1 M.H. HANSEN, Emporion. A study of the use and meaning of the term in the<BR>archaic and classical<BR>periods, in Yet More Studies in the Ancient Greek Polis (Historia<BR>Einzelschr., 117), Stuttgart 1997,<BR>pp. 83-105 (cfr. anche J.P. WILSON, The Nature of Greek Overseas Settlements<BR>in the Archaic Period.<BR>Emporion or apoikia?, in L.G. MITCHELL-P.J. RHODES (eds.), The Development<BR>of the Polis in Archaic<BR>Greece, London-New York 1997, pp. 199-207); R. OSBORNE, Early Greek<BR>Colonization? The nature of<BR>Greek settlement in the West, in Archaic Greece: new approaches and new<BR>evidence (eds. N. FISHERH.<BR>VAN WEES), London 1998, pp. 251-269 (cfr. anche D. YNTEMA, Mental landscapes<BR>of colonization:<BR>The ancient written sources and the archaeology of early colonial-Greek<BR>southeastern Italy, in BaBesch<BR>75, 2000, pp. 1-49).<BR>ÉMPOROI, EMPORION, EMPORITAI:<BR>FORME E DINAMICHE DELLA PRESENZA GRECA<BR>NELLA PENISOLA IBERICA<BR>MARIO LOMBARDO<BR>Voglio innanzitutto ringraziare gli organizzatori, e in particolare la<BR>Professoressa<BR>Marta Sordi, per avermi invitato a partecipare a questo Convegno,<BR>in una sede così straordinaria com'è questa della Fondazione Canussio<BR>a Cividale, affidandomi una delle relazioni introduttive al tema centrale<BR>dell'incontro,<BR>la Spagna in età romana, e precisamente quella sulla presenza<BR>greca nella Penisola Iberica. Un argomento, questo, troppo ampio e complesso<BR>per poter esser trattato in maniera sistematica ed esauriente nel breve<BR>tempo previsto, tanto più alla luce dell'enorme mole delle indagini,<BR>scoperte<BR>e discussioni degli ultimi decenni, che hanno, tuttavia, trovato un primo<BR>importante<BR>momento di sintesi nella monumentale opera di Pierre Rouillard<BR>«Les Grecs et la Péninsule Ibérique du VIIIe au IVe siècle avant<BR>Jésus-Christ»<BR>(Paris 1991).<BR>È, dunque, all'ampio quadro tracciato da Rouillard che, necessariamente,<BR>si rifarà gran parte della mia esposizione, richiamandone assai<BR>sinteticamente<BR>i tratti principali e cercando quindi di metterne a fuoco il significato e<BR>le<BR>implicazioni anche in rapporto ad alcuni problemi posti di recente sul<BR>tappeto<BR>da studiosi come Mogens Herman Hansen e Robin Osborne1, che investono<BR>nozioni come quelle di «emporion» e «apoikía», centrali negli studi<BR>sulla colonizzazione greca e che chiamano in campo, come vedremo in maniera<BR>peculiare, le forme assunte dalla presenza ellenica nella Penisola Iberica,<BR>e in special modo quelle che trovano espressione nella principale 'colonia'<BR>greca in terra iberica, non a caso dal nome di Emporion.<BR>Il dato più generale che emerge dall'ampia e sistematica disamina delle<BR>74 Mario Lombardo<BR>2 Cfr. ROUILLARD, Les Grecs., cit., pp. 21 sgg., e in part. Cartina 2, a p.<BR>23.<BR>3 Ibid., pp. 107 sgg., e in part. Cartina 3 alle pp. 114-115 e Cartina 7<BR>alle pp. 132-133.<BR>4 Ibid., pp. 117 sgg., e in part. Cartina 4, alle pp. 118-119.<BR>5 Ibid., p. 123.<BR>evidenze, sia archeologiche che letterarie, condotta da Pierre Rouillard<BR>sulla<BR>scorta dei lavori e delle discussioni di tanti valenti studiosi di cose<BR>iberiche,<BR>spagnoli in primo luogo, ma anche francesi, tedeschi, inglesi e italiani, è<BR>che<BR>le esperienze di frequentazione, presenza, insediamento dei Greci nella<BR>Penisola<BR>Iberica appaiono caratterizzarsi in termini essenzialmente emporici,<BR>'commerciali', mentre nel complesso poco consistenti, e spesso problematici,<BR>risultano i dati relativi alla fondazione di apoikíai, di 'colonie', non<BR>solo<BR>relativamente tarde e di numero assai limitato, ma anch'esse a loro volta<BR>configurantisi in forme peculiari - starei per dire 'leggiere' - nei<BR>confronti<BR>del contesto 'locale' iberico, in termini sia di impatto<BR>insediativo-territoriale<BR>che di rapporti con l'ambiente 'indigeno'. Forme che, come vedremo meglio,<BR>appaiono leggibili in misura sostanziale in riferimento alle peculiarità<BR>delle esperienze 'coloniali', o meglio emporico-coloniali, sviluppate dal<BR>mondo foceo (e foceo-massaliota).<BR>Se guardiamo al quadro della documentazione archeologica, i dati raccolti<BR>e discussi da Rouillard, ed efficacemente sintetizzati in alcune cartine di<BR>distribuzione, evidenziano una precoce e poi sempre più diffusa e<BR>consistente<BR>presenza di materiali greci nella Penisola Iberica, con significative<BR>dinamiche<BR>sul piano spaziale e temporale.<BR>Una presenza, seppur inizialmente poco consistente, di materiali di<BR>produzione<BR>ellenica (ceramiche e bronzi) si registra, a partire già dall'VIII sec.<BR>a.C. e nel corso del VII, in diversi siti indigeni e fenici dell'area<BR>tartessica<BR>della Spagna meridionale, sia mediterranea che atlantica2. Tale presenza si<BR>fa<BR>nel VI secolo, e specialmente nella sua seconda metà, assai più diffusa e<BR>cospicua<BR>sia nei siti della stessa area tartessica, e in particolare nella regione di<BR>Huelva, sia in diversi altri risalendo lungo la costa mediterranea della<BR>Penisola,<BR>e soprattutto in quello di Empories-Ampurias-Emporion in Catalogna,<BR>comprendendo materiali sia di produzione attica (per lo più prevalenti) che<BR>extra-ateniese, in particolare greco-orientale3.<BR>Ancor più ampiamente diffusa e consistente appare la distribuzione delle<BR>importazioni greche nel V secolo, e in particolare nella sua seconda metà -<BR>con punte significative ad Ampurias e Rosas in Catalogna, ma con una<BR>significativa<BR>contrazione a Huelva e più in generale nella Spagna meridionale -4,<BR>e soprattutto nel IV, che vede «une veritable 'explosion' des importations<BR>grecques dans la Péninsule Ibérique»5, sia in termini quantitativi - è in<BR>effetti<BR>a quest'ultimo secolo, e in particolare alla sua prima metà, che si datano<BR>Émporoi, Emporion, Emporitai 75<BR>6 Ibid., pp. 123 sgg. e in part., Cartina 6 alle pp. 124-125.<BR>7 Ibid., pp. 126 sgg.<BR>8 Ibid., Cartina 1 alle pp. 12-13, con la lista alle pp. 409 sgg.<BR>9 Ibid., p. 282.<BR>oltre il 70% delle importazioni greche (ma questa percentuale scende al<BR>27% circa nel caso di Ampurias) - che di diffusione geografica6.<BR>Se le limitate importazioni greche di VIII e VII sec. a.C. in Andalusia<BR>potrebbero<BR>almeno in parte esser state veicolate dai Fenici, non c'è dubbio<BR>che, a partire dal 600 ca. a.C., il quadro di tali importazioni, nel loro<BR>insieme<BR>sempre più diffuse e consistenti anche se con significativi fenomeni di<BR>discontinuità<BR>più o meno 'localizzati' su scala regionale7, rinvia a significative<BR>forme di presenza e attività di émporoi ellenici, che si lasciano<BR>qualificare, almeno<BR>per i secoli VI e V, in relazione ad esigenze acquisitive da parte dei<BR>Greci, interessati forse in primo luogo ai metalli dell'area tartessica, ma<BR>verosimilmente<BR>anche ai prodotti dell'economia agro-pastorale delle popolazioni<BR>epicorie.<BR>A fronte di tutto questo, se guardiamo alla cartina di distribuzione<BR>generale<BR>dei siti archeologici indigeni, fenici e greci nella Penisola Iberica,<BR>possiamo<BR>constatare che questi ultimi appaiono attestati con sicurezza praticamente<BR>solo - e non a caso - nell'estremo lembo settentrionale della costa<BR>mediterranea, con Ampurias e Rosas8. Le cospicue attività di interazione e<BR>scambio testimoniate dalle importazioni non sembrerebbero dunque aver<BR>dato luogo alla fondazione e allo sviluppo di consistenti e/o stabili<BR>insediamenti<BR>ellenici, salvo che nella Catalogna settentrionale, in una zona, cioè, in<BR>qualche modo rientrante nell'orizzonte massaliota. Certo bisogna tener conto<BR>dell'alea degli scavi, della possibilità, cioè, che l'indagine archeologica<BR>non sia ancora riuscita a portare alla luce ulteriori insediamenti greci. Va<BR>considerato tuttavia che anche dalle fonti letterarie sembra evincersi un<BR>quadro<BR>complessivo sostanzialmente coerente con quanto fin qui osservato.<BR>In effetti, già a partire dai celebri passi di Erodoto sul 'prodigioso'<BR>viaggio<BR>del samio Coleo a Tartesso, allora (ca. 625 a.C.) un «emporion akeraton<BR>(intatto)» (Hdt. IV 152) e sui rapporti di ospitalità e amicizia<BR>instauratisi poi<BR>tra il sovrano tartessio Argantonio e i navigatori (e commercianti) focei<BR>(Hdt. I 163), le presenze greche nella Penisola appaiono caratterizzate<BR>primariamente<BR>in termini emporici, mentre assai poco consistenti e spesso problematici<BR>risultano i dati relativi alla fondazione di apoikiai.<BR>È vero che in una tradizione letteraria incline a popolare le coste dell'<BR>intero<BR>Mediterraneo di poleis, ktiseis, apoikiai greche, relativamente numerose<BR>appaiono anche per la Penisola Iberica le 'notizie' su insediamenti<BR>'coloniali'<BR>ellenici. Tuttavia, alcune di tali colonie risultano in realtà dei veri e<BR>propri<BR>fantasmi storiografici - «colonies qui n'en sont pas» le definisce<BR>Rouillard9 -:<BR>76 Mario Lombardo<BR>10 Ibid., pp. 282 sg.<BR>11 Ibid., pp. 283-288.<BR>12 Cfr. H.G. NIEMEYER, Auf der Suche nach Mainake: der Konflikt zwischen<BR>literarischer und<BR>archäologischer Überlieferung, in Historia XXIX, 1980, pp. 165-189;<BR>ROUILLARD, Les Grecs., cit.,<BR>pp. 292 sgg.<BR>13 Ibid., pp. 292-297.<BR>14 Sull'importanza di questa battaglia, di cui ci dà notizia Hdt. I 165,<BR>cfr. M. GRAS, L'Occidente e i<BR>suoi conflitti, in S. SETTIS (a c. di), I Greci 2.II, Torino 1997, pp.<BR>61-85. Alla scomparsa di Mainake è<BR>stata collegata la significativa flessione delle importazioni greche in<BR>Andalusia tra il 500 e il 450 a.C.:<BR>cfr. ROUILLARD, Les Grecs.,cit., pp. 146-149.<BR>15 St. Byz., s.v., con citazione di Artemidoro.<BR>16 ROUILLARD, Les Grecs., cit., pp. 299-303.<BR>17 Ibid., pp. 303-306.<BR>così Abdera, Oinussa, Molibdana, Sagunto10 e la stessa Akra Leuké11. Altre<BR>presentano un dossier controverso, come Mainake, la più occidentale (da<BR>ubicare<BR>forse, sulla scorta di quanto dicono le fonti, alla foce del Velez, presso<BR>Malaga, in una zona di sicura presenza fenicia)12 e in passato considerata<BR>da<BR>vari studiosi come la più antica e forse la più importante delle colonie<BR>greche<BR>in Spagna: se per lo Pseudo-Scimno (vv. 425-431) e per Strabone (III 4.2) si<BR>tratta di una polis greca - rispettivamente di origine massaliota o focea -,<BR>Avieno (vv. 425-427) e Stefano Bizantino (s.v.) non la qualificano affatto<BR>come<BR>ellenica. A giudizio di Rouillard13, seppur fondata forse in età arcaica,<BR>essa<BR>non dovette comunque né prosperare e svilupparsi né aver lunga vita: non<BR>sarebbe in realtà sopravvissuta per molto alla cd. Battaglia del Mar Sardo,<BR>che segnò l'eclissi della presenza e delle iniziative dei Focei d'Asia<BR>Minore<BR>nel Mediterraneo Occidentale14.<BR>A sua volta l'Hemeroscopeion menzionato da Strabone (III 4.6; cfr. 4.10)<BR>come il più consistente dei tre polivcnia Massaliwtw`n siti tra la foce del<BR>Sucro (Jucar) e Carthago Nova, e da lui ubicato su un promontorio con un<BR>santuario di Artemis Ephesia, è qualificato da Stefano Bizantino15 come<BR>Fokaevwn a[poiko", mentre Avieno (vv. 472-478) ne fa menzione come «habitata<BR>pridem.civitas, nunc iam solum vacuum incolarum languido stagno<BR>madet»; è forse ubicabile, sulla base della menzione del santuario di<BR>Artemis,<BR>a Denia-Dianium (Cic., Verr. 1.87 e 5.146) e nel complesso è giudicato<BR>da Rouillard16 come un «relais à fonction reduite» e di cronologia assai<BR>incerta,<BR>un modesto emporion greco. Conclusioni almeno in parte analoghe<BR>valgono anche per Alonis, definita da Stefano Bizantino (s. v.) polis<BR>massaliás<BR>e menzionata anche dai geografi di età romana (Mela II 93; Ptol. II 6.14;<BR>Rav. 304.16), il cui sito può forse essere identificato a Santa Pola, sul<BR>Segura,<BR>dall'altra parte del fiume rispetto all'importante centro indigeno di Cabezo<BR>Lucero17.<BR>Restano infine gli unici due insediamenti per i quali siano stati con<BR>certez-<BR>Émporoi, Emporion, Emporitai 77<BR>18 Entrambi gli autori (Strabone però a XIV 2.10) fanno riferimento ad un'<BR>antica fondazione rodia,<BR>da considerarsi però frutto di elaborazioni più o meno seriori su base<BR>paretimologica: cfr. ROUILLARD,<BR>Les Grecs..., cit., pp. 93 e 289. Ulteriori menzioni del centro in Liv.<BR>XXXIV 8; Mela 2.89; Ptol. II<BR>6.19; St. Byz., s.v.<BR>19 ROUILLARD, Les grecs., cit., pp. 288-292.<BR>20 I passi più importanti sono quelli di Strabo III 4.8 e Liv. XXXIV 9-10,<BR>su cui torneremo. La<BR>città è menzionata anche in Ps.-Scyl. 2 e 3; Ps.-Scymn., vv. 203 sg.; Polyb.<BR>I 3.76 e III 39.2; Sil. It. III<BR>368-370 e XV 176; Mela II 87-90; Plin., n.h. III 21-23. Se ne veda la<BR>discussione in ROUILLARD, Les<BR>Grecs..., cit., pp. 244 sgg. e 252 sgg.<BR>21 Cfr. ROUILLARD, Les Grecs..., cit., pp. 246 sgg. e da ultimo R. PLANA<BR>MALLART, D'emporion à<BR>Emporion: la colonie et son territoire, in Problemi della chora coloniale<BR>dall'Occidente al Mar Nero (Atti<BR>40° Convegno di studi sulla Magna Grecia), Taranto 2001, pp. 545-566.<BR>22 Un primo insediamento greco sull'isolotto paracostiero di San Martin, che<BR>sembra identificabile<BR>col sito della palaia; povli" a cui fa riferimento Strabone (III 4,8),<BR>sembra databile nei primissimi decenni<BR>del VI sec. a.C. e di poco posteriore appare l'inizio dell'insediamento<BR>sulla terraferma: cfr.<BR>ROUILLARD, Les Grecs..., cit., pp. 249 sgg.<BR>23 Ibid., pp. 311 sgg.<BR>za identificati, e in parte indagati, i siti antichi, quelli di Rhode-Rosas<BR>ed Emporion-<BR>Empories-Ampurias, per i quali possiamo dunque procedere ad evocare<BR>in parallelo i dati offerti dalle fonti e dall'archeologia. La prima, sul<BR>golfo omonimo, è presentata dallo Pseudo-Scimno (vv. 201-206) come<BR>fondazione<BR>«dei Focei Massalioti» (la seconda dopo Emporion), mentre Strabone<BR>(III 4.8) la qualifica come polivcnion 'Emporitw`n18. Essa appare, alla<BR>luce dei dati archeologici, come un insediamento non più antico del tardo<BR>V sec. a.C., di dimensioni ridotte e di modesto rilievo, anche se è<BR>attestata la<BR>presenza di un tempio di Artemide, nonché, a partire del III secolo, di una<BR>produzione artigianale locale e di emissioni monetali proprie19.<BR>Assai più consistente appare la documentazione, sia letteraria20 che<BR>archeologica21,<BR>relativa a Emporion, che emerge come il più antico22, il più importante<BR>e il più longevo degli insediamenti 'coloniali' greci nella Penisola<BR>Iberica, nonché come il più complesso dal punto di vista<BR>organizzativo-funzionale:<BR>nella classificazione proposta da Rouillard23, in un primo gruppo<BR>rientrerebbero Mainake e Alonis, insediamenti portuali in cui il commercio è<BR>più attivo dell'artigianato, stabiliti nei pressi di comunità indigene e<BR>verosimilmente<BR>funzionanti, specie la prima, come semplici relais d'étape; in un secondo<BR>gruppo ricadrebbero Rhode ed Hemeroscopeion, insediamenti di piccole<BR>dimensioni e apparentemente privi di cinta muraria, per i quali è però<BR>attestata<BR>la presenza di un santuario (di Artemis) e, nel caso di Rhode, anche una<BR>produzione artigianale relativamente consistente, ma il cui «spazio<BR>commerciale<BR>», così come la prossimità degli indigeni, non appare documentabile con<BR>precisione. Troviamo, infine, Emporion, caratterizzata invece da un<BR>commercio<BR>assai attivo e vario, unito a consistenti attività produttivo-artigianali,<BR>nonché<BR>dalla presenza sia del tempio che della cinta fortificata; dalla contiguità<BR>78 Mario Lombardo<BR>24 Cfr. ROUILLARD, Les Grecs..., cit., pp. 251-276; PLANA MALLART, D'<BR>emporion... cit.; R. PLANA<BR>MALLART, Cadastres et chora ampuritaine, in BCH Suppl. 