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STORIA ARTE ANTICA

Arte dell'Antica Grecia, Romana, Etrusca

Arte Greca
La storia
Le origini della civiltà greca risalgono al periodo in cui, dal XII al IX secolo a.C. (circa), tribù di Ioni, Eoli, Dori, provenienti dai Balcani, occupano, in fasi successive, il Peloponneso. Essi si impongono alla civiltà micenea, determinando l'inizio di una nuova cultura, che si estenderà poi a tutto il Mediterraneo. La civiltà greca vera e propria, con caratteri originali e ben definiti, viene generalmente comprese nel periodo che va dall'VIII al II secolo a.C. Inizialmente localizzata nella penisola ellenica, la civiltà greca si estende successivamente sulle coste dell'Asia Minore e dell'Italia meridionale (colonie della Magna Grecia), per diffondersi, con Alessandro Magno, in Egitto ed in Oriente, fino ai confini dell'India.
Arte Greca
Moltissime sono le testimonianze della civiltà greca giunte sino a noi. Oltre ai numerosissimi reperti archeologici originali (impianti di città, teatri, statue, vasi) esistono copie romane di sculture e testimonianze scritte in greco e latino, che illustrano molteplici aspetti della vita e della cultura in Grecia. Assai scarse sono, tuttavia, le testimonianze della pittura. L'arte greca raggiunse altissimi livelli nella rappresentazione della figura umana: lo studio anatomico ed il movimento armonioso del corpo sono resi nel marmo e nel bronzo con grandissima abilità tecnica.
L'arte greca è divisa in tre grandi periodi.
- Periodo Arcaico (dall'VIII secolo alla prima metà del V secolo a.C.): nell'arte sono ancora riconoscibili i modi espressivi degli antichi popoli dei Dori e degli Ioni; elementi delle loro culture rimangono evidenti, anche nei periodi successivi, soprattutto nella costruzione dei templi. A questo periodo risalgono templi semplici e massicci, sculture immobili e solenni, vasi a decorazione geometrica o a figure nere.
- Periodo Classico (dalla seconda metà del V secolo a tutto il IV secolo a.C.): l'arte presenta caratteri unitari e ben definiti; ad essa è affidato il compito di divulgare e rafforzare i valori religiosi, sociali e politici del tempo. A questo periodo risalgono templi slanciati, armoniosi e riccamente decorati; sculture che propongono una bellezza fisica e perfetta, quasi irreale, carica di tensione e movimento. I vasi sono a figure rosse, che pongono in risalto l'anatomia dei corpi. Il complesso monumentale più significativo del periodo classico è l'Acropoli di Atene, che per volontà di Pericle viene costruita dai più importanti artisti del tempo, affinché divenga il simbolo della grandezza greca.
- Periodo Ellenistico (dal III secolo al II secolo a.C. compreso): Alessandro Magno riunisce in un grande impero le civiltà dell'Oriente e della Grecia. L'arte greca si arricchisce degli influssi di culture diverse, ma perde il suo carattere unitario. Si formano varie correnti artistiche, che fanno capo a vere e proprie scuole (scuole di Pergamo e di Rodi). A questo periodo risalgono edifici monumentali che devono celebrare la potenza dell'impero; si costruiscono nuove città, secondo veri e propri piani regolatori. Le sculture divengono sempre più realistiche, caratterizzate da una forte espressività ed esasperazione dei gesti. La decorazione dei vasi è sempre più ricca e raffinata e le opere riflettono una padronanza assoluta dei mezzi tecnici. Vastissima è la produzione dei monili e di oggetti preziosi. Nasce il mercato delle opere d'arte, riprodotte anche in serie, in copie di piccolo formato.
Architettura
Il teatro e, in particolare, il tempio sono le opere più interessanti dell'architettura greca. Il teatro, per i Greci, era un luogo importante per manifestazioni collettive, insieme religiose, politiche, culturali e di svago. Gli spettacoli coincidevano con le grandi festività in onore del dio Dioniso, a cui partecipava la totalità della cittadinanza. Il teatro, come costruzione, è semplice, perfettamente funzionale ed esteticamente armoniosa. Costruito sempre a cielo aperto sul declivio di una collina si compone di tre parti:
- la gradinata semicircolare, divisa in settore per gli spettatori;
- l'orchestra, cioè la platea, a forma circolare o semicircolare: serviva per le danze del coro; nei tempi più antichi vi era collocato al centro un altare per i sacrifici al dio Dioniso;
- il proscenio (o palcoscenico), dove recitavano gli attori, avente come sfondo la scena, un edificio in muratura a imitazione di una reggia.
Il tempio, al pari del teatro, ha una struttura semplice e un aspetto armonioso; anche se vasto e maestoso non tende al colossale come le costruzioni egizie. Derivato dal megaron, assume attraverso il tempo una sua tipica fisionomia; il tempio tipo consiste di tre parti, disposte in senso longitudinale:
- il pronao, un porticato a colonne che precede la cella; - la cella, locale destinato alla statua della divinità; - l'opistodomo, locali posteriori destinati a conservare gli arredi del tempio e le offerte dei fedeli.
La costruzione posa su di un basamento formato da gradoni ed è coperta da un tetto a due spioventi che danno origine sulle facciate brevi a due frontoni o timpani triangolari. A seconda della disposizione delle colonne e anche del loro numero sulla facciata frontale il tempio ha denominazioni diverse. E' detto in antis quando il portico è costituito dai prolungamenti dei muri della cella ed è delineato sulla facciata da due colonne; pròstilo quando il portico è aperto lateralmente e presenta quattro colonne sul fronte; anfipròstilo quando il portico è presente oltre che sulla facciata anteriore anche su quella posteriore; periptero quando il portico circonda l'intero tempio; diptero quando il portico è costituito da due file di colonne.
L'effetto armonioso del tempio greco è dovuto a un calcolato rapporto di proporzioni fra tutte le parti, principali e secondarie, dell'edificio. Come unità di misura o "modulo" gli architetti stabilirono il raggio di base della colonna; ad esso rapportarono le strutture portanti, quelle portate e anche le modanature o sagome architettoniche. Sono, queste, elementi che hanno la funzione di profilare e separare le parti principali e, nello stesso tempo, di decorare; possono essere rettilinee o curve, a superficie liscia o decorate a rilievo o a pittura. Il tempio greco è costruito secondo il sistema trilitico: come elemento portante c'è la colonna, composta di base, fusto e capitello; come elemento portato la trabeazione, suddivisa in architrave, fregio e cornice. La disposizione della colonna e della trabeazione con le loro tipiche suddivisioni, definite da regole fisse, costituisce il cosiddetto ordine architettonico. Gli ordini si suddividono in:
- ordine dorico: il fusto della colonna presenta scanalature a spigoli vivi e poggia direttamente sullo stilobate. Il capitello è costituito da un semplice rigonfiamento (echino) sormontato da una spessa lastra a base quadrata (abaco). Sull'architrave è posta una fascia decorativa (fregio), composta da elementi scanalati (triglifi), alternati a lastre con bassorilievi (metope). La netta separazione fra un metopa e l'altra favorisce la rappresentazione di episodi staccati l'uno dall'altro.
- ordine ionico: il fusto della colonna presenta scanalature a spigoli smussati; è più alto e sottile di quello dell'ordine dorico; poggia su di un basamento che lo isola dallo stilobate. Il capitello è costituito da due volute, sormontate da un sottile abaco. Sull'architrave il fregio è costituito da un bassorilievo che si sviluppa senza interruzioni e che si presta particolarmente per una narrazione continua.
- ordine corinzio: la colonna e la decorazione del fregio sono ripresi dall'ordine ionico, il capitello è invece costituito da una composizione di foglie di acanto; gli edifici realizzati secondo l'ordine corinzio appaiono nel complesso più alti e monumentali.
In tutti e tre gli ordini il frontone del tempio, determinato dal tetto a due spioventi, è costituito da una cornice che delimita uno spazio triangolare interno detto timpano. Esso è decorato da sculture a tuttotondo che devono essere ideate in funzione del posto che occupano.
