BARBAROUX Charles Henri Marie BARÈRE DE VIEUZAC Bertrand BARNAVE Antoine BERTIER DE SAUVIGNY Louis Bénigne BESENVAL Pierre Victor (de) BEURNONVILLE Pierre Riel (comte puis marquis) BILLAUD-VARENNES Jacques Jean BONNEVILLE Nicolas (de) BOUILLE François Claude Amour (marqui de.) BOURBOTTE Pierre BRISSOT Chartres BROGLIE Victore François BUZOT François Nicolas Léonard CAMBACERES Jean-Jacques-Régis de ( 1753 - 1824 ). CAMBON Joseph CAMUS Armand Gaston CARNOT Lazare Nicolas Marguerite CARRA Jean-Louis CASTHELINEAU CHAPPE Claude (l'abbé) CHARLES X Charles de France, comte d'Artois CHAUMETTE Pierre Gaspard dit ANAXAGORAS (1763-1794) CLAVIERE Etienne COLLOT D'HERBOIS Jean Marie CONDÉ Louis Joseph de Bourbon ( prince de) CORDAY D'ARMONT Charlotte CUSTINE Adam Philippe DANTON Georges Jacques DE BRY Jean Antoine Joseph D'EGLANTINE Nazaire François Philippe FABRE DELACROIX Jean-François Lacroix, ou DELMAS Jean François Bertrand DESÈZE ou DE SÈZE Raymond Romain (comte) DESMOULLINS Camille DILLON Arthure (comte) DILLON Théobald ( chevalier de ) son frère DUBOIS-CRANCE Edmond Louis (dit Dubois de Crané) DUMOURIEZ Charles François DUPORT ou DU PORT Adrien Jean François FLESSELLES Jacques (de) FOULLON Joseph François FRAVRAS Thomas de MAHY (marquis de) GARAT Dominique Joseph GENSONNÉ Armand GILLET François GIRONDIN GONCHON Clément GRÉGOIRE Henry (l'abbé) GUADET Marguerite Elie GUYTON DE MORVEAU Louis Bernard (baron) HEBERT Jacques René HÉRAULT de SECHELLES Marie Jean ISNARD Honoré Maximin JOURDAN Mathieu Jouve (dit JOURDAN COUPE-TETE) LAFAYETTE Marie Joseph Paul Yves Roch Gilbert (marqui de.) LAMBESC Charles Eugène de LORRAINE duc d'ELBEUF et prince (de) LASOURCE Marie David Albin LAUNAY Bernard JORDAN (de) LAVOISIER Antoine Laurent LE CHAPELIER Isaac René Guy LE PELETIER de SAINT-FARGEAU LOUIS MICHEL LEFRANC Jean Georges de POMPIGNAN LINDET Jean Baptiste Robert LOUIS XVI LUCKNER Nicolas MAILHE Jean Baptiste MALESHERBES Chrétien Guillaume MANUEL Pierre louis MARAT Jean Paul MARIE-ANTOINETTE MERLIN Philippe Antoine (comte) MIRABEAU Honoré Gabriel RIQUETI (comte de) MOMORO Antoine François MOUNIER Jean Joseph NECKER Jacques (1732-1804) ORLÉANS Louis Philippe Joseph (duc d') PASCAL ou Pasquale Paoli PETION de VILLENEUVE Jérôme PHILIPPE EGALITE' Louis, Philippe, Joseph Duc d'Orléans PRIEUR DE LA MARNE Pierre Louis QUINETTE Nicolas Marie (baron de Rochemont) ROBESPIERRE Maximilien (de) ROCHAMBEAU Jean Baptiste Donatien de Vimeur (comte de) ROLAND de la Platière Jean Marie ROUGET DE L'ISLE Claude Joseph ROUX Jacques SAINT-JUST Louis Antoine SALICETTI Antoine Christophe SERVAN DE GERBEY Joseph SIEYÈS Emmanuel Joseph (dit l'abbé Sieyès) STOFFLET Jean Nicolas THÉROIGNE DE MÉRICOURT Anne-Josèphe Therwagne THOURET Jacques Guillaume TREILHARD Jean BaptisteVARLET Jean François VERGNIAUD Pierre Victurnien E tuttavia la sua causa, già difesa da Sainte-Beuve, non è difficile da perorare con successo. Le abitudini di quel tempo non sono più le nostre. A quell'epoca, che per tanti aspetti e costumanze è ancora tanto vicina all'ancien régime, il servizio del re si paga sempre in denaro e in ricompense, che non alterano la dignità della funzione o del ruolo, anzi ne costituiscono il riconoscimento. Mirabeau appartiene tanto più a questa tradizione in quanto desidera con passione di essere ufficialmente ciò che è in segreto: ministro del re di Francia. Coltiva tale progetto fin dal 1781, quando esce da Vincennes: "Mi ci vogliono ancora quindici o vent'anni, e posso arrivarci benissimo. Appena non sarò più adatto all'amore, non avrò più niente da fare qui, a meno che non sia ministro." Ed è la rivoluzione che gli dà i mezzi per percorrere questa carriera-tipo di un aristocratico del XVIII secolo: le donne, poi la politica. Non si è risparmiato nessun intrigo, non ha trascurato nessuna relazione per spingere avanti la sua candidatura: ha parlato con Necker, ha fatto aperture alla corte, ha preso contatto col partito orléanista, ha delle relazioni con i giacobini. Ma tutti conoscono il suo passato e sospettano le sue intenzioni. La coppia reale detesta tutto ciò che egli rappresenta. L'Assemblea è gelosa del suo talento e della sua popolarità: nel novembre 1789 ha votato, contro di lui, che nessun deputato potrà essere ministro del re. Sarà dunque il suo ministro segreto: trattato ineguale, che lo priva della pubblicità della funzione e rende aleatorio l'impegno del re. In effetti la famiglia reale lo paga più per sondarlo che per seguirlo, e ne paga anche altri. Mirabeau invece fa di questo mercato clandestino il più alto magistero del regno. Basta leggere le note periodiche che invia a Luigi XVI e a Maria Antonietta per capire che le redige come se presiedesse il Consiglio reale d'un tempo. Del resto, il 3 febbraio 1791, a proposito del viaggio di Mesdames (le zie di Luigi XVI) a Roma, gli sfugge una frase che lo ritrae perfettamente: "Nel Consiglio, avrei certamente espresso l'opinione che..." Se prende così sul serio questa funzione un po' ridicola, se è così lontano dal considerarla un espediente finanziario - lui che è così portato a giudicare gli uomini con cinismo - non è solo perché essa gli offre una rivincita sulla sua giovinezza, una posizione che avrebbe potuto impressionare suo padre. E soprattutto perché gli permette di difendere le sue idee. Consentendogli l'accesso diretto a Luigi XVI e a Maria Antonietta, essa gli dà la speranza di realizzare la sua più nobile ambizione, che è di riconciliare la rivoluzione e la monarchia, per la salvaguardia della libertà. Il suo amico La Marck, che conosce tutta la storia perché è lui che funge da intermediario con Maria Antonietta, ha ben riassunto il ruolo di Mirabeau: "Si fa pagare solo per restare della propria opinione. La convinzione di Mirabeau dipende dal fatto che per lui la rivoluzione ha svolto la sua funzione, a partire dal 1789, fondando da una parte la sovranità del popolo, dall'altra una società di cittadini uguali davanti alla legge. L'appropriazione del potere costituente da parte dei deputati, in nome della nazione, in giugno-luglio, e i decreti del 4-11 agosto che hanno posto fine al sistema feudale: questo è risultato dalla rivoluzione, e questo risultato è irreversibile. Ma se esso ha spazzato via la monarchia di diritto divino, non è affatto incompatibile con una monarchia di nuovo tipo: l'esistenza di una società fatta di individui uguali, in contrapposizione alla vecchia società dei corpi costituiti (a Richelieu sarebbe piaciuta quest'idea, scrive Mirabeau a Luigi XVI), è anzi un cambiamento che favorisce l'esercizio di un forte potere regio. Ora, questo potere è tanto più necessario in quanto il regime di assemblea rappresentativa, instaurato dalla Costituente sotto l'influenza di Sieyès, rischia di alienare la sovranità nazionale a una nuova aristocrazia parlamentare: Mirabeau non ha mai cessato di indicare, nei suoi discorsi, soprattutto a partire dal settembre 1789, e quindi molto prima di entrare al servizio di Luigi XVI, che un re forte era una garanzia per la nazione di fronte a un'assemblea incaricata di fare la legge. Il re, del resto, è una figura della storia nazionale che risale ai tempi più remoti, che unisce il passato al presente, e fornisce alla democrazia moderna l'appoggio dell'autorità tradizionale. Mirabeau è Chateaubriand con trent'anni d'anticipo: egli vuole "nazionalizzare" la monarchia. Che cosa cerca di fare, presso il re e l'Assemblea, questo grande attore sdoppiato? Separare la famiglia reale dalla controrivoluzione, che è un vicolo cieco, una politica senza prospettive. Influire sulla Costituente nel senso di un equilibrio dei poteri e di ciò che egli chiama una buona costituzione. A corte difende la rivoluzione, o i suoi risultati irreversibili. All'Assemblea difende il re, o il mantenimento dell'autorità regia in nome della nazione. E vero che, posto nell'insostenibile situazione di incarnare la rivoluzione e di sostenere il potere regio - mentre la rivoluzione respinge il re nel passato e il re rifiuta la rivoluzione - egli non mantiene sempre il controllo del proprio genio. All'Assemblea, di fronte alla violenza della destra controrivoluzionaria, gli capita di oltrepassare i limiti che si era imposto e di farsi una nuova provvista di popolarità con bordate di retorica rivoluzionaria. Nelle note destinate al re, si impania talvolta in meschini intrighi e si lascia trasportare dall'odio per La Fayette. Ma in fondo rimane lo spirito più libero dell'epoca, proprio perché conosce i due campi e in entrambi è solo. È - forse - l'uomo più grande della rivoluzione, perché ha saputo incarnarla senza perdersi in essa: il "tradimento" del conte di Mirabeau è il suo dialogo con se stesso. Quando muore, il 2 aprile 1791, alla vigilia di Varennes, il suo grande progetto ha le ali tarpate. Il re si è meno che mai riconciliato con la rivoluzione, e la rivoluzione è meno che mai decisa a spartire il potere con il re. E il fallimento della stabilizzazione tentata dai foglianti, all'indomani di Varennes, sarà anche il fallimento di Mirabeau senza Mirabeau. Anche se fosse vissuto, il corso delle cose probabilmente non sarebbe cambiato: in verità era straordinariamente difficile rimaneggiare così presto, appena due anni dopo il 1789, l'antica monarchia e la nuova idea di democrazia. Se la rivoluzione avesse osato cambiare re - quanti dei suoi capi hanno pensato al duca d'Orléans! -non è sicuro e nemmeno probabile che sarebbe stata capace di condurre in porto il progetto di Mirabeau: in quegli anni caratterizzati da un così grande fermento popolare ogni sforzo per trasformare l'avvenimento in istituzioneera come un castello di sabbia davanti alla marea della sera. Ma questo progetto resta fondamentale nella misura in cui è l'espressione più coerente, e la più precoce, del sogno di "terminare la rivoluzione", che ossessionerà tutti i suoi leader, di fronte all'incerta deriva del potere. Chi di loro, a cominciare da Mirabeau fino a Bonaparte, non ci ha pensato? Chi di loro non ha tentato di utilizzare il fragile equilibrio delle