34, 1999, pp.<BR>199-215; E. SANMARTÍ-GREGO,<BR>Massalia et Emporion: une origine commune, deux destins differents, in<BR>Marseilles grecques et la Gaule,<BR>Etudes Massaliètes 3, 1992, pp. 27-41.<BR>25 Cfr., rispettivamente, ROUILLARD, Les Grecs..., cit., pp. 251 e 257 sg. e<BR>PLANA MALLART, D'emporion...<BR>cit.<BR>26 E. LEPORE, Strutture della colonizzazione focea in Occidente, in PdP XXV,<BR>1970, pp. 19-54; si veda<BR>anche E. LEPORE, Colonie greche dell'Occidente antico, Roma 1989, pp. 126<BR>sgg.<BR>27 A. MELE, Il Tirreno tra commercio arcaico ed emporia classica, in Flotte<BR>e commercio greco, cartaginese<BR>ed etrusco nel Mar Tirreno (Atti del Simposio Europeo di Ravello, 1985),<BR>Strasbourg 1988,<BR>pp. 57-68, e già A. MELE, Il commercio greco arcaico. Prexis ed emporìe,<BR>Napoli 1979.<BR>certa con una comunità indigena; dalla presenza, infine, di consistenti<BR>necropoli<BR>e da notizie sul possesso di una chora, un territorio sfruttato a scopi<BR>agricoli24.<BR>Tanto più significativo, in questa prospettiva, appare il fatto, su cui<BR>occorre<BR>insistere, che l'abitato fortificato greco, all'epoca della sua maggiore<BR>espansione a partire dal IV-III secolo, non sembra superare l'estensione di<BR>pochi ettari, da 2 a 4-5 a seconda delle valutazioni degli studiosi25, il<BR>che rinvia<BR>comunque ad una consistenza demografica di poche centinaia di abitanti,<BR>viventi a stretto contatto con una comunità indigena di consistenza<BR>certamente<BR>- o almeno assai verosimilmente, visto che i dati archeologici sul centro<BR>indigeno<BR>sono ancora assai carenti - molto superiore. Questo è il dato principale<BR>che emerge anche da un ben noto passo di Tito Livio (XXXIV 9-10) in cui<BR>lo storico romano, facendo riferimento ad un contesto di avanzato III secolo<BR>a.C., riferiva come la città greca, aperta sul mare, avesse una cinta<BR>muraria di<BR>lunghezza inferiore ai 400 passi, mentre, al di là del muro che separava i<BR>due<BR>insediamenti, quella della città indigena si estendeva più all'interno per<BR>una<BR>lunghezza complessiva di ben 3000 passi. Oltre che da Livio, la stretta<BR>contiguità<BR>con gli indigeni è testimoniata anche da un importante passo di Strabone,<BR>secondo il quale essa avrebbe infine dato luogo alla fusione delle due<BR>comunità<BR>eij" taujto; polivteuma, con mescolanza dei rispettivi nomima (III<BR>4.8), ed è stata valorizzata a suo tempo da Ettore Lepore26, in pagine<BR>memorabili,<BR>come uno degli aspetti più peculiari dell'esperienza coloniale, e insieme<BR>commerciale, arcaica dei Focei, contribuendo a qualificare questa 'colonia'<BR>insieme al suo stesso nome, sul quale torneremo, come espressione e portato<BR>di esperienze ed esigenze in cui il dato fondamentale è costituito dalla<BR>emporíe.<BR>Per esser più precisi, da quella emporíe di tipo 'foceo-soloniano' su cui<BR>Alfonso Mele ha scritto pagine assai importanti27 e che va intesa, come ci<BR>ha<BR>insegnato Lepore, essenzialmente come un 'processo acquisitivo'. In questa<BR>prospettiva si lasciano leggere anche le altre esperienze 'coloniali'<BR>foceo-massaliote<BR>nella Penisola Iberica, che avrebbero dato luogo, dunque, a insediamenti<BR>il cui funzionamento Rouillard ha proposto di leggere, sulla scorta anche<BR>di altri studiosi, in riferimento al modello polaniano del port of trade,<BR>an-<BR>Émporoi, Emporion, Emporitai 79<BR>28 Les Grecs., cit., pp. 308 sgg.<BR>29 Nei lavori citati supra, alla n. 1.<BR>30 A. BRESSON-P. ROUILLARD (eds.), L'emporion, Paris 1993.<BR>31 Ibid.<BR>32 A. BRESSON, Les cités grecques et leurs emporia, in BRESSON-ROUILLARD<BR>(eds.), L'emporion, cit.,<BR>pp. 163-226.<BR>33 Cfr. M. CASEVITZ, L'emporion: emplois classiques et histoire du mot, in<BR>BRESSON-ROUILLARD<BR>(eds.), L'emporion, cit., pp. 9-22, in part. 15 sgg.<BR>34 Ibid., p. 94.<BR>che se con ritocchi significativi e in particolare con l'espunzione, per<BR>così dire,<BR>degli aspetti amministrativi su cui Polanyi aveva, invece, insistito<BR>molto28.<BR>Se, dunque, gli aspetti fondamentali delle esperienze 'colonali' greche<BR>nella Penisola Iberica appaiono essere da un lato il ruolo protagonistico -<BR>se<BR>non 'esclusivo' - del mondo foceo-massaliota e, dall'altro, i loro caratteri<BR>essenzialmente<BR>emporici, la loro lettura, e in particolare quella della più antica<BR>e meglio documentata fra di esse, Emporion, non può non confrontarsi oggi<BR>con le revisioni e discussioni critiche sulla nozione di emporion e sulla<BR>legittimità<BR>di un suo impiego in riferimento agli insediamenti 'coloniali' greci di<BR>età arcaica, proposte di recente da J.P. Wilson e M.H. Hansen29 sulla scorta<BR>di una serie di studi sviluppati nell'ultimo decennio e che hanno trovato<BR>spazio nella pubblicazione curata da Alain Bresson e Pierre Rouillard sull'<BR>emporion30.<BR>M.H. Hansen31, in particolare, sulla base di uno studio sistematico<BR>degli impieghi e del significato del termine ejmpovrion in epoca arcaica<BR>e classica - uno studio che parte dalla distinzione proposta da A. Bresson<BR>tra comunità che ha un emporion e comunità che è un emporion32 -, ha<BR>radicalmente<BR>contestato la legittimità dell'impiego di tale nozione in riferimento<BR>ad insediamenti coloniali arcaici. Fondamento essenziale di tale conclusione<BR>è la pura e semplice constatazione che il termine ejmpovrion - a differenza<BR>di<BR>e[mporo" ed ejmporivh - non è attestato in alcun testo di età arcaica: le<BR>più<BR>antiche occorrenze compaiono in iscrizioni attiche della metà circa del V<BR>secolo<BR>a.C. (IG I3 1101 A e B, con riferimento al Pireo), e poi in Erodoto<BR>(I 165; II 39; II 178-179; III 5; IV 17; 20; 24; 108; 152; VII 158; IX 106),<BR>che<BR>impiega il termine in riferimento ad una varietà di siti (Naucrati,<BR>Tartesso,<BR>Boristene, etc.)33, mentre del tutto assente esso risulta nei frammenti<BR>conservati<BR>della Perivodo" gh`" di Ecateo. In questa sua opera di vera e propria<BR>demolizione di idées recues e di abitudini costituite, Hansen non poteva non<BR>confrontarsi col problema posto dal nome della 'colonia' arcaica di<BR>Emporion,<BR>«the only possible attestation of the concept of emporion antedating the<BR>mid fifth century b.C.», ricordando correttamente come la spiegazione<BR>pressochè<BR>universalmente accettata di tale nome assuma che l'insediamento<BR>«from the outset was called Emporion because it was an emporion»34. Tutta-<BR>80 Mario Lombardo<BR>35 Emporion., cit., p. 95.<BR>36 J. HIND, Pyrene and the date of the «Massaliot Sailing Manual», in RSA<BR>II, 1972, pp. 39-52.<BR>37 L. ANTONELLI, Il periplo nascosto. Lettura stratigrafica e commento<BR>storico-archeologico dell'Ora<BR>maritima di Avieno, Padova 1997, pp. 186 sg.<BR>38 Essa incontra serie difficoltà nel fatto che la colonia di Emporion è<BR>ubicata da Strabone non nel<BR>territorio dei Sordiceni, ma in quello alquanto più meridionale degli<BR>Indigeti, presso i quali Avieno colloca<BR>la antica e ormai del tutto scomparsa città di Cypsela (vv. 523-529), non<BR>altrimenti nota e che in<BR>passato si è proposto di identificare col primo insediamento greco, forse di<BR>matrice corinzia, sul sito di<BR>Ampurias: cfr. tuttavia ROUILLARD, Les grecs., cit., p. 246.<BR>39 Cfr. E. SANMARTÍ-R.A. SANTIAGO, Une lettre grecque sur plomb trouvée à<BR>Emporion, in ZPE 68,<BR>via, egli obietta, le attestazioni del toponimo Emporion sono tarde: esso<BR>compare per la prima volta solo nel Periplo dello Pseudo-Scilace, datato<BR>alla<BR>metà circa del IV secolo a.C. «and can be inferred from the legend EMP on<BR>some fourth century coins»35. Richiama inoltre l'ipotesi, avanzata nel 1972<BR>da<BR>John Hind36, secondo cui il nome originario dell'insediamento sarebbe stato<BR>quello di Pyrene, attestato, oltre che in Erodoto (II 33.3) - ma senza alcun<BR>riferimento che consenta di collegarlo all'insediamento emporitano -, anche,<BR>a suo parere, in un problematico passo dell'Ora maritima di Avieno, in<BR>cui si fa riferimento ad una antica e ricca civitas dove «i Massalioti<BR>venivano<BR>spesso a fare i loro commerci», ubicata nell'estremo lembo settentrionale<BR>della costa mediterranea della Penisola Iberica (vv. 558-661: In Sordiceni<BR>caespitis confinio quondam Pyrenae latera civitas ditis laris stetisse<BR>fertur, hicque<BR>Marsiliae incolae negotiorum saepe versabant vices).<BR>Il passo in questione, tuttavia, appare assai tormentato testualmente, e<BR>non è affatto certo che il toponimo Pyrenae sia da riferire alla civitas<BR>menzionata<BR>nello stesso contesto piuttosto che alla catena dei Pirenei, presso la<BR>quale sarebbe stata ubicata la suddetta civitas. È a questa possibilità che<BR>inclina<BR>da ultimo Luca Antonelli37, il quale tuttavia ritiene di poter riprendere<BR>almeno in parte l'idea di Hind di trovare nei versi di Avieno un riferimento<BR>alla colonia focea, proponendo di identificare l'anonima civitas ai piedi<BR>dei<BR>Pirenei con la palaià polis di Emporion ubicata, secondo Strabone (III 4.8),<BR>sull'isoletta di fronte al sito della polis a lui contemporanea. Al di là<BR>della<BR>maggiore o minore plausibilità di quest'ultima ipotesi38, resta la<BR>difficoltà filologica<BR>segnalata da Antonelli che rende comunque difficile seguire Hind<BR>nella sua idea di riconoscere in Pyrene il nome originario di Emporion.<BR>In verità, l'argomento principale contro tale ipotesi è ormai ricavabile da<BR>importanti evidenze epigrafiche pubblicate alcuni anni dopo l'articolo di<BR>Hind, ma che lo stesso Hansen mostra di ignorare, non senza grave<BR>pregiudizio<BR>per l'intero edificio della sua argomentazione sulla nozione di<BR>emporion. Mi riferisco innanzitutto all'iscrizione 'commerciale' su lamina<BR>di<BR>piombo rinvenuta sul sito stesso di Ampurias e databile verosimilmente allo<BR>scorcio finale del VI secolo a.C.39, in cui, insieme a toponimi (come Sai-<BR>Émporoi, Emporion, Emporitai 81<BR>1987, pp. 119-127; L.H. JEFFERY (-A.W. JOHNSTON), The Local Scripts of<BR>Archaic Greece, 2nd ed., London<BR>1990, Suppl., p. 464; M.P. DE HOZ, Epigrafìa griega en Hispania, in<BR>Epigraphica LIX, 1997, pp. 29-<BR>96, in part. 39-43, con ampia bibliografia. Una possibile datazione verso la<BR>metà del VI secolo è, seppur<BR>dubitativamente, indicata in H. VAN EFFENTERRE-F. RUZÉ, Nomima. Recueil d'<BR>inscriptions politiques<BR>et juridiques de l'archaïsme grec, II, Rome, 1995, n. 74.<BR>40 Su quest'ultimo punto, cfr. in particolare A. LOPEZ GARCIA, Nota sulla<BR>lettera di piombo da Emporion,<BR>in Tyche 10, 1995, pp. 101-102.<BR>41 Cfr., in una bibliografia ormai cospicua, M. LEJEUNE-J. POUILLOUX-Y.<BR>SOLIER, Etrusque et<BR>ionien archaiques sur un plomb de Pech Maho (Aude), in RAN 21, 1988, pp.<BR>19-59; J. CHADWICK, The<BR>Pech-Maho Lead, in ZPE 82, 1990, pp. 161-166; C. AMPOLO-T. CARUSO, I Greci e<BR>gli altri nel Mediterraneo<BR>Occidentale. Le iscrizioni greca ed etrusca di Pech-Maho: circolazione di<BR>beni, di uomini, di istituti,<BR>in Opus IX-X 1990-1991, pp. 29-48.<BR>42 Su questo punto, cfr. in particolare R.A. SANTIAGO ALVAREZ, Presencia<BR>iberica en las inscriptiones<BR>griegas recientemente recuperadas en Ampurias y en Pech Mahò, in Huelva<BR>Aqueologica 13,2, 1994,<BR>pp. 217-227 e J. DE HOZ, 'Griegos e Iberos: testimonios epigràficos de una<BR>cooperación mercantil, Ibid.,<BR>pp. 245-271.<BR>43 Così hanno inteso quasi tutti gli studiosi (cfr. ad es. AMPOLO-CARUSO,<BR>art. cit., p. 35 e SEG XLI,<BR>n. 891), tranne H. VAN EFFENTERRE-J. VELISSAROPOULOS-KARAKOSTA, in RD 69,<BR>1991, pp. 217-226. Da<BR>ultimo, lo stesso termine jEmpori`tai è comparso in una importante<BR>iscrizione lapidea da Vetren nella<BR>Bulgaria centrale, databile alla metà circa del IV secolo a.C., dove esso<BR>sembra impiegato a qualificare<BR>comunità greche di carattere commerciale stabilmente insediate<BR>verosimilmente entro contesti indigeni:<BR>cfr. ora i numerosi contributi pubblicati in BCH 123, 1999, pp. 245-371, e<BR>in particolare quello di<BR>B. BRAVO-A.S. CHANKOWSKI, Cités et emporia dans le commerce avec les<BR>barbares, in BCH 123, 1999,<BR>pp. 275-317, in part. 279-280; vedi anche A. AVRAM, Notes sur l'inscription<BR>de l'emporion de Pistiros en<BR>Thrace, in Il Mar nero III, 1997/98, pp. 37-46.<BR>ganthe alle ll. 2 e 4, e forse anche Arsa alla l. 540) ed antroponimi (come<BR>il Basped(<BR>on?) alle ll. 4 e 7) iberici, compare alla l. 2 il termine 'Emporivtaisin,<BR>unanimemente considerato, anche sulla scorta di Strabone (III 4.8) e Stefano<BR>Bizantino (s.v.), come l'etnico, derivato dal poleonimo (o almeno dal<BR>toponimo)<BR>'Empovrion, indicante i cittadini della polis greca (o almeno gli abitanti<BR>dell'insediamento) sul sito di Ampurias. E lo stesso vale anche, assai<BR>verosimilmente,<BR>per l'iscrizione un po' più recente, databile intorno alla metà del<BR>V secolo a.C., rinvenuta a Pech Maho nella Francia meridionale, nell'area<BR>costiera<BR>pirenaica non molto lontano dalla stessa Emporion41. Anche qui si tratta<BR>di un documento 'commerciale' - iscritto peraltro sul retro di una laminetta<BR>di piombo impiegata poco tempo prima come supporto di un importante<BR>testo etrusco in cui appare menzionata Massalia (mataliai alla l. 5) -, che<BR>sembra<BR>emergere da un orizzonte ionico-foceo e che reca la registrazione di<BR>transazioni<BR>economiche che vedono coinvolti Greci e 'indigeni', preziosa testimonianza<BR>(così come l'iscrizione di Ampurias) delle cospicue interrelazioni tra<BR>elemento greco e iberico nello svolgimento delle attività commerciali nella<BR>regione42.<BR>Ed anche qui compare alla l. 2 il termine 'Emporitevwn, che sembra<BR>riferibile agli Emporitai intesi come gli abitanti di Emporion43.<BR>Da questi documenti si può dunque ragionevolmente inferire che, almeno<BR>allo scorcio del VI secolo a.C., il termine ejmpovrion era usato come deno-<BR>82 Mario Lombardo<BR>44 Emporion., cit.<BR>45 The nature of Greek overseas settlements.., cit.<BR>46 Nei luoghi indicati supra.<BR>47 L'emporion..., cit.<BR>48 P. COUNILLON, L'emporion des geographes grecs, in BRESSON-ROUILLARD<BR>(eds.), L'emporion, cit.,<BR>pp. 47-57.<BR>49 J.G.F. HIND, Colonies and Ports of Trade on the Northern Shores of the<BR>Black Sea - The Cases of<BR>Olbiopolis and Kremnoi in Herodotus, in Yet More Studies in the Ancient<BR>Greek Polis (Historia Einzelschr.,<BR>117), Stuttgart 1997, pp. 107-116.<BR>50 COUNILLON, L'emporion., cit., p. 49.<BR>51 CASEVITZ, L'emporion..., cit., p. 20.<BR>52 M. LOMBARDO, Circolazione monetaria e attività comerciali tra VI e IV<BR>secolo, in S. SETTIS<BR>(a c. di), I Greci, 2.II, Torino 1997, pp. 681-706, in part. pp. 689 sg.