Scultura
La figura umana è il soggetto più rappresentato nella scultura greca. Le statue più antiche (VIII-VI secolo) raffigurano prevalentemente giovani uomini e donne e sono realizzate in pietra o marmo (tipiche sculture dell'epoca arcaica sono i kouroi, giovani atleti, e le korai, fanciulle ateniesi recanti offerte alla dea Athena). Sono sculture votive, erette con uno scopo propiziatorio, rigidamente frontali nell'impostazione della figura; sembrano chiedere benevolenza alla divinità che rappresenta il destinatario del messaggio visivo. Dal V secolo si evidenzia un vivo interesse per l'anatomia e la rappresentazione del movimento. Nel mondo greco le divinità hanno forma umana: il loro corpo, rappresentato nel pieno della giovinezza e del vigore, comunica l'idea di una bellezza perfetta, incorruttibile nel tempi, immortale. La rappresentazione della figura umana testimonia desiderio di perfezione nel corpo e nello spirito, volontà di raggiungere l'ideale dell'uomo eroico e vittorioso, protetto ed amato da un dio che guida le sue azioni. I grandi scultori del V secolo (Mirone, Policleto, Fidia) e del IV secolo (Skopas, Prassitele, Lisippo) esaltano la perfezione della muscolatura e studiano accuratamente l'armonia e la proporzione fra le parti del corpo, mostrando una grandissima abilità tecnica nella realizzazione delle loro opere, scolpite nel marno o fuse in bronzo. Dal III secolo in poi l'ideale dell'uomo greco perfetto viene abbandonato. Ci si allontana dalla bellezza idealizzata ed irreale dei secoli precedenti e le immagini riproducono anche i difetti fisici e le caratteristiche dei volti e corpi non più solo giovani ed atletici. Si sviluppa la ritrattistica per tramandare il volto degli uomini illustri. Al cittadino non si propone più un modello astratto di perfezione, bensì l'esempio di coloro che, con volontà, hanno saputo potenziare le molteplici capacità umane. Gli eroi della cultura greca sono ora i grandi protagonisti della storia: condottieri, uomini politici, filosofi, poeti, artisti. Lo scopo di questi messaggi visivi è soprattutto celebrativo; l'artista che scolpisce i ritratti vuole comunicare, attraverso l'espressività del volto, la personalità del soggetto rappresentato.
Pittura
Dalle testimonianze scritte sappiamo che in Grecia la pittura era molto diffusa; gli scavi archeologici, però, fino ad oggi hanno portato alla luce solo esempi di decorazione ad affresco in alcune tombe di Paestum. In esse sono rappresentate scene di banchetti, di giochi fra gladiatori e gruppi di donne che piangono il defunto. Queste immagini descrivono le fasi dei rituali funebri in uso presso le popolazioni della Magna Grecia, ancora in parte radicati nelle tradizioni popolari del sud d'Italia. La decorazione dei casi più antichi si ispira a motivi naturalistici (serpenti, uccelli, ecc.) e geometrici. Con il passare del tempo il soggetto più rappresentato diviene la figura umana; dapprima essa viene dipinta in nero sul fondo rosso della terracotta, successivamente viene dipinto il fondo con vernice nera, lasciando in rosso la figura. Con sottili pennelli si definiscono le pieghe delle vesti ed i particolari della muscolatura. La produzione della ceramica è vastissima in tutto il mondo greco ed ha una grande importanza nell'economia perché i vasi sono considerati merce di scambio. La tecnica della ceramica raggiunge altissimi livelli di esecuzione.
L'Acropoli di Atene
Il complesso monumentale più significativo dell'arte greca è l'Acropoli di Atene. Fin dall'epoca micenea (secondo millennio a.C.) sulla sua sommità si trovava il palazzo del re (anax) e intorno al XIII secolo a.C. vi fu innalzata la prima potente cinta muraria fortificata. Con l'accrescersi dell'importanza di Atene e in modo particolare nell'età di Pisistrato e dei Pisistratidi (VI secolo a.C.) l'Acropoli era stata via via arricchita di edifici sacri e le sue fortificazioni erano state rinforzate. Dopo le distruzioni operate dai Persiani cominciò la ricostruzione prima sotto il governo di Temistocle (inizio del V secolo a.C.), poi con Cimone (prima metà del V secolo a.C.), ma fu comunque con Pericle che l'Acropoli raggiunse il suo massimo splendore. L'agorà già alla fine del VI secolo a.C. era staccata dall'Acropoli caratterizzandosi come luogo civico per eccellenza, simbolo della trionfante democrazia. Nel V secolo a.C. acquistò una forma più regolare, si arricchì di edifici e di porticati che ospitavano botteghe e luoghi d'incontro. Divenne il vero centro politico e commerciale della città. Il primo edificio innalzato sull'Acropoli fu il Partenone, tempio di Athena Parthenos, cioè della Vergine in quanto la dea Athena aveva custodito la propria castità anche quando Efeso l'insediò, il monumento che Pericle volle fosse omaggio alla dea Athena protettrice della città nel difficile momento dello scontro con i persiani, anche un simbolo della potenza ateniese che dal periodo della guerra era uscita vincitrice stabilendo la propria egemonia sulla Grecia. Una serie di attente indagini condotte da un archeologo inglese, Rhys Carpenter, hanno rivelato che nel sito dove sorse il tempio pericleo era già stato in costruzione un altro tempio dedicato ad Athena ed era stato progettato nel 490 a.C. circa. Era già stata eretta un'altra piattaforma di pietra e posti in loco i tamburi di base del colonnato quando nel 480 a.C. sopravvenne l'invasione persiana. Tra il 468 e il 465 a.C., per iniziativa di Cimone, fu progettato un nuovo tempio nello stesso luogo e con la stessa pianta. I lavori per la costruzione del nuovo edificio furono interrotti però quando Pericle assunse il potere dopo la morte di Cimone nel 450 a.C. In questa fase fu progettato un nuovo tempio, il terzo, nello stesso luogo ma con pianta ampliata. Dai resoconti finanziari desumiamo che la costruzione del Partenone fu iniziata nel 447 a.C. quando fu inaugurata la grande statua crisoelefantina, cioè in oro e in avorio, la Athena Parthenos di Fidia, ma rimasero all'opera squadre di scultori fino al 432 per completare la decorazione dei frontoni. Le fonti antiche ci hanno tramandato i nomi di alcuni architetti: Iktinos, Kallikrates, Karpion. Sappiamo qualcosa di più di Fidia grazie alla sua notorietà e alla sua amicizia con Pericle. Le fonti sono d'accordo sul fatto che fu nominato da Pericle episkopos, cioè sovrintendente dei lavori del Partenone, e non abbiamo motivo per metterlo in dubbio. Comunque il Partenone non fu opera di una sola persona, ma di una équipe affiatata.
Lunga e minuziosa fu la progettazione, durata almeno due anni (449 e 448 a.C.). Fu usata, ristrutturandola e ampliandola (da 23,53 m x 66,94 con sei colonne per sedici a 30,88 m x 69,609) la piattaforma del precedente tempio che presentava già la disposizione prostila della cella, cioè con opistodomo anteriore con quattro colonne distaccate tra le ante e la profondità del pronao ridotta. Iktinos mantenne inoltre la divisione della cella in due settori, il vano principale a ovest a tre navate con doppia fila di dieci colonne, il secondo a est, a pianta quadrata, con quattro colonne che sostenevano il soffitto. La necessità di riutilizzare gli elementi delle colonne già presenti nel cantiere condizionò le dimensioni delle colonne, che risultarono di diametro inferiore rispetto ai canoni tradizionali dell'ordine dorico e quindi il colonnato esterno risultò con un ritmo molto serrato. Iktinos, pur conservando questa pianta, dovette tener conto delle proporzioni monumentali che Fidia prevedeva per la statua. Mantenne allora la divisione in due sale della cella del precedente tempio, ma trasformò però in modo sostanziale la ripartizione degli spazi e dei volumi. Sviluppò il colonnato interno attorno alla navata centrale della cella sotto forma di un portico a tre ali, due laterali a dieci colonne e una trasversale a cinque colonne. Aumentando così l'ampiezza della cella il numero delle colonne sulla facciata fu aumentato dai sei a otto; i corridoi del peristilio vennero ridotti, il pronao e l'opistodomo perdettero la profondità. Nella sala posteriore, dove veniva custodito il tesoro della dea e che all'origine portava il nome di Parthenon, nome che soltanto dal IV secolo a.C. fu adottato per tutto l'edificio, Iktinos impiegò l'ordine ionico per le quattro colonne perché la forma più slanciata soddisfaceva meglio l'esigenza di spazio.
La decorazione scultorea e pittorica ravvivava ed esaltava il tempio. Sobria quella relativa alle modanature in marmo dotate di piccoli fregi con perle. In quella del tetto predominava il motivo della palmetta. A testa di leone i gocciolatoi. Contenuta anche la cromia: poco azzurro, rosso, oro su alcune modanature e sui cassettoni marmorei, con motivi geometrici o floreali stilizzati. Sfortunatamente ci sono giunte in cattivissime condizioni le sculture del tempio, distribuite su novantadue metope, su un fregio di centosessanta metri che girava intorno alla cella e sui due frontoni. Per connettere in qualche modo i frammenti dispersi e interpretarli si sono rivelati preziosi i disegni eseguiti dal pittore Carrey prima dell'esplosione del Partenone-polveriera nel 1687. Le sculture, in marmo a grana fina erano dipinte e arricchite da dettagli in bronzo probabilmente dorato.
Le metope, pressappoco quadrate, erano quattordici sui lati brevi, trentadue sul lunghi. Sul lato occidentale è rappresentata un'amazzonomachia, lotta di amazzoni, simboleggiante con ogni probabilità la guerra contro i persiani. Del lato nord quasi nulla possiamo dire, perché l'unica metopa leggibile è la trentaduesima, che si pensa raffiguri Iris ed Hera, le divinità rappresentanti i fenomeni naturali e la terra o la vita stessa. Il tema svolto era comunque la guerra di Troia, con gli dei che assistevano alla lotta. La stessa indecifrabilità presenta il lato orientale, rappresentante una gigantomachia. Meglio si sono conservate le metope del lato occidentale, probabilmente perché di più difficile accesso, poiché da quella parte il pendio era più scosceso. Il tema è una Lotta fra Centauri e Lapiti, un popolo mitico della Tessaglia noto per avere liberato quella regione dei Centauri, chiara metafora della lotta tra la bestialità e razionalità. I contendenti sono in parte nudi in parte coperti da clamidi e mantelli. Alla contenutezza espressiva dei Lapiti fa riscontro un'intensissima gamma di emozioni sul volti dei Centauri. Perdute sono le metope dalla tredicesima alla ventunesima.
