatato la sovverchiante inferiorità dei suoi mezzi, ma ugualmente una parte dei suoi sostenitori ingaggiò battaglia con le legioni di Pompeo. Dopo essersi impadroniti del Tempio di Gerusalemme riuscirono a resistere all'assedio romano per tre mesi, poi capitolarono. Pompeo entrò nel sancta sanctorum del Tempio, dove era ammesso solo il gran sacerdote, e ne saccheggiò le ricchezze. La Giudea fu accorpata alla provincia siriana, mentre a Ircano venne concessa una certa autonomia e il titolo di gran sacerdote.
La congiura di Catilina
(65-63 a.C.)
 

Catilina: la prima congiura - Cicerone unico console -
La proposta di legge agraria di Servilio Rullo - La seconda congiura di Catilina -
Tentativo di uccidere Cicerone - Allontanamento di Catilina -
Il caso degli ambasciatori Allòbrogi - La fine di Catilina
 
 
 

Catilina: la prima congiura
 
Lucio Sergio Catilina vantava origini nobili. Nel 68 a.C. era stato pretore, nel 67 governatore in Africa. Alla fine del mandato era stato indagato per abuso di potere, in conseguenza di ciò, quando nel 66 pose la sua candidatura a console per il 65, era stato escluso perché sotto processo.
 
E' proprio al 65 che risale il primo tentativo di congiura. Alcuni storici sostengono che dietro a tale congiura vi fossero anche Crasso e Cesare (il futuro conquistatore della Gallia). Di certo si sa che il primo gennaio del 65 a.C. i cospiratori (per lo più giovani patrizi romani oberati dai debiti e per cui la congiura avrebbe significato l'estinzione di ogni onere) avrebbero dovuto uccidere i consoli e i senatori più influenti, dittatore sarebbe stato nominato Crasso e suo magister equitum (comandante della cavalleria) Cesare. Le fonti su questo episodio sono incerte, la stessa funzione di Catilina non è chiara, tuttavia altri due tentativi sembrano fossero andati a vuoto per motivi tecnici, i senatori lasciarono cadere la cosa per il timore di accusare personaggi troppo in vista quali Crasso e Cesare.
 

Cicerone unico console
 
Nel 63 a.C. Catilina fu assolto e potè riproporre la sua candidatura a console per il partito democratico. Questa volta il sostegno di Crasso e di Cesare fu evidente (gli pagarono la campagna ellettorale), ma ugualmente Catilina fu sconfitto dal suo rivale di partito, il poco brillante Caio Antonio. Come altro console fu invece eletto Cicerone.
 
Cicerone proveniva dagli equites e si era candidato per il partito degli ottimati. La sua figura sovrastava in tutto il debole Caio Antonio, cosicché il consolato apparve da subito in mano a un solo uomo (Cicerone comprò il suo collega cedendogli il governo della Macedonia, per cui potè da subito agire indisturbato come unico attore sulla scena politica).
 

La proposta di legge agraria di Servilio Rullo
 
Questa situazione costituì un grave colpo per le aspirazioni democratiche e si decise di correre ai ripari: nello stesso anno il tribuno Publio Servilio Rullo propose una legge agraria che preveva la vendita dei terreni pubblici per finanziare l'acquisto di terre da vendere a basso costo ai ceti più poveri. Tale legge era evidentemente irrealizzabile (poiché privava l'erario di ogni riscossione sui terreni del demanio pubblico), tuttavia le ragioni della legge erano altre.
 
La legge prevedeva infatti la costituzione di un decemvirato di controllo e di attuazione della legge i cui membri dovevano restare in carica per 5 anni, decemvirato che avrebbe avuto poteri straordinari in caso di necessità, compreso quello di comandare truppe. L'intenzione era di far entrare nel decemvirato Crasso e Cesare, i quali avrebbero goduto di enormi possibilità d'azione.
 
Gli ottimati non poterono che accorgersi di tali intenzioni, essi volevano evitare ad ogni costo una dittattura democratica, che fosse stata di Crasso, Cesare o Catilina. Cicerone, facendo uso della sua abilità oratoria, si scagliò contro la legge e fece in modo che fosse ritirata.
 