<BR>minazione, se non proprio come poleonimo, dell'insediamento greco - della<BR>polis? - sul sito di Ampurias, i cui abitanti - cittadini? - erano noti come<BR>'Empori`tai. Benché si tratti di una inferenza indiretta, essa appare<BR>tuttavia<BR>sufficientemente cogente da farci ritenere che l'origine del termine e della<BR>nozione di ejmpovrion sia da collocare in età arcaica, e che il campo delle<BR>sue<BR>accezioni di impiego comprendesse, in tale orizzonte, almeno nell'ambiente<BR>foceo-massaliota, la possibilità di usarlo per denominare un insediamento<BR>emporico-coloniale come quello di Ampurias.<BR>Altro, ovviamente, è il discorso sulle precise valenze definitorie e/o<BR>classificatorie<BR>del termine in rapporto a polis. Qui credo che Hansen44 e Wilson45<BR>abbiano sostanzialmente ragione nel negare una precisa valenza di ejmpovrion<BR>come «site classification term», in distinzione, se non in opposizione,<BR>rispetto a povli". Ho, tuttavia, anche l'impressione che, in questi termini,<BR>il<BR>problema sia mal posto. Come emerge dagli impieghi nella fonte più antica,<BR>Erodoto46, e come hanno mostrato gli studi recenti di M. Casevitz47, di P.<BR>Counillon48 e dello stesso Hind49, ejmpovrion sembra presentare<BR>originariamente,<BR>e direi primariamente, valenze non insediativo-classificatorie e neppure<BR>'descrittive', ma piuttosto qualificativo-funzionali, emergenti entro<BR>determinate<BR>prospettive: «l'emporion n'appartient pas a la même catégorie descriptive<BR>que les termes comme kwvmh et povli"»50; l'ejmpovrion è «à l'origine<BR>le lieu ou s'exerce l'emporia, activité commerciale, de l'emporos, voyageur<BR>de<BR>commerce au long cours et en tous genres»51. Il termine può designare,<BR>dunque,<BR>qualunque luogo visto come contesto dell'esercizio di quel genere di<BR>attività, qualsiasi entità insediativo-organizzativa vista e qualificata in<BR>quanto<BR>'funzionante da emporion'52. Del resto, un discorso analogo vale per lo<BR>stesso<BR>uso del termine e[mporo", che nelle fonti più antiche presenta non valenze<BR>socio-classificatorie, ma qualificativo-funzionali e per così dire<BR>'circostanziali',<BR>legate cioè a determinati contesti e punti di vista: «e[mporo" è chiama-<BR>Émporoi, Emporion, Emporitai 83<BR>53 Ibid., p. 689.<BR>54 Ibid., p. 689 e n. 33.<BR>55 Cfr. HIND, Colonies..., cit., p. 111.<BR>56 E. LEPORE, I Greci in Italia, in Storia della società italiana (a c. di<BR>I. BARBADORO), I, Milano 1981,<BR>pp. 213-268, ora in M.I. FINLEY-E. LEPORE, Le colonie degli antichi e dei<BR>moderni, con prefazione di<BR>E. GRECO e introduzione di M. LOMBARDO, Roma-Paestum 2000, pp. 29-87 (la<BR>citazione è da p. 37).<BR>57 Cfr. ad es. A. AVRAM, Les cités grecques de la côte ouest du Pont-Euxin,<BR>in Copenhagen Polis Centre<BR>Acts 3, 1996, pp. 288-316 e la discussione in J.-P. MOREL, L'expansion<BR>phocéenne en Occident: dix<BR>années de recherches (1966-1975), in BCH 99, 1975, pp. 866 sg.<BR>58 FINLEY, LEPORE, Le colonie..., cit., pp. 11 sg. e 29 sgg.<BR>to chiunque vada, e soprattutto venga, a fare ejmporiva, qualificato come<BR>tale<BR>in relazione allo svolgimento di tale attività, e dal punto di vista dei<BR>contesti<BR>in cui essa viene svolta»53. Ciò appare chiaro in quella che è forse la più<BR>antica<BR>attestazione del termine nel significato di «commerciante» in Semonide<BR>(fr. 16 West), ma anche in passi erodotei come quello su Temisone tereo, il<BR>salvatore di Fronime, futura madre di Batto, che si trovava ad essere<BR>«e[mporo"<BR>ejn jOaxw/`» (Hdt. IV 154.3). E lo stesso vale anche per il termine<BR>ejmporiva<BR>che, prima e più che un mestiere, designa in origine «l'attività di<BR>commercio<BR>che si va a svolgere più o meno occasionalmente oltremare, e che<BR>(dunque) risulta praticabile, e praticata, anche da soggetti di statuto<BR>sociale<BR>elevato»54.<BR>E analogo appare il discorso sulle valenze del termine emporion rispetto<BR>ad apoikia. Essi si collocano infatti su piani percettivo-comunicativi assai<BR>diversi:<BR>una fondazione coloniale, una apoikia, può esser qualificata - almeno<BR>a partire dal momento (VI sec. a.C.?) in cui è emerso l'uso del termine (e<BR>della nozione) - come emporion, se la si guarda sotto questo aspetto<BR>funzionale55.<BR>Più complesso è invece il problema storico del rapporto tra emporionemporía<BR>e fondazioni coloniali-apoikiai. Secondo una celebre formulazione<BR>di Lepore «l'emporía non generò immediatamente l'apoikia», fra i due tipi<BR>di esperienze vi sarebbe stato un vero e proprio salto strutturale56.<BR>Secondo<BR>altri studiosi, invece, da insediamenti nati originariamente come empória si<BR>sarebbero poi sviluppate delle poleis-apoikiai fra cui la stessa Emporion e<BR>diverse<BR>altre dell'area pontica57. È questo un problema che chiama in campo i<BR>modelli e gli strumenti concettuali con cui leggiamo le esperienze della<BR>colonizzazione<BR>greca. Un campo di studi che oggi vede profondi fermenti e revisioni<BR>critiche sulla scorta di fondamentali e sempre valide considerazioni e<BR>discussioni di Finley e Lepore sull'inadeguatezza della terminologia<BR>centrata<BR>sulle nozioni di «colonia» e «colonizzazione» nella loro matrici<BR>etimologicosemantiche<BR>romane e nelle loro valenze almeno in parte colonialiste ed eurocentriche58.<BR>Da parte di vari studiosi si è proposto di leggere le esperienze<BR>84 Mario Lombardo<BR>59 Cfr. in particolare D. ASHERI, Colonizzazione e decolonizzazione, in S.<BR>SETTIS (a c. di), I Greci, 1,<BR>Torino 1996, pp. 73-106.<BR>60 Cfr. soprattutto N. PURCELL, Mobility and the Polis, in O. MURRAY, S.<BR>PRICE (eds.), The Greek<BR>City from Homer to Alexander, Oxford 1990, pp. 29-58 e M. GIANGIULIO,<BR>Avventurieri, mercanti, coloni,<BR>mercenari. Mobilità umana e circolazione di risorse nel Mediterraneo<BR>arcaico, in S. SETTIS (a c. di),<BR>I Greci, 2.I, Torino 1996, pp. 497-525.<BR>61 Early Greek Colonisation?..., cit. (supra, n. 1).<BR>62 The mental landscapes of colonization..., cit. (supra, n. 1).<BR>63 Avventurieri..., cit.<BR>64 Le style ionien dans la vie politique archaique, in REA 87, 1985, pp.<BR>157-167.<BR>che portarono i Greci a insediarsi stabilmente su gran parte delle coste del<BR>Mediterraneo come espressione peculiare, ma anche assai variegata nei suoi<BR>caratteri ed esiti59, di dinamiche di portata assai più ampia, leggibili<BR>attraverso<BR>la nozione di «mobilità mediterranea»60.<BR>Su questo sfondo, se Wilson e Hansen hanno, in parte almeno a ragione,<BR>contestato l'impiego definitorio e classificatorio della nozione di emporion<BR>in<BR>rapporto alle esperienze coloniali arcaiche, d'altra parte Robin Osborne61,<BR>seguito da ultimo anche da Douwe Yntema62, ha radicalmente contestato la<BR>pertinenza del modello 'apecistico' - quello secondo cui le fondazioni<BR>coloniali<BR>sarebbero state il risultato di 'imprese' promosse e organizzate da una<BR>'metropoli' e guidate da un ecista fornito dalla stessa, un modello a suo<BR>parere<BR>definitosi solo in età classica e in riferimento alle esperienze 'coloniali'<BR>contemporanee -, in rapporto alle esperienze 'coloniali' di VIII-VII secolo,<BR>che avrebbero presentato caratteri radicalmente diversi, assai meno<BR>'strutturati',<BR>e assai meno 'invasivi' nei confronti dei contesti indigeni, venendo poi<BR>'rilette' e 'ricostruite' in maniera del tutto inattendibile, nelle<BR>tradizioni pervenuteci,<BR>nei termini di quel modello. Non è qui il caso di sviluppare una discussione<BR>approfondita su una tesi così radicale, che presenta aspetti assai<BR>stimolanti<BR>e insieme punti che sembrano piuttosto deboli (come la nozione<BR>stessa di «iniziativa privata» in riferimento all'orizzonte delle comunità<BR>di età<BR>geometrica e orientalizzante). Ma anche qui mi sembra che, al di là degli<BR>aspetti terminologici, si tratti di un utile richiamo ad evitare di pensare<BR>i fenomeni<BR>'coloniali' greci in termini di modelli rigidi. Il che non significa<BR>tuttavia<BR>rinunciare a cogliere le forme storicamente determinate in cui, di volta in<BR>volta, si realizzarono le esperienze insediativo-coloniali greche nei vari<BR>periodi<BR>e aree, come ha da ultimo indicato Maurizio Giangiulio63. In quest'ottica,<BR>va sottolineato come le esperienze insediative foceo-massaliote nella<BR>Penisola<BR>Iberica, nei loro caratteri specifici, appaiano espressione e portato di una<BR>emporíe<BR>in cui sembrano esprimersi esigenze ed esperienze che in misura rilevante<BR>'interessano' e 'coinvolgono' la comunità metropolitana in quanto tale,<BR>nel suo complesso. Una comunità, peraltro, che si definisce in forme<BR>partico-<BR>Émporoi, Emporion, Emporitai 85<BR>65 Cfr. O. OZIGIT, The City-walls of Phokaia, in REA 96, 1994, pp. 77-109.<BR>66 J.-P. MOREL, Problématiques de la colonisation grecque en Méditerranée<BR>occidentale: l'exemple<BR>des réseaux, in CL. ANTONETTI (a c. di), Il dinamismo della colonizzazione<BR>greca, Napoli 1997, pp. 59-<BR>70; ID., Eubéens, Phocéens, même combat?, in M. BATS-B. D'AGOSTINO (a c.<BR>di), Euboica. L'Eubea e la<BR>lari, sulle quali ha richiamato di recente l'attenzione Françoise Ruzé64, in<BR>cui<BR>gli assetti e le esperienze politico-istituzionali appaiono fortemente<BR>marcati<BR>da tratti 'arcaici', di tipo personale e familiare, attraverso cui passano e<BR>si sviluppano,<BR>tuttavia, dinamiche organizzativo-economiche estremamente 'avanzate'<BR>e innovative, in cui hanno un ruolo essenziale, accanto a quelle<BR>artigianali,<BR>anche e soprattutto le attività di tipo emporico. Si tratta, in estrema<BR>sintesi,<BR>di esperienze e dinamiche in cui il rapporto fra 'privato' e 'pubblico', tra<BR>émporoi e polis, appare fortemente integrato e interconnesso. Basterà qui<BR>richiamare<BR>rapidamente due punti che ci interessano da vicino nella nostra<BR>prospettiva iberica ed emporica. Mi riferisco in primo luogo a quanto<BR>racconta<BR>Erodoto (I 163) sugli ottimi rapporti tra i Focei e Argantonio, re di<BR>Tartesso. Rapporti di amicizia che passano, naturalmente, attraverso le<BR>attività<BR>e le relazioni sviluppate col lontano regno iberico dagli émporoi focei, i<BR>quali, occorre sottolinearlo, secondo Erodoto non avevano voluto accettare<BR>di stabilirsi a Tartesso, preferendo continuare a svolgere i loro traffici<BR>dalla<BR>madrepatria. È, tuttavia, attraverso questi rapporti con gli émporoi che<BR>passa<BR>il finanziamento, per così dire, da parte di Argantonio, delle mura<BR>necessarie<BR>alla comunità focea, alla polis, al profilarsi del pericolo persiano in Asia<BR>Minore.<BR>Un'iniziativa 'politica' quale la costruzione delle mura di difesa della<BR>città - oggi individuate e in parte scavate dagli archeologi65 -, passa e si<BR>realizza<BR>anche attraverso i rapporti sviluppatisi tra gli émporoi focei e il re di<BR>Tartesso.<BR>Il secondo punto emerge dal passo erodoteo (I 165) relativo alla richiesta<BR>avanzata dai Focei, cha avevano abbandonato in massa la loro città assediata<BR>da Arpago, ai Chioti di vender loro le «isole chiamate Oinussai», richiesta<BR>che sarebbe stata respinta dai Chioti per il timore, afferma lo storico, che<BR>le Oinussai «diventassero un emporion e che la loro isola (scil. Chio) a<BR>causa<BR>di ciò fosse tagliata fuori», verosimilmente dai traffici commerciali<BR>(deimaivnonte" mh; ai{ me;n ejmpovrion gevnwntai, hJ de; aujtw`n nh`so"<BR>ajpoklhisJh/`<BR>touvtou ei{neka). Un passo che mostra chiaramente, a mio parere,<BR>come la comunità focea venisse colta e qualificata essenzialmente in<BR>rapporto<BR>ad attività e funzioni di tipo emporico, e di converso come essa potesse<BR>definire la propria identità, nel momento di 'progettare' il proprio futuro,<BR>in<BR>riferimento primario a quel genere di attività. È in ragione di ciò che l'<BR>insediamento<BR>(e la comunità), certamente una polis, che i Focei avrebbero voluto<BR>costituire sulle isole Oinussai, poteva esser concepito e qualificato, da un<BR>86 Mario Lombardo<BR>presenza euboica in Calcidica e in Occidente (Atti del Convegno<BR>Internazionale di Napoli), Napoli 1998,<BR>pp. 31-44.<BR>67 Su cui vedi ora G.R. TSETSKHLADZE, Greek Colonization of the Black Sea<BR>Area (Historia Einzelschr.<BR>121), Stuttgart 1998.<BR>68 Cfr. da ultimo il mio Profughi e coloni dall'Asia Minore in Magna Grecia,<BR>in Magna Grecia e<BR>Oriente mediterraneo prima dell'età ellenistica (Atti 39° Convegno di studi<BR>sulla Magna Grecia), Taranto<BR>2000, pp. 189 sgg., in part. pp. 208-214.<BR>69 Su cui cfr. A. CORRETTI, s.v., in BTCGI VII, 1989, pp. 178 sg.<BR>70 Su cui cfr. A. CORRETTI, s.v., Ibid., p. 175.<BR>71 Cfr. S. SETTIS, s.v. Emporio di Medma, Ibid., pp. 176-178.<BR>punto di vista 'funzionale', come un futuro emporion.<BR>È proprio facendo leva su questi aspetti che di recente un autorevole<BR>studioso<BR>dell'Occidente, J.-P. Morel66, ha proposto di leggere le esperienze<BR>coloniali<BR>dei Focei - ma anche quelle molto più precoci degli Euboico-Calcidesi<BR>- attraverso il modello del réseau colonial, che avrebbe implicato un<BR>ruolo attivo e persistente della metropoli, nel nostro caso Focea, nella<BR>progettazione,<BR>realizzazione e mantenimento di un sistema 'a rete' di insediamenti<BR>'coloniali', attraverso cui far passare quelle attività emporiche che<BR>avevano<BR>un ruolo così importante nella realtà socio-economica della città-madre.<BR>Un modello, questo, che può trovare riscontri anche nelle esperienze<BR>emporico-coloniali milesie, e più in generale ioniche nel Ponto67 e che, se<BR>non va certo assunto in maniera rigida e meccanica - non tutte le colonie<BR>euboiche (come ad es. Leontini) o focee (certo non Velia68) saranno nate<BR>come<BR>anelli della catena funzionale alle esperienze acquisitivo-emporiche della<BR>metropoli -, permette tuttavia di comprendere in maniera più approfondita<BR>alcuni aspetti altrimenti problematici delle esperienze coloniali greche.<BR>Ritornando, per concludere, alle esperienze insediative greche nella<BR>Penisola<BR>Iberica, vorrei ricordare che, di tutti gli insediamenti che nella<BR>tradizione<BR>sono menzionati col nome di Emporion - Stefano Bizantino (s.v.), oltre<BR>alla povli" Keltikhv, ktivsma Massaliwtw`n, menziona un Emporion di<BR>Macedonia, uno di Sicilia69 ed uno di Campania70; mentre un ulteriore<BR>Emporion<BR>è ricordato da Strabone (VI 1.5) nei pressi di Medma in Calabria71 -,<BR>solo quello 'fondato' dai Focei (e/o dai Massalioti) sulle coste della<BR>Catalogna<BR>presenta una significativa consistenza sul piano archeologico, storico e<BR>documentario: alla luce di quanto si è visto, possiamo dire che non è proba-<BR>1<BR>1<BR>Questo saggio è destinato agli "Scritti in ricordo di Giovanni Motzo".<BR>Sulla genesi dello Stato<BR>di Giovanni Bianco<BR>(Professore associato confermato di Dottrina dello Stato e Professore<BR>supplente di Diritto Pubblico<BR>dell'economia nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di<BR>Sassari)<BR>Sommario<BR>1.Quesiti vecchi e nuovi. 2. Questioni sulla polis greca, la "res publica<BR>romana" e lo Stato<BR>medievale. 3. Si può parlare di "Stato" prima della pace di Westfalia? 4.<BR>Specificità dello Stato<BR>moderno e concetto "ampio" di Stato.<BR>1.Quesiti vecchi e nuovi.<BR>L'emergere o il riemergere di problemi teorici sullo Stato è piuttosto<BR>frequente.