forze per fondare istituzioni durature? Dopo Mirabeau, sarà la volta di Barnave e dei foglianti, poi dei girondini, di Danton, infine di Robespierre che, in mancanza del re, cioè della storia, schiera nel proprio campo l'Essere supremo. In fondo, dopo l'insuccesso della repubblica termidoriana, è Bonaparte che diventa lo strumento del progetto di Mirabeau: un re della rivoluzione. Ma a un prezzo cui Mirabeau non avrebbe consentito: la libertà. FRANCOIS FURET Opere, testi, documenti disponibili in: Gallica.BNF Essai sur le despotisme / Mirabeau ; [préf. Simone Goyard-Fabre] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N005576 Sur Moses Mendelssohn, sur la réforme politique des juifs / Le Comte de Mirabeau http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N009337 Discours et opinions / Mirabeau http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N030828 Discours et opinions / Mirabeau http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N030829 Discours et opinions / Mirabeau http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N030830 Lettres à Sophie. Tome Ier / Mirabeau http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N030831 Lettres à Sophie. Tome II / Mirabeau http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N030832 Lettres à Sophie. Tome III / Mirabeau http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N030833 [Des] lettres de cachet et des prisons d'état / par Mirabeau http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N030834 Essai sur le despotisme : histoire secrète de la cour de Berlin / Mirabeau. précédées d'une notice sur sa vie et ses ouvrages / par M. Mérilhou http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N030835 [Les] candidats de Paris jugés, ou Contre-poison, adressé aux électeurs de Paris / par M. le comte de M*** http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040184 [Les] grands hommes du jour. Seconde partie / [attribué à Choderlos de Laclos] ; [A. de Rivarol et G.H. de Mirabeau] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040281 Discours du comte de Mirabeau, dans la séance du 19 octobre 1789 : après la réception de la commune de Paris http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040602 Opinion du comte de Mirabeau, sur le réglement donné par le roi, pour l'exécution de ses lettres de convocation aux prochains états généraux de son comté de Provence http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041682 Caisse d'épargnes et de bienfaisance du sieur Lagarge. Rapport fait au nom des Comités de finances et de mendicité, réunis, sur le plan de tontine viagère & d'amortissement proposé par le sieur Lagarge, rapporté à l'Assemblée nationale, le 30 octobre dernier, par M. l'abbé Gouttes,... Discours prononcé par M. de Mirabeau,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N043104 Discours et réplique sur les assignats-monnoie, prononcés par M. Mirabeau l'aîné, dans l'Assemblée nationale http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N043401 Dénonciation de l'agiotage au Roi et à l'assemblée des notables / par le comte de Mirabeau http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047007 Lettres du comte de Mirabeau, sur l'administration de M. Necker http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047008 Suite de la "Dénonciation de l'agiotage" / par le comte de Mirabeau http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047009 Discours de monsieur Mirabeau l'aîné, sur l'éducation nationale http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N048973 Travail sur l'éducation publique, trouvé dans les papiers de Mirabeau l'aîné / publ. par P. J. G. Cabanis,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N048974 [33 pamphlets sur les droits féodaux et l'abolition de la féodalité] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N056647 Considérations sur l'ordre de Cincinnatus... / par le comte de Mirabeau http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N074539 Oeuvres de Mirabeau... [1], Les Ecrits / avec une introduction et des notes par Louis Lumet http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N075070 Oeuvres de Mirabeau... [3], Les Discours. -1921 / avec une introduction et des notes par Louis Lumet http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N075071 [Le] libertin de qualité, ou Ma conversion : édition revue sur celle originale de 1783 / par le Cte de Mirabeau http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N089087 Lettres originales de Mirabeau : écrites du donjon de Vincennes, pendant les années 1777, 1778, 1779 et 1780, contenant tous les détails sur sa vie privée, ses malheurs et ses amours avec Sophie Ruffei, marquise de Monnier / recueillies par P. Manuel,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N089088 http://www.histoire-en-ligne.com http://perso.wanadoo.fr/olga.bluteau/hydroc/Mirabeau.htm http://home.nordnet.fr/~blatouche/H1.html http://fr.encyclopedia.yahoo.com/articles/m/m0004615_p0.html http://www.cronologia.it/storia/biografie/mirabeau.htm http://www.encyclopedia.com/html/M/Mirabeau.asp http://revolution.1789.free.fr/Les_personnages.htm http://membres.lycos.fr/histoire1789/mirabeau.htm http://rcombes.ifrance.com/rcombes/mirabeau.htm MOMORO Antoine François Né à Besançon âgé de 31 ans le 1er janvier 1788, mort à Jouy-en-Josas le 4 octobre 1815 Issu d'une vieille famille espagnole peu fortunée, Momoro s'est très tôt fixé dans la capitale, où il vient d'être admis dans la communauté des imprimeurs libraires. D'ume intelligence plutôt pratique, il a des idées bien arrêtées. Il est considéré comme un excellent typographe; ses affaires marchent bien, il a quelques ouvriers. Quant à Sophie Fournier, sa femme, fille d'un graveur-fondeur, elle se produit au théâtre où elle est surtout remarquée pour sa beauté. © Chronique de la Révolution édition Larousse Réflexions d'un citoyen sur la liberté des cultes religieux, pour servir de réponse à l'opinion de M. l'abbé Sieyes : suivies de quelques observations sur les personnes en place et sur les élections prochaines / [Momoro] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N045212 Opinion de Momoro, administrateur et membre du Directoire du département de Paris, sur la fixation maximum du prix des grains dans l'universalité de la République française / impr. par ordre des Comités d'agriculture et de commerce de la Convention nationale http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N056924 MOUNIER Jean Joseph Nasce a Grenoble nel 1758. È coetaneo di Robespierre. Studia giurisprudenza all'università di Orange e si dedica, con impegno e indubbia fortuna, alla professione forense. La passione per gli studi, l'interesse per le scienze naturali e per quelle giuridiche, la volontà di non sottrarsi alla vivacità del confronto politico, lo inducono tuttavia a passare alla magi- stratura. Nel 1783 assume l'incarico di giudice. Le sue idee si vengono via via modellando lungo i tracciati teorici del più recente liberalismo inglese. Di grande interesse sono, al proposito, le sue Considerations sur les gouvernements, uscite a stampa a Grenoble nel 1789. Vi sono contenuti i principi ispiratori della sua azione politica, già validamente intrapresa nel corso della revolution nobiliaire del Delfinato, prima come deputato, poi come segretario dell'Assemblea grenoblese dei tre ordini. All'inizio del 1789 figura come primo eletto tra i deputati del Terzo stato del Delfinato per gli Stati generali di Versailles. A Parigi, si mette subito in luce tra i più qualificati esponenti del nuovo corso politico, aperto dalla costituzione dell'Assemblea nazionale. Nel settembre viene eletto presidente dell'Assemblea, ma dopo neppure un mese si dimette dall'incarico, si allontana da Parigi, torna nel Delfinato. Il suo giudizio, relativamente al dibattito in corso all ' Assemblea e ai sommovimenti che cominciano a determinarsi alla base del Paese, è che stiano dischiudendosi prospettive preoccupanti di eversione. Egli invita il re a tener duro contro le posizioni politiche emergenti, a non recedere da una difesa ferma e irriducibile dei poteri dell'esecutivo, a salvaguardare il proprio diritto di veto sulle decisioni del potere legislativo, a non arrendersi di fronte alla piazza. I cedimenti della Corona 10 inducono prima a tornare nel Delfinato, poi a prendere la via dell'esilio. Pubblica a Ginevra, nel 1790, l'Appel au tribunal de l'opinion publique; a Berna., nel 1974, la Recherche sur les causes qui ont empeche les franr;ais de devenir libres; a Tubinga, nel 1801, De l'influence attribuee aux philosophes} aux francs-marcons et aux illuminees sur la revolution de France. Esule a Berna, a Dresda e, infine, a Weimar, dove apre una scuola per l'insegnamento della storia, della filosofia del diritto, rientra in Francia solo nel 1801. Napoleone gli affida una prefettura, poi ne favorisce la promozione a membro della Legion d'onore e a consigliere di Stato, Muore a Parigi nel 1806. Nel 1781, Necker è costretto alle dimissioni. L 'uscita del Compie rendu, con la presentazione di un falso attivo di bilancio, contro un passivo reale di oltre 40 milioni, non era bastata, anche per i più ingenui, agli occhi dei quali sarebbe parsa incredibile una falsificazione tanto disonesta, a restituirgli la popolarità necessaria per conservare il proprio incarico. Il tentativo di costituire assemblee locali con funzioni amministrative, come premessa per giungere a un riordino del sistema della riscossione delle imposte e a una progressiva copertura del disavanzo, aveva sollevato fiere opposizioni. Esse avrebbero teso a svuotare le funzioni dei Parlemenis e a intaccare prerogative e diritti al cui riguardo la nobiltà e gli stessi magistrati si battevano, al contrario, affinchè venissero chiaramente ribaditi e, semmai, accresciuti. Le riforme timidamente annunciate anche nel Compie rendu avevano dato a Necker il colpo di grazia. Gli subentra Joly de Fleury , cui non resta che provvedere a un ritocco in aumento delle tasse. Ma il suo licenziamento