La seconda congiura di Catilina
 
Ma Catilina non si arrendeva, egli propose nuovamente la sua candidatura a console per il 62. Questa volta, come ordine del giorno della campagna elettorale propose l'annullamento dei debiti, cosicché riuscì a crearsi un vasto seguito di sostenitori, dalla plebe, ai reduci di Mario, sino ai senatori indebitati più influenti.
 
Tuttavia, a fronte della campagna ufficiale, Catilina tesseva le fila della congiura sotterranea. Da nord a sud i cospiratori cercavano di reclutare truppe anche tra gli schiavi, Crasso e Cesare si erano probabilmente defilati, mentre le elezioni si svolesero in un clima di guerra (si dice che Cicerone, circondato dalla sua guardia armata, indossasse una corazza sotto la toga).
 
Tuttavia, anche questa volta Catilina non fu eletto, vennero eletti consoli Licinio Murena e Giunio Silano. La cospirazione decise di passare alle vie di fatto: i piani erano di far sollevare l'Etruria a nord e Capua e la Puglia a sud, occupando Preneste. Infine, l'attacco doveva portare i rivoltosi alla conquista di Roma.
 
Cicerone venne a conoscenza della congiura per mezzo della delazione di un'amante di uno dei congiurati. Pur non potendo arrestare nessuno (non aveva alcuna prova ufficiale) mise in allarme Preneste e le guarnigioni nelle zone a rischio. La congiura fu rimandata, tuttavia i rivoltosi dell'Etruria a capo di Caio Manlio non fecero in tempo a venirne a conoscenza e attaccarono la città senza ottenere alcun risultato (la fortezza era già stata allertata).
 

Tentativo di uccidere Cicerone
 
A questo punto Catilina cambiò piano: il 7 novembre i cospiratori si riunirono per organizzare l'uccisione di Cicerone. Il piano consisteva nel mandare due cospiratori a casa di Cicerone in veste di visitatori del mattino, essi avrebbero ucciso il console. Nello stesso momento Catilina avrebbe raggiunto l'Etruria e le truppe di Manlio per marciare su Roma, dove i cospiratori, nel frattempo, si sarebbro occupati dell'uccisione dei senatori ostili. Il potere sarebbe quindi passato nelle mani di Catilina.
 
Cicerone venne però a sapere della riunione sempre da Fulvia, la stessa donna che lo aveva avvertito della precedente cospirazione. Cicerone circondò la casa con le sue guardie e interruppe le visite, in questo modo il piano dei cospiratori fallì nuovamente.
 

Allontanamento di Catilina
 
L'8 novembre del 62 a.C. Cicerone convocò i senatori in seduta straordinaria nel tempio di Giove sul Palatino. Furono adottate imponenti misure di sicurezza, Cicerone intendeva convincere, con la sua capacità oratoria, i senatori ad allontanare Catilina da Roma: egli non aveva nessuna prova della congiura, ugualmente i senatori ascoltarono le parole di Cicerone (egli pronunciò la celebre frase: "Fino a quando, dunque, Catilina, abuserai della nostra pazienza?") e decisero di prestare ascolto al console. Catilina fu allontanato da Roma tra la contestazione generale dei senatori, il cospiratore si rifugiò in Etruria da Manlio.
 

Il caso degli ambasciatori Allòbrogi
 
I cospiratori rimasti a Roma non si mossero invece con la dovuta intelligenza. Giunta a Roma un'ambasciata di Galli della tribù degli Allòbrogi, tentarono di portarli dalla parte della rivolta con la promessa dell'annullamento dei loro debiti. Il capo dei Galli, Sanga, prese tempo e invece di pensare unirsi alla cospirazione decise di riferire tutto a Cicerone.
 
A Cicerone si presentava così l'occasione per incastrare i cospiratori con prove finalmente documentate. Ordinò a Sanga di fingere di accettare la proposta dei rivoltosi, in modo da farli trovare in flagranza di reato (alcuni senatori della cospirazione furono così azzardati da firmare una lettera che provava tale incontro). Il piano ebbe successo. I senatori, dopo un processo alquanto veloce, furono condannati alla pena capitale.
 