<BR>Basta solo menzionare il recente e non sopito dibattito sul se nell'età<BR>post-moderna possa ancora<BR>parlarsi di Stato o si debba, addirittura, rinunciare al suo uso preferendo<BR>altri sostantivi, quale quello<BR>di "sistema".(1)<BR>Senza dubbio, però, la questione che assume un particolare fascino, anche in<BR>considerazione del<BR>molto vasto arco temporale che in essa è necessariamente incluso, è quella<BR>inerente alla genesi del<BR>sostantivo Stato e al se si possa parlare di Stato -intendendo il termine<BR>nel suo senso più comune,<BR>come "comunità statale nel suo complesso"- solo a partire dall'evo moderno<BR>ed in modo particolare<BR>dal Trattato di Westfalia del 1648, che riconobbe la "qualifica di Stati a<BR>quelle società politiche<BR>territoriali sovrane contraddistinte da un'assoluta indipendenza sia dall'<BR>Impero che dal Papato"(2),<BR>e da un punto di vista teoretico e linguistico soltanto a cominciare dalla<BR>notissima frase del<BR>2<BR>2<BR>Machiavelli, che nel 1513, nel primo libro de "Il Principe", scriveva che<BR>"tutti li Stati, tutti e domini<BR>che hanno avuto et hanno imperio sopra li uomini, sono stati e sono o<BR>repubbliche o principati".<BR>Siffatte sono le linee di confine tracciate da autori insigni per affermare<BR>che il nome "Stato" è un<BR>termine nuovo introdotto nella trattatistica politica moderna non soltanto<BR>per "un'esigenza di<BR>chiarezza lessicale", ma anche e soprattutto per la "necessità di trovare un<BR>nome nuovo per una<BR>realtà nuova", "la realtà dello Stato appunto moderno da considerarsi come<BR>una forma di<BR>ordinamento tanto diverso dagli ordinamenti che lo avevano preceduto da non<BR>poter essere più<BR>chiamato con gli antichi nomi".(3) E si sostiene pure che "la parola Stato<BR>diventa importante e<BR>necessaria soltanto quando comincia a designare una Herrschaft, un dominio<BR>caratterizzato da<BR>presenza strutturale, impersonalità e effettivo controllo territoriale, su<BR>tutto il territorio sul quale<BR>vanta giurisdizione".(4)<BR>Insomma: lo Stato è "lo Stato occidentale moderno" con la sua<BR>amministrazione burocratica",<BR>connotato da una "nuova sfera" "integralmente moderna" "dell'<BR>istituzionalità"(5) e se "discutere<BR>dello Stato significa considerare il politico" ed i "rapporti esistenti tra<BR>base sociale, forme<BR>istituzionali e principi", ciò non toglie che ci si debba attenere ad una<BR>"situazione storicamente<BR>delimitata", in cui giungono a compimento "centralizzazione, territorialità<BR>e monopolio della forza<BR>legittima" quali "caratteristiche istituzionali dello Stato" "come<BR>ordinamento complessivo<BR>storicamente situato".(6)<BR>Di conseguenza, si pone in risalto un discrimine storico assolutamente<BR>rilevante, prima del quale<BR>sono esistite numerose istituzioni territoriali sovrane non equiparabili<BR>agli enti territoriali sovrani<BR>moderni per la qualità e la quantità dei poteri pubblici esercitati e per l'<BR>organizzazione burocratica<BR>al servizio dei governanti.<BR>Quindi, né la polis greca, né la res publica romana, né, tantomeno, i regni<BR>medievali sono state<BR>realtà organizzativo-politiche che possono essere intese come "equipollenti"<BR>allo Stato moderno.<BR>La sfera dei nessi problematici e delle interrelazioni storiche e<BR>concettuali tra istituzioni politiche<BR>eterogenee ci impone una disamina ulteriore e più articolata. Tanto più che<BR>non si ritiene appagante<BR>3<BR>3<BR>una visuale ricostruttiva rigorosamente dicotomica e confinatrice del<BR>concetto di Stato nella storia<BR>moderna-contemporanea, quasi che la pace di Westfalia fosse uno spartiacque<BR>totale e non il<BR>prodotto di fattori storici lentamente affermatosi e che l'ordine giuridico<BR>medievale o la storia greca<BR>e romana fossero evi "senza Stato".<BR>2.Questioni sulla polis greca, la res publica romana e lo Stato medievale.<BR>2.1. Ha scritto al riguardo Giovanni Sartori, riprendendo tesi del<BR>Matteucci, che, ad esempio, la<BR>polis greca era "una democrazia senza Stato" in cui "il vivere politico era<BR>tutto risolto nel<BR>convivere nella polis, nella piccola città costituita in koinonìa, in<BR>comunità", in cui il demos sovrano<BR>riassorbiva tutto, quel tutto non richiedeva scorpori e distinzioni tra<BR>popolo sovrano quanto a<BR>titolarità e altri sovrani quanto ad esercizio"; "senza Stato è, in primo<BR>luogo, senza verticalità" ed in<BR>secondo luogo "senza estensione" e cioè "obbligo di restare città".(7)<BR>Queste acute osservazioni meritano qualche confutazione.<BR>La prima: è ampiamente dimostrato che la polis fosse dotata di "poteri<BR>sovrani" (come Sartori stesso<BR>ammette), pur se di più ridotta entità rispetto a quelli<BR>moderno-contemporanei, che traevano la fonte<BR>di legittimazione dal popolo, e di una Costituzione, di una "politeia", la<BR>cui definizione risale ad<BR>Aristotele (8), intesa "come ordinamento delle magistrature", che<BR>costituisce l'ordinamento della<BR>città.<BR>La seconda: in qualsiasi epoca storica sono esistite organizzazioni<BR>politiche sovrane, cioè<BR>indipendenti, "superiorem non recognescentes" e dotate del crisma della<BR>"plenitudo potestatis", di<BR>dimensioni territoriali estremamente ridotte. L'estensione non è un elemento<BR>distintivo dello Stato,<BR>ovviamente entro determinati e ragionevoli limiti.<BR>La terza: legittimazione democratica dei poteri statali non significa<BR>necessariamente "assenza di<BR>verticalità". Se nell'Atene di Pericle si realizzò "una configurazione<BR>orizzontale (e non verticale)<BR>4<BR>4<BR>della politica nella quale governati e governanti si scambiavano a turno le<BR>parti"(9), ciò non<BR>significa che non possa parlarsi di "magistrature sovrane" e di complesso<BR>organizzativo<BR>trascendente le singole volontà individuali, pur mancando l'esercizio<BR>rappresentativo della sovranità<BR>ed il carattere territoriale-nazionale dello Stato moderno.<BR>Aristotele sul tema non lascia dubbi: è ben consapevole che uno Stato possa<BR>essere "grande" o<BR>meno (cioè non esteso e poco popolato), perché è rilevante più del numero<BR>degli abitanti "la<BR>capacità" e perché "lo Stato ha un compito determinato" ed è "veramente<BR>grande" "se è in grado di<BR>assolverlo". (10) Chiarisce, altresì, l'importanza del territorio di uno<BR>Stato per "l'autosufficienza" di<BR>esso -"il quale riguardo alla estensione e alla grandezza dovrebbe essere<BR>tale che gli uomini possano<BR>viverci in ozio, in maniera degna di essere uomini liberi e insieme sobri" e<BR>deve essere "di difficile<BR>accesso per i nemici, di facile sortita per gli abitanti"- e della quantità<BR>della popolazione "che<BR>doveva essere abbracciata con un unico sguardo".<BR>L'idea di Stato, perciò, comprende la "realtà" della polis.<BR>Peraltro, la città greca democratica è un esempio paradigmatico ma non<BR>esclusivo della storia<BR>occidentale antica. Anche Sparta, "la conservatrice Sparta" secondo Mosca<BR>(11), era una città<BR>autonoma ed indipendente, ma per lungo tempo non democratica e con un'<BR>organizzazione<BR>verticistica dei poteri. E' scritto in un recente contributo di Ernst<BR>Baltrusch sul tema che "la<BR>Costituzione di Sparta.conteneva anche elementi che non si rinvengono in<BR>altre città, cosicché<BR>risulta difficile, per noi come per gli antichi, decidere se essa era<BR>democratica, aristocratica o<BR>monarchica. Le particolarità erano date dalla presenza di due re, dunque di<BR>una diarchia, dalla<BR>mancanza di una nobiltà tradizionale, dalla magistratura degli efori., dal<BR>procedimento di voto<BR>dell'assemblea popolare, dagli iloti, dal fatto che l'educazione e tutta la<BR>vita dello Stato avevano<BR>come obbiettivo la guerra, dall'importante ruolo sociale delle donne, dalla<BR>religiosità degli spartani<BR>e dal voto dell'espulsione degli stranieri (in greco xenolasie)".<BR>5<BR>5<BR>Quindi, seguendo il percorso argomentativo oggetto di confutazione quest'<BR>ultima potrebbe<BR>avvicinarsi ad essere definita "Stato" a differenza dell' Atene di Pericle.<BR>E' lapalissiana la<BR>paradossalità della conclusione.<BR>Già Vittorio Emanuele Orlando, individuando le fasi dello sviluppo storico<BR>dello Stato, parlava di<BR>"progressione" ed "affinarsi dell'astrazione"(12),di graduale emersione<BR>storica dei tre elementi<BR>giuridicamente costitutivi e connotativi dello Stato, il popolo, il<BR>territorio ed il governo e non<BR>escludeva l'esistenza dello Stato nell' "antichità classica", pur ritenendo<BR>che "la parola indicativa<BR>del fenomeno dello Stato è ricercata e trovata in uno solo dei tre elementi<BR>di cui lo Stato stesso<BR>consta", ovvero nell'aderenza "al singolo dato materiale: il territorio<BR>(polis) prima, il popolo poi e<BR>finalmente il sovrano (impero)".(13) E si soffermava su la "forma primitiva<BR>di Stati che coincideva<BR>colla città", poi ulteriormente sviluppatasi in epoca romana, in cui "la<BR>pluralità degli uomini<BR>conviventi" fu considerata "come un'unità".(14) Ed, infatti, il "Populus<BR>Romanus Quiritium" fu "il<BR>caratteristico momento dell'unità statale" per "l'organizzazione del gruppo<BR>sociale" "ancora più<BR>evidente nell'altra espressione Senatus Populusque Romanus", perché "non si<BR>ha il<BR>"popolo"(equivalente a "Stato") come nozione generale, ma bensì quel dato<BR>popolo (il romano)". E<BR>la "res publica" indicava l' "interesse comune", "altro aspetto dell'unità,<BR>caratteristica suprema della<BR>nozione di Stato"; così come<BR>l' "impero"designava il territorio quale "criterio unitario in quanto<BR>soggetto ad un solo<BR>sovrano".(15)<BR>La realtà di un'organizzazione politica sovrana in qualche misura<BR>equiparabile allo Stato è presente<BR>nelle diverse epoche della storia romana, anche prima del superamento della<BR>fase primigenia<BR>fondata sulla gens, sull'organizzazione gentilizia ed i "gruppi sociali<BR>primitivi" e sulla "formazione<BR>della civitas".(16)<BR>Si è scritto, al riguardo, che nella Roma classica prevaleva l' "effettiva<BR>struttura giuridica dello<BR>Stato" sulle "profonde dissertazioni dei filosofi greci e latini, intorno<BR>alla res publica ed all'arte di<BR>governo" e che il concetto romano di Stato sia da ricavarsi dalla "realtà<BR>della vita collettiva" perché<BR>6<BR>6<BR>"i romani concepiscono lo Stato come l'organizzazione giuridica, necessaria<BR>e perpetua, della<BR>collettività, che supera e trascende i singoli individui che la compongono",<BR>per cui "non si<BR>concepisce individuo avulso da una determinata comunità, prima gentilizia e<BR>poi statale".(17)<BR>Inoltre, anche se "nel pensiero romano non si presenta l'idea , tutta<BR>moderna, di considerare lo Stato<BR>quale persona, ossia come soggetto di diritto, dotato di volontà al pari<BR>degli uomini", "per<BR>giustificare l'esistenza e l'attività dello Stato non appariva necessario<BR>affermare la personalità<BR>giuridica". E pur mancando "ai romani un termine per indicare lo Stato,<BR>sicuramente il sostantivo<BR>"imperium"" costituisce "il cardine di ogni Stato, l'elemento che ad esso<BR>permette di operare è la<BR>sovranità".(18)<BR>Scriveva Teodoro Mommsen sul punto che "il concetto di Stato dei romani<BR>poggia sull'attribuzione<BR>ideale di questa capacità di agire .alla cittadinanza, al populus e sulla<BR>sottomissione della volontà<BR>particolare di ogni persona fisica che fa parte della collettività a questa<BR>volontà generale".(19)<BR>Sottomissione , quest'ultima, che non deriva da "alcuna formulazione circa l<BR>'ordinamento della res<BR>publica, paragonabile alle moderne Carte Costituzionali", perché la<BR>"Costituzione politica" romana<BR>"risulta dal fatto e dalla consuetudine" ed era estremamente "elastica".(20)<BR>Il De Martino, esaminando le fasi storiche della Costituzione romana, parla<BR>di "res publica" quale<BR>"patrimonio comune del popolo romano", riprendendo la frase di Cicerone<BR>secondo cui "res publica<BR>est res populi".(21) Ed è sempre nel "De Re Publica" che si legge che<BR>"populus autem non omnis<BR>coetus congregatus, sed coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis<BR>comunione sociatus"("ma<BR>non è popolo ogni moltitudine di uomini riunitasi in modo qualsiasi, bensì<BR>una società organizzata<BR>che ha per fondamento l'osservanza della giustizia e la comunanza di<BR>interessi").(22) Ed un altro<BR>passo della medesima opera da richiamare è il seguente: "omnis ergo populos,<BR>qui est talis coetus<BR>multitudinis, qualem exposui, omnis civitas, quae est constitutio populi,<BR>omnis res publica, quae ut<BR>dixi, populi res est, consilio quodam regenda est, ut diuturna sit"("ogni<BR>popolo dunque, che è, come<BR>dissi, unione di cittadini con leggi e interessi comuni, ogni associazione<BR>politicamente costituita ed<BR>7<BR>7<BR>ogni Stato, vale a dire quanto riguarda ed appartiene alla comunità, per<BR>essere stabile, deve essere<BR>retto da un'autorità giudicante, che sempre si conformi allo scopo per cui<BR>lo Stato fu costituito").<BR>Il McIlwain scrive sul tema, richiamando Jhering, che "lo Stato, come<BR>portatore di diritti, è l'intera<BR>cittadinanza, la civitas, non è un'astrazione distinta dal popolo, e perciò<BR>i diritti sono inerenti al<BR>popolo tutto e ad ognuno individualmente".(23)<BR>2.2. Questioni di grande interesse solleva, poi, il dibattito sulle<BR>istituzioni politiche e lo Stato<BR>medievale.<BR>Ad una tesi tendenzialmente diffusa, che muove dalla contrapposizione tra la<BR>"razionale modernità<BR>del primato della legge" ed "il vecchio arbitrio cetuale"(24), si<BR>controbatte che, da uno studio<BR>attento delle istituzioni politiche medievali, emerge sia l'esistenza di una<BR>"forma di governo" delle<BR>"Città-Stato" "che si reggono a comune"; sia "l'azione unificatrice delle<BR>monarchie", indicata dal<BR>sostantivo "regnum", "unità dell'organizzazione politica" comunque<BR>"soprattutto assicurata<BR>dall'unità del dominatore, del sovrano"; sia la permanenza di un'aspirazione<BR>all'Impero universale<BR>come massima istituzione sovrana, sia pure intesa come "aspirazione ideale"<BR>.(25)<BR>Se il primo indirizzo di pensiero concepisce lo Stato come "una situazione<BR>storicamente delimitata",<BR>pur ponendosi il problema dello studio delle "giustificazioni egemoniche che<BR>delle forme di<BR>dominio politico vengono fornite nei vari ordinamenti"(26); nel secondo<BR>filone teorico ci si<BR>sofferma su come "il Medio Evo diede un largo sviluppo a quelle forme<BR>istituzionali in cui.lo<BR>Stato nazionale ormai esisteva; ma mancava il nome adeguato, il nome, cioè,<BR>che non si limitasse ad<BR>indicare la terra o il popolo o il sovrano, ma che esprimesse la sintesi di<BR>tutti quei fattori, elevandosi<BR>ad un'astrazione, diciamo così, perfetta, conforme alle varie fasi dello<BR>sviluppo istituzionale".(27)<BR>Ciò non toglie, peraltro, che si pongano in risalto rilevantissime<BR>differenze tra lo Stato moderno e<BR>lo Stato medievale.<BR>Nel primo "l'influenza del concetto di sovranità, assunto come<BR>caratteristica inseparabile dello<BR>Stato, ha trasformato in dogma quella pretesa, per cui, dentro lo Stato, non<BR>si ammette il concorso<BR>di altre volontà e di altre forze generatrici di diritto".