è cosa fatta in due anni, e la stessa sorte tocca, dopo pochi mesi, a d'Ormesson, che era stato messo al suo posto. Così, viene nominato Calonne, un avversario ostinato di Necker e della sua politica finanziaria, un uomo deciso e dalle idee chiare. Ma le idee chiare non si potevano agevolmente intonare con le difficoltà di carattere politico presenti nella situazione: Gli erano al fianco i vecchi collaboratori di Turgot. Egli intendeva far fronte ai livelli allarmanti del debito pubblico nei tempi lunghi, cercando frattanto di agire, attraverso l'abolizione delle dogane interne e delle restrizioni del commercio dei grani, attraverso la concessione in affitto delle terre del demanio regio e il sostegno di prestiti a lungo termine, in vista di uno sviluppo economico che avrebbe conseguentemente portato anche a un netto incremento delle entrate tributarie: Era chiaro che le vecchie strutture politico-amministrative del regno avrebbero dovuto subire un robusto processo di trasformazione. Occorreva, dunque, mettere da parte ogni timidezza e andare molto al di là delle impacciate proposte di Necker e dei suoi poco lungimiranti successori. Era bene, a suo avviso, che si arrivasse a una più piena conoscenza della situazione reale da parte dei notabili del regno; solo così almeno gli sembrava sarebbero sorte le collaborazioni necessarie a procedere in avanti. Ma le classi privilegiate era un fatto inevitabile avrebbero dovuto pagare un prezzo assai alto, non solo in termini di denaro ma anche di potere. Calonne proponeva allora la convocazione da parte del re di un'assemblea di notabili da lui stesso designati, sperando di conquistarsi la simpatia degli alti magistrati e di scongiurare la richiesta di convocazione degli Stati generali. Dopo lunghe titubanze, il re convocava l'assemblea per il gennaio del 1887. Ma l'assemblea respingeva una per una, con calma e abilità, le proposte riformatrici di Calonne, per cui, a sua volta, era costretto come Turgot, come Necker, come tutti gli altri, a dimettersi. Forse Calonne era stato maldestro, forse avrebbe dovuto insistere presso il re per ottenere una seria riduzione del potere dei magistrati, prima di affrontare un confronto temerario con le loro più autorevoli e privilegiate rappresentanze. E'la strada che tenta il suo successore, Brienne. Ma il decreto che il re approva,su suo suggerimento, per una drastica riduzione dei poteri e delle funzioni dei Parlements porta direttamente alla rivolta dei nobili e a una nuova, catastrofica, resa. Il fallimento del colpo di Stato, per meglio dire della tardiva riforma costituzionale del maggio del 1788, costringe il re alla convocazione degli' Stati generali. È un modo per non dare vittoria ai Parlements e per tentare una mediazione su scala più ampia, ricercando, tra l'altro, ancora una volta nell'accresciuta forza reale del Terzo stato la possibilità di salvare le sorti del regno da un inevitabile naufragio. La monarchia avrebbe dovuto in ogni modo andare incontro a un ridimensionamento di potere. L 'assolutismo, era un'esperienza finita. È in questa congiuntura, dopo la vanità di tutti i tentativi intrapresi, dopo le dimissioni a catena dei ministri preposti alle finanze, da Turgot fino a Calonne, che, in effetti, a fronte della rivolta nobiliare, per certi versi goffa e velleitaria, si ridesta il Terzo stato, riprende spessore il ruolo egemone della borghesia, la sua capacità, già sperimentata sul finire del Cinquecento, di porre rimedio al caos e di assumere le proporzioni di un interlocutore politico-sociale insostituibile. Ma il Terzo stato, nei suoi rappresentanti più vivi e consapevoli, resta, come in passato, legato, per- sino con accenti anacronistici, al destino della monarchia, alla necessità del suo ripristino, soccorrendola nel momento della maggiore difficoltà. È sintomatico che la rivolta contro la monarchia per il perpetrato tentativo di colpo di Stato sia partita, ma non per giungere a un'eversione istituzionale, non per imboccare la via della repubblica, in un territorio che maggiormente aveva risentito del livellamento assolutistico, nel Delfinato, cui Richelieu aveva tolto quelle autonomie che ne avevano caratterizzato la storia e la crescita civile. È dal Delfinato che parte la rivolta. Essa tende a riproporre l'instaurazione delle vecchie libertà, ma c'è un fatto, un fatto che esula dalle ragioni di resistenza e di opposizione alle manovre finanziarie del regno: la ribellione non avviene, come sembrerebbe logico e conseguente, in nome dei diritti calpestati e offesi dei parlements, ma in nome della resurrezione, della restituzione degli Stati, di una liberalizzazione che non ha nulla a che fare con le pretese delle correnti costituzionaliste, ma che si rifà, invece, a quella congerie di articolazioni consultive, ma sostanzialmente obbliganti, a quelle canalizzazioni delle rivendicazioni nazionali, a quelle forme di temperamento politico concreto della sovranità, che da Bodin in avanti, o meglio da Coquille in avanti, per quanto riguardava specificamente il Delfinato, avevano costituito la chiave di volta di un processo unitario di consolidamento articolato dello Stato. Nel giugno del 1788 la popolazione di Grenoble insorge contro l' esecuzione dei decreti del sovrano. Vi sono morti e feriti e solo la promessa di rinviare ogni provvedimento di attuazione dei decreti riporta una situazione di calma. I notabili cominciano a riunirsi nelle città, rivolgono petizioni al re, rivendicando la restituzione dei poteri ai Parlamenti, ma anche la convocazione degli Stati, pretendendo l'elezione dei rappresentanti e il riconoscimento della parità del Terzo stato rispetto alla somma degli altri due. Il governo è costretto a consentire per il momento alla convocazione degli Stati provinciali, che iniziano a riunirsi periodicamente in assemblea a Romans. E, fra tanti notabili, è Jean Joseph Mounier, appena compiuti 30 anni (era nato a,Grenoble nel 1758), ad assumere le redini del movimento e a caratterizzarlo sul piano ideologico. Discendente da una famiglia bor- ghese benestante, Mounier si era laureato in legge nell'università di Orange e si era avviato, nel 177.6, all'attività forense. Nel 1783 era giudice regio, ma alternava all'esecuzione dei doveri professionali l'approfondimento degli studi politici e di storia. Gli era bastato poco tempo per mettersi in luce nell'ambiente intellettuale della sua città, per entrare nel vivo della massoneria locale, punto d'incontro di tensioni che si coagulavano singolarmente nelle loro agevoli provenienze dall'entroterra francese, dai territori svizzeri e italiani, gravitanti nelle loro appendici nord-occidentali su Grenoble. La filantropia massonica, filtrata attraverso l'unificazione delfinese delle logge aristocratiche e borghesi, penetra nell'animo del giovane giurista, e lo predispone all'accettazione di quelle idee di riforma e di rinnovamento che agitano il finire del secolo. Mounier vive il suo tempo con intelligenza e curiosità. Avverte alle spalle la pressione della cultura « filosofica », ma non ha nulla a che spartire col parigino Condorcet. È un uomo di provincia; alle sue spalle stanno soprattutto le robuste tradizioni di autonomia del Delfinato e costumi di autogoverno che, ai tempi di Coquille, avevano consentito, nella loro spiccata e forse irripetibile dimensione civile, di evitare lo scoglio, altrove così tremendo e disastroso, delle più accanite guerre di religione. Il Terzo stato era una realtà ricca di consistenza politica e civile persino nell'ultimo quarto del Cinquecento. Non per nulla era partita proprio di lì la generosa utopia di uno Stato unitario, ma fondato, luogo per luogo, sulla forza del diritto consuetudinario, sulla varietà dei costumi, sulla vitalità delle istituzioni giuridiche e politiche locali. Nel momento della crisi più drammatica e verticale della monarchia francese, ormai alla vigilia della rivoluzione, non è a caso se il Delfinato, nel suo innescare la rivolta, cerca di contenere ogni spinta eversiva, tra le tante che agitavano la società francese, all'interno di una formula che, in definitiva, salvaguardi la continuità della Corona, l'intangibilità sostanziale dell'istituto monarchico. È Mounier che redige la Declaration de la ville de Grènoble del 14 giugno del 1788 e la Lettre du Clerge de la noblesse et des autres notables citoyens de Grenoble au Roi; la richiesta della convocazione degli Stati, dell'elezione dei loro membri, della proporzione aggiornata dalle rappresentanze, vi si associa a una traccia, sia pure ancor vaga e approssimativa, di riforma generale della costituzione del regno. Una traccia dietro cui si avverte la conoscenza approfondita di Montesquieu e di Blackstone, l'influenza degli ultimi studi costituzionali di Diderot e Delolme, l'ammirazione per le istituzioni inglesi, unita però alla consapevolezza delle peculiarità storiche dell'esperienza francese, alla necessità di affiancare gli « Stati » ai Parla- menti, a metà strada tra dispotismo illuminato e costituzionalismo monarchico, in una sintesi certo complessa e apparentemente contraddittoria, ma in pratica priva di alternative.4 La costituzione inglese appariva a Mounier come il punto più alto della speculazione politica del suo tempo e come un fatto operante e sufficientemente sperimentato. Il Terzo stato non avrebbe avuto nulla da temere da una sua eventuale trasposizione all'interno dell'ordinamento" francese, temprato, oltretutto, dalla presenza attiva delle assemblee generali e provinciali degli « Stati » .5 I tempi per passare a vie di fatto erano maturi. Un 'ulteriore perdita di tempo avrebbe significato, come dimostravano le vicende che si erano succedute dall'allontanamento di Turgot in avanti, l'apertura di un processo di crisi rapide e devastanti, fino alla totale ingovernabilità del Paese. Nelle Nouvelles observations sur les etats generaux de France, Mounier chiarisce meglio il proprio pensiero, sottolineando la necessità di comprimere le pretese provinciali, le rivendicazioni particolaristiche, alI 'interno