Ideato da Fidia, il lunghissimo fregio, della cella rappresenta in chiave realistica la processione delle Panatenee, la maggiore festa civile e religiosa di Atene, che si svolgeva in estate in onore della dea protettrice della città. Sul lato occidentale del fregio un corteo di cavalieri con un personaggio che li guida. Sul lato settentrionale ancora una cavalcata: i cavalieri sono preceduti da carri e seguiti da anziani, da citaredi e flautisti, da portatori di offerte, da conducenti di vittime sacrificali. Sul lato meridionale la tematica si ripete. Su quello occidentale un po' meno affollato, le fanciulle ateniesi alla presenza degli eroi e degli dei offrono ad Athena il sacro peplo. Non c'è un momento di monotonia nella rappresentazione: le figure in movimento si alternano a quelle ferme, lo scorcio è risolto con un regredire dei piani e con una variazione di profondità del rilievo. Sono in tutto nel fregio trecentocinquanta figure, che riescono a vivere ciascuna di vita propria, pur integrandosi nell'insieme.
Anche i frontoni sono in cattivo stato di conservazione. Quello orientale recava ai lati il Sole sul carro che sorgeva dal mare e Selene, personificazione della luna, che con la sua quadriga vi sprofondava, al centro (perduta) la nascita di Athena; poco rimane anche di altre figure di divinità che assistevano al prodigio. Più complessa e dinamica la rappresentazione sul frontone occidentale. E' la lotta fra Athena e Poseidone per il possesso dell'Attica, con la partecipazione di divinità e i eroi. Si avvertono anche qui l'idea e la mano di Fidia.
Tutte queste sculture convergevano a esaltare il capolavoro di Fidia, l'Athena Parthenos, il simulacro d'oro e avorio, posto all'interno della cella, della dea simbolo del genio e della libertà ateniesi. La statua era alta circa dodici metri ed erano stati impiegati per la costruzione circa mille chili d'oro, le parti nude erano di avorio, gli occhi di pietre preziose. La dea indossava una lunga veste, recava sul petto una testa di gorgone d'avorio, aveva il capo coperto da un elmo adorno al centro di una sfinge e ai lati di grifi. Nella mano destra reggeva una Nike, la dea della vittoria, coronata d'oro, con la sinistra lo scudo rotondo decorato all'esterno da una testa di gorgone e da un'amazzonomachia. Si affacciava dallo scudo Erichtonios, eroe attico con le fattezze di serpente, accudito alla nascita da Athena, che ne favorì il culto quando divenne re di Atene. Sulla spalla sinistra poggiava la lancia. Una centauromachia ornava le suole dei sandali. Per farci un'idea dell'opera dobbiamo ricorrere alle copie, non infedeli ma scialbe.
Dopo la costruzione del Partenone i cantieri attivi sull'Acropoli non cessarono la loro attività e l'officina organizzata da Iktinos e Kallikrates continuò a dominare la creazione architettonica in Grecia fino alla fine del V secolo a.C. Sull'Acropoli il nuovo tempio esigeva un accesso monumentale. Il precedente ingresso costruito nel VI secolo a.C. non rispondeva più alle esigenze del grande tempio. I lavori cominciarono nel 437-436 a.C. ma non furono mai terminati per l'inizio nel 432-431 a.C. della guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta. A un nuovo architetto Mnesikles strettamente legato all'officina del Partenone per stile e modi costruttivi fu affidato l'incarico.
I Propilei sono costituiti da un corpo centrale con sei colonne doriche sulle due facciate di ovest ed est. L'interno era diviso da una parete a cinque porte in due vestiboli dei quali l'occidentale è il più ampio e ha tre navate separate da due file di tre colonne ioniche. Attraverso la navata centrale passava la via che conduceva agli edifici sacri. Al corpo centrale si affiancava a nord un edificio formato da un'ampia sala e da un portico a tre colonne "la pinacoteca", così detta perché in essa erano conservate opere pittoriche.
A sud dei Propilei s'innalzava il Tempio di Athena Nike, progettato nel 448 a.C. circa da Ipponikos, nipote di Cimone che affidò la costruzione all'architetto Kallikrates. La costruzione divenne oggetto di contesa tra il partito conservatore di Cimone e Pericle che non gradiva che il bastione dell'Acropoli, sede di antichi culti fin da epoca micenea, fosse rioccupato da un culto tradizionale. Soltanto dopo la morte di Pericle, nel 424-423 a.C., il progetto di Kallikrates fu ripreso. Si tratta di un tempio ionico, in marmo pentelico, con quattro colonne sulle due facciate e con un'unica cella. Un fregio continuo correva sui quattro lati ed era decorato con lotte tra greci e orientali alla presenza degli dei, con allusioni forse ai recenti avvenimenti di guerra della città ateniese. La statua di culto, l'Athena Nike, era in legno.
Lungo il lato sud delle mura fu costruito l'Eretteo, di cui ignoriamo il nome del progettista. La costruzione ebbe inizio nel 421 a.C. e completata nel 405 a.c. (tra il 413 e il 409 a.C. fu interrotta per la spedizione in Sicilia). Il corpo principale è costituito da un tempio ionico con sei colonne sulla fronte come accesso alla cella dell'Athena Polias, dove era conservata l'antica statua della dea che si voleva fosse caduta dal cielo; la fronte occidentale è chiusa da un'altra parete. Nel lato nord presenta un vestibolo con quattro colonne ioniche sulla fronte e una su ciascun lato che racchiudeva il segno del colpo del tridente di Poseidone e dava accesso alla cella del dio. Nel lato meridionale sullo stesso asse c'è la Loggia delle Korai, la cui trabeazione è costituita da sei statue femminili (cariatidi) oggi sostituite da copie. Dalla loggetta si accedeva alla tomba di Cecrope. Un fregio con figure ad altorilievo recingevano tutto il tempio, compreso il portico settentrionale.



Arte Etrusca
La storia
Le prime civiltà di cui si ha testimonianza sul territorio italiano sono quelle delle terramare (1500 a.C.) e quella Villanoviana (1000 a.C.) che si sviluppano nell'area della valle padana. Ai diversi popoli presenti sul resto del territorio italiano si aggiungono, tra il 900 e il 700 a.C., nuovi gruppi provenienti anche dal mare; dalla loro fusione con gli antichi abitatori si determina, verso la fine dell'VIII secolo a.C. una grande civiltà: la civiltà etrusca. L'area occupata dagli Etruschi è quella compresa tra il Tevere, l'Arno e il mare Tirreno, la pianura padana e il mare adriatico. L'economia etrusca è basata sul commercio, che si sviluppa attraverso il mare Mediterraneo, dove anche i Greci e Fenici esercitano i loro traffici. Questi popoli contribuiscono a determinare la crisi economica della civiltà etrusca; ostacolati nei loro commerci per mare, gli Etruschi sono infatti costretti a dedicarsi ad altra attività meno redditizie, come l'agricoltura. Dal III secolo in poi essi vengono progressivamente assorbiti dai Romani perdendo ogni autonomia.
Arte Etrusca
Le prime manifestazioni d'arte etrusca risalgono al VII secolo a.C. e si realizzano in un arco di tempo lungo circa seicento anni. Gli Etruschi hanno accolto molti elementi della tradizione greca, ma li hanno filtrati alle proprie esigenze. Nel mondo greco l'arte ha subito una notevole evoluzione, mentre nel mondo etrusco i modelli adottati inizialmente si sono ripetuti per tutto il periodo, mostrando soltanto alcune modifiche nei particolari delle decorazioni. La casa, la tomba, il tempio, le mura, si realizzano sempre secondo lo stesso schema; le soluzioni diverse adottate in rari casi sono dovute a particolari esigenze, quali la conformazione del terreno, la sua natura geologica, la capacità delle maestranze addette ai lavori, la necessità di concludere rapidamente i lavori di costruzione, ecc. L'arte etrusca in ogni sua manifestazione, ha caratteri legati alla vita quotidiana o alle pratiche magico-rituali del culto religioso ed appare comunque lontana da ogni idealizzazione. La gran parte della produzione etrusca conserva un carattere fortemente artigianale e decorativo e solo raramente raggiunge il livello di un'opera personale, eseguita da un artista consapevole del proprio ruolo, apprezzato dalla società in cui vive.
Le testimonianze dell'arte etrusca si riferiscono quasi esclusivamente ad opere di carattere funerario. Proprio all'interno delle tombe (realizzate soprattutto in pietra o scavate nella roccia), infatti sono stati trovati i dipinti parietali, le suppellettili ed i vasi, che costituiscono, in massima parte, ciò che abbiamo della civiltà etrusca. Per quanto riguarda l'architettura, di grande interesse sono i resti di mura cittadine: nelle loro porto viene introdotto un nuovo sistema costruttivo, l'arco, che sarà poi largamente recuperato dalla civiltà romana.