(28)<BR>8<BR>8<BR>Con riguardo al secondo si parla di "caratteristico concorso di diritti<BR>autonomi e concorrenti; diritti<BR>dell'Impero, della Chiesa, dei grandi baroni feudali, dei comuni, delle<BR>università, dei ceti, delle<BR>corporazioni, ecc.".(29)<BR>E la dicotomia tra distinti orientamenti di pensiero include studiosi di<BR>diversa formazione, storici<BR>delle istituzioni e del diritto, filosofi della politica, storici delle<BR>dottrine politiche e giuspubblicisti,<BR>sociologi.<BR>Basta accennare che fu Max Weber, come pure Bobbio ricorda(30), ad<BR>individuare i citati elementi<BR>costitutivi dello Stato moderno, il monopolio legittimo della forza e la<BR>presenza di un apparato<BR>amministrativo che ha la funzione di "provvedere alla prestazione di servizi<BR>pubblici".<BR>A prescindere dalle diverse teorie, è indubbio che nella storia delle<BR>istituzioni si riconosca<BR>l'esistenza di uno Stato medievale, sia pure entro i c.d. "ambiti di<BR>sovranità", così come si<BR>affermarono progressivamente a partire dall'anno 1000, e cioè la sovranità<BR>universale<BR>dell'imperatore, quella terriera- incentrata sul "dominio eminente" "di un<BR>feudatario maggiore", su<BR>"una molteplicità di "feudi" sotto la preminenza di signori forniti all'<BR>interno di poteri sovrani e<BR>coincidenti con un "dominio utile" e legati, fra loro e con il maggiore, da<BR>patti e accordi tali da<BR>conferire al regime pluralistico che ne risultava aspetti analoghi a quelli<BR>degli odierni Stati<BR>federali"(31)- dei sovrani nei regni e le repubbliche comunali sovrane.<BR>Anche se, come scrive l'Ellul, si deve distinguere il periodo alto medievale<BR>dal basso medioevo.<BR>Prima dell'anno 1000 "riappare una certa nozione di Stato" "legata ad una<BR>nozione dell'Impero,<BR>ripresa più o meno dall'Impero romano" "agli inizi del periodo carolingio".<BR>Non viene ancora<BR>elaborata un' "idea astratta di Stato", "ma l'impero non è la regalità",<BR>"non si tratta più di un impero<BR>personale del re" e "l'idea di Impero è quella di un potere universale che<BR>non può dividersi e di un<BR>potere permanente che non è legato alla persona dell'imperatore".(32)<BR>Ma è intorno all'anno 1000 e soprattutto tra l'XI ed il XII secolo, nel "<BR>crogiolo dell'Europa",per<BR>riprendere il titolo di un vivace libro di Geoffrey Barraclough, dopo la<BR>dissloluzione dell'impero<BR>carolingio, in un periodo storico segnato da guerre civili e conflitti,<BR>intrighi dinastici e invasioni<BR>9<BR>9<BR>barbariche, che la storia prese nuove strade e la società ebbe una struttura<BR>diversa, anche per<BR>l'affermazione delle monarchie nazionali, della monarchia tedesca in primis,<BR>"perché la Germania<BR>fu la prima a riprendersi dall'anarchia del tardo periodo carolingio e dell'<BR>epoca postcarolingia"(<BR>33), poi di quella anglosassone, che divenne "forte ed energica" e della<BR>francese.<BR>Così come dal XI secolo, come pure Gaetano Mosca afferma, il potere dei<BR>sovrani tende a diventare<BR>più grande e ad imporsi, divenendo un'istituzione di ordine diverso dall'<BR>insieme del sistema<BR>feudale.(34)<BR>Se il potere dei monarchi europei è a quell'epoca complesso, perché il re "è<BR>allo stesso tempo<BR>sovrano e suzerain", cioè "signore che sta al di sopra di tutti gli altri<BR>signori"(35), ciononostante si<BR>produce, quale frutto della lotta dei sovrani contro le spinte centrifughe e<BR>particolaristiche dei<BR>feudatari, un sempre maggiore accentramento dei poteri sovrani dei regnanti<BR>delle monarchie<BR>feudali.<BR>Si è ritenuto che "il re, a partire dal XII secolo, si rifiuta di prestare l<BR>'omaggio ad un altro signore",<BR>"egli è fuori dei quadri della feudalità e resta signore in quanto egli<BR>stesso ha vassalli".(36) Quindi<BR>esercita il suo "imperium" attorniandosi di consiglieri, da lui stesso<BR>nominati, che compongono il<BR>suo "gubernaculum" o "curia regis", "il Consiglio politico del re" che "gli<BR>fornisce l'auxilium e il<BR>consilium per tutti gli affari importanti", con competenze politiche e<BR>giudiziarie.(37)<BR>Perciò recenti indagini storiografiche sostengono che " se nei secoli IX-XI<BR>l'intero occidente fu<BR>caratterizzato da esiti frammentari e dispersione del potere, con il<BR>proliferare delle entità signorili<BR>locali, dalla fine dell'XI secolo e per tutto il XII ebbe luogo un processo<BR>inverso di graduale<BR>ricomposizione politica entro contesti territoriali più ampi, a opera di<BR>monarchie capaci di imporre il<BR>proprio dominio su aree vieppiù estese e di disciplinare sotto la propria<BR>autorità i signori che vi<BR>risiedevano".(38)<BR>Il che genera "la crescita delle realtà monarchiche".<BR>Il confronto tra studiosi insigni, in anni recenti, ha pure confermato l'<BR>esigenza scientifica di un<BR>inquadramento storico-teoretico complessivo del problema dello Stato nel<BR>medioevo.<BR>10<BR>10<BR>Paolo Grossi, nel suo originale ed approfondito saggio monografico su "L'<BR>ordine giuridico<BR>medievale", pone in luce un'immagine del diritto medievale radicalmente<BR>contrappositiva rispetto<BR>agli Stati legislativi moderni. Si legge che "il diritto poteva fare a meno<BR>del potere e dello Stato;<BR>risaltava l'ipotesi suggestiva di un diritto senza Stato, essendo quest'<BR>ultimo che uno dei mille<BR>ordinamenti manifestatisi nel corso della storia umana"(39); "la società<BR>medievale è una società<BR>senza Stato, dove, per il permanere di questo vuoto politico, il diritto<BR>vede elevato il suo ruolo, si<BR>pone al centro del sociale, "il diritto è.ordine, ordine sociale, moto<BR>spontaneo, cioè nascente dal<BR>basso"; "sarà il pianeta moderno.a immiserire il diritto, a legarlo e a<BR>condizionarlo al potere, a<BR>farne un instrumentum regni, a separarlo pertanto dal sociale".(40)<BR>Queste interessanti osservazioni meritano, comunque, dei controargomenti.<BR>La società medievale è senza Stato o con "un altro tipo ed un'altra forma di<BR>Stato"?(41)<BR>Ed il diritto moderno è soltanto "instrumentum regni" o pure strumento di<BR>civilizzazione e di<BR>garanzia dei diritti e quindi di democratizzazione della società?<BR>Carlo Ghisalberti (42), riprendendo classiche tesi del Sestan (43) e del<BR>Calasso(44), sostenute anche<BR>dall'Ascheri (45), pur riconoscendo l'impostazione suggestiva del Grossi,<BR>scrive che "anche gli<BR>ordinamenti altomedievali creati dalla diaspora dei popoli germanici."<BR>devono "essere considerati<BR>altrettante forme di Stato", "non davvero assimilabili a quella che ha<BR>connotato e qualificato la<BR>storia dell'età moderna". Ed il discorso è, ovviamente, ed a fortiori,<BR>estensibile al basso medioevo.<BR>Per cui "rifiutando.il referente Stato" riesce, ad esempio, problematico<BR>accettare "l'aspetto<BR>pubblicistico del diritto medievale non omologabile alla visione comunitaria<BR>e socialmente<BR>comunitaria dello stesso", il rafforzamento delle monarchie nei secoli che<BR>vanno dal tredicesimo al<BR>quindicesimo e si riduce il moderno "primato della legge statale" "ad una<BR>sorta di assolutismo<BR>legislativo e di totalitarismo giuridico", così sfumando " i risultati<BR>positivi" "dell'eguaglianza dei<BR>diritti e delle libertà civili e politiche".(46)<BR>Cosicché il principio per cui "le leggi devono essere osservate perché sono<BR>leggi" (Gesetz ist<BR>Gesetz) non concerne la sola esistenza fattuale degli Stati, ma pure un<BR>giudizio di valore,<BR>11<BR>11<BR>un'esigenza di "giustizia", "una forza garantita da leggi e meritevole di<BR>obbedienza e di<BR>rispetto".(47)<BR>Peraltro, il Grossi nel suo citato scritto applica la teoria della pluralità<BR>degli ordinamenti giuridici di<BR>Santi Romano all'ordine giuridico medievale.<BR>Ora, quest'ultimo non disconosceva l'importanza del ruolo storico dello<BR>Stato né tantomeno la<BR>peculiarità e la primazia dell'ordinamento giuridico statale, pur ricusando<BR>il monismo normativista<BR>di Hans Kelsen e di conseguenza qualsiasi concezione della scienza giuridica<BR>in cui il diritto è<BR>esclusivo prodotto dello Stato. Si legge, ad esempio, nei "Principi di<BR>diritto costituzionale generale"<BR>del Romano che "l'ordinamento dello Stato" è "del tutto autonomo", anche se<BR>ciò non vuol dire<BR>accogliere il "c.d.principio di esclusività di ogni ordinamento giuridico<BR>che sia del tutto autonomo<BR>ed indipendente", secondo cui "tali ordinamenti e, quindi, lo Stato,<BR>sarebbero per loro intrinseca<BR>natura esclusivi e, considerati nel loro interno, unici, nel senso che essi<BR>non potrebbero riconoscere<BR>come giuridici altri ordinamenti ugualmente autonomi ed originari che dir si<BR>voglia, che perciò<BR>sarebbero riconosciuti solo come fatti".<BR>Quindi, "lo Stato può.disconoscere gli altri ordinamenti giuridici, ma, al<BR>contrario, può anche<BR>riconoscerli in vario modo e con vari effetti" e ciò "in base ai due<BR>principi della pluralità degli<BR>ordinamenti giuridici e della possibile loro non esclusività.".(48)<BR>Anche il Bobbio, riprendendo tesi di Marc Bloch, scrive che "anche nell'alto<BR>medioevo non viene<BR>meno l'idea di regnum e dell'imperium, cioè di un potere che è il solo<BR>autorizzato ad esercitare in<BR>ultima istanza la forza, perché ha per fine supremo della sua preminenza il<BR>mantenimento della pace<BR>e l'esercizio della giustizia (rex a recte regendo)"; "è proprio durante i<BR>secoli di mezzo che si viene<BR>elaborando dai legisti quella concezione dello Stato che non era estranea<BR>alla teoria politica<BR>romana., ma che soltanto attraverso l'elaborazione dei primi commentatori<BR>del Corpus iuris<BR>giunge intatta sin quasi a oggi, il rapporto tra lex e rex, la teoria della<BR>sovranità come indipendenza<BR>(superiorem non recognoscens) e quindi come potere di dettar leggi senza<BR>autorizzazione.e che,<BR>12<BR>12<BR>attraverso le diverse interpretazioni della lex regia de imperio, pone in<BR>discussione il problema del<BR>fondamento del potere".(49)<BR>E' opportuno pure richiamare Carl Schmitt, la pagina della "Dottrina della<BR>Costituzione" in cui<BR>definendo il concetto di "Stato di diritto" parla di "Stato che rispetti<BR>incondizionatamente il diritto<BR>oggettivo vigente e i diritti soggettivi esistenti", di concetto dal<BR>"significato polemico" rispetto allo<BR>"Stato di potere" ed allo "Stato di polizia assistenziale o ad ogni altra<BR>forma di Stato che non si<BR>limiti unicamente a salvaguardare l'ordinamento giuridico".(50)<BR>Orbene, Schmitt ricorda pure, però, che sia il Bluntschli che Max Weber<BR>avessero parlato<BR>rispettivamente di "Stato feudale di diritto" e di "Stato di diritto<BR>medievale", nel senso di "uno Stato<BR>di diritto dei diritti soggettivi, un insieme di diritti regolarmente<BR>acquisiti, mentre lo Stato di diritto<BR>moderno sarebbe un ordinamento oggettivo, cioè un sistema di regole<BR> astratte".(51)<BR>Il Passerin d'Entrèves, a sua volta, parla dello Stato "come di una<BR>creazione del diritto" e<BR>soffermandosi sulla genesi contrattualistica di esso nelle dottrine<BR>politiche moderne antitetiche<BR>rispetto alle concezioni medievali dominanti della sovranità e dello Stato,<BR>imperniate sulla natura<BR>trascendente della giustizia rispetto allo Stato e sulla derivazione della<BR>sovranità stessa da Dio,<BR>ritiene che nel medioevo cristiano la genesi dello Stato si spiega alla luce<BR>del "dogma del peccato"<BR>che causa "la necessità per gli uomini di sottostare alle leggi e allo<BR> Stato".(52)<BR>Quest'ultima affermazione merita qualche ulteriore riflessione, anche per le<BR>inevitabili sfaccettature<BR>che il tema presenta, non essendo monolitico. Il discorso intorno al<BR>problema dell'origine dello<BR>Stato si interseca, perciò, in un simile mosaico di idee, con il problema<BR>del fondamento del potere<BR>statale, pur dovendo tener distinti, almeno a livello definitorio, i due<BR>tipi questioni, che, comunque,<BR>inevitabilmente, a livello di analisi storico-teorica e di discorso generale<BR>sullo Stato sono<BR>interagenti.<BR>Assume al riguardo importanza il richiamo del pensiero di S.Tommaso e la<BR>fondamentalità che<BR>l'origine e la natura dello Stato assumono in esso, in cui si cercò di<BR>conciliare le concezioni<BR>aristoteliche della politica con il cristianesimo. E' stato opportunamente<BR>osservato che nel "De<BR>13<BR>13<BR>regimine principum", una delle opere principali della filosofia politica<BR>medievale, "la sovranità non<BR>viene in atto che per opera umana, mentre il potere originariamente esiste<BR>soltanto nella collettività,<BR>la quale solo può investire determinate persone" e che "il potere politico è<BR>di diritto umano. Dio<BR>cioè è soltanto autore del potere come specie astratta, come rapporto<BR>potenziale, ma l'istituzione<BR>concreta del potere è puramente umana. Il rapporto di subordinazione<BR>politica preesiste<BR>potenzialmente.".(53)<BR>Questa dottrina ebbe una forte influenza sulle correnti di pensiero dei<BR>secoli successivi.<BR>I monarcomachi ribadirono "la "potioritas" del popolo, ossia dello Stato,<BR>rispetto al Principe; Suarez<BR>nel "Tractatus de legibus ac Deo legislatore"(54), del 1619, scrive che il<BR>principe acquista il potere<BR>sovrano "per consenso della comunità che naturalmente lo possiede"; Ugo<BR>Grozio nel "De jure belli<BR>ac pacis" ritiene che "lo Stato rimane sempre distinto dalle persone che ne<BR>hanno la direzione o il<BR>dominio come coetus o collettività.e come "soggetto comune della sovranità",<BR>pur risiedendo essa<BR>in concreto in una o più persone" (55); Johan Altusius nella "Politica<BR>methodice digesta", del 1603<BR>, si sofferma, come ricorda lo Chevallier (56), "sul principio che la<BR>sovranità risiede nel popolo,<BR>fatto per questo superiore al re" e "sulla resistenza da opporre al tiranno"<BR>così costruendo un<BR>contraltare teorico al "De Repubblica" di Bodin (57), che parlava della<BR>sovranità come "jus<BR>proprium" e "diritto perpetuo" del sovrano, enumerando i "diritti sovrani",<BR>i "capita majestatis"<BR>riconosciuti al principe muovendo dal presupposto che "i diritti di<BR>sovranità non potessero essere<BR>dati ai sudditi, ossia al popolo, pena la "loro distruzione ed il loro<BR>annientamento"".<BR>E non bisogna dimenticare che altri pensatori medievali posero ancor più<BR>radicalmente in<BR>discussione la teocrazia e l'assolutismo regio rivendicando l'assoluta<BR>sovranità dello Stato di fronte<BR>alla Chiesa. Marsilio da Padova, nel celebre "Defensor pacis", con largo<BR>anticipo rispetto al<BR>pensiero moderno, rileva che è "regnum" solo un "governo sotto la legge" e<BR>che il "legislatore<BR>umano" è "l'intero corpo dei cittadini o la sua parte prevalente", che<BR>"senza la concessione del<BR>legislatore umano decretali e decreti di pontefici non possono obbligare o<BR>costringere nessuno", che<BR>"nessun governante può avere pieno potere e controllo delle azioni civili<BR>delle altre persone senza la<BR>14<BR>14<BR>volontà deliberata del legislatore umano", così lasciando lumeggiare una<BR>derivazione dal basso, dal<BR>popolo della sovranità. (58)<BR>3.Si può parlare di "Stato" prima della pace di Westfalia?<BR>La disamina effettuata ci porta a concludere che è preferibile, per<BR>riprendere una distinzione operata<BR>da Bobbio, una "definizione più larga" ad una "più stretta" di Stato.