La fine di Catilina
 
Catilina intanto preparava le sue truppe in Etruria assieme a Manlio. Cicerone aveva improntato un esercito per contrastarlo alla guida del quale fu posto il console Caio Antonio. Catilina in un primo momento rifuggì lo scontro diretto perché impegnato ad organizzare le sue legioni. Accade però che dopo il fallimento della cospirazione romana molti dei suoi uomini disertarono. Con gli uomini rimasti Catilina tentò di passare l'Appennino per dirigersi in Gallia, ma Antonio lo intercettò e lo accerchiò presso Pistoia. Catilina si gettò su Antonio con eroismo, ma trovò la morte e il suo esercito fu sconfitto.
A Roma la repressione delle residue sacche di cospiratori da parte degli ottimati fu decisa e puntuale. Gli stessi Cesare e Crasso, implicati nelle prime fasi della congiura e poi prudentemente ritiratisi quando il movimento si stava radicalizzando e cedendo all'anarchia, si eclissarono dalla vita politica romana per un certo periodo di tempo: Cesare divenne governatore della Spagna ulteriore (61 a.C.), lo stesso Crasso, per lasciarlo andare, pagò un'ingente somma di denaro per suo conto reclamata dai debitori.
Caio Giulio Cesare - Primo triumvirato
(60-57 a.C.)
 

Caio Giulio Cesare - I° triumvirato di Cesare, Pompeo e Crasso -
Consolato di Cesare - L'attività di Publio Clodio -
Il ritorno di Cicerone
 
 
 

Caio Giulio Cesare
 
Prima di procedere nel racconto degli eventi, è bene conoscere da vicino una delle figure più importanti della storia romana.
 
Caio Giulio Cesare nacque il 12 luglio del 100 a.C., proveniva da una delle più nobili famiglie patrizie (i Giulii) discendenti diretti, secondo la tradizione, di Enea ed Ascanio, e quindi della stessa Afrodite. I Giulii non erano fra i più ricchi "clan" della città e non avevano avuto, fino ad allora, grande ascendente politico. Cesare aderì al partito democratico per le parentele che i componenti della sua famiglia avevano contratto con esponenti del partito: una sua zia, Giulia, era stata moglie di Mario, Cesare stesso era sposato con una figlia di Cinna, Cornelia. Proprio il legame con Cornelia lo aveva messo in urto con Silla, il quale gli impose di separarsi dalla moglie. Cesare rifiutò e dovette nascondersi per parecchio tempo tra i Sabini. Quando Silla, grazie all'intercessione della famiglia e degli amici di Cesare, perdonò il giovane, Cesare preferì comunque recarsi in Asia Minore, dove inizio la sua carriera militare (Silla aveva detto di lui: "Cesare da solo è più pericoloso di diversi mari"). Alla morte di Silla, Cesare tornò a Roma e aderì ufficialmente al partito democratico, quindi si recò nuovamente in Oriente, a Rodi, per poi tornare a Roma nel 74 a.C.
I modi di Cesare erano affabili e ammaliatori, sostenne da sempre l'azione di Pompeo e organizzò indebitandosi giochi per il popolo (65 a.C.), cosa che gli valse il titolo di uomo generoso e amico della popolo romano.
 

I° triumvirato di Cesare, Pompeo e Crasso
 
Alla morte di Catilina, Pompeo ritornò a Roma forte del bottino di 20.000 talenti. Ma il senato, attribuitogli il trionfo, non volle comunque retificare la sua redifinizione delle province asiatiche, temendo di dare eccessiva importanza a un solo uomo e memore dei tentativi di congiura appena sventati. Da parte sua Pompeo non osò opporsi, diligentemente aveva persino sciolto il suo esercito allo sbarco a Brindisi, per dimostrare il suo attaccamento alle istituzioni.
 
Intanto Cesare tornò nel 60 a.C. dalla Spagna per puntare al consolato del 59. La situazione che aveva lasciato prima della partenza non era delle più favorevoli per la sua elezione, occorreva lavorare per riunire le forze democratiche.
 