La lingua e l'arte permettono di trasmettere informazioni sulla vita di un popolo; tuttavia, per quanto riguarda gli Etruschi, le informazioni che possiamo avere sono soltanto parziali. Infatti della lingua si conoscono solo un ristretto numero di parole, in quanto i documenti pervenuti sono quasi esclusivamente iscrizioni funebri; pur essendo numerosissime (circa 15 000) esse forniscono pochi dati per la conoscenza degli usi e della vita del popolo etrusco. Anche la documentazione artistica è abbondantissima sono nel settore funerario; non rimangono infatti testimonianze di templi, case, edifici pubblici (all'infuori di pochi resti di mura e porta di città), poiché la maggior parte delle architetture era realizzata con materiali facilmente deperibili. Dalle testimonianze scritte lasciate dai Romani, possiamo tuttavia conoscere con un certa precisione le caratteristiche delle città e di alcuni edifici etruschi.
Dei templi etruschi possediamo pochi resti (a Veio, Ardea, Marzabotto, Satrico, Pyrgi, Fiesole, Orvieto), che riguardano in genere i muri di fondazione e le terrecotte architettoniche che decoravano la copertura. Per ricostruire la struttura ci si è avvalsi di Modellini fittili, come per esempio, di quello rinvenuto nel santuario di Diana a Nemi e della descrizione che ne ha lasciato Vitruvio nella sua opera De Architectura. Era caratterizzato da un ampio sviluppo della parte frontale ed eretto su un alto basamento in pietra, il podio, che lo proteggeva dall'umidità e gli dava slancio, e a cui si accedeva attraverso una scalinata posta solo sul lato anteriore. La pianta era generalmente quasi quadrata e l'interno si componeva di due parti distinte: la pars antica o pronao, con più file parallele di quattro colonne di tipo tuscanico, rielaborazione della dorica, con base, fusto liscio, capitello a echino e abaco spesso circolare, molto distanziate tra loro, e la pars postica, o cella. La cella occupava tutta la larghezza del tempio e presentava all'interno tre ambienti, dei quali quello centrale più ampio, dedicati probabilmente a una triade divina, oppure era costituita da un unico ambiente, con ai lati due ambulacri coperti (alae). I tetti di legno erano a doppio spiovente, coperti da coppi e tegole, sostenuti da travi decorate da lastre di terracotta policrome impreziosite da bassorilievi. Antefisse qualche volta a forma di figure mitiche poste al termine delle file di coppi o tegole trattenevano la copertura del tetto. Acroteri con motivi vegetali o con figure decoravano il frontone, gli spioventi, il colmo. Uno dei resti acroteriali più famosi è l'Apollo del tempio di Veio (500 a.C.), attribuito al grande scultore Vulca.
Architettura
Verso il VII secolo le città ormai formate si completano con grandi mura costruite a blocchi squadrati di forma rettangolare. Nelle mura si aprono le porte di accesso alle città, costruite ad arco; esse sono generalmente tre, corrispondenti alle tre vie principali, cui fanno riscontro tre templi. L'origine dell'arco risale all'architettura orientale, probabilmente mesopotamica, e giunse in Italia, forse per opera dei Greci. Una chiara testimonianza del fatto che gli Etruschi credevano nella sopravvivenza del defunto nell'aldilà sono le tombe considerate come case, dove venivano deposti oggetti utili o i canopi (vasi funerari) che riproducevano le fattezze del morto. Le tombe etrusche si differenziano a seconda dei luoghi e della natura del terreno: a tholos con copertura a falsa cupola, o a ipogeo, camera murata o scavata nella roccia tufacea segnalata all'esterno, soprattutto nei secoli VII e VI a.C., da tumulti di terra leggermente conici, talora di grandi dimensioni, retti alla base da un anello in muratura. A partire dal VI secolo a.C. nelle tombe completamente scavate nella roccia come le tombe di Tarquinia la camera ha soffitto piano o a due spioventi o a cassettoni, talvolta sostenuto da pilastri o colonne per dargli maggiore solidità.
Scultura
Le espressioni migliori della scultura etrusca sono legate al culto funerario, canopi, stele, sarcofagi di pietra. I canopi erano vasi funerari di forma ovoidale o biconica, di terracotta o bronzo, che riproducevano schematicamente nei coperchi a testa umana le fattezze del morto. Sui corpi e sulle anse di questi vasi potevano essere accennate delle braccia. Negli esemplari più antichi a un coperchio normale veniva applicata una maschera di bronzo. In queste teste rese con un'intensità talvolta sconcertante, con i piani visivi bruscamente e assimetricamente giustapposti, sono riscontrabili i primi esempi in Italia di ritrattistica. E' evidente il loro legame con la civiltà villanoviana (secoli IX e VIII a.C.), la più importante della prima età del ferro in Italia, così denominata da una necropoli scoperta a Villanova vicino a Bologna. Le urne cinerarie villanoviane erano infatti coperte con ciotole o elmi, a simboleggiare attraverso oggetti d'uso il defunto. La produzione dei canopi si fece a partire dal VI secolo a.C. così ingente, da rendere inevitabile una standardizzazione: i volti dei coperchi non ebbero più ambizioni ritrattistiche e riprodussero tipi (il maschio, la femmina, il giovane, ecc.). La diffusione dei canopi termina con l'affermarsi delle tombe a camera e il prevalere dell'inumazione dopo la metà del VI secolo a.C. La celebrazione del morto poteva affidarsi anche ad altre forme artistiche, come le stele che riprendevano anch'esse la tradizione villanoviana. Molte, originariamente coloratissime, sono state ritrovate a Volterra e nel territorio bolognese. Erano per lo più a forma di ferro di cavallo, e la tematica era abbastanza ripetitiva: animali, scene di banchetto o danza connesse con i riti funerari, di addio fra il defunto e i sopravvissuti, di viaggio nell'oltretomba, rappresentato da figure alate. A partire dalla fine del III secolo a.C. prende l'avvio un'intensa produzione, più artigianale che artistica, anche se spesso raffinata, di urnette funerarie, cassette decorate a rilievo su tre lati o sulla facciata, e con coperchio raffigurante il defunto adagiato. Il prodotto più originale della ceramica etrusca è il bucchero, generalmente di colore nero, modellato prevalentemente a spessore sottile e decorato con estrema semplicità da graffiti e punteggiature a rilievo. I primi esemplari comparvero nel VII secolo a.C. a Cerveteri e Tarquinia. Nel V secolo a.C. acquistò una certa importanza la produzione di Chiusi. Unico nome di scultore etrusco tramandato da autori latini è quello del famoso Vulca di Veio. Insieme ai suoi allievi realizzò il gruppo di sculture del santuario del Portonaccio presso Veio, fra cui il celeberrimo Apollo, noto come l'"Apollo che cammina". La sua scoperta ha avviato una rivalutazione critica dell'arte etrusca, che manifesta in quest'opera una capacità di autonoma rielaborazione dei modelli greci. L'armonia delle proporzioni, la sapienza delle rifiniture cedono il passo a una tensione irrazionalistica che privilegia il movimento e la corporeità sulla perfezione formale e forza così il tegumento di razionalità dell'arte greca. In questo contesto possiamo situare la Lupa Capitolina (alla quale i gemelli furono uniti sono nel Quattrocento), una scultura in bronzo sobriamente modellata, tesissima, spirante dal corpo e dalle fauci aperte una contenuta ma quasi demoniaca vitalità. Commenti analoghi potremmo fare per la Chimera trovata ad Arezzo (metà del V secolo a.C.), un mostro con corpo leonino, cosa a serpente e sul dorso una testa di capra. Il corpo rivolto minacciosamente verso un nemico, la testa ruggente, le masse muscolari vibranti, è magistralmente modellato. Altri oggetti che ci informano sulla scultura etrusca sono i sarcofagi, casse di terracotta decorate a pittura o a bassorilievo, derivate da tipi più antichi in legno. Molto bello e famosissimo quello detto degli Sposi, proveniente da Cerveteri, databile al 520 a.C., conservato a Roma nel Museo nazionale di Villa Giulia. L'uomo, a torso nudo, poggia la mano sulla spalla della moglie che indossa il chitone e il mantello, porta un berretto di lana cupoliforme, il copricapo tipico etrusco detto tutulus e i calzari a punta detti calcei repandi: i due sono adagiati su un letto conviviale detto kline, stanno quindi partecipando a un banchetto. Le due teste sono state ottenute da un solo stampo e poi lavorate per diversificarle. Il III e il II secolo a.C. vedono la fortuna del ritratto. Si produssero molte teste fittili, ottenute con stampi e variamente ritoccate e riutilizzate, di difficile interpretazione per ciò che attiene ai personaggi rappresentati, ma esteticamente pregevoli. Opere di alto livello dette la statuaria in bronzo. Doveva appartenere a una statua intera il Bruto Capitolino, una testa bronzea, concepita come una massa compatta e geometricamente definita. Le guance tirate, gli zigomi netti, gli occhi taglienti, le linee appena segnate dei capelli e della barba le conferiscono una drammatica fierezza che probabilmente ha motivato l'identificazione del personaggio. Appartiene all'ultimo periodo della civiltà etrusca l'Arringatore, II secolo a.C., ritratto di Aule Metelli, detto appunto l'arringatore. Egli è rappresentato con il braccio destro appena flesso e con il volto calmo e persuasivo nell'atto di pronunciare un discorso. Il ritratto riflette la nuova presenza dei Romani nei territori degli Etruschi, dato che il realismo nella rappresentazione della figura sarà uno degli elementi più caratteristici della scultura romana. L'influenza della scultura classica greca (qualcuno ha citato Lisippo e il suo ritratto di Alessandro Magno) appare evidente in un torso di Apollo in terracotta che faceva parte della decorazione fittile di un tempio di Faleri, l'attuale Civita Castellana. Perfetto è l'equilibrio del torso e del volto, abilissima e raffinata la resa dei capelli.