(59)<BR>In tal senso il Cerroni ha scritto che "il nome Stato" ingloba "tutti i<BR>termini che precedentemente,<BR>nei vari stadi di sviluppo civile, connotavano l'organizzazione politica:<BR>politeia, polis, civitas,<BR>respublica, imperium, regnum".(60)<BR>Questo non implica necessariamente l'adesione ad "un significato vago e<BR>generico" della parola<BR>Stato, "così da comprendere ogni forma di convivenza politica degli uomini"<BR>e da generare la<BR>perdita di "ogni determinazione del concetto", come, invece, sostenuto dal<BR>Balladore-Pallieri.(61)<BR>Significa, più semplicemente, come pure Jellinek insegnava (62), contestare<BR>un significato<BR>"ristretto" di Stato al fine di cogliere gli "argomenti a favore della<BR>continuità" storica delle<BR>organizzazioni politiche sovrane, pur nell'ambito di forme di convivenza e<BR>strutture di potere<BR>disparate e "rette da principi così diversi e talora addirittura antitetici"<BR>.(63)<BR>Se lo Stato è "un concetto storico" la sua esistenza non può limitarsi al<BR>solo spazio temporale della<BR>modernità.<BR>15<BR>15<BR>Anche quando si afferma che "la data ufficiale alla quale il mondo<BR>occidentale si presenta<BR>organizzato a Stato.è il 1648, epoca della pace di Westfalia", perché "lo<BR>Stato riuscì in tutti i<BR>campi vittorioso"(64) rispetto all'ordine giuridico e politico medievale,<BR>alla pretesa universalistica<BR>di Papato ed Impero, ci si contraddice con una serie di necessarie<BR>affermazioni derogatorie rispetto<BR>alla ricostruzione complessiva proposta.<BR>Così, ad esempio, si riconosce che il medioevo , pur se frammentato,<BR>conteneva un'indubbia<BR>aspirazione universale all'unità politica; che lo Stato inglese sorge con<BR>largo anticipo rispetto<BR>all'esperienza costituzionale europea continentale; che il sostantivo<BR> "Stato" risale al Machiavelli,<BR>quindi a 135 anni prima rispetto alla "fatidica data", pur se l'uso fu<BR>ancora discontinuo- lo stesso<BR>Machiavelli e Bodin riutilizzano, rispettivamente, la locuzione "res<BR> publica"( da cui comunque<BR>deriva "Stato", sintesi di "status rei publicae") nei "Discorsi sulla prima<BR>deca di Tito Livio" e nei sei<BR>libri del trattato "De Repubblica"-; che "la polis greca era. ad un tempo<BR>Stato e Chiesa".(65)<BR>E poi perché se lo Stato sorge per fasi nella storia si sminuisce il<BR>processo storico medesimo, nella<BR>sua elevata complessità, ipostatizzando l'insieme delle trasformazioni<BR>politiche in una data che è<BR>soltanto un punto di riferimento convenzionale? Che significa sostenere che<BR>"si cade nell'astratto e<BR>nell'impreciso" se si accoglie una nozione ampia di Stato, se, come con<BR>vigore scritto (66), "non si<BR>spiegherebbe la continua riflessione sulla storia antica e le istituzioni<BR>degli antichi se a un certo<BR>momento dello sviluppo storico ci fosse stata una frattura tale da dare<BR>origine a un tipo di<BR>organizzazione sociale e politica incomparabile con quelle del passato,<BR>tanto incomparabile da<BR>meritare esso solo il nome "Stato""?<BR>E non si spiegherebbe neppure "il lungo periodo di storia che va dalla<BR>caduta dell'Impero romano<BR>alla nascita dei grandi Stati territoriali" e la "relatività della nozione<BR>di continuità storica"(e questo<BR>sia con riferimento alle "istituzioni politiche" sia a quelle<BR>economiche).(67)<BR>Il Crisafulli, sull'argomento, pur fondatamente riconoscendo la specificità<BR>dello Stato moderno,<BR>sorto con la pace di Westfalia, che "ebbe a segnare la cessazione, anche de<BR>jure, di ogni superstite<BR>vincolo di subordinazione delle grandi monarchie nazionali rispetto all'<BR>Impero e alla Chiesa di<BR>16<BR>16<BR>Roma e perciò la divisione del mondo civile in una pluralità di Stati, tra<BR>loro giuridicamente pari e<BR>reciprocamente indipendenti", ritiene che "i regni formatisi a seguio della<BR>disgregazione<BR>dell'Impero carolingio erano venuti progressivamente affermandosi - in<BR>fatto - come poteri<BR>superiorem non recognoscentes; mentre , dal punto di vista della struttura<BR>interna,, sin dalla fine del<BR>secolo XII cominciano a riscontrarsi.i caratteri di veri ordinamenti<BR>statali, sia pure in commistione<BR>con le perduranti istituzioni feudali" e sia pure con notevoli differenze<BR>rispetto all'evo moderno per<BR>"il carattere mediato dell'unità politica".<BR>E quindi il Sacro Romano Imperatore "era, formalmente, sovrano in senso<BR>paradigmatico, anche se<BR>nella realtà effettuale la sovranità andasse per contro affermandosi come<BR>concreto attributo di<BR>civitates, regni, principati".(68)<BR>Il problema è perciò, come lo stesso insigne autore ritiene, "un problema di<BR>parole", un dualismo tra<BR>il "riservare il nome Stato al fenomeno statale, pienamente sviluppatosi nei<BR>suoi elementi essenziali,<BR>quale s'incontra nell'era moderna", e il "designare con il nome Stati anche<BR>gli ordinamenti che<BR>hanno preceduto nel tempo il pieno affermarsi del fenomeno così come<BR>modernamente ci si<BR>presenta, accontentandosi di riscontrare in essi un minimo di presenza degli<BR>elementi che<BR>caratterizzano quest'ultimo". E pur preferendo optare per un "genere" più<BR>ampio, che include lo<BR>Stato, quello dei "gruppi politici a fini generali", "nel senso di<BR>virtualmente illimitati, insuscettibili<BR>di una rigida predeterminazione" e di "generali" "essendo in grado di<BR>determinare un ordine totale<BR>(e, al limite, totalitario) della convivenza" (scelta a nostro avviso pure<BR>condivisibile, nel senso di<BR>ricerca scientifica di una nozione di genere più vasta, "comprensiva anche<BR>dei gruppi prestatali", ma<BR>che non esclude un uso in senso lato del sostantivo in questione), riconosce<BR>che i tre elementi<BR>essenziali dello Stato, il popolo, il territorio ed il governo sono presenti<BR>"così nella polis greca come<BR>nella civitas romana" e che anche l'Impero egiziano e quello di Babilonia, l<BR>'Impero persiano e<BR>quello macedone, presentano caratteri qualificabili statali".(69)<BR>17<BR>17<BR>Lo stesso autore, peraltro, relativizza la locuzione "Stato moderno",<BR>distinguendo lo "Stato<BR>modernamente inteso" dal cosiddetto "Stato moderno" come "Stato<BR>costituzionale",<BR>"rappresentativo", "di diritto", sorto dalle "rivoluzioni borghesi". (70)<BR>4.Specificità dello Stato moderno e concetto "ampio" di Stato.<BR>Ora, è evidente che nessun autore possa negare la specificità dello Stato<BR>moderno come Stato<BR>fondato sulla "sovranità di diritto pubblico", territoriale, e non su quella<BR>"terriera"; né che è nell'evo<BR>moderno che si affermano in modo compiuto la supremazia e l'indipendenza<BR>statale, quale "unica<BR>istituzione" sovrana.<BR>Schmitt, ricorda richiamando Hobbes e formulando a più riprese la sua<BR>affascinante teoria della<BR>"secolarizzazione dei concetti teologici", da cui scaturiscono il Leviatano<BR>moderno e la scienza<BR>della Dottrina dello Stato, che "Thomas Hobbes ha raggiunto in modo<BR>sistematico-concettuale la<BR>chiara alternativa statale al monopolio ecclesiastico-romano della decisione<BR>ed ha in tal modo<BR>completato la Riforma". Sostiene inoltre che la questione della legittimità<BR>dell'età moderna debba<BR>muovere da "una soglia epocale", in cui il Leviatano è "il frutto di un<BR>periodo in modo specifico<BR>teologico-politico".(71)<BR>Altri illustri autori, pur movendo da impostazioni culturali eterogenee,<BR>sono su questa stessa linea.<BR>Max Horkheimer, esponente di spicco della Scuola di Francoforte, in un denso<BR>saggio su "Diritto<BR>naturale e ideologia", chiarisce come in Hobbes le dottrine sullo Stato<BR>muovano da un'analogia tra<BR>le "strutture fisiche" e l' "associazione degli uomini nello Stato".(72)<BR>18<BR>18<BR>Così come, da Galilei in poi, "il Dio di Aristotele, il motore immobile del<BR>mondo.diventa<BR>superfluo, almeno nella filosofia della natura", con Hobbes lo Stato diventa<BR>un "Dio terreno", si<BR>sostituisce alle concezioni medievali e teocratiche della sovranità e<BR>"rispetto ai singoli uomini. si<BR>comporta come questi rispetto alle parti materiali del loro corpo, ossia<BR>come ogni sistema fisico<BR>rispetto alle sue componenti materiali", "come.un orologio e .qualsiasi<BR>altro meccanismo più<BR>complesso"- così riprendendo il noto passo del Leviatano in cui si afferma<BR>che "tutti gli automata<BR>(macchine che si muovono da sé per mezzo di molle e di ruote, come un<BR>orologio) hanno una vita<BR>artificiale.l'arte procede oltre, imitando l'opera razionale ed eccelsa<BR>della natura,l'uomo.Infatti<BR>con arte è creato il grande Leviatano, detto Stato (in latino civitas), che<BR>non è altro che un uomo<BR>artificiale.ed in esso la sovranità è un'anima artificiale, che dà vita e<BR>moto all'intero corpo."-<BR>.(73)<BR>Perciò, ricorda Horkheimer, sia Hobbes sia Machiavelli, nonostante alcune<BR>differenze<BR>metodologiche e culturali, sono propugnatori "della società borghese in<BR>ascesa"(74), nel senso che<BR>l'affermazione dello Stato moderno, dello "Stato orologio" è<BR>progressivamente espressione degli<BR>interessi della borghesia mercantilistica e precapitalistica che si<BR>contrappone all'ordine sociale ed<BR>economico medievale ed all'economia curtense.<BR>Hermann Heller parla sull'argomento di "dottrina scientifica dello Stato"<BR>che "deve tentare di<BR>pensare lo Stato come immanente, rinunciando - al pari di tutta la scienza<BR>europea della modernità<BR>- a prendere in considerazione forze soprannaturali".(75)<BR>Ciò nulla toglie a perspicaci argomentazioni di Norberto Bobbio, sul piano<BR>delle dottrine e delle<BR>istituzioni politiche e di Gioele Solari, su quello delle dottrine e della<BR>filosofia politica, nella ricerca<BR>di un significato più ampio di Stato.<BR>Il primo autore, distinguendo gli argomenti a favore da quelli a disfavore<BR>della discontinuità dello<BR>Stato (76), pur sottolineando l'importanza dei secondi, con particolare<BR>attenzione al "processo<BR>inesorabile di concentrazione del potere di comando su un determinato<BR>territorio anche molto<BR>vasto", sottolinea comunque, come surriferito, l'importanza dei primi,<BR>muovendo addirittura dalla<BR>19<BR>19<BR>seguente tesi: "prima di tutto la constatazione che un trattato di politica<BR>come quello di Aristotele,<BR>volto all'analisi della città greca, non ha perduto nulla della sua<BR>efficacia descrittiva ed esplicativa<BR>nei riguardi degli ordinamenti politici che si sono susseguiti da allora<BR>sino ad oggi".(77)<BR>Il Solari, d'altro canto, nel suo classico scritto su "La formazione storica<BR>e filosofica dello Stato<BR>moderno", assegna primaria importanza alla concezione classica dello Stato,<BR>a quella cristiana ed<BR>alla liberale, cercando la genesi dello Stato nell'antichità classica.<BR>Si legge che per i greci lo Stato non era "un'astrazione soggettiva, un'<BR>aspirazione utopistica, ma una<BR>realtà oggettiva, espressa dal profondo stesso della natura".(78)<BR>Questo è fatto risalire all'insegnamento socratico, per cui "lo Stato è una<BR>necessità naturale e<BR>morale"(79), ripreso da Platone ne "La Repubblica", in cui lo Stato coincide<BR>con "l'idea eterna del<BR>giusto"(80) e da Aristotele ne "La Politica", in cui "lo Stato è un'<BR>associazione di esseri umani, ed è<BR>la forma più alta di associazione umana".(81) Così come si sofferma sulla<BR>concezione agostiniana e<BR>su quella della scolastica dello Stato e sull'importanza di quest'ultimo nel<BR>medioevo cristiano,<BR>nell'età della "res publica christiana".<BR>Solari evidenzia l'emblematicità, in siffatto contesto storico, del "De<BR>regimine principum" di<BR>S.Tommaso, opera in cui si giustifica "naturalmente e razionalmente lo Stato<BR>nella sua forma più<BR>alta e perfetta, cioè nella monarchia", "più che le ragioni dell'Impero e<BR>della Chiesa" e "la necessità<BR>di un governo" in base al principio "nocesse est homines simul viventes ab<BR>aliquo diligenter regi"<BR>("è indispensabile agli uomini che vivono insieme venir governati con<BR>impegno da qualcuno").(82)<BR>Quindi "la società ha.un'origine naturale e dall'esistenza di essa S.Tommaso<BR>trae la necessità di<BR>una "vis regitiva", ossia di un potere dirigente e sovrano".(83) Potere che<BR>nel medioevo coincide<BR>con "la monarchia come la forma migliore di governo, soprattutto per le più<BR>vaste aggregazioni",<BR>"mentre le associazioni cittadine meglio si reggono con la partecipazione<BR>del popolo al governo del<BR>comune" che ebbe l'appoggio della Chiesa, sebbene "la dottrina teocratica<BR>della "plenitudo<BR>potestatis" del pontefice ebbe nuova vigorosa affermazione in età posteriore<BR>a S.Tommaso, "per<BR>opera di Egidio Romano e di Papa Bonifacio VIII".(84)<BR>20<BR>20<BR>Cosicché, "la concezione cristiana dello Stato. riproduce molti motivi della<BR>speculazione antica<BR>soprattutto aristotelica."; "ritorna , derivato da Aristotele, il concetto<BR>della naturalità e necessità<BR>dello Stato", "ritorna il fine etico dello Stato.", anche se nella prima non<BR>è lo Stato, "come in<BR>antico", "ma l'individuo" la "realtà suprema" e perciò si modificava "nel<BR>suo fondamento" lo Stato<BR>antico.(85)<BR>Orbene, nella società feudale medievale era comunque presente un'esigenza di<BR>potere sovrano e<BR>statale.<BR>Così come il Solari distingue con lucidità lo Stato moderno assoluto in cui<BR>"non vi sono diritti fuori<BR>e sopra lo Stato" e "il principe è l'incarnazione dello Stato"(86) per il<BR>principio "princeps legibus<BR>solutus est", dalla concezione liberale dello Stato, che "maturò e si svolse<BR>in antitesi e per reazione<BR>all'assolutismo politico" ed il cui "presupposto . fu il dissidio sempre più<BR>profondo tra l'individuo<BR>e lo Stato"(87), che fece emergere l'esigenza teorica prima, ad esempio in<BR>Locke, Montesquieu e<BR>Kant, e costituzionale poi, della garanzia dei diritti del cittadino dinanzi<BR>al potere statale.<BR>Lo stesso insigne autore pone bene in evidenza come lo Stato che coincide<BR>con la figura del<BR>sovrano, la monarchia assolutistica, così ben concepita dai sostenitori<BR>della ragion di Stato, da<BR>Botero, Bodin, Ludovico Zuccolo, per determinati aspetti dal Machiavelli - e<BR>poi ripresa, ed il<BR>rilievo è nostro, sia pure in un clima storico differente, dalle dottrine<BR>teocratiche antirivoluzionarie e<BR>restauratrici che riproposero "la confusione tra lo Stato ed i suoi organi",<BR>l'idea dei sovrani come<BR>ministri diretti di Dio e quella dello Stato come espressione del loro<BR>dominio e della legge come<BR>loro esclusivo precetto mirante al loro interesse -( si pensi al De Maistre<BR>o alla "Philosopie des<BR>Rechts" di Stahl, del 1878, o alla "Restauration de la science politique, où<BR>théorie de l'état social<BR>naturel" di Haller del 1875)-, sorge nel clima culturale dell'umanesimo,<BR>quale ulteriore sviluppo dei<BR>regni medievali e domina la scena europea, pur con crisi, ramificazioni,<BR>contesti nazionali variegati,<BR>sino alla Rivoluzione francese.<BR>Il che è la riprova di come la pace di Westfalia sia soltanto un "momento<BR>topico" di un processo di<BR>lunga durata, che racchiude circa cinque secoli.