di un disegno costituzionale unitario, cosi da non creare alcun conflitto e da togliere di mezzo tutta la materia dell'accanito e continuo contendere tra diritti dei Parlements e diritti della nazione. La riorganizzazione politica del regno avrebbe prodotto, a suo avviso, un'ampia rigenerazione sociale e una spontanea riqualificazione dei rapporti tra Stato e cittadini. Il pro- blema, al momento, era quello di conciliare le istanze diverse delle parti sociali e istituzionali in un grande sforzo di rinnovamento, vissuto, con la necessaria moderazione, all'interno diun robusto quadro unitario. Ma era possibile, di fronte alle prove di disfacimento dell'ancien regime che ve- nivano ogni giorno alla ribalta? Era difficile dirlo. Questo però, era il compito che Mounier si era coraggiosamente assunto, convinto ancora, come gran parte dei protagonisti della vita politica fran- cese, che la rivoluzione non fosse alle porte. A suo avviso, era possibile e doveroso gettare acqua sul fuoco, contribuire a riportare la calma nel Paese, non impensierire troppo i notabili; le riforme andavano attuate con fermezza, ma senza la pressione imprudente di sommosse popolari, senza l'insorgere confuso e fuorviante de la populace. I diritti del popolo, inalienabili, sottratti persino alle convenzioni politiche liberamente adottate, non andavano confusi con un disordinato e irrazionale insurrezionismo. La monarchia costituzionale, proposta da Mounier nelle Considerations sur les gouvernements et principalment sur celui qui convient à la France, ricalcata sul bicameralismo inglese e sui criteri di separazione del potere introdotto oltremanica dalla « grande rivoluzione », si sarebbe attuata riconoscendo un ruolo all'aristocrazia, potenziando le rappresentanze del Terzo stato, contenendo la spinta delle masse popolari con provvedimenti sociali urgenti, con piani di sviluppo dilazionati nel tempo, assunti però in modo impegnativo. Ma Versailles non era Grenoble, la Francia, in preda a squassanti agitazioni, non era il Delfinato dove la rivolta era stata impostata, controllata e portata a conclusioni politiche dai nobili. A Versailles, i piani di Mounier non trovarono un minimo di udienza, il suo Proje de premiers articles de la consiuion venne accolto con estrema freddezza e lasciato cadere. L 'ottica di Mounier non era condivisa dai rappresentanti del resto della Francia. L' Assemblea nazionale, sorta rapidamente dalla trasformazione degli Stati generali, era dominata da possenti contrapposizioni dialettiche. La logica rigorosa ma formale di Mounier, l'incapacità di rassegnarsi al senso della situazione politica e di agirvi all'interno per quello che era, la verifica delle disgregazioni che si operavano all 'interno della classe politica, lo indussero a una sorta di emarginazione e, di n, al più tetro pessimismo e alle dimissioni. Il lealismo monarchico, proclamato solennemente nel finale delle sue Considerations, appariva, al più, anacronistico, se non provocatorio. Nel 1790 è tra i primi a prendere la via dell'esilio, ad aprire il grande processo dell'emigrazione politica. Le vicende rivoluzionarie gli daranno l'impressione di aver colto nel segno, di aver avanzato proposte giuste e costruttive quando si sarebbe stati ancora in tempo. E quanto traspare nell'Exposè ma conduite dans 1'Assemblee nationale et motife mon retour en Dauphine, contestuale alle dimissioni, ma soprattutto, nell'Appel à l'opinion publique del 1792, nelle Recherches sur les causes qui ont empeche les Francais de devenir libres del 1794 e nei Principes elementaires de la politique e resultats de la plus cruelle des experiences del 1795. A Tubinga, nel 1801, dà alle stampe De l'influence attribuee aux philosophes) aux franc-macons e aux illumines sur la Revolution de France, in cui alla dissociazione sempre più netta delle proprie responsabilità rispetto agli eventi rivoluzionari, cerca di aggiungere quella di un processo culturale e umano i cui obiettivi erano stati distorti, la cui filosofia era stata sostanzialmente disattesa. Muore nel 1806, a soli 48 anni. Ne erano bastati soltanto due, tra il 1788 e il 1790, per portare al più alto livello e per bruciare la sua singolare esperienza politica. Era rientrato in Francia durante il Consolato; aveva ottenuto riconoscimenti e attestati di stima. Ma non era più, in pratica, un uomo del suo tempo. La sua stagione era stata breve, vivace, interessante e si era spenta prima ancora che l'ondata rivoluzionaria si abbattesse sulla Francia.. Opere, testi, documenti disponibili in: Gallica.BNF De l'influence attribuée aux philosophes, aux francs-maçons et aux illuminés sur la Révolution de France / par J. J. Mounier http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N006638 Exposé de la conduite de M. Mounier, dans l'Assemblée nationale, et des motifs de son retour en Dauphiné : édition exacte / [Mounier] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040511 Délibération de la ville de Grenoble, du samedi 14 juin 1788 / [J. J. Mounier] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041654 Assemblée des trois ordres de la province du Dauphiné / [J. J. Mounier] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041655 Plan pour la formation des états du Dauphiné, arrêté & rédigé par les Etats assemblés à Romans le 14 septembre 1788 / [J. J. Mounier] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041656 Très-respectueuses représentations des trois ordres de la province de Dauphiné / [Mounier] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041657 Lettre écrite au roi par les trois ordres de la province de Dauphiné assemblés à Romans, le 14 septembre 1788 ; Lettre écrite à M. Necker, par les trois ordres de la province de Dauphiné, assemblés à Romans / [signé : Mounier] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041658 Lettre écrite au roi par les trois ordres de la province de Dauphiné, sur les états généraux / [signé : Mounier] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041659 Lettre écrite par plusieurs citoyens du clergé, de la noblesse & des communes de Dauphiné à messieurs les syndics généraux des états de Béarn / [signé : Mounier,...] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041660 Réponse des députés de la province de Dauphiné aux états généraux, au nouveau mémoire intitulé "Mémoire pour une partie du clergé & de la noblesse de Dauphiné" http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041662 Nouvelles observations sur les états généraux de France / par M. Mounier,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041663 Aux Dauphinois / par M. Mounier http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041664 Appel au tribunal de l'opinion publique, du rapport de M. Chabroud, et du décret rendu par l'Assemblée nationale le 2 octobre 1790 ; Examen du mémoire du duc d'Orléans, et du plaidoyer du comte de Mirabeau, et nouveaux ecclaircissemens [sic] sur les crimes du 5 et du 6 octobre 1789 / par M. Mounier http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041665 Recherches sur les causes qui ont empêché les François de devenir libres, et sur les moyens qui leur restent pour acquérir la liberté. Tome premier / par M. Mounier http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041666 De l'influence attribuée aux philosophes, aux francs-maçons et aux illuminés sur la Révolution de France / par J. J. Mounier http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041667 Réflexions politique, sur les circonstances présentes / par M. Mounier http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041868 De l'influence attribuée aux philosophes, aux francs-maçons et aux illuminés sur la Révolution de France / par J. J. Mounier http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N046875 Lettre écrite à plusieurs citoyens du clergé, de la noblesse et des communes de Dauphiné, à messieurs les syndics-généraux des états de Béarn / [signé Anglès,... Brochier,... Hélie,... [et al.]]. Avis aux gens de toute profession, science, arts, commerce et métiers, composant l'ordre du tiers état de la province de Bretagne / par un propriétaire en ladite province [Joseph Mounier] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047501 Lettre écrite au Roi par les trois ordres de la province de Dauphiné, sur les Etats généraux / [signé : J. G.,... et Mounier,...] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047502 Nouvelles observations sur les Etats-généraux de France / par M. Mounier,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047503 Lettre de MM. du clergé, de la noblesse et autres notables citoyens de Grenoble, au Roi : [le 2 juillet 1788] / [réd. par Barthélemy Dorbanne et Jean-Joseph Mounier] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047605 Lettre écrite à M. Necker par les Etats de la province de Dauphiné, sur son rapport fait au Roi dans son conseil : [à Romans, le 12 janvier 1789] / [signé : J. G.,... et Mounier,...] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047608 Lettre écrite par plusieurs citoyens du clergé, de la noblesse et des communes de Dauphiné, à messieurs les syndics-généraux des Etats de Béarn : [Grenoble, le 24 octobre 1788] / [signé : Mounier,...] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047611 Procès-verbal de l'Assemblée générale des trois-ordres de la province de Dauphiné, tenue dans la ville de Romans, le 2 novembre 1788 / Mounier,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047639 Procès-verbal des Etats de Dauphiné, assemblés à Romans dans le mois de décembre 1788 / Mounier,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047640 Nouvelles observations sur les Etats-généraux de France / par M. Mounier,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047911 Plan d'éducation nationale adressé aux Etats généraux / par un père de famille dauphinois [Jean-Joseph Mounier] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N057153 Plan d'éducation nationale adressé aux Etats généraux / par un père de famille dauphinois http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N085441 NECKER JACQUES (1732-1804) Neker ha contro di sé la proscrizione senza appello che resta attaccata alla memoria dei vinti. La sua reputazione soffre inoltre dell'handicap fatale della moderazione. Gli avversari radicali rappresentano un aiuto inestimabile per definire e legittimare le rispettive posizioni. I fautori di Maistre hanno bisogno di quelli di Robespierre, e viceversa. Lo "spirito di temperanza invece, svia e confonde queste identificazioni di riflesso, e non sembra essere all'altezza degli avvenimenti. Necker stesso ha descritto mirabilmente il tormento dell'uomo pubblico che si sforza di essere moderato "nei periodi di turbamento e di agitazione"in mezzo a tutte le passioni senza godere il favore di nessuna", potendo contare soltanto sull' "incerto favore dei giudizi avvenire, o sulla voce sorda e tremante della gente dabbene del proprio tempo". Poiché tali uomini, egli spiega, appaiono "sorpassati dal movimento accelerato delle passioni, poiché sembrano anche restare indietro rispetto alle idee nuove e sistematiche, il procedimento del loro spirito viene disprezzato, e il loro stesso carattere è accusato di debolezza". E conclude, con amara dignità: "Tuttavia, ci vuole coraggio anche per restare fedeli alle opinioni moderate." Il fatto è che egli non si è ripreso dalla doppia accusa di incoerenza che ha fatto di lui, per gli uni, l'inconsapevole affossatore della tradizione monarchica e, per gli altri, il tiepido difensore di una causa persa. La sua popolarità era stata comunque notevole prima che, nel giro di un solo anno (dall'agosto 1789 al settembre 1790), precipitasse nella polvere del fallimento e della disgrazia. Uomo delle situazioni difficili, questa volta gli era stato assegnato un incarico impossibile. Le necessità dovevano essere state veramente impellenti se nel 1776, qualche mese dopo la caduta di Turgot, alla direzione delle finanze reali era stato chiamato uno straniero, ministro residente della Repubblica di Ginevra a Parigi, forte del successo della sua banca protestante e legato oltre tutto, attraverso il salotto della moglie, all'ambiente degli enciclopedisti. Il finanziamento della guerra in America richiedeva un esperto nel credito. Ma Necker non riuscirà a trasformare in apertura politica quella riforma amministrativa che aveva potuto avviare grazie alle ristrettezze del Tesoro. Il suo Compte rendu au roi del gennaio 1781 fa sensazione e solleva la controversia; ma il tentativo di cambiare lo spirito delle istituzioni facendo "per la prima volta, degli affari di stato una cosa comune" ha vita breve: in maggio Necker è costretto a dimettersi. Avrà comunque tutto il tempo di sviluppare quella richiesta della nazione "a conoscere ed esaminare la pubblica amministrazione" che egli avrebbe voluto porre al centro dei rapporti fra il sovrano e i suoi sudditi : lo farà nel grande trattato Dell'amministrazione delle finanze della Francia, del 1784. Una delle sue idee politiche più valide si rifà alla consapevolezza estremamente lucida del potere dell' "opinione pubblica" e della necessità di basare su di essa l'azione di governo. Se si aggiungono, da un lato, la sua visione fatalista della proprietà e delle sue conseguenze, supporto di una dottrina interventista che lo oppone al laissez faire, laissez passer dei fisiocratici, e dall'altro il tema "dell'importanza delle opinioni religiose" (titolo di un'altra opera che pubblica durante il suo ritiro, nel 1788) nel funzionamento di una società libera, otteniamo il succo originale del suo pensiero. La bancarotta lo riporta alla direzione delle finanze nell'agosto 1788 e lo innalza al rango di ministro più importante. E lui a realizzare la convocazione degli Stati generali promessa dal suo predecessore. S'ingaggia allora la terribile partita in cui, costretto fra l'ostilità della corte e la spinta che viene dal paese, egli tenta invano di salvare la monarchia dal suicidio. Inizialmente pare andargli bene, quando decide per il raddoppio del Terzo Stato e quando promuove un sistema elettorale decisamente liberale. Ma le cose si guastano con lo svolgimento degli Stati generali, il conflitto fra i vari ordini e l'autoproclamazione dell'Assemblea nazionale il 17 giugno 1789. La linea conciliante sostenuta da Necker è sconfessata dal re che, con la sua dichiarazione del 23 giugno, prende partito a favore degli ordini privilegiati. Necker dà le dimissioni, che vengono però rifiutate. Sarà congedato infine il 1 luglio con l'ordine di lasciare segretamente la Francia. Il progetto di un gesto di forza del re cade di fronte all'insurrezione parigina. Necker è richiamato ed è allora che commette l'errore della sua vita accettando di riprendere un potere impossibile da gestire. Lo sa, ma si lascia ingannare da quel favore popolare cui dava tanta importanza. "Ritorno in Francia vittima della stima di cui mi si onora," scrive al momento di riprendere la strada di Parigi. "Torno nel baratro." Il suo rientro è trionfale, la sua popolarità al colmo. Un anno dopo lascerà la scena nell'indifferenza generale, abbandonato dall'opinione pubblica e screditato agli occhi di tutti. Il suo riformismo era troppo audace per il partito aristocratico e troppo timido per i rivoluzionari. La sua stessa competenza finanziaria, che gli aveva permesso di conservare un certo ascendente sull'Assemblea, finì per sbiadire in ortodossia stretta e fuori moda quando la soluzione miracolosa dell'assegnato cominciò a risplendere in tutta la sua seduzione. Il suo unico torto, dirà un deputato il 2 agosto 1790, con una benevola condiscendenza che sottolinea quanto il taumaturgo di ieri fosse ormai fuori gioco, è di essersi attenuto a "idee legate a una pratica consolidata che non consente in alcun modo di innalzarsi al livello delle nuove concezioni". Supposto che un uomo avesse potuto governare la rivoluzione, è chiaro insomma che Necker non ne aveva né la statura né la stoffa. Non possedeva né il dono di manipolare le persone, con il senso delle passioni che le muovono, né la prontezza e la fermezza nelle decisioni che ai condottieri di masse aprono la via in mezzo alle catastrofi. Uomo d'analisi e di prudenza, confidava all'eccesso nelle risorse e nell'autorità dell'intelligenza, e non sapeva fronteggiare i tratti dilaceranti e violenti della politica. I suoi punti deboli come ministro sono in compenso i suoi pregi come autore. Egli sa esporre perfettamente quella situazione che non seppe invece governare. Il suo commento ininterrotto agli avvenimenti della rivoluzione, fino a brumaio e alla costituzione dell'anno VIII, vittima ingiusta del discredito connesso alla sua attività di governo, rappresenta quanto di più pertinente e profondo ha saputo produrre l'osservazione critica dei contemporanei. Necker lo espose in tre opere: Du puvoir exécutif dans les Grands Etats (1792), De la Révolution francaise (1796) e Dernières vues de politique et de finance (1802). (Trascuriamo Sui- l'administration de M. Necker, par lui-meme del maggio 1791, apologia a caldo i cui elementi propriamente interpretativi sono ripresi nelle opere successive.) Nessun proclama solenne, nessuna sentenza profetica, ma un'analisi serrata, esigente, da parte di un politico pratico, ossessionato dal problema degli "strumenti" di governo, di fronte ad altri protagonisti ossessionati dal problema dei principi. È' grazie a questa acutezza realistica, e per i suoi stessi limiti, una delle riflessioni più illuminanti che siano mai apparse sull' "esperienza politica" che costituisce il fondo della rivoluzione. Nel suo ritiro, Necker non è sempre informato con precisione. Soprattutto, il suo poderoso buonsenso gli preclude la comprensione di quanti interessi essenziali e concretissimi siano in gioco nell' "astrazione delle idee generali" di cui egli, in compenso, sa mettere a nudo più di ogni altro l'inadeguatezza funzionale. A tale riguardo presenta una cecità simmetrica e inversa a quella degli attori rivoluzionari circa l'attuabilità delle loro costruzioni. E siccome oggi noi sappiamo bene che la storia della democrazia è stata la storia della lenta e dolorosa conversione di queste stesse "idee generali" in "massime attive", ormai ci è consentito non dar ragione a nessuno dei protagonisti, rendendo giustizia a tutti in ugual modo. Ecco in che senso, veramente, "la rivoluzione francese è terminata": nel senso che dopo due secoli di adattamento dei principi democratici alle inesorabili costrizioni dell'ordine politico e alle necessità del funzionamento sociale, possiamo al tempo stesso dar spazio senza riserve agli ideali astratti di libertà, di uguaglianza, di sovranità del popolo, e riconoscere pienamente la fondatezza delle critiche pragmatiche di un Necker. Non è merito nostro: nel frattempo, l'abisso iniziale fra i due ordini di realtà si è colmato. A distanza, il discorso di Necker ne illumina come nessun altro la profondità originaria e la tragica vastità. Da un libro all'altro, l'asse centrale della riflessione è dato dall'esame delle successive costituzioni: costituzione del 1791, costituzione dell'anno III, costituzione dell'anno VIII (Necker ci avvisa di aver tolto dal suo libro del 1796 le pagine relative alla costituzione del 1793, superate dallo svolgersi degli avvenimenti). Il suo problema principale, la pietra di paragone cui riconduce costantemente l'analisi, è la governabilità. Un posto particolare, tuttavia, dev'essere riservato alle considerazioni retrospettive sullo scoppio della rivoluzione, che formano la prima parte dell'opera intitolata appunto De la Révolution francaise. Il loro intento è, in larga misura, di autogiustificazione. Si tratta, per l'ex ministro, di far capire e di difendere quella che era stata la sua politica. Ma nel far questo, con piccoli tocchi aggiunti alla narrazione degli avvenimenti, egli traccia un quadro piuttosto impressionante delle forze esistenti alla vigilia del 1789 e della concatenazione dei fatti. Da una parte, il singolare miscuglio di dispotismo e di confusione offerto dalla