Pittura
La pittura etrusca non era decorativa o commemorativa: intendeva ricreare l'ambiente terreno del defunto, per provvederlo di tutto ciò che gli sarebbe servito nell'aldilà. Di livelli qualitativi molto diversi, le pitture etrusche rivelano una buona conoscenza della pittura greca e un'assimilazione delle sue conquiste formali. Le maggiori testimonianze di dipinti etruschi si trovano nelle tombe della necropoli di Tarquinia e si riferiscono all'intero periodo della civiltà. Le composizioni risultano sempre vivaci, animate da colori dai toni caldi, dal giallo al rosso, al bruno. Tutte le figure sono rappresentate di profilo, isolate l'una dall'altra e disposte su di un solo piano, sempre definite da una linea netta di contorno; uomini e donne si distinguono soprattutto dal colore della pelle: chiaro per le donne, scuro per gli uomini. I dipinti delle tombe forniscono una grande quantità di informazioni sulla vita sociale e familiare degli Etruschi e sul loro atteggiamento nei confronti della morte, dapprima sereno e fiducioso e poi sempre più oppresso e ossessionato da oscure presenze demoniache.



Arte Romana  La storia
Il lungo periodo dell’antichità si conclude con la civiltà romana, in un fortunato momento storico che vede riuniti sotto un solo impero popoli del vicino oriente e dell’occidente. Le origini di Roma risalgono all’VIII secolo a.C. quando la città cominciò a svilupparsi e ad acquistare importanza fra gli altri centri del Lazio. I primi secoli della storia di Roma coincidono con l’età della monarchia, durante la quale la città subì fortemente l’influenza delle potenti e vicine città etrusche, Veio in particolare. La storia di Roma può dividersi in due lunghi periodi:
-  la repubblica (VI - I secolo a.C.): Roma si afferma sul Lazio, sugli Etruschi, sugli altri popoli italici, sulla Magna Grecia; alla fine del I secolo a.C. è padrona delle terre che si affacciano sul Mediterraneo, dalla Siria alla Spagna, dalle Gallie alla Libia;
-  l’impero (da Augusto a Costantino): Roma organizza sotto di sé popoli molto diversi, a cui offre una stessa lingua (il latino), un identico sistema di leggi, un notevole sistema amministrativo. Le differenze fra l’Oriente e l’Occidente dell’impero si fanno sempre più forti e culminano con la costruzione di Bisanzio-Costantinopoli, Nuova Roma e seconda capitale dell’impero.
Arte romana
Sotto l’aspetto artistico possiamo considerare i seguenti periodi:
-  primo periodo (753 a.C. – 146 a.C.): dalle origini sino alla conquista della Grecia. L’arte dell’epoca dei re e dei primi tempi della repubblica si identifica con quella etrusca; in seguito acquisisce elementi greci con lo svilupparsi di relazioni con la civiltà ellenica e con la conquista della Magna Grecia.
- secondo periodo (146 a.C. – 217 a.C.): dall’occupazione della Grecia a Caracalla. Dopo un inizio d’influssi greci e di imitazione, l’arte romana matura per raggiungere, prima sotto Augusto, poi sotto Traiano e Adriano, l’epoca più gloriosa.
-  terzo periodo (217 d.C. – 476 d.C.): da Caracalla alle invasioni barbariche. Segna il declino dell’arte romana, anche se l’architettura si mantiene ancora viva. Su questo mondo romano che tramonta sorge una nuova era, quella cristiana.
L’arte romana vera e propria, con caratteri originali che rielaborano influssi etruschi, italici e greci, si definisce a partire dal II secolo a.C. Di essa sono giunte sino a noi vastissime testimonianze, relative all’architettura (dove i romani dimostrano grandissima abilità nelle tecniche costruttive), alla scultura (ritratti, rilievi che completano le architetture), alla pittura (affreschi, mosaici). Le più imponenti e complesse architetture si realizzano in età imperiale, fra il I e il IV secolo d.C. L’arte romana fu sempre legata a situazioni contingenti e in gran parte opera di maestranze che producevano quasi in serie e con tempi stretti, per committenti mossi da interessi episodici o sedotti da mode. Nonostante ciò, nel tardo periodo repubblicano anche il mondo romano riuscì a elaborare un linguaggio figurativo autonomo, in strettissimo legame con i fatti storici e con l’evoluzione di Roma, che di questa storia fu per oltre otto secoli il motore. A Roma tutte le correnti culturali del mondo mediterraneo s’incontrarono, si scambiarono elementi e fatalmente assorbirono alcuni caratteri specifici della romanità. Nel III e nel II secolo a.C. l’impatto con le opere originali delle scuole ellenistiche di Grecia e d’oriente, prevalentemente statue, importate a Roma come prede di guerra dai generali vittoriosi, ebbe un duplice effetto: da un lato generò una produzione di imitazioni, dall’altro fornì nuovi modelli e nuovi stimoli agli artisti. Soltanto nell’ultimo secolo della repubblica emergeranno forme tipicamente romane, con il ritratto e il rilievo storico.
Architettura
I Romani sono uomini politici e uomini d’armi; la loro mentalità è proiettata verso la conquista di enormi territori. Le eccezionali reti viarie che tracciano, i ponti, gli acquedotti, le numerose città che impiantano, ci dimostrano quanto fossero consapevoli di voler lasciare una profonda traccia di sé nella storia. Questa consapevolezza spiega il grandissimo sviluppo dell’architettura nella civiltà romana: niente più delle opere di pubblica utilità e degli interventi a larga scala sul territorio, serve ad infondere nei cittadini il senso della potenza dello Stato. L’architettura è l’espressione dell’arte più utile al governo ed in questo campo la civiltà romana elabora forme e tecniche del tutto originali. Il tufo ed il travertino, pietre porose e ricche di cavità interne, sono, insieme all’argilla, i materiali di cui dispongono i romani per le loro architetture: tali materiali suggeriscono l’impiego di piccoli blocchi, legati da malta cementizia. I costruttori romani ottengono, dall’impasto di calce, sabbia e pozzolana (sabbia vulcanica di Pozzuoli, di cui vasti giacimenti sono anche nel Lazio), una malta resistentissima che consente una presa eccezionale. Essi rielaborano così vari tipi di muratura, dal più semplice, opus caementicium, in cui un impasto di malta e frammenti di pietra viene gettato in cassoni di legno, perché ne assuma la forma; ai più complessi, in cui l’impasto viene contenuto fra due pareti di blocchetti sagomati: opus incertum, a forma di cono, o opus reticulatum, a forma di piramide. Nel periodo imperiale i mattoni di argilla seccata all’aria vengono sostituiti da quelli cotti nelle fornaci: ne derivano strutture murarie ben più solide (opus latericium). Questi tipi di muratura favoriscono la costruzione di superfici curve (contrariamente all’architettura greca, impostata su linee rette) ed il sistema costruttivo che caratterizza l’architettura romana diviene l’arco. Mentre nel sistema trilitico l’architrave rischia di spezzarsi se il peso sovrastante è eccessivo, oppure se i sostegni verticali sono troppo distanti, l’arco, con il suo andamento curvo, permette di scaricare meglio il peso della costruzione sui sostegni verticali, distanziandoli anche maggiormente. Gli ambienti risultano così più spaziosi e le colonne o pilastri che sorreggono la copertura diminuiscono di numero.
Dall’arco si originano le coperture a volta:
-  più archi successivi determinano la volta a botte;
-  due volte a botte incrociate ortogonalmente determinano la crociera, compresa fra sei archi, quattro laterali e due trasversali.