Cesare ebbe l'idea di fondare un patto tra gli esponenti più forti del partito democratico, e cioè egli stesso, Pompeo e Crasso. Tale patto venne chiamato col nome di "I° triumvirato". In realtà il patto era stato stretto più tra Cesare e Pompeo, mentre a Crasso spettava il ruolo di figura rappresentativa. Cesare e Pompeo, pur mirando singolarmente al potere, avevano al momento bisogno del reciproco aiuto. Il compito del triumvirato era quello di impedire ad altre figure tra gli ottimati e i democratici di ottere eccessiva importanza, ogni avvenimento politico doveva accadere a vantaggio dei tre contraenti. Lo scopo era quello di far eleggere Cesare, una volta eletto egli avrebbe dovuto lavorare per trovare adeguata "sistemazione" agli altri membri del patto. Cesare venne eletto console, e come rappresentante degli ottimati, tra mille difficoltà, venne eletto Marco Calpurnio Bibulo.
 

Consolato di Cesare
 
Cesare promosse subito tre grandi riforme:
 
- La prima consisteva nella ripresa dell'idea di Ruffo. Le terre statali della Campania dovevano essere vendute per l'acquisto di terreni da assegnare ai reduci di Pompeo. Nella distribuzione dei terreni si sarebbe dovuto dare precedenza ai cittadini più poveri, se le terre non fossero bastate, per il loro acquisto si sarebbe dovuto servirsi dei proventi derivanti dalle entrate della campagna orientale di Pompeo. La commissione incaricata di poteri straordinari avrebbe dovuto comporsi di 20 membri;
 
- Il secondo progetto di legge consisteva nella proposta di confermare tutte le conquiste di Pompeo in Asia Minore;
 
- Il terzo progetto consisteva nella diminuzione degli oneri fiscali degli appaltatori di opere.
 
Ovviamente le proposte incontrarono la strenua opposizione degli ottimati e del senato. Per impedire la loro approvazione Catone e gli altri senatori ricorsero abbondantemente all'ostruzionismo (il tempo a disposizione per la seduta era limitato, Catone e gli altri prendevano la parola per l'intera seduta bloccando di fatto ogni lavoro).
 
Per fare in modo di avanzare nei lavori Cesare presentò le proposte di legge direttamente ai comizi tribuni. Fu proposto allora da Bibulo lo scioglimento dell'assemblea popolare per sfavore degli dei, ma Cesare forzò la decisione e si procedette alla consultazione: il giorno delle elezioni i veterani di Pompeo si presentarono con un pugnale nascosto sotto le vesti. Le elezioni, nel generale clima intimidatorio, furono vinte da Cesare, Bibulo fu trascinato via con la forza dai suoi sostenitori, che temevano per la vita del console, Catone fu scacciato dalla folla. Ogni progetto di legge fu approvato, Pompeo e Crasso furono nominati membri della commissione agraria. Bibulo si rifiugò per tutto il suo mandato nella sua dimora, il consolato era di fatto in mano al solo Cesare.
 
Nel 59 a.C. Cesare fece approvare la legge sulla corruzione (lex Julia repetundarum) tesa a stabilire norme di pagamento univoche e ufficiali per i governatori delle provincie, mentre a Roma, per sua iniziativa, si cominciarono a pubblicare i decreti del senato e delle assemblee popolari dei tribuni (acta senatus et popoli romani): in pratica la prima Gazzetta Ufficiale della storia (Cesare mirava ad avere maggiore influenza sull'opinione pubblica).
 
Altra importante questione era l'assegnazione d'ufficio di una provincia al console in scadenza di mandato: Cesare teneva molto alla carica, il senato, sapendo questo, aveva destinato ai due consoli due provincie secondarie. Il tribuno Publio Vatinio, sostenitore di Cesare, propose una legge atta a consegnare allo stesso Cesare la Gallia Cisalpina e l'Illiria per il periodo di 5 anni (lex Vatinia). Il senato, d'accordo con Pompeo, volle assegnarli anche la Gallia Narbonense (un territorio aldilà delle Alpi, scosso da sentori di rivolta e lontano da Roma più di quanto non lo fosse la Gallia Cisalpina). Con questo i suoi avversari intendevano impegnare Cesare su un fronte lontano, in modo da tenerlo distante dal potere.
 

L'attività di Publio Clodio
 
Alla fine del suo mandato consolare, Cesare non abbandonò da subito Roma, ma volle rimanere nei pressi dell'Urbe per sbarazzarsi politicamente dei suoi avversari più agguerriti, Catone e Cicerone.
 