<BR>21<BR>21<BR>E la storia del costituzionalismo, liberale prima, nelle sue multiformi<BR>varianti, democratico poi, è<BR>contrassegnata dalla lotta contro l'assolutismo regio, in nome del governo<BR>limitato, per il principio<BR>della divisione dei poteri, della Costituzione scritta, del primato della<BR>legalità sulla legittimità, della<BR>garanzia dei diritti - in primis, nei teorici dello Stato liberale e della<BR>monarchia costituzionale, del<BR>binomio proprietà-libertà- sull'arbitrio dei principi.<BR>Peraltro, preferire una nozione più ampia di Stato non significa scivolare<BR>in uno scontato statalismo<BR>e nella riduzione di tutta la storia umana al primato dell'istituzione<BR>statale.<BR>Hegel è ancora attuale, si può accogliere criticamente la sua lezione da non<BR>hegeliani, pure<BR>attraverso Marx e le filosofie critiche della politica e della storia più<BR>significative del novecento, e<BR>cioè anzitutto la Scuola di Francoforte.<BR>Certamente si devono confutare, nonostante alcuni profili condivisibili,<BR>passi come quelli delle<BR>"Lezioni sulla filosofia della storia", in cui si legge che "l'unità della<BR>volontà soggettiva con quella<BR>universale, è la totalità e, nella sua forma concreta, lo Stato. Quest'<BR>ultimo è la realtà in cui<BR>l'individuo ha e gode la sua libertà, in quanto però esso individuo è<BR>scienza, fede e volontà<BR>dell'universale. Così lo Stato è il centro degli altri aspetti concreti<BR>della vita, cioè del diritto,<BR>dell'arte, dei costumi, delle comodità. Nello Stato la libertà è realizzata<BR>oggettivamente e<BR>positivamente.L'arbitrio del singolo non è, infatti, la libertà".(88)<BR>O, pure, l'esigenza della "Fenomenologia dello Spirito" di tracciare una<BR>storia "unitaria" che investe<BR>lo Spirito nella sua totalità, poiché reale è solo lo "Spirito intero"<BR>(Ganzer Geist), mentre "le figure"<BR>del procedere non hanno in se stesse alcuna autonoma consistenza e non<BR>possono quindi pretendere<BR>di essere esaminate al di fuori di un più ampio schema di svolgimento<BR>storico, culturale e sociale<BR>che lo ricomprende (totalità della "Weltanschauung").(89)<BR>Per intenderci: lo Stato non è il regno del razionale e dell'eticità (o non<BR>lo è necessariamente);<BR>cercare un suo senso più ampio non vuol dire ridurre l'esistenza del diritto<BR>e della storia ad esso -<BR>così conseguenzialmente negando la pluralità degli ordinamenti giuridici- o<BR>concepire i diritti dei<BR>cittadini come un' "autolimitazione dello Stato".<BR>22<BR>22<BR>Quest'ultima dottrina significa, nella scuola giuspubblicistica tedesca del<BR>secondo Ottocento, in<BR>Otto Mayer, Laband e, nonostante le differenze, nello stesso Jellinek,<BR>"a-priorità" dello Stato.<BR>Secondo le critiche di Leon Duguit ad essa, coincide con "la concezione<BR>dello Stato-potenza",in cui<BR>titolare della sovranità è una "persona a-priori", con l'apologia dello<BR>Stato prussiano, del Reich, che<BR>ricalca quella della monarchia assoluta francese e costituisce un prosieguo<BR>dell'idea secondo cui "la<BR>sovranità è l'attributo della persona, non dell'ente", la totalità dei<BR>diritti è nelle mani del Principe<BR>per diritto proprio, il quale può eventualmente "autolimitarsi" riconoscendo<BR>diritti pubblici<BR>soggettivi ai consociati, perché il regno ed il suo territorio sono intesi<BR>come patrimonio del sovranoe<BR>questa impostazione, sempre secondo Duguit, è antitetica rispetto "alla Res<BR>Publica in senso<BR>romano e greco", di cui l'ultima concrezione era stato il Comune<BR>medievale-.(90)<BR>D'altro canto, gli studiosi che preferiscono una nozione più ristretta di<BR>Stato ricorrono poi a<BR>concetti più ampi per spiegare la medesima sostanza: "sistema", "sistema<BR>politico", "gruppi politici<BR>a fini generali", "organizzazioni politiche sovrane", "regimi politici";<BR>tutti in vario modo<BR>utilizzabili, ma che non sminuiscono una necessità di fondo, quella di<BR>spiegare in modo<BR>scientificamente unitario l'esistenza storica di istituzioni (o enti<BR>territoriali) sovrane, nonostante le<BR>radicali differenze strutturali e funzionali.<BR>E ci si avvede pure, con sottigliezza (91),che a voler essere ancora più<BR>precisi si dovrebbe parlare<BR>di Stato solo con riguardo allo "Stato contemporaneo", che si afferma tra la<BR>fine dell'Ottocento ed il<BR>Novecento, perché è in esso che la burocrazia e l'apparato di governo<BR>giungono al loro<BR>compimento e ad una organizzazione affinata e complessa, che persegue sempre<BR>maggiori finalità.<BR>Si ponga mente ai nuovi fini dello Stato nello "Stato sociale di diritto",<BR>ma pure all'attuazione delle<BR>classiche funzioni dello Stato di diritto liberale nella sua fase avanzata,<BR>di graduale emersione della<BR>liberaldemocrazia e di progressiva trasformazione dello Stato monoclasse in<BR>Stato pluriclasse. Su<BR>cui, per esempio, Oreste Ranelletti , spiegando "la parola di un concetto",<BR>per riprendere il titolo di<BR>un volumetto del Raggi (92),così si esprimeva nel 1912: "per lo Stato di<BR>diritto si vollero<BR>determinate più esattamente che fosse possibile e assicurate le vie, l'<BR>ampiezza, le condizioni, le<BR>23<BR>23<BR>forme dell'attività dello Stato, come la sfera libera degli individui, in<BR>maniera che ovunque l'attività<BR>statuale incontrasse quella di altre persone, ivi fossero una norma<BR>giuridica, che ne regolasse il<BR>rapporto e istituzioni che ne assicurassero l'osservanza".(93)<BR>Il che ci fa ben intendere come imboccando questa strada lo spazio storico<BR>da ritagliare allo Stato è<BR>davvero esiguo ed insoddisfacente per un "nome" così importante.<BR>Tanto più che, come Jellinek sosteneva, la costruzione della nozione<BR>scientifica di Stato non può<BR>esulare dal confronto tra le varie forme concrete di Stato, succedutesi<BR>effettivamente nella storia<BR>(94), per "porre a fondamento delle speculazioni scientifiche le<BR>manifestazioni della vita degli Stati<BR>nel loro complesso e nella loro varietà", in tal guisa seguendo l'<BR>insegnamento di Aristotele, e ciò<BR>"rappresenta un postulato necessario per tutti i tempi e per tutte le<BR>discipline che si occupano dello<BR>Stato"- tesi questa pure ripresa dall'Orlando nell'introduzione al "Trattato<BR>di diritto amministrativo<BR>italiano".(95)<BR>Considerato inoltre che giuspubblicisti attenti come Lavagna e Mortati, pur<BR>seguendo percorsi<BR>argomentativi non omogenei e giungendo a conclusioni differenti, il primo<BR>preoccupato di<BR>delimitare l'uso del sostantivo Stato, il secondo autore, invece, propenso<BR>ad estendere lo studio delle<BR>forme storiche di Stato e delle teorie sul tema allo "Stato feudale"(96),<BR>ritengono rispettivamente<BR>che "le multiformi varietà che la storia ci offre.non sempre si adattano ad<BR>una classificazione"(97)<BR>e che " la potestà sovrana, necessaria a qualunque ente politico per il<BR>conseguimento del fine suo<BR>proprio di assicurare la pacifica coesistenza degli interessi vari, ed a<BR>volte contrastanti tra loro, che<BR>siano considerati bisognevoli di tutela, si estrinseca con diversa intensità<BR>ed estensione, in<BR>corrispondenza con le situazioni obbiettive che condizionano l'attività di<BR>ogni Stato".(98)<BR>Peraltro, a ben vedere, di rivolgimenti profondi ve ne sono stati<BR>soprattutto nell'evo dello Stato<BR>contemporaneo: Kelsen individua e studia con specifica attenzione ad esso "i<BR>contrastanti principi<BR>organizzativi della democrazia e dell'autocrazia"(99); si discute se tutti<BR>gli Stati del '900 siano stati<BR>tali o se nei totalitarismi, in particolare, nel nazismo, lo Stato sia stato<BR>del tutto assorbito dal partito<BR>unico e dal suo Fhurer; si parla di "sistema" e non più di "Stato", come in<BR>primis scritto, per<BR>24<BR>24<BR>descrivere la macchina organizzativa e lo spazio di operatività degli enti<BR>territoriale sovrani<BR>oggigiorno esistenti.<BR>In conclusione, di fronte alla variegatezza delle questioni richiamate, che<BR>investe pure, senza ombra<BR>di dubbio, "l'incertezza dei concetti fondamentali del diritto pubblico", mi<BR>sovviene in mente una<BR>frase di Jellinek che ben ricorda, in ultima istanza, alcuni degli aspetti<BR>più significativi dell'<BR>intelligente insegnamento di Giovanni Motzo: "la necessità di indagini più<BR>rigorose" intorno alle<BR>idee fondamentali del diritto pubblico, "anche a costo di rimettere in<BR>questione quanto sinora si è<BR>prodotto".(100)<BR>Note al testo.<BR>1. v. N.Matteucci, Stato, in Lo Stato moderno.Lessico e percorsi, Il<BR>Mulino,Bologna,1993,pp.15-<BR>79,pp.78-79 (ove si legge che "più che di Stato si potrebbe parlare di<BR>sistema: sistema, non solo<BR>perché tutto è interdipendente e non ci sono veri spazi autonomi, ma anche<BR>perché non c'è più un<BR>reale potere sovrano, né un comune punto di riferimento.L'unità un tempo<BR>politica e giuridica<BR>dello Stato è data ora soltanto da tutta questa serie di interdipendenze in<BR>un sistema sociale sempre<BR>più complesso, il quale presenta una crescente differenziazione funzionale<BR>di apparati, che si sono<BR>autonomizzati da quello che era lo Stato.Lo Stato post-moderno può essere<BR>descritto e sintetizzato<BR>come l'eclissi della sovranità o meglio del potere sovrano."). v. sul tema<BR>anche G.Guarino,<BR>Relazione di sintesi, in "Dallo Stato monoclasse alla globalizzazione", a<BR>cura di S.Cassese e<BR>G.Guarino, Giuffrè, Milano,2000, p.143sgg.; S. Cassese, L'erosione dello<BR>Stato: una vicenda<BR>irreversibile?, in op.ult.cit.,p.15sgg.; M.Dogliani, Deve la politica<BR>democratica avere una risorsa di<BR>potere separata?, in op.ult.cit., p.61 sgg.; F. Merusi, Dallo Stato<BR>monoclasse allo Stato degli<BR>interessi aggregati, in op.ult. cit., p.119sgg.; S.Cassese, Crisi dello<BR>Stato e "global governance",<BR>Laterza, Bari,2002,p.3-20; G.Bianco, Metodo ed analisi nello studio<BR>giuridico-costituzionale del<BR>25<BR>25<BR>potere politico, in Studi parlamentari e di politica costituzionale, Roma,<BR>1993, n.139, pp.29-<BR>57,p.49sgg.; M.Prospero, Politica e società globale, Laterza, Bari,2004,<BR>pp.31-62, p.51.<BR>2. v. P.Biscaretti di Ruffia, Stato, in Enciclopedia Giuridica Treccani,<BR>Roma,1993,XXX,p.1.<BR>L' illustre autore scrive poi (a pag.2) che "tuttavia, fino alla Rivoluzione<BR>francese, l'espressione<BR>stato continuò a designare anche le diverse classi sociali che venivano a<BR>costituire direttamente le<BR>assemblee ereditate dall'epoca feudale ( e si ricordino i tripartiti Stati<BR>generali convocati per<BR>l'ultima volta in Francia da Luigi XVI nel 1789); mentre, finchè durarono le<BR>monarchie assolute, il<BR>vocabolo stati, per lo più usato al plurale, servì ad indicare l'insieme dei<BR>territori e delle popolazioni<BR>assoggettate al dominio dei vari Sovrani (come ancora affermò, ad esempio,<BR>Carlo Alberto nel suo<BR>Proclama costituzionale dell'8 febbraio 1848, enunciando i principi<BR>informatori del promesso<BR>Statuto che avrebbe consentito di stabilire "nei Nostri Stati un compiuto<BR>sistema di governo<BR>rappresentativo"). Osserva B.Leoni sull'argomento, in "Lezioni di dottrina<BR>dello Stato",rist.,<BR>Rubettino, Soveria Mannelli, 2004 p.55 che "Machiavelli utilizza la parola<BR>"Stato"per indicare<BR>dominio" e che "a partire dal secolo XVI, troviamo la parola "Stato" usata<BR>in Italia per designare<BR>associazioni politiche. Essa deriva dal latino "status". L'espressione<BR>"status rei publicae", usata già<BR>da Ulpiano, non indicava infatti lo "Stato", ma la situazione della<BR>Repubblica. Intorno al secolo IV<BR>abbiamo in Ammiano, Orosio, Aurelio Vittore e altri, l'uso dell'espressione<BR>"status romanus" per<BR>intendere la "Res Publica Romanorum" e lo stesso uso è fatto in Cassiodoro<BR>nel secolo VI. Ancora<BR>nel Medioevo continuiamo a trovare l'espressione "status rei publicae". La<BR>parola moderna "Stato"<BR>è stata preparata dall'uso medievale, anche se prima dell'età moderna non<BR>troviamo mai la parola<BR>"Stato" usata da sola"(p.54); e ricorda inoltre che l'uso della parola si<BR>diffuse subito in Inghilterra, a<BR>partire dall'opera di Thomas Starkey "England in Reign of King Henry the<BR>fight" del 1538, che<BR>Bodin utilizza nei sei libri del "De Repubblica", oltre alla locuzione "res<BR>publica", il sostantivo<BR>"estat", per distinguere i vari tipi di Stati, che Guicciardini nei<BR> "Ricordi" usa il sostantivo in<BR>questione in "senso equivoco" "mai preciso", pur se talora corrispondente<BR>con il significato<BR>moderno.<BR>26<BR>26<BR>3. v. N.Bobbio, Stato, in Enciclopedia, Einaudi,Torino,1981,XIII,pp.453-513,<BR>p.463.<BR>4. v. G.Sartori, Democrazia degli antichi e democrazia dei moderni, in<BR>Democrazia. Cosa è, Rizzoli,<BR>Milano, 1994,p.141 sgg.,p.142. Il quale tuttavia aggiunge che "per arrivare<BR>a tanto si deve arrivare<BR>al XIX secolo. E dunque lo Stato che noi conosciamo, lo Stato come complesso<BR>e vastissimo<BR>insieme di strutture di comando, di amministrazione e di legislazione<BR>sostenuto da una varietà di<BR>apparati, è per l'Occidente una entità che comincia a diventare gigantesca<BR>solo con la prima guerra<BR>mondiale".<BR>5. v. M.Fioravanti, Stato (storia), in Enc.dir.,Giuffrè, XLIII,1990,708<BR>sgg.,716. Il quale,<BR>contrapponendo lo "Stato moderno" al "tipo di potere pubblico dominante<BR>nella società d'antico<BR>regime"(p.715), parla poi di "due modelli opposti di amministrazione",<BR>sostiene che al "caos di<BR>prerogative e di obbligazioni soggettive" di quest'ultimo non si adatta "il<BR>termine "Stato"<BR>nell'odierno senso della parola" ed individua "coppie concettuali<BR>organizzate secondo uno schema<BR>di antitesi: associazione-istituzione, pattuizione-normazione,<BR>soggettivo-oggettivo" all'interno della<BR>"storia della istituzionalizzazione del potere"(p.718) che attua un<BR>"processo di espropriazione<BR>politica attuato ai danni delle amministrazioni di ceto". Ciò determina il<BR>passaggio dalla<BR>"dimensione associativa-pattuitiva-giurisdizionale" alla "nuova sfera",<BR>"integralmente moderna",<BR>"dell'istituzionalità"(p.718).<BR>6. v. F.Lanchester, Stato (forme di), in Enc.dir.,Giuffrè,Milano,1990,XLIII,<BR>p.796 sgg.,<BR>p.799,797,800,801,797 (pagine, nell'ordine, indicative delle varie citazioni<BR>virgolettate).<BR>7. v. G.Sartori, Democrazia degli antichi e democrazia dei moderni, op.cit.,<BR>p.143. Si legge, inoltre,<BR>che "anche a voler retrodatare la parola Stato al mondo antico, la possiamo<BR>riferire ai romani e,<BR>ancor meglio, ai dispotismi asiatici; ma non ai greci." e che nella polis si<BR>realizzò "una<BR>configurazione orizzontale (non verticale) della politica nella quale<BR>governati e governanti si<BR>scambiano, a turno, le parti. Difatti sia la nozione di sovranità popolare<BR>come la distinzione tra<BR>titolarità e esercizio del potere sono di elaborazione medievale. I greci<BR>non ne avevano bisogno. E'<BR>vero (retrospettivamente) che la loro democrazia diretta era l'esatto<BR>equivalente di un sistema<BR>27<BR>27<BR>interamente risolto nella sovranità popolare. Ma siccome il demos sovrano<BR>riassorbiva tutto quel<BR>tutto non richiedeva scorpori e distinzioni tra popolo sovrano quanto a<BR>titolarità, e altri "sovrani"<BR>quanto ad esercizio. Dunque, senza Stato è, in primo luogo, senza<BR>verticalità" (p.143).