Le superfici curve determinano anche la volta a vela e la cupola, che i romani impostano essenzialmente su una base circolare, come nel Pantheon. Archi e volte vengono costruiti con l’aiuto di centine, sostegni lignei sagomati ad arco su cui si dispongono i mattoni e si gettano gli impasti di malta: quando la muratura è secca la centina viene rimossa. L’architettura romana, quindi, riflette inizialmente gli influssi della civiltà etrusca, come risulta anche dallo schema costruttivo del tempio. La cella tuttavia assume maggiori dimensioni, mentre le colonne, oltre che all’ordine tuscanico elaborato dagli Etruschi, si rifanno anche agli ordini greci ionico e corinzio. Il colonnato che circonda esternamente la cella è generalmente ridotto ad una serie di semicolonne addossate alle pareti laterali, mentre sulla facciata principale, secondo lo schema del tempio etrusco, un profondo portico si eleva su di un alto podio a gradini. In età imperiale il tempio, spesso anche a pianta centrale (circolare o poligonale) e ingigantito nelle dimensioni, si arricchisce di nicchie ed absidi, spazi semicircolari ricavati nelle pareti e destinati ad accogliere statue o realizzati per rendere più articolata la pianta di un edificio. La copertura non è più costituita solo da un tetto a due falde, ma anche da volte a botte o a cupola. Nel II secolo a.C. lo schema urbanistico ortogonale era l’impianto più diffuso nelle città ellenistiche, conquistate e rifondate dai Romani come proprie colonie. In quell’epoca Roma era già una città di rispettabili dimensioni. Essendo nata però come federazione di villaggi arroccati su rilievi divisi da un fiume e inframmezzati da terreni paludosi, era cresciuta adattandosi come meglio poteva all’ambiente sfavorevole e aveva assunto un aspetto simile a quello delle città etrusche dell’Italia centrale. L’abitato, addensato sulle pendici dei colli, era attraversato da vie strette e tortuose; gli spazi erano ristretti, gli spostamenti difficili. L’unico punto di riferimento comune, il foro, l’antico mercato del bestiame trasformato in centro della vita religiosa e civile, era confinato in un’angusta valletta ai piedi del Palatino. Roma dunque non rappresentava un modello di città a cui ispirarsi per la fondazione di colonie. Così lo schema razionale ellenistico, che si adattava perfettamente all’impianto tradizionale rettangolare dell’accampamento militare, il castrum, fu prontamente adottato e riprodotto in forme standardizzate prima in Italia, poi nelle più remote province dell’impero, con poche modifiche dettate da motivi pratici, le mura difensive, e religiosi, la delimitazione dei confini sacri, l’orientamento in armonia con l’ordine cosmico. Il castrum quindi da insediamento mobile divenne stanziamento fisso. Gli assi principali lungo i quali si distribuivano le tende dei soldati (cardo e decumano) si trasformarono negli assi viari più importanti della città. All’incrocio fra cardo e decumano si costruiva generalmente il Foro. Le nuove città sorgevano preferibilmente in zone pianeggianti, all’incrocio delle grandi vie di comunicazione, che permettevano rapidi spostamenti militari e fecondi scambi commerciali. Nel Foro di Roma, oltre ai templi ed alla Curia (dove si riuniscono i senatori), il tipo di edificio di maggior rilievo è la basilica, luogo di riunione dove si amministra anche la giustizia. La basilica romana deriva dai semplici porticati che, nel mondo greco, costituivano un punto di ritrovo all’interno dell’agorà, la piazza cittadina. Essa è costituita da un’aula rettangolare, la cui copertura è sostenuta da una o più file di colonne. Le basiliche più antiche sono caratterizzate da numerose aperture disposte lungo i lati; nei periodi più tardi lo spazio interno è invece delimitato più nettamente e la basilica diviene un edificio monumentale. Le vie del Foro, attraversate dai cortei vincitori al ritorno dalle campagne di conquista, sono abbellite da archi di trionfo, sulle cui superfici, come su quelle delle colonne commemorative, i bassorilievi rappresentano episodi storici che celebrano la potenza romana e tramandano le gesta dei grandi condottieri e imperatori.
Le case d’abitazione romane in epoca repubblica possono essere distinte in due tipi fondamentali: da un lato le dimore dei cittadini benestanti, le case unifamiliari ad atrio di derivazione italico-ellenistica, le domus; dall’altro i grandi condomini “popolari” a più piani divisi in appartamenti, le insulae. Di quest’ultime restano esempi soprattutto a Ostia. Costruite o sommariamente riattate da speculatori senza scrupoli con il pretesto di dare asilo alle masse, avevano strutture in conglomerato cementizio rivestito di laterizio, tetti generalmente inclinati coperti con tegole, balconi e ballatoi retti da mensole di legno o pietra. Gli appartamenti, in cui spesso coabitavano più nuclei familiari, erano distribuiti su quattro o cinque piani. Le stanza erano piccole, buie, fredde (l’uso di bracieri per cucinare e scaldarsi era causa di frequenti e disastrosi incendi), senza acqua corrente né scarichi fognari. Naturalmente differente l’esistenza che si conduceva nelle abitazioni patrizie, spaziose, areate, igieniche, fornite di bagni e gabinetti e riscaldate d’inverno dagli ipocausti, complessi dispositivi che facevano passare correnti d’aria calda sotto i pavimenti. Gli esempi più antichi rinvenuti a Pompei dimostrano che già nel IV-III secolo a.C. la casa “ad atrio” era già definita nei suoi elementi essenziali: una porta (ostium) preceduta da un ingresso (vestibulum) e seguita da uno stretto corridoio di accesso (fauces), affiancato da stanze di servizio; un’ampia sala centrale (atrium) coperta dalle quattro falde del tetto spiovente verso l’interno (compluvium) per poter convogliare l’acqua piovana in una vasca al centro dell’atrio (impluvium) da dove si raccoglie in una cisterna sotterranea. Intorno all’atrio si dispongono alcune camere dal letto (cubicula) e due ambienti di disimpegno aperti (alae) alle sue estremità, mentre in fondo all’atrio si trova una sala di soggiorno (tablinum) affiancata da un corridoio di passaggio all’orto-giardino (hortus) alle spalle della casa. Nel corso del II secolo a.C. l’originario hortus si trasformò in un leggiadro giardino (peristilium) con fontane e statue, che era circondato da quattro ali di portico a colonne sul quale, si affacciavano le principali stanze di soggiorno. Gli interni si arricchirono di marmi policromi, affreschi, statue, mosaici. Fu nell’ambiente privato, infatti, che i Romani poterono dare libero sfogo al nuovo gusto per l’arte, alimentato dai bottini di guerra ma ancora condannato dalla pubblica morale.
Un altro complesso architettonico di grande importanza è costituito dalle terme. I primi edifici termali sorgono in età repubblicana; a Pompei ne abbiamo un esempio. Le terme del periodo imperiale, frequentate soprattutto dai patrizi, divengono costruzioni grandiose. Un vasto edificio centrale contiene le aule termali con piscine di acqua fredda, tiepida e calda, le palestra per la lotta ed i giardini; esso appare isolato in un grande recinto lungo il quale sono disposte biblioteche e servizi e che accoglie anche una gradinata per il pubblico che assiste agli spettacoli ginnici. Le terme romane di Traiano, Cavalla e Diocleziano sono impostate su questo schema.
Nella vita cittadina dei romani acquistano grande importanza anche le manifestazioni culturali ed i giochi gladiatori. Il teatro romano si sviluppò nell’ultimo secolo della repubblica. Le strutture precedentemente adibite a questa funzione (ritenuta disdicevole) erano in legno e provvisorie per legge. Il teatro romano, riprende lo schema del teatro greco, ma lo modifica sia nella costruzione della scena, che nella cavea. Quest’ultima non si adatta più necessariamente al pendio naturale di un colle, ma sorge in una zona pianeggiante del territorio o anche in piena città, ovunque si richieda la costruzione del teatro. Le poderose strutture ad arco che sostengono le gradinate diventano così parte essenziale dell’edificio e lo caratterizzano esternamente. Il fondale alle spalle degli attori, che chiude l’orchestra, non è più un semplice muro, bensì un’altra parete ornata da due o tre ordini di colonne sovrapposte, che in età imperiale si incava con absidi. In essa si aprono tre porte, che conducono agli ambienti riservati agli attori.
L’anfiteatro, elaborazione ulteriore del teatro, è un edificio tipicamente romano ed il suo nome significa proprio doppio teatro. Ha una forma ellittica, con l’arena posta generalmente più in basso rispetto al piano stradale per limitare lo sviluppo in altezza dell’edificio e consentire, al tempo stesso, di ricavare tutta l’ampiezza necessaria alla grande cavea, divisa in settori destinati a differenti tipi di pubblico. In basso, in prossimità dell’arena, siedono l’imperatore ed i personaggi di maggior rilievo; via via, risalendo, si arriva alla zona riservata alla plebe, che assiste in piedi agli spettacoli. L’arena scavata nel terreno può essere inoltre allagata e consentire lo svolgersi di battaglie navali. L’anfiteatro Flavio, detto popolarmente Colosseo, eretto in epoca imperiale, costituisce l’esempio più grandioso di questo tipo di costruzione.
Fuori delle città, con una distribuzione di ambienti che non ricalca quella delle abitazioni urbane, sorgono in epoca imperiale grandiose ville, dimore di campagna dei ricchi proprietari e degli imperatori. Sia che assumano una forma aperta e articolate nel territorio, come la villa Adriana a Tivoli, oppure chiusa e di carattere militare, come nel palazzo di Diocleziano a Spalato, le ville imperiali, con la loro varietà di ambienti, costituiscono edifici di insuperabile monumentalità, che riassumono tutte le più raffinate tecniche costruttive del mondo romano.