vecchia amministrazione regia e la scarsa consapevolezza della situazione nella cerchia del re, "la negligenza," dice Necker, "con cui si consideravano sia i grandi mutamenti sopravvenuti in Francia nel corso degli ultimi due secoli, sia la singolarità del tempo presente". Dall'altra parte, "la grande forza dell'opinione pubblica", una generale volontà di innovazione, il "predominio dei giovani", mentre il Terzo Stato si innalza e gli altri due ordini, parallelamente, perdono consistenza. In un tale contesto, è bastato qualche atto maldestro per accendere la miccia: "la rivoluzione francese è dovuta essenzialmente ad atti sconsiderati di autorità". La responsabilità principale, prima che il "partito popolare" prendesse il sopravvento - una volta che, con la presa della Bastiglia, "il popolo ebbe imparato in un sol giorno che l'unione delle volontà era la potenza suprema" - tocca senz'altro alla miope intransigenza degli ordini privilegiati. "La storia," egli riassume, "quando alzerà liberamente la sua voce, chiederà conto ai primi due ordini, soprattutto alla nobiltà, di un'inflessibilità che ha fatto passare lo scettro dell'opinione nelle mani del Terzo Stato. Essa li rimprovererà di aver voluto ottenere ogni cosa con la forza e la testardaggine, invece di compiere nel momento opportuno i sacrifici richiesti dalla forza delle circostanze e dall'imperiosa legge della necessità." Tutta la sua analisi, in effetti, è volta a dimostrare che il fine cui egli tendeva e che determinò la sua condotta era raggiungibile: "... Oggi si avrebbe, in Francia, il governo all'inglese, e il governo all'inglese perfezionato, se il re, la nobiltà e il Terzo Stato, ciascuno dei quali lo ha desiderato ad un certo momento, avessero potuto volerlo tutti insieme nello stesso tempo." BAILLY Jean Sylvain BARBAROUX Charles Henri Marie BARÈRE DE VIEUZAC Bertrand BARNAVE Antoine BERTIER DE SAUVIGNY Louis Bénigne BESENVAL Pierre Victor (de) BEURNONVILLE Pierre Riel (comte puis marquis) BILLAUD-VARENNES Jacques Jean BONNEVILLE Nicolas (de) BOUILLE François Claude Amour (marqui de.) BOURBOTTE Pierre BRISSOT Chartres BROGLIE Victore François BUZOT François Nicolas Léonard CAMBACERES Jean-Jacques-Régis de ( 1753 - 1824 ). CAMBON Joseph CAMUS Armand Gaston CARNOT Lazare Nicolas Marguerite CARRA Jean-Louis CASTHELINEAU CHAPPE Claude (l'abbé) CHARLES X Charles de France, comte d'Artois CHAUMETTE Pierre Gaspard dit ANAXAGORAS (1763-1794) CLAVIERE Etienne COLLOT D'HERBOIS Jean Marie CONDÉ Louis Joseph de Bourbon ( prince de) CORDAY D'ARMONT Charlotte CUSTINE Adam Philippe DANTON Georges Jacques DE BRY Jean Antoine Joseph D'EGLANTINE Nazaire François Philippe FABRE DELACROIX Jean-François Lacroix, ou DELMAS Jean François Bertrand DESÈZE ou DE SÈZE Raymond Romain (comte) DESMOULLINS Camille DILLON Arthure (comte) DILLON Théobald ( chevalier de ) son frère DUBOIS-CRANCE Edmond Louis (dit Dubois de Crané) DUMOURIEZ Charles François DUPORT ou DU PORT Adrien Jean François FLESSELLES Jacques (de) FOULLON Joseph François FRAVRAS Thomas de MAHY (marquis de) GARAT Dominique Joseph GENSONNÉ Armand GILLET François GIRONDIN GONCHON Clément GRÉGOIRE Henry (l'abbé) GUADET Marguerite Elie GUYTON DE MORVEAU Louis Bernard (baron) HEBERT Jacques René HÉRAULT de SECHELLES Marie Jean ISNARD Honoré Maximin JOURDAN Mathieu Jouve (dit JOURDAN COUPE-TETE) LAFAYETTE Marie Joseph Paul Yves Roch Gilbert (marqui de.) LAMBESC Charles Eugène de LORRAINE duc d'ELBEUF et prince (de) LASOURCE Marie David Albin LAUNAY Bernard JORDAN (de) LAVOISIER Antoine Laurent LE CHAPELIER Isaac René Guy LE PELETIER de SAINT-FARGEAU LOUIS MICHEL LEFRANC Jean Georges de POMPIGNAN LINDET Jean Baptiste Robert LOUIS XVI LUCKNER Nicolas MAILHE Jean Baptiste MALESHERBES Chrétien Guillaume MANUEL Pierre louis MARAT Jean Paul MARIE-ANTOINETTE MERLIN Philippe Antoine (comte) MIRABEAU Honoré Gabriel RIQUETI (comte de) MOMORO Antoine François MOUNIER Jean Joseph NECKER Jacques (1732-1804) ORLÉANS Louis Philippe Joseph (duc d') PASCAL ou Pasquale Paoli PETION de VILLENEUVE Jérôme PHILIPPE EGALITE' Louis, Philippe, Joseph Duc d'Orléans PRIEUR DE LA MARNE Pierre Louis QUINETTE Nicolas Marie (baron de Rochemont) ROBESPIERRE Maximilien (de) ROCHAMBEAU Jean Baptiste Donatien de Vimeur (comte de) ROLAND de la Platière Jean Marie ROUGET DE L'ISLE Claude Joseph ROUX Jacques SAINT-JUST Louis Antoine SALICETTI Antoine Christophe SERVAN DE GERBEY Joseph SIEYÈS Emmanuel Joseph (dit l'abbé Sieyès) STOFFLET Jean Nicolas THÉROIGNE DE MÉRICOURT Anne-Josèphe Therwagne THOURET Jacques Guillaume TREILHARD Jean BaptisteVARLET Jean François VERGNIAUD Pierre Victurnien
Home | Storia | Arte e letteratura | Foto | Ceramica | Moda | Info | Mappa
STORIA E LEGGENDA
HOTELS E RISTORANTI
ARTE E LETTERATURA
FOTO
CERAMICA
MODA

LA RIVOLUZIONE FRANCESE - LA SOCIETA' ITALIANA

ILLUMINISMO - LA SOCIETA' ITALIANA
 
Presa Tuiller, Presa della Bastiglia, Rivoluzione Francese
 

IMMAGINI DELLA SOCIETÀ ITALIANA 9.1. PREMESSA L'assetto storico, politico, economico e sociale dell.Italia nel XVIII secolo è contrassegnato dalla presenza di Stati politicamente differenti, dissimili, per struttura, nascita e crescita, con una loro specifica attribuzione e funzione di classi sociali, ciascuno con una propria speciale struttura di forze economiche. Questa molteplicità d.immagini dei diversi paesaggi sociali dei nostri stati non mancherà di esercitare una certa influenza sugli indirizzi che prenderanno i diversi illuminismi sociali. L.Italia si presenta agli occhi dello spettatore imparziale come un paese in cui gli elementi essenziali di struttura sociale sono: la divisione politica, la mancanza d.unità, l.arretratezza morale, civile ed economica, la presenza di elementi forti di natura feudale, che rappresentano dei vincoli altrettanto energici, i quali impediscono lo sviluppo economico e sociale. Le condizioni di arretratezza consentono al proprio interno l.emergere di forze nuove che spingono sulla strada del rinnovamento e del cambiamento. Queste energie si inseriscono nel mutato assetto storico-politico e sociale dell.Europa del XVIII secolo. Agli inizi del secolo la carta geo-politico-sociale dell.Italia è ridisegnata dalle potenze dinastiche europee. Con la pace di Aachen nasce e si concretizza all.interno del continente europeo un nuovo ordine. Gli Asburgo e i Borboni si dividono l.influenza e il dominio delle diParte quarta . Le origini delle scienze sociali in Italia nell.età dell.Illuminismo 158 verse aree geografiche della penisola italiana. Le nuove vicende storiche si ripercuotono positivamente sulla vita sociale italiana dando l.avvio ad un intenso dinamismo culturale. «Nei secoli precedenti, il dominio spagnolo aveva chiuso l.Italia come una muraglia cinese; ora, con i nuovi e diversi dominatori si spalancano all.Italia le porte d.Europa» [Valsecchi, 1964a, p. 59]. La nuova stagione celebra il trionfo del movimento illuminista europeo. I Lumi costituiscono un potente elemento di rottura dell .ordine sociale feudale. Essi rappresentano un fattore di stimolo per i sovrani illuminati nella enunciazione ed attuazione delle politiche di riforma. In questo generale processo di rinnovamento e cambiamento sociale è coinvolto anche il nostro paese. Il riformismo asburgico, annunciato dall.azione politica svolta da Maria Teresa d.Austria e Giuseppe II, la politica moderna di Leopoldo II in Toscana, l.azione svolta da Ferdinando e Maria Carolina a Napoli rappresentano altrettanti esempi del coinvolgimento dell.Italia nei generali processi di sviluppo allora in atto in Europa. Milano, Firenze e Napoli rappresentano i centri culturali più fecondi nella diffusione della cultura dei Lumi nel nostro paese. Una nuova Italia nasce dalla collaborazione tra il riformismo politico-sociale europeo e il pensiero italiano. Si afferma nel panorama intellettuale europeo un Illuminismo italiano, con proprie caratteristiche e fisionomie particolari. Lo stimolo all.innovazione culturale disegna l.emergere di una nuova struttura sociale dinamica e complessa. L.Illuminismo sociale italiano costituirà una sorta d.unità culturale e morale, in un.Italia divisa e dispersa dal punto di vista politico. È all .interno di questo variegato e multiforme mondo, che noi cercheremo di cogliere i primi segni e i presupposti culturali delle originarie riflessioni socialmente rilevanti sulla società italiana del XVIII secolo. 9.2. CENNI SULLE ORIGINI DELLE SCIENZE SOCIALI IN ITALIA: L.ILLUMINISMO A NAPOLI PARTE PRIMA La pubblicazione delle prime opere di Antonio Genovesi rappresen9. Immagini della società italiana 159 tano l.iniziale contributo alla diffusione della cultura dei Lumi a Napoli: la capitale culturale e commerciale dell.intero Mezzogiorno. Le linee fondamentali del suo programma politico-sociale si trovano nella propria introduzione al discorso di Ubaldo Montelatici .sul vero fine delle arti e delle scienze.. Genovesi avverte l.esigenza di avviare una politica riformista con la finalità espressamente dichiarata di fare del Mezzogiorno d.Italia un paese civile e moderno. La sua teoria politica pur accogliendo le premesse liberiste della fisiocrazia francese risente degli influssi derivanti dalle teorie mercantiliste. L.applicabilità di determinate misure nel campo dell.economia, doveva tener conto del tipo di struttura sociale, destinata ad accoglierle. In questo senso il Mezzogiorno rivelava analogie e similitudini con la Spagna Borbonica. Le proposte della sua politica riformatrice erano destinate a trovare applicazione, in una struttura sociale dominata da rapporti di tipo feudale, dove l.arretratezza politica, economica, sociale e morale la faceva da padrone. Il ruolo dello Stato e la formazione di un ceto imprenditoriale moderno rappresentano due punti fermi per la formazione e l.attuazione di una seria politica riformatrice, destinata a trasformare l.intero Mezzogiorno. «L.elogio dell.abate Genovesi, scritto da Giuseppe Maria Galanti nel 1772, a tre anni dalla morte del grande economista, è il primo documento del formarsi di una scuola avviata a sviluppare questa grande eredità di dottrina e di insegnamento» [Carpanetto, 1986b, p. 802]. 