Per fare ciò i popolari favorirono l'elezione a tribuno di Publio Clodio, uno spregiudicato avventuriero, uomo energico e istintivo. Bello e piuttosto incline alle avventure sentimentali, aveva avuto una relazione con Pompea, la seconda moglie di Cesare (Cesare si separò dalla seconda moglie nel 62, nel 59 sposò Calpurnia, con la quale rimase legato fino alla morte). Nonostante questo Cesare perdonò il giovane, intendeva infatti servirsene per i suoi scopi, e Clodio era il personaggio giusto. Questì passò nel 59 dagli ottimati ai democratici: durante l'assenza di Cesare da Roma egli agì da suo agente, promuovendone le riforme. Una prima riforma prevedeva la distribuzione gratuita del pane ai poveri, la seconda la costituzione dei collegi stradali (collegia compitalicia) e la terza la possibilità di costituire assemblee anche nei giorni festivi.
 
Clodio, che odiava personalmente Cicerone, promosse anche una legge speciale ad hoc che stabiliva la privazione "dell'acqua e del fuoco" (acquae et ignis interdicio) per i funzionari che avessero condannato alla pena capitale un cittadino romano senza processo (la legge faceva riferimento allo sbrigativo processo con il quale furono condannati a morte i cospiratori di Catilina nel 63, vedi Capitolo precedente). A Cicerone, nonostante i tentativi di mitigare la pena, non rimase altro che partire per la Macedonia, mentre i suoi beni venivano confiscati.
 
Catone, invece, venne allontanato da Roma col pretesto di una delicata missione a Cipro, cosicché Cesare partì per la Gallia in veste di proconsole avendo ottenuto l'allontanamento dei suoi nemici.
 

Il ritorno di Cicerone
Accadde però che Pompeo venne in urto con Clodio a causa della sua politica troppo spergiudicamente demagogica. I sostenitori di Cicerone approfittarono di questo conflitto per ottenere la riabilitazione di Cicerone, il quale rientrò solennemente a Roma nel 57, con i beni restituiti. Pompeo si avvicinò sempre di più al senato, Cicerone, per riconoscenza, gli attribuì poteri straordinari per la durata di 5 anni e lo insignì della carica di proconsole.
 La guerra in Gallia
(58-56 a.C.)
 

La situazione in Gallia all'arrivo di Cesare - Sconfitta degli Elvezi e di Ariovisto -
Sconfitta dei Belgi - Rivolta dei Normanni e dei Britanni
 
 
 

La situazione in Gallia all'arrivo di Cesare
 
Alla data dell'assegnazione a Cesare del governatorato sulla Gallia Narbonense, la regione della Gallia che ancora non era sotto il dominio di Roma si presentava in subbuglio e attraversata da scontri tra tribù rivali.
 
Si potevano distinguere tre regioni: La Gallia Cisalpina (anche detta "Togata", ovvero, romanizzata) che comprendeva le ragioni nord occidentali dell'Italia al di sotto dell'arco alpino, la Gallia Narbonense (anche detta Provincia, da cui deriva il termine attuale "Provenza") costituita dalle regioni meridionali della Francia, già province dal 122 a.C. e parzialmente romanizzate, e la Gallia "selvaggia", ovvero i territori che costituiscono oggi l'intero stato francese e il Belgio, popolato dalle varie tribù galliche e non ancora colonizzate. Erano queste ultime zone a interessare maggiormente Cesare e i romani, in quanto regioni fertili e ricche di oro e commerci, il naturale sbocco a una ulteriore espansione romana nell'Europa occidentale.
 
All'arrivo di Cesare nella Gallia Narbonense, la situazione nella Gallia "selvaggia" confinante era critica, in essa si assisteva da tempo alla lotta tra tre tribù: gli Edui, i Sequani e gli Arverni. Gli Edui erano alleati dei romani, i Sequani e gli Arverni erano alleati con le tribù germaniche di là dal Reno. Nel 60 a.C. i Sequani avevano chiesto ad Ariovisto, re degli Svevi (una tribù germanica), di passare il Reno con il loro esercito, Svevi e Sequani sconfissero gli Edui, in cambio i Galli cedettero parte del loro territorio ad Ariovisto (la zona dell'Alsazia). Intanto gli Elvezi, tribù dell'odierna Svizzera settentrionale, erano allora in cerca di nuovi territori, e per fare questo essi dovevano attraversare il territorio romano. E' in questo quadro che Cesare si inserì nella lotta tra le tribù.
 