I Romani, dunque, privilegiano l’architettura fra le arti e l’attività del progettista è considerata più nobile di quella dello scultore o del pittore, perché meno «manuale». Tutte le arti, comunque, concorrono a tramandare la grandezza di Roma: pittura e scultura sono considerati efficaci strumenti di informazione e propaganda, perché raccontano gli eventi e li commentano con un linguaggio comprensibile a tutti.
Scultura
Il patrimonio scultoreo romano rimastoci, a differenza di quello pittorico, è cospicuo. La matrice prevalente è quelle ellenistica, ma si avvertono anche influenze etrusche. Questi caratteri rimasero vivi anche dopo il II secolo a.C., quando Roma fu letteralmente presa dalla mania per l’arte greca: i Romani gareggiarono nell’adornare case e giardini con le statue importate dalla Grecia e dall’oriente, e poiché gli originali non bastavano a soddisfare le richieste, si cominciò a produrre copie. Intere scuole (per esempio, quella ateniese detta neoattica) trasferirono la loro attività a Roma, al servizio dei committenti, lungi dall’apprezzare il valore estetico e formale dell’arte greca, si preoccupavano soprattutto che il contenuto delle loro opere fosse coerente con la loro ambientazione architettonica. Questa propensione all’eclettismo produsse anche opere interessanti, come quelle della scuola di Pasiteles, per esempio, scultore greco attivo a Roma intorno alla metà del I secolo a.C., di cui si racconta che fosse erudito d’arte, provetto modellatore d’argilla e insigne del minuzioso naturalismo ellenistico. La scultura romana troverà accenti originali solo alla vigilia dell’impero, quando dalla fusione del verismo ellenistico e del crudo realismo medio-italico si svilupperà uno stile con forti legami terreni, oggettivi, vicino alla mentalità civile e religiosa di Roma. Questo stile si manifesterà soprattutto nel rilievo storico e nel ritratto. Presso i Romani, fin dal periodo repubblicano, è diffusa l’usanza di onorare i cittadini importanti con ritratti, che fissano realisticamente le caratteristiche del loro volto per tramandarne ai posteri la memoria e la fisionomia. Il ritratto onorario si diffonde rapidamente fra le famiglie dei patrizi e non riproduce quindi solo le sembianze di personaggi storici, ma anche di capi di famiglia o parenti illustri. Molto in uso è anche la ritrattistica funeraria già assai diffusa presso gli Etruschi, ed entrata a far parte della tradizione romana; la figura del defunto, generalmente a mezzo busto, avvolta nella toga ed in posizione frontale, appare spesso accompagnata da uno o più parenti. Probabilmente eseguiti quando il personaggio è ancora in vita, questi ritratti funerari riflettono un forte senso della famiglia, tipico dell’espressione popolare romana. Dal I secolo a.C. vengono realizzate, naturalmente, anche moltissime statue dell’imperatore. Con l’espandersi dell’impero ed il rafforzarsi della potenza romana, il ritratto dell’imperatore, venerato come un dio, perderà via via le sue caratteristiche umane, fino ad acquistare, sotto Costantino, dimensioni ingigantite, frontalità e totale mancanza di espressione. L’autorità imperiale, divina, si innalza sopra i sudditi ed è raffigurata in immagini monumentali in cui il realismo della rappresentazione è ormai completamente perduto. Nei bassorilievi e altorilievi, in tutti i periodi della civiltà romana, prevalgono i soggetti storici. L’Ara Pacis (altare consacrato alla pace nel I secolo a.C.), le grandiose colonne onorarie di Traiano, Antonino e Marco Aurelio (che raffigurano le vittorie romane sui barbari), le decorazioni degli archi di trionfo, ne sono un esempio. In questi monumenti onorari i romani sviluppano delle narrazioni assai complesse: le scene non sono divise in riquadri, ma si snodano lungo fasce ininterrotte di figure, elementi di paesaggio e architetture, in un originalissimo esempio di messaggio in sequenze. I soggetti storici vengono rappresentati anche sulle pareti dei sarcofagi, insieme ad episodi della mitologia che si riallacciano al tema della morte. Sempre nei sarcofagi sono anche frequenti le scene che si riferiscono alla vita quotidiana ed all’attività lavorativa del defunto.
Pittura
Le testimonianze della pittura romana si trovano soprattutto nelle abitazioni di Ercolano e Pompei. I soggetti, rappresentati ad affresco, sono generalmente tratti dalla mitologia che ispira immagini decorative e scene di grande vitalità; le figure sono ricche di movimento e rilievo ed i paesaggi e le architetture creano effetti illusori di profondità. In un primo periodo le pareti sono spartite in zoccoli, riquadri, cornici, pilastri differenziati dal colore che imita un rivestimento marmoreo senza raffigurazioni di scene (stile a incrostazione). Verso la metà del I secolo a.C. si afferma invece la rappresentazione di finte architetture, che ampliano illusoriamente lo spazio degli ambienti (stile architettonico). Successivamente si torna alla parete divisa in cornici dipinte; al posto delle finte lastre di marmo vengono però rappresentate figure dipinte con rapide pennellate, su fondi di un solo colore; quadri di genere, di soggetto mitologico o paesistico (stile ornamentale). Nell’ultimo periodo dell’impero, infine, si torna alla rappresentazione di elementi architettonici in prospettiva, ma in modo molto più decorativo e sovraccarico di particolari (stile illusionistico). Oltre all’affresco anche il mosaico viene utilizzato per la decorazione degli ambienti, sia delle pareti che, più spesso, dei pavimenti. I soggetti sono ancora di carattere mitologico; non mancano però quelli di tipo storico o di tipo naturalistico, ispirati alla fauna ed alla flora. Il mosaico viene realizzato con tecniche diverse, chiamate:
-   opus tessellatum: che utilizza tessere bianche e nere per disegni geometrici, incorniciature;
-   opus vermiculatum: che utilizza piccolissime tessere disposte in linee secondo l’andamento delle forme delle immagini raffigurate;
-  opus sectile: che utilizza strette lamelle di marmo colorato, ritagliate secondo i particolari delle forme delle figure e sistemate a intarsio.
Anche se non sono giunti fino a noi esempi di pittura su tavola, sappiamo dalle testimonianze scritte che i romani la utilizzavano largamente. Durante i cortei trionfali i cartelloni dipinti raccontavano le gesta dei soldati, nei processi illustravano i reati commessi dall’imputato e nelle vie cittadine caratterizzavano le insegne dei negozi.



Arte paleocristiana
Arte paleocristiana
L’arte che si è sviluppata nei primi secoli del cristianesimo (tra il II e il VI secolo d.C.) sul territorio dell’Impero Romano viene denominata arte paleocristiana. Come è noto il cristianesimo ha subito nei primi secoli delle persecuzioni. Il contrasto con lo Stato era dovuto al rifiuto da parte dei cristiani di adattarsi al formalismo ritualistico che imponeva una serie di cerimonie propiziatorie per la sicurezza della res publica e in particolare il culto dell’imperatore. In questo periodo l’arte cristiana in Occidente mostra profondi legami con l’arte del tardo-impero: nella cultura romana degli ultimi secoli viene rappresentata sempre di più, ed in modo solenne, la figura idealizzata, dell’imperatore che, incarnando un’autorità non più soltanto umana, viene divinizzato. Le immagini del tardo impero acquistano così un valore simbolico e la diffusione del Cristianesimo, che usa immagini simboliche, viene agevolata proprio da questa abitudine, ormai radicata nella cultura, a considerare l’immagine come portatrice di significati che vanno oltre ciò che rappresentano. Dopo l’editto di Milano (313 d.c.) tutto cambia: la nuova politica costantiniana fa raggiungere livelli di massa alla produzione artistica d’ispirazione cristiana, che si arricchisce di nuovi motivi. L’arte cristiana si esprime ufficialmente ed artisti abili ed apprezzati decorano le basiliche con episodi biblici e scene della vita dei Santi, attraverso immagini assai curate nella composizione e negli accostamenti di colore. Ma soprattutto nelle opere monumentali cominciano a definirsi nuovi spazi architettonici con funzioni precise, differenziate e inedite. Nella concezione cristiana, la morte rappresenta il passaggio alla vita eterna, alla piena comunione con il Padre creatore. In continuità con la tradizione ebraica, anche i cristiani non bruciano sul rogo i cadaveri dei defunti (incinerazione), ma li seppelliscono sottoterra, in sarcofagi o in loculi scavati nel terreno. Dal II secolo d.C. vengono così realizzate a Napoli, a Siracusa, a Roma, nell’Africa settentrionale delle grandi necropoli: sottoterra i cristiani scavarono dei cunicoli disposti su più piani, in modo da poter ospitare centinaia di salme. Questi coemeteria (da koimào, dormo) sono comunemente conosciuti come catacombe, dal nome del cimitero più famoso nel Medioevo, che si trovava sulla via Appia, nella località chiamata Ad catacumbas. Sulle pareti delle gallerie i loculi per le salme, scavati nel tufo, sono rinchiusi con tegole o lastre di marmo; una semplice moneta, alcune iscrizioni o frammenti di vetro disposti in modo opportuno, servono a contraddistinguere una sepoltura dall’altra. I sepolcri dei martiri sono più grandi e maggiormente decorati. Le gallerie che costituiscono le catacombe convergono, in alcuni punti, verso piccoli ambienti, le cripte (dal greco kryptos, luogo coperto e nascosto) destinate a funzioni religiose e riunioni collettive. La decorazione delle pareti, sempre ad affresco, è riservata prevalentemente a questi ambienti. Nei rilievi e negli affreschi cristiani si utilizzano i motivi ornamentali e i temi della pittura parietale romana: in essi, però, vengono trasferiti i contenuti del nuovo culto e vengono utilizzate quelle immagini che meglio si prestano ad assumere significati cristiani. Ad esempio una vittoria alata può diventare la rappresentazione di un angelo; una scena di banchetto diventa “l’ultima cena”; i motivi naturalistici legati al mito di Bacco e che rappresentano foglie e grappoli d’uva, diventano simbolo del messaggio evangelico (… Io sono la vite, voi siete i tralci [Giovanni 15 (1-11)]).