9.3. CENNI SULLE ORIGINI DELLE SCIENZE SOCIALI IN ITALIA: L.ILLUMINISMO A NAPOLI PARTE SECONDA I punti essenziali della lezione genovesiana, sono accolti dai suoi numerosi allievi: l.interesse specifico per i problemi del Mezzogiorno, la volont à di portare l.analisi sul piano dell.osservazione empirica. Un esempio ante-litteram d.analisi sociale è la Nuova descrizione storica e geografica delle Sicilie (1787-1791) di Giuseppe Maria Galanti. Questa opera rappresentava il completamento di alcune di ricerche sulla realt à sociale meridionale: Saggio di economia campestre per la Calabria Ultra Parte quarta . Le origini delle scienze sociali in Italia nell.età dell.Illuminismo 160 di Domenico Grimaldi (1770) e la raffigurazione del Molise di Francesco Longano 1. Galanti aveva deciso di colmare questa grave mancanza pubblicando una Nuova descrizione storica e geografica dell.Italia (1782). In questo lavoro di ricerca Galanti coordinando la gran massa di notizie procurate da differenti corrispondenti, edifica una rappresentazione globale e conosciuta della realtà complessiva dell.Italia del XVIII secolo. Questa opera era stata preceduta da un attento lavoro d.analisi empirica Descrizione dello stato antico ed attuale del Contado del Molise in cui storia e geografia erano messe a disposizione di un volere di trasformazione d.orientamento genovesiano. Essa rappresentava l.inizio di un.indagine diretta del Mezzogiorno che andò avanti per circa dieci anni e si concretizzò nella pubblicazione in quattro volumi della Nuova descrizione storica e geografica delle Sicilie, con essa Galanti forniva un quadro esaustivo delle condizioni di generale arretratezza e decadenza della società meridionale. «L.opera documentava una decadenza cui avevano contribuito tutte le forze dominanti; dalla Chiesa, ai baroni, ai viceré, che rappresentavano governi lontani e rapaci. Le leggi, i tribunali e i forensi avevano fatto il ....... 1 Ricordiamo che «la preparazione di quest.opera si inseriva in un contesto non solo meridionale ma anche europeo. Galanti aveva cercato di reagire alla subalternit à del mercato librario meridionale, che viveva soprattutto sul commercio di testi stranieri, facendosi editore e organizzatore di cultura. I suoi interessi si erano fin dall.inizio orientati verso la storia e la geografia. Per quanto riguarda la prima, dove i suoi riferimenti erano Hume, Roberston, Voltaire e Giannone, egli sentì il bisogno di affrontare il terreno della storia generale, superando i modelli che allora circolavano anche in Italia, e che erano stati concepiti in gran parte prima della grande storiografia illuministica, dalla Universal History all.opera di Thomas Salmon. La Storia filosofica e politica delle nazioni antiche e moderne non era una semplice traduzione da Millor, ma componeva pezzi tratti da Voltaire, Condillac, Roberston, Hume, Chastellux. Particolare rilievo aveva il problema feudale. Non a caso Galanti era stato l.editore di Roberston e della Storia di Carlo V. Il titolo stesso indicava, infine, il rapporto con un.opera che sarebbe stata la pièce maitresse di tutta la nuova generazione di intellettuali meridionali, l.Histoire philosophique et politique des deux Indes di Raynal. Anche nel campo della geografia Galanti si era mosso facendo riferimento ad un.esperienza innovativa, quale era quella di Anton Friedrich Busching, la cui Neue geographie era stata tradotta a Firenze e a Venezia a partire dal 1773. Ma sia il traduttore dell.edizione fiorentina, Joseph Jageman, sia l.editore veneziano, Antonio Zatta, si erano resi conto della necessità di intervenire sulla parte riguardante l.Italia che Busching aveva descritto senza una conoscenza diretta» [Carpanetto- Ricuperati, 1986a, pp. 356-57]. 9. Immagini della società italiana 161 resto. Il risultato era davanti agli occhi di tutti: un.agricoltura arretrata e primitiva, l.assenza di industrie, la crisi demografica, una ideologia sociale che spingeva quanti avevano talento ad inserirsi piuttosto nelle professioni parassitarie che nelle attività produttive. I modelli culturali venivano dalla nobiltà, in cui chi acquistava le ricchezze cercava di inserirsi, preferendo la rendita alla produzione» [Carpanetto-Ricuperati, 1986a, p. 357]. Galanti mira a dare una descrizione la più circostanziata possibile della realtà meridionale, per favorire eventuali obiettivi di riforma. Lo scopo principale era quello di dare la più efficace descrizione del funzionamento della macchina amministrativa, dell.economia del Regno, dell.organizzazione dell.agricoltura. Il limite di quest.inchiesta risiede nella condizione d.osservatore isolato in cui veniva a trovarsi il Galanti. L.indagine si basa esclusivamente sulle sue singole osservazioni. «Egli prendeva contatti con i galantuomini locali, con i magistrati, con i governatori locali, raccoglieva tutta una serie di notizie e poi le rielaborava nelle relazioni che inviava al Re» [Cestaro, 1983, p. 12]. Un.altra figura rilevante dell.Illuminismo sociale napoletano è quella di Francesco Antonio Grimaldi la cui opera, Riflessioni sopra la disuguaglianza fra gli uomini (1779-1780), rappresenta una risposta critica alle teorie di Jean Jacques Rousseau e a quelle egualitarie-comunistiche di Morelly. Grimaldi vede nell.ineguaglianza uno stato dell.umana convivenza, sia sul piano morale, sia politico, economico e sociale. Egli cerca di elaborare un.analisi nuova della socialità umana, in grado di racchiuderne l.intero suo processo evolutivo. I suoi presupposti sul piano culturale richiamano la filosofia della storia di Vico, filtrata attraverso le letture d.intellettuali illuminati come Helvetius e d.Holbach 2. ....... 2 Come affermano Carpanetto e Ricuperati «interessi, bisogni, passioni erano (nell.analisi di Grimaldi) il punto di partenza, la molla di quella filosofia della storia che Vico aveva intuito, anche se poi era rimasto avvolto nelle caligini della metafisica. Vico doveva essere ancora un fondamentale punto di riferimento negli .Annali del Regno di Napoli., l.ultima e complessa storia del mondo meridionale, nella quale si presentavano i problemi dello stato selvaggio, barbaro e civile». Vico lo guidava (con Gibbon e Ferguson) a capire il passaggio da una forma sociale all .altra, il crescere dei bisogni, il ruolo delle passioni, la volontà di indipendenza, libert à e affermazione. Gli Annali riprendevano la trama dell.opera di Giannone e vi aggiungevano qualcosa: non c.erano solo la simpatia verso i barbari e l.ottica giurisdizionalista accentuata dal prosecutore, l.abate Cestari; emergevano anche delle differenze profonde. L.Istoria civile era la storia di uno Stato e soprattutto della sua Parte quarta . Le origini delle scienze sociali in Italia nell.età dell.Illuminismo 162 Grimaldi accoglieva la lezione di Vico, Gibbon e Ferguson, nel tentativo di fornire un.analisi esaustiva del mutamento sociale. L.intento, rispetto alla Istoria civile, consisteva soprattutto nello spostare l.attenzione dell.analisi dal Centro alla Periferia del Regno. Le influenze, si faranno sentire anche in altri illustri intellettuali napoletani, come Francesco Mario Pagano e Gaetano Filangieri. La Scienza della legislazione di Filangieri rappresenta il contributo scientificamente più rilevante, offerto dall.Illuminismo napoletano. Ciò che colpisce maggiormente l.attenzione del lettore, è il suo carattere sostanziale: l.essere un.opera onnicomprensiva. Il carattere di totalità è presente in tutte le riflessioni critiche, su qualsiasi problema trattato. Filangieri tenta di, fondare con la sua opera un nuovo modello di socialità. La sua proposta si presenta come il più importante tentativo di razionalizzazione dei sistemi sociali assolutistici nel periodo antecedente la Rivoluzione francese. Il proprio interesse per i problemi della legislazione, per il riformismo, a livello sociale e politico emerge, mentre si stava consumando il livello più intenso dell.anticurialismo borbonico. È attraverso la mediazione della figura dello zio, il vescovo Serafino Filangieri e con il proprio mentore spirituale De Luca, che Filangieri entra in contatto con questa tradizione culturale, che egli trasforma in una religione civile, legame morale primario per unire Stato e società, per saldare la legislazione nella condotta e nella consuetudine. «Aveva maturato la sua opera nel tempo post-tanucciano, quando l.influenza di Maria Carolina aveva creato l.attesa di un.intensificazione delle riforme, sollecitate anche dal modello asburgico che Giuseppe II stava imponendo all.attenzione degli intellettuali e dei politici» [Carpanetto-Ricuperati, 1986a, p. 363]. A livello internazionale Filangieri era consapevole dei profondi mutamenti che si stavano preparando: la rivoluzione americana gli appariva essere il confronto-scontro tra due soluzioni politiche-sociali diverse, del come concepire un nuovo ordine sociale. La soluzione proposta dai coloni americani favoriva gli elementi di democrazia e di libertà; quella perseguita dal governo inglese privilegiava invece elementi di na- ....... capitale, del centro da cui partivano poteri e leggi. Gli Annali erano una storia articolata delle diverse civiltà che si erano succedute, non senza gravi conflitti, negli spazi meridionali, da quelle indigene, ai Greci, ai Cartaginesi, ai Romani» [Carpanetto- Ricuperati, 1986a, p. 358]. 