Sconfitta degli Elvezi e di Ariovisto
 
Cesare non era disposto a far transitare gli Elvezi attraverso la sua Provincia, del resto la sitauzione ai confini era molto instabile, ed egli si servì di queste premesse per creare il casus belli necessario ad iniziare le operazioni militari nella regione.
 
La tribù elvetica, circa 300.000 persone secondo lo stesso Cesare, non potendo attraversare la regione romanizzata, si spinse nel territorio dei Sequani. Le legioni romane, disposte al confine, ne aprofittarono per penetrare nel territorio delle tribù e sconfiggere duramente gli Elvezi, i superstiti si ritirarono nei territori di origine e strinsero un patto di alleanza con i vincitori (58 a.C.).
 
Il successivo ostacolo era costituito dalle tribù germaniche. Sotto la pressione degli stessi romani fu indetta una conferenza tra le tribù galliche atta a chiedere ai romani la protezione dai germanici. Lo scopo era politico, ovvero quello di trovare il pretesto per coinvolgere l'intera Gallia nella guerra. Ariovisto respinse le condizione dei romani e si passò allo scontro. Nell'autunno del 58, sebbene i romani si trovassero davanti un nemico mai affrontato prima (il furore in battaglia dei barbari germanici spaventava le legioni, ma Cesare riuscì a infondere alle truppe il dovuto coraggio), l'esercito di Cesare sconfisse le tribù nemiche in Alsazia costringendole a ripiegare oltre il Reno (solo pochi di essi, con Ariovisto, riuscirono a riparare oltre il fiume).
 
Da notare che per presidiare gli argini del Reno, che con Cesare cominciò a costituire il limes (il confine) dell'influenza romana nell'Europa centrale, venne attuata la politica che prevedeva la sorveglianza delle stesse tribù germaniche romanizzate, politica che avrà i suoi frutti anche in futuro e che costituì, in ultima analisi, una delle ragioni della caduta dello stesso Impero romano.
 

Sconfitta dei Belgi
 
Restavano ancora da domare le agguerrite tribù dei Belgi. Erano tribù agguerrite e non ancora disposte a cedere ai romani senza aver combattuto, esse rimanevano sempre legate alle tribù germaniche con le quali condividevano comuni connotazioni culturali.
 
Nel 57 a.C. Cesare si oppose ai Belgi con otto legioni. I Romani videro la vittoria appesa a un filo, e riuscirono a spuntarla solo grazie alla maggiore organizzazione delle legioni. Le tribù dei Suessoni, degli Ambiani, dei Bellovaci e della più agguerrita tribù dei Nervi furono ad una ad una sottomesse.
 

Rivolta dei Normanni e dei Britanni
 
Nel 57-56 a.C. fu la volta dei Normanni e dei Britanni, le popolazioni della costa settentrionale francese, che si sollevarono contro il dominio romano. La sollevazione si espanse fino alla Loira e lungo le coste del Reno, dove le popolazioni germaniche cercavano di oltrepassare il fiume per dare man forte alle tribù dei Galli.
 
Cesare dovette affrontare con pugno deciso e grande rapidità l'incalzare degli eventi: invio il suo legato Tito Labieno e la cavalleria sulle rive del Reno per impedire la sollevazione dei Belgi e il passaggio dei Germani, altre legioni furono inviate in Normandia, Cesare stesso attaccò i Veneti, tribù della Bretagna, il principale focolaio della rivolta.
 
Tuttavia la guerra si conduceva anche per fiume e per mare, i Galli disponevano di una flotta di navi e queste davano man forte alle truppe terrrestri, occorreva agire per annientare l'appoggio marittimo. Cesare ordinò la costruzione di barconi e si avvalse dell'aiuto delle tribù alleate. Nonostante l'inferiorità dell'improvvisata flotta romana, Cesare vinse la resistenza delle flotta nemica grazie alla tattica di tagliare gli ormeggi alle loro navi, così da condurle alla deriva ingovernate. La privazione della flotta marina spense la forza alle truppe terrestri e la rivolta ebbe termine.
A questo punto tutta la Gallia fu definitivamente dichiarata provincia romana.