Architettura
Anche per quanto riguarda l’architettura i cristiani utilizzano tecniche costruttive e modelli di edifici del mondo romano. Le primi sedi cristiane anteriori all’editto di Costantino vengono definite domus ecclesiae. Gli esempi più interessanti sono conservati a Quirqbize, in Siria, e a Dura Europos, una piccola città al confine siriano dell’impero romano. La domus di Dura Europos consiste in una piccola casa a un piano con un cortile, sul quale si affacciano alcune stanze: una sala che può contenere cinquanta-sessanta persone, nella quale era collocata la cattedra del vescovo, una seconda grande la metà forse destinata ai catecumeni. Una di tali stanze aveva il soffitto decorato di stelle e una vasca sormontata da una volta a botte ugualmente decorata di stelle, mentre nella lunetta era il Buon Pastore con il gregge; su una parete i resti di una composizione con tre donne con una face che avviano verso la casa. Quando però il cristianesimo, dopo il 313, poté dotarsi di edifici di culto pubblici, si ispirò a una tipologia edilizia preesistente, quella della basilica tardo romana. Con il suo ambiente rettangolare e divisa in navate da colonnati interni, la basilica romana si adattava perfettamente alle esigenze del culto cristiano, che prevedeva la partecipazione di gruppi numerosi di fedeli ai riti religiosi. Nella basilica romana le entrate sono generalmente aperte nei lati più lunghi, in quella cristiana, invece, vengono sostituite dalla porta situata in uno dei lati minori. In questo modo il percorso all’interno dell’ambiente diventa un cammino guidato verso l’altare, posto in fondo, nella zona più sacra riservata ai sacerdoti celebranti e che, nella basilica romana, era invece destinata ai giudici. Prima di entrare nella basilica cristiana si passava attraverso un atrio, i cui quattro lati erano porticati, detto perciò quadriportico, dove sostavano i catecumeni (coloro che si stanno preparando a ricevere il battesimo). Il lato del quadriportico adiacente alla facciata della basilica era detto anche nartece. L’interno della basilica era una vasta aula rettangolare, divisa longitudinalmente in una, in tre o in cinque navate, la centrale delle quali maggiore delle altre per larghezza e lunghezza. All’interno della basilica si accedeva da diverse porte in corrispondenza delle navate. Di fronte all’entrata centrale si apriva un abside semicircolare, sormontata da una volta a quarto di sfera, detta conca. Nelle basiliche più tarde troveremo anche un braccio trasversale, il transetto, che conferisce simbolicamente alla pianta la forma di una croce latina. Esistono anche, in numero minore, costruzioni a pianta centrale dette a croce greca: due corpi rettangolari di uguale lunghezza e larghezza. Le più antiche basiliche di Roma sono state rifatte parzialmente o integralmente in epoche più tarde, come Santa Maria Maggiore del V secolo o San Paolo fuori le mura. Anche San Pietro fu riedificata tra il XVI e il XVII secolo, ma la documentazione archivistica ci aiuta a ricostruirne l’aspetto primitivo. Oltre alla basilica, anche gli schemi del tempio a pianta centrale e del mausoleo romano vengono utilizzati nell’architettura cristiana per i battisteri egli edifici funerari, coperti generalmente da una cupola decorata a mosaico, al centro dei quali è posta la vasca per il battesimo o il sarcofago del defunto. Entrambe le costruzioni hanno forma ottagonale. Sant’Ambrogio approva la costruzione a otto lati: la forma ottagonale acquista un valore simbolico in quanto ai popoli venne concessa la vera salvezza, quando, all’alba dell’ottavo giorno, Cristo risorse.
Pittura
I dipinti delle catacombe costituiscono le prime forme dell’arte cristiana. Il cristianesimo aveva elaborato un patrimonio di immagini che esprimevano concetti morali in cui potevano identificarsi uomini e donne indipendentemente dalla loro religione. Così l’immagine del pastore con la pecora sulle spalle (il Buon Pastore) esprimeva l’amore verso il prossimo; l’Uomo con un rotulo e accanto la musa, l’ispirazione a una vita armoniosa e la speranza della pace nell’aldilà. Sono eseguiti ad affresco, con una pennellata rapida, sommaria, secondo lo stile compendario romano. Le figure appaiono quasi abbozzate, su fondi bianchi o molto chiari, com’era richiesto da luoghi privi di luce. Dal III secolo d.C. i temi neutri si mescolano ad altri che in maniera molto semplificata alludono ai miracoli di Cristo: un uomo in preghiera in piedi dentro una cassa è sufficiente ad evocare il diluvio universale e l’arca; la colomba di Noè esprime la fine del diluvio e dunque il patto di Dio con l’uomo. Fino al IV secolo prevale nella pittura murale una committenza popolare e un’esecuzione povera. I temi biblici sono enunciati in maniera molto sintetica, non narrativa; i soggetti prediletti sono quelli della giustizia e dell’aiuto divino, mentre più rare sono le rappresentazioni della vita cristiana. Si evita inoltre di dare un’immagine reale del Cristo: la Moltiplicazione dei pani è raffigurata con un agnello che con una bacchetta tocca una serie di cesti.
Dopo l’editto di Milano la situazione muta. Sorgono nelle catacombe tombe sontuose addirittura rivestite di marmi e mosaici. I mosaici rappresentano la pittura paleocristiana del IV  e V secolo: in un primo tempo le figure spiccano su fondi celesti; di pari passo si abbandona gradatamente l’effetto di rilievo per ricercare effetti di colore, appiattendo le immagini: un modo di creare un’atmosfera soprannaturale. Il più antico mosaico pervenutoci a Roma è quello della volta anulare del Mausoleo di Santa Costanza. Vi sono rappresentate delle tralci di vite, che nascendo dal terreno, stendono sulla volta i loro rami carichi di grappoli in un motivo di girali. Su i due lati vi sono altre scene di vendemmia: carri colmi d’uva, trainati dai buoi e guidati da putti, si avvicinano verso edicolette entro le quali, gli altri putti pigiano con i piedi l’uva raccolta. Da un lato è rappresentato un evento ricorrente, il lento scorrere della vita nei campi, dall’altro viene sottolineata la forza vitale del vino spremuto, in un’analogia fra il vino e il sangue versato da Cristo per la salvezza dell’uomo.
Dopo il 313 il repertorio d’immagini nelle catacombe si allarga a dismisura. La trasformazione più profonda tocca l’immagine di Cristo. Dal maestro giovane, vestito d’una tunica e una toga bianca, si passa verso gli ultimi anni del secolo alla raffigurazione d’un uomo maturo, con la barba, esemplato sul tipo tradizionale del filosofo, con veste di porpora e manto, sandali d’oro. Non siede più su una roccia, ma su un trono tempestato di gemme e ai suoi piedi ha una pedana. E’ il Signore, re dei re, cui spettano le insigne di imperatore. Nello stesso tempo, però, in avori intagliati o in sculture come quelle della porta di Santa Sabina, troviamo la rappresentazione realistica della Passione, dove Cristo appare come il primo dei martiri. Ci si avvia così verso il culto dei santi e una considerazione per un dio onnipotente e remoto, che caratterizza l’arte e la spiritualità medievali.
Scultura
La scultura paleocristiana si manifesta soprattutto nei bassorilievi e negli altorilievi dei sarcofagi. Essi riprendono il modello romano della cassa funeraria marmorea, il cui coperchio è a forma di tetto o di volta a botte. Insieme alle decorazioni naturalistiche o geometriche usate anche dai pagani, vengono rappresentate le immagini del Buon Pastore, dei profeti, di Cristo che consegna le leggi divine agli apostoli Pietro e Paolo. Oltre a quelli ornati con raffinatezza, e destinati a personaggi di rilievo, esiste una vasta produzione di sarcofagi realizzati in modo meno accurato; in essi la testa della figura centrale viene appena abbozzata, per essere completata, successivamente, con le fattezze del defunto a cui è destinata.