9. Immagini della società italiana 163 tura coercitiva. Filangieri, percepiva acutamente, come la guerra d.indipendenza americana avesse evidenziato i limiti e i problemi del modello coloniale inglese, e come queste crisi stessero investendo anche i domini americani della Spagna e del Portogallo, favorendone la completa dissoluzione, preparando il terreno alla penetrazione politica, economica e culturale della giovane nazione americana. Nella propria analisi della situazione internazionale, Filangieri coglieva altri spunti e suggerimenti: egli osservava la crisi che stava attraversando la Francia, dove il riformismo aveva mostrato i segni di un lento declino, dopo la caduta del governo Turgot. Nella sua opera era percepito il regresso dell.Olanda che aveva fondato il proprio dominio sul commercio, ma che nel XVIII secolo mostrava i limiti del proprio modello di crescita, sprovvisto di un.adeguata base capitalista. Filangieri di fronte a queste crisi che a livello mondiale stavano sconvolgendo gli assetti geo-politici stabiliti dell.Europa continentale, registrava l.emergere di una serie di realtà nuove: la posizione assunta nello scacchiere mondiale dalla Russia, e più d.ogni altra cosa coglieva in profondità come i futuri Stati Uniti D.America stavano per diventare il nuovo centro economico-politico-sociale a livello mondiale, patria delle libertà e modello di riferimento per le future democrazie. L.Europa e le proprie relazioni con le restanti parti del globo erano esaminate per mezzo di quel grandissimo, avvincente atto d.accusa, verso l.Occidente e il proprio imperialismo schiavistico che fu l.opera di Raynal. Questi, diveniva la base di partenza, per un interesse profondo verso lo studio dello sviluppo storico e geografico dei popoli extraeuropei. La scienza sociale filangieriana era il punto d.incontro di diverse discipline: l.economia, la politica, il diritto, l.educazione, la religione. Il proprio modello di riferimento appariva essere certamente Montesquieu, che Filangieri aveva l.intenzione di continuare e approfondire, passando dallo .spirito. alle .leggi., in pratica edificando una .scienza della legislazione .. Oltre che con Montesquieu, Filangieri doveva misurarsi con la teoria di Jean Jacques Rousseau del Contratto sociale, con una trasformazione delle scienze giuridiche in una visione nuova del diritto, espressa nell.opera principale di Cesare Beccarla Dei delitti e delle pene, con una visione altrettanto nuova della natura, manifestata nel pensiero di Boulanger e Buffon essenziale per la comprensione del problema in chiave naturalistica, la filosofia della storia Vichiana, infine, l.affermazione delParte quarta . Le origini delle scienze sociali in Italia nell.età dell.Illuminismo 164 la visione newtoniana delle scienze, su quella cartesiana, dove si suggeriva un modello di tipo meccanicistico, ma già orientato verso l.organicismo. Nello stesso periodo, contemporaneamente all.elaborazione della propria teorica, si affermava l.economia come disciplina scientifica, per ò il proprio modello di riferimento non era la Ricchezza delle Nazioni, ma le teorie fisiocratiche e tardo. mercantiliste, fatte proprie da Antonio Genovesi e Ferdinando Galiani. Non bisogna dimenticare, la prima sintesi di tutti i suggerimenti e gli stimoli contenuti nelle elaborazioni dell.economia: le Meditazioni sull.economia politica di Pietro Verri, opera con la quale Filangieri ricostituisce costantemente la relazione fra legislazione ed economia. Un altro elemento nuovo era raffigurato dal dibattito intorno ai problemi dell.educazione e ai modelli di riferimento nei campi dell .istruzione che allora coinvolgeva tutti gli esponenti più importanti dell.Illuminismo europeo. Sulla questione delle classi nobiliari, Filangieri pur consapevole della funzione sociale dei corpi intermedi, fra monarca e sudditi, nel garantire la libertà politica e civile, (sull.esempio dell.opera di Montesquieu) si mostrava allo stesso tempo contrario a tutti quegli automatismi che garantivano alla nobiltà feudale immunità, autorità e protezione della proprietà. Come affermano Carpanetto-Ricuperati, «se sul piano economico si espresse contro i maggiorascati ed ogni forma di diritto di primogenitura, parlando della giustizia non poté fare a meno di attaccare ogni forma di giurisdizione che sfuggisse al controllo dello Stato» [Ivi, p. 367]. (cfr per un maggior approfondimento del problema Boncerf Pierre-Francois, Les inconvénients des droits féodaux) In precedenza Antonio Genovesi ne aveva posto le basi, «battendosi per la totale commerciabilità dei feudi, sia denunciando le pesanti conseguenze economiche di queste istituzioni arcaiche che si presentavano (insieme con la proprietà ecclesiastica) come la causa principale dell.arretratezza del Meridione» [Ibidem]. Filangieri coglieva la decadenza della società meridionale, attraverso la rappresentazione di una visione della giustizia arcaica, legata alle vecchie strutture di natura feudale. Nel Mezzogiorno la giustizia era amministrata dai feudatari e dalla nobiltà. Essa lasciava loro la competenza completa sugli atti di natura criminale. Questa giurisdizione rappresentava il primo elemento, scatenante i conflitti, che minava9. Immagini della società italiana 165 no la società civile meridionale e che minacciavano l.esistenza stessa delle libertà civili. Questa visione della legalità entrava necessariamente in conflitto con una visione moderna della legge garante della libertà. Le prerogative d.origine feudale si mostravano necessariamente contrastanti con una società evoluta. Ma in che maniera si potevano dare delle risposte concrete ai problemi dei livelli mediani (i corpi intermedi) del corpo sociale, come strumenti di libertà contro le tendenze autoritarie implicite nell.assolutismo? La soluzione auspicata da Filangieri consisteva nel dividere la funzione sociale dei corpi intermedi dalla feudalità abolendo questa ultima e confermando la prima, ma al tempo stesso domandando loro di trasformarsi in un ceto separato da distinzioni e di rinunciare ai loro privilegi economici se volevano essere veramente il baluardo della democrazia e della libertà, contro l.ingiustizia e la repressione. Egli disegna un ordine sociale fondato su un equilibrio di poteri. Sostanzialmente egli ipotizza per la società meridionale, una struttura sociale fondata su un regime di governo di tipo monarchico temperato, in cui i corpi intermedi (una magistratura professionale garante della legge, con una nobiltà mallevadore della libertà) contenevano in un giusto equilibrio i poteri della monarchia. Filangieri esprime essenzialmente una visione che risente necessariamente dell.influenza esercitata dall.Esprit des lois di Montesquieu. Accanito avversario del dispotismo, è al tempo stesso critico nei confronti del regime di governo democratico. Di quest.ultima forma istituzionale Filangieri ne temeva l.estrema volontà d.eguaglianza, nella quale vedeva la concreta possibilità del formarsi di quella che lui stesso definiva la nobiltà d.opinione. Il compromesso con il sovrano e l.individuazione di un nuovo status sociale per la classe aristocratica, sebbene priva dell.autorità giudiziale si mostravano assolutamente riconoscibili, quando Filangieri era obbligato ad accogliere una differenziazione delle condanne secondo i gruppi sociali. La proposta suggerita da Filangieri era innalzata sull.idea che l.aristocrazia si sarebbe mostrata molto più sensibile della massa a sanzioni che riguardavano l.onore. Il modello sostanzialmente egualitario di Beccaria perdeva forza nel discorso di Filangieri. Sul problema della pena capitale l.accordo con il sovrano portava l.illustre scienziato sociale meridionale ad essere meno efficace dell.illuminista Lombardo. Parte quarta . Le origini delle scienze sociali in Italia nell.età dell.Illuminismo 166 Coerente con la propria proposta riformatrice d.orientamento liberale, egli proponeva un modello particolare di processo educativo, legato alle specifiche condizioni della società meridionale. Filangieri individuava un sistema d.istruzione statale destinato a rafforzare le differenti virtù collettive di tutti i membri della società. Questo sistema legava il tipo d.educazione da impartire alle varie classi sociali, alla professione da loro esercitata o che potevano esercitare. Queste indicazioni emergono in maniera veramente forte dalle parole dello stesso Filangieri: Io divido (afferma l.illuminista napoletano) da principio in due classi il popolo. Nella prima comprendo tutti coloro che servono, o che potrebbero servire la società con le loro braccia, nella seconda coloro che la servono, o potrebbero servirla coi loro talenti.. La prima classe, quella dei lavoratori, avrebbe dovuto ricevere un.istruzione elementare, sotto il controllo di magistrati locali, pubblica e gratuita, orientata immediatamente a costruire solide competenze professionali sia nel settore artigiano sia in quello agricolo. Il progetto di Filangieri era analitico, perch é prevedeva i contenuti culturali, le competenze professionali, i modelli di comportamento necessari per favorire nei futuri artigiani e contadini non solo le abilità manuali, ma anche quella robustezza fisica e morale che potesse eventualmente trasformarli in soldati [Ivi, pp. 368- 369]. Per quanto riguardava la seconda classe, quella dotata eccezionalmente sul piano delle qualità e destinata agli studi superiori, il tipo d.istruzione a lei riservato era essenzialmente di tipo teorico-speculativo. La conoscenza era e doveva rimanere patrimonio esclusivo delle classi agiate possessori di ricchezza. Il tipo sociale di riferimento in questo caso era l.Inghilterra, dove il sapere aveva un prezzo talmente elevato da essere diritto esclusivo dei gruppi sociali abbienti. Filangieri nel sostenere questo tipo di modello educativo affermava che «il paese che più abbonda in errori è quello ove costa di meno l.avviarsi nella carriera delle lettere». Tale facilità non solo produceva intellettuali senza impiego e socialmente pericolosi, ma sottraeva energia . senza vantaggi . alle «classi produttive» [Ibidem]. Il fine principale dell.analisi filangieriana è quello di costruire intorno al moto di riforma un ampio consenso. È esaltato il potere esercitato dall.opinione pubblica, visto e compreso nella sua grande attualità. Filangieri, vede questo nuovo potere condizionare in maniera 9. Immagini della società italiana 167 corretta le scelte di governo, ma per agire in maniera efficace, esso deve avere bisogno collateralmente del ruolo fondamentale della stampa, naturalmente libera e senza vincoli.

 
<- Indietro - Continua ->