<BR>8.v. Aristotele, Politica, tr.it., Laterza, Bari,1993, VI,1317 b. v.altresì<BR>VI,1321,b, passo ove è<BR>affermato che "senza le magistrature indispensabili è impossibile che uno<BR>Stato esista, senza quelle<BR>che promuovono il buon ordine e l'armonia è impossibile che sia ben<BR>governato".<BR>9. v.G.Sartori, Democrazia degli antichi e democrazia dei moderni,<BR>op.cit.,p.143.<BR>10. v.Aristotele, Politica,op.cit.,VII,1326b.<BR>11. v. G.Mosca, Storia delle dottrine politiche,1933, Laterza, Bari, 1983,32<BR>e per la seconda<BR>citazione E.Baltrusch, Sparta (1998), tr.it. Il Mulino, Bologna, 2002,<BR>p.18-19. Ma è importante<BR>notare che anche Atene conobbe periodi bui, di governi tirannici o<BR>oligarchici. Aristotele ne "La<BR>Costituzione degli ateniesi"(i riferimenti si trovano nella edizione più<BR>recente della Rizzoli, del<BR>1999, a cura di M.Bruselli, ai paragrafi 14 e 16, p.67 e 71, mentre è al<BR>secondo paragrafo e seguenti<BR>, p.38-39 e sgg., che si richiamano i tempi dell'oligarchia ) si sofferma,<BR>ad esempio sulla tirannia di<BR>Pisistrato, "che sembrava il più democratico" e ricorda in primis la fase<BR>storica di "regime<BR>politico.in tutto e per tutto oligarchico"in cui "gli stessi poveri , i loro<BR>figli e le loro mogli erano<BR>schiavi dei ricchi" "per questo venivano chiamati "clienti" ed "ectemori" e<BR>"l'organizzazione<BR>dell'antica Costituzione (tès archaìas politeias) anteriore a Draconte"<BR>(par.3, pag.41) fortemente<BR>aristocratica; nell'inizio frammentario della sua opera che il Wilamowitz<BR>( citato alla nota n.1 di<BR>pag.38 dell'opera summenzionata) fa risalire al 552 a.c., al tempo dell'<BR>arcontato di Megacle,<BR>servendosi della ricostruzione di Plutarco.<BR>Il Mosca sostiene altresì che "i greci, malgrado la loro lingua, fosse<BR>ricchissima, ebbero un solo<BR>vocabolo per indicare lo Stato e la città perché polis significava l'uno e l<BR>'altro"(p.34). Sulla limitata<BR>estensione delle polis è scritto che "alla deficiente capacità di espansione<BR>dello Stato greco si cercò<BR>di supplire con l'egemonia, cioè con la formazione di confederazioni<BR>mediante le quali una città di<BR>maggiore importanza legava a sé con la forza un certo numero di città<BR> minori"(p.34).<BR>28<BR>28<BR>Sull'organizzazione delle città-stato si ritiene che "bisogna pure tenere<BR>presente che lo Stato-città<BR>ellenico mancava di due grandi elementi di stabilità che si trovano nello<BR>Stato moderno: cioè la<BR>burocrazia e l'esercito stanziale"(p.35). Interessanti sono sul tema anche<BR>le osservazioni contenute<BR>in Bruno Leoni, Lezioni di dottrina dello Stato, op.cit., 51. L'illustre<BR>autore afferma che "la parola<BR>città, polis" non concerne il solo "aspetto materiale di un territorio e<BR>delle costruzioni su di esso<BR>esistenti" ma "l'insieme degli abitanti di un agglomerato umano che avevano<BR>una organizzazione e<BR>determinate facoltà (fare leggi, partecipare ad assemblee ecc.). Il polìtes<BR>era il cittadino che aveva<BR>determinati diritti.L'esperienza degli antichi Greci in materia politica era<BR>soprattutto legata alle<BR>persone e non alle cose". Sul rapporto tra "politeia" ("concetto astratto<BR>che esprime l'unità e<BR>l'identità irriducibile di ogni polis") e "polis" nel pensiero dei greci e<BR>sui diversi indirizzi di<BR>pensiero sul tema v.M.Dogliani, Introduzione al diritto costituzionale, Il<BR>Mulino, Bologna,1994,<BR>33sgg., 37 sgg.<BR>12. v. V.E.Orlando, Il nome di Stato, in Teoria giuridica dello Stato, in<BR>Diritto pubblico<BR>generale,III,Giuffrè, Milano, 1954,p.185 sgg., p.190.<BR>13. v.V.E.Orlando, Il nome di Stato, op.cit.,p.190.<BR>14. v. V.E.Orlando, Il nome di Stato, op.cit.,p.188-189.<BR>15. v. V.E.Orlando, Il nome di Stato, op.cit.,p.188.<BR>16. v. B.Biondi, Stato e Costituzione politica, in Il diritto romano, in<BR>Storia di Roma, F.Cappelli<BR>editore, Rocca San Casciano, 1957, XX, pp.77-111,p.88. v. inoltre nella<BR>sterminata letteratura sul<BR>tema V.Arangio- Ruiz, Le genti e la città, Messina, 1913; De Francisci, La<BR>formazione della<BR>comunità politica romana primitiva, in "Conferenze romanistiche",2,Trieste,<BR>1951; Id., Sintesi<BR>storica del diritto romano,Mario Bulzoni editore, Roma,1968,3° edizione,<BR>p.19sgg., 33, 37;<BR>F.Serrao, Le genti e la città,in Dalla società gentilizia alle origini dell'<BR>economia schiavistica, in<BR>Diritto privato, economia e società nella storia di Roma,I,2° edizione,<BR>Jovene, Napoli, 1999,pp.45-<BR>90; V.Arangio-Ruiz, Storia del diritto romano, Jovene, Napoli, 2003, rist.<BR>della 7° ediz. del 1957,<BR>p.15sgg. e 25 sgg.; L.Capogrossi Colognesi, Dalla tribù allo Stato. Le<BR>istituzioni dello Stato<BR>29<BR>29<BR>cittadino, Roma, 1990, p.37-66; G. Crifò, Storia del diritto romano,<BR>Bologna, 2000 (III ed.), p.39<BR>sgg.; G. Grosso, Lezioni di storia del diritto romano, Torino, 1965, V ed.,<BR>19 sgg., 22sgg., 28 sgg. e<BR>167 sgg.<BR>17. v. B.Biondi, Stato e Costituzione politica, op.cit.,p.77. v. inoltre<BR>V.Arangio-Ruiz, La<BR>Costituzione romana e la sua storia, in "Guida allo studio della civiltà<BR>romana", Napoli,1952,I,p.251<BR>sgg.<BR>18. v. B.Biondi, Stato e Costituzione politica, op.cit.,p. 88, 89 e 91. v.<BR>pure F.De Martino, Storia<BR>della Costituzione romana, Jovene, Napoli,1951,I,427-430.<BR>19. v. T.Mommsen, Disegno del diritto pubblico romano (1895), traduzione<BR>italiana compiuta da<BR>P.Bonfante e riveduta da V.Arangio-Ruiz, Milano, 1904 e Varese-Milano,1943,<BR>p.92sgg.,152. v.<BR>sull'argomento la ricostruzione molto interessante di M.Dogliani,<BR>Introduzione al diritto<BR>costituzionale, cit., p.73sgg.<BR>20. v. B.Biondi, Stato e Costituzione politica, op.cit., p.78. v. anche<BR>T.Mommsen, Disegno del<BR>diritto pubblico romano, op.cit., p.92sgg. Parla ,invece, di "res publica<BR>costituta", ritenendo che "il<BR>nucleo dei problemi posti dal termine moderno "costituzione" sono<BR>rintracciabili con sicurezza nella<BR>struttura del diritto romano, ma .non sono esauriti, e non dipendono<BR>esclusivamente, dai significati<BR>dell'espressione rem publicam constituere o dal termine constitutio" M.<BR>Dogliani, in "Introduzione<BR>al diritto costituzionale", op.cit., p.107, anche riprendendo con<BR>originalità tesi del McIlwain (in<BR>"Costituzionalismo antico e moderno"(1947), tr.it. a cura di N.Matteucci, Il<BR>Mulino, Bologna, 1990,<BR>p.35), del De Francisci ( in "Arcana imperii", Milano, 1948,vol.III,tomo<BR>I,p.109 sgg.,p.113) e<BR>richiamando uno scritto di G.Nocera, "Aspetti teorici della costituzione<BR>repubblicana romana",in<BR>"Rivista italiana per le scienze giuridiche",1940 p.122sgg., così<BR>propendendo per una concezione<BR>normativa della costituzione romana. v. altresì nel senso sostenuto nel<BR>testo G.Mancuso, Il concetto<BR>di costituzione nel pensiero politico greco-romano, in "Annali del Seminario<BR>giuridico<BR>dell'Università di Palermo", XXXIX, 1987; P.Cerami, Potere e ordinamento<BR>nell'esperienza<BR>costituzionale romana, Torino,1988, pp.57 sgg.<BR>30<BR>30<BR>21. v. F.De Martino, Storia della Costituzione romana, op.cit., p.428, che<BR>cita Cicerone, De Re<BR>Publica,I,XXV.<BR>22. v. M.T.Cicerone, De Re Publica,I, XXV e XXVI.<BR>23. v. C.H. McIlwain, Costituzionalismo antico e moderno,op.cit., p.69.<BR>24. v. M. Fioravanti, Stato(storia), op.cit.,p.714.<BR>25. v. V.E.Orlando, Il nome di Stato, op.cit., p.191.<BR>26. v.F.Lanchester, Stato (forme di), op.cit.,p.799.<BR>27. v.V.E.Orlando, Il nome di Stato, cit.,p.190-191.<BR>28. v. V.E.Orlando, Stato e diritto, in Teoria giuridica dello Stato, in<BR>Diritto pubblico generale,<BR>Giuffrè, Milano, 1954,III, p.223 sgg., p.227.<BR>29. v.V.E.Orlando, Stato e diritto, op.ult.cit., p.227-228.<BR>30. v. N.Bobbio, Stato,op.cit.,p.464.<BR>31. v. C.Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, X ed. aggiornata, I,Cedam<BR>Padova,1991,p.141.<BR>32. v.J.Ellul, Storia delle istituzioni, II, Il Medioevo, Mursia editore,<BR>1994 (rist.dell'edizione del<BR>1976),p.46.<BR>33. v.G.Barraclough, Il crogiolo dell'Europa. Da Carlo Magno all'anno Mille<BR>(1976), tr.it. a cura di<BR>C.Santaniello, Laterza, Bari, 1978, p.123 e 158.<BR>34. v. G.Mosca, Storia delle dottrine politiche,op.cit.,p.70 sgg.,77 sgg.<BR>35. v. J.Ellul, Storia delle istituzioni, II, Il Medioevo, op.cit., p.170.<BR>36. v. J.Ellul, Storia delle istituzioni, II Il Medioevo, op.cit.,p.172.<BR>37. v. J.Ellul, Storia delle istituzioni, II, Il Medioevo, op.cit.,p.179.<BR>38. v. C.Azzara, Le civiltà del Medioevo, Il Mulino, Bologna,2004, p.135. Ed<BR>aggiunge l'autore<BR>nella stessa pagina che "si trattò di un fenomeno lento e faticoso", che<BR>conobbe percorsi diversi<BR>nelle diverse regioni, ma che ebbe come risultato comune la costruzione di<BR>regni sufficientemente<BR>robusti e stabili, almeno rispetto al quadro disgregato del periodo<BR>anteriore, gettando le fondamenta<BR>per alcune delle realtà politico-nazionali dell'Europa moderna".<BR>31<BR>31<BR>39. v. P.Grossi, L'ordine giuridico medievale (1995), Laterza, Bari, 2003, X<BR>ed.,p.30.<BR>40. v. P.Grossi, L'ordine giuridico medievale, op.cit., p.31.<BR>41. v. sulla distinzione tra forme e tipi di Stato C. Mortati, Istituzioni<BR>di diritto pubblico,<BR>op.cit.,p.138. L'illustre autore scrive che "secondo un'opinione corrente i<BR>"tipi di Stato"<BR>dovrebbero riguardare le figure assunte dagli Stati quali risultano<BR>determinate con riguardo ai<BR>rapporti con gli altri Stati, che, vertendo fra organi sovrani, si<BR>costituiscono su una base<BR>consensuale paritaria attraverso lo strumento dell'accordo; mentre le "forme<BR>di Stato" avrebbero ad<BR>oggetto le caratterizzazioni risultanti dalle concezioni che presiedono ai<BR>rapporti interni fra la<BR>potestà sovrana, gli enti territoriali minori, i gruppi sociali ed i<BR>cittadini, o, in altri termini, a quelli<BR>che si instaurano fra governanti e governati". V. inoltre E.Bussi,<BR>Evoluzione storica dei tipi di Stato<BR>(1957), rist. con introduzione di P.G.Grasso, Giuffrè,Milano,2002, p.31 sgg.<BR>("Intorno ai "tipi di<BR>Stato") e p.44 sgg. ("La contrapposizione storica di un tipo ideale ai<BR>modelli concreti di Stato"). Il<BR>Bussi riguardo all'uso del nome "Stato" scrive "oggi potremmo domandarci se<BR>si possa adoperare<BR>la parola Stato, che oggidì ha un suo preciso significato, per indicare un<BR>organismo che non<BR>sappiamo ancora se esiste nell'antichità e nel medio-evo.ma per ora noi non<BR>possiamo fare<BR>diversamente: se la lingua italiana avesse la capacità che ha quella tedesca<BR>di esprimere concetti<BR>astratti con nuove parole create sul momento per convenienza di<BR>dimostrazione, noi potremmo<BR>indicare il concetto di Stato senza fare uso di questo termine, e con ciò<BR>lasciare, anche formalmente<BR>impregiudicata la questione: così infatti quando la dottrina tedesca vuole<BR>esprimere il concetto di<BR>Stato senza ricorrere a questo vocabolo, parla di Einheitsrganismus, di das<BR>Ganze, di gemeines<BR>Wesen e così via. Ma poiché a noi non è possibile, così continueremo ad<BR>usare la parola Stato, ben<BR>sapendo, però, di non farne sempre un uso esatto"(p.44).<BR>42. v. C.Ghisalberti, Recensione a Paolo Grossi, L'ordine giuridico<BR>medievale, in Clio, ESI, Napoli,<BR>1997, n.1, p.181 sgg., p.182-183.<BR>43. v. E. Sestan, Stato e Nazione nell'Alto Medioevo, ESI, Napoli, 1952.<BR>44. v. F.Calasso, Medioevo del diritto, Giuffrè, Milano, 1954.<BR>32<BR>32<BR>45. v. M.Ascheri, Istituzioni medievali: una introduzione, Il Mulino,<BR>Bologna, 1994.<BR>46. v. C.Ghisalberti, Recensione a Paolo Grossi., op.cit., p.183.<BR>47. v. A. Passerin d'Entrèves, La dottrina dello Stato, Giappichelli,<BR>Torino, 1967, p. 7.<BR>48. v. S. Romano, Principii di diritto costituzionale generale, Giuffré,<BR>Milano, 1947, p.58-59.<BR>Il Grossi, viceversa, nell'opera summenzionata (p.30-31), afferma che nel<BR>pensiero del Romano "il<BR>diritto poteva fare a meno dello Stato", "la società era sorpresa da Romano<BR>come naturalmente<BR>giuridica, era pensata giuridicamente, innanzi tutto giuridica", "la teorica<BR>romaniana può, dunque,<BR>porsi come uno strumento idoneo per individuare la realtà tipica del diritto<BR>medievale.Ad una<BR>condizione, tuttavia: che lo storico del diritto in dialogo con le voci<BR>provenienti dal pianeta<BR>medievale, sia in effettivo ascolto.Il pericolo è infatti che maneggi l'<BR>ipotesi romaniana restando<BR>intimamente plagiato dallo statalismo circolante nelle sue vene e che l'<BR>operazione<BR>metodologicamente liberante si risolva nel solito trapianto forzato di<BR>modelli antistorici".<BR>49. v. N.Bobbio, Stato, op.cit., p.466.<BR>50. v. C.Schmitt, Dottrina della Costituzione (1928), tr. it. a cura di<BR>A.Caracciolo, Giuffré, Milano,<BR>1984, p.177.<BR>51. v. C.Schmitt, Dottrina della Costituzione, op.cit., p.177. La<BR>definizione schmittiana merita<BR>comunque una precisazione. Gli studiosi dell'organizzazione del potere<BR>statale medievale pongono<BR>anche in evidenza che nell'esperienza storica di quei secoli si attua una<BR>graduale forma di<BR>distinzione tra "iurisdictio" e "gubernaculum", tra "imperator" e<BR>magistratus", tra "iurisdictio" e<BR>"condere leges" che rappresenta una forma embrionale di divisione dei poteri<BR>sovrani, tra il titolare<BR>della funzione legislativa ed esecutiva, il sovrano, ed il "magistratus",<BR>v. P.Costa, Iurisdictio, Giuffrè,Milano, 2002 (rist. ed. del 1969), p.95<BR>sgg., p.134 sgg. (il quale si<BR>sofferma anche sul significato della parola "iurisdictio" nei glossatori,<BR>nei canonisti ed in Bartolo da<BR>Sassoferrato e sul rapporto tra "iurisdictio" e "processo di potere" e tra<BR>"iurisdictio" e "attività<BR>statuente" anche nella storia dei comuni medievali). Lo stesso autore<BR>avverte però al riguardo "che<BR>il dogma della divisione dei poteri ( come, per altri versi il dogma della<BR>sovranità) è una troppo<BR>33<BR>33<BR>manifesta consacrazione di un fatto storicamente determinato per servire<BR>come schema di<BR>ermeneutica storica del pensiero di un ormai lontano duecento" anche perché<BR>"il giurista del XIII<BR>secolo non distingue, ma innanzitutto sintetizza: coglie nel suo linguaggio<BR>una posizione di potere<BR>(" magistratus-iurisdictio") e una norma funzionale ("statuere"). Le<BR>distinzioni vi sono, ma vengono<BR>dopo"(pag.149). L'Ellul precisa sul punto che a partire dal XII secolo si<BR>attua una progressiva<BR>distinzione tra le competenze politiche e giudiziarie della "Curia regis"e<BR>quelle giudiziarie dei<BR>nascenti Parlamenti, che, specie a partire dal 1260, e seguendo "la nuova<BR>procedura, chiamata<BR>romano-canonica, finisce con l'esautorare "la giurisdizione feudale" e<BR>ad operare, a partire dal XIII secolo, come Tribunale d'appello ( e si<BR>impone la possibilità<BR>dell'appello anche ai tribunali signorili), anche perché la Curia regis è<BR>sovraccarica di processi,<BR>specie d'appello (p.183). Si sottolinea inoltre come verso la metà del XII<BR>secolo i "Pares", specie in<BR>Francia, si staccano progressivamente dagli altri vassalli del re, perché i<BR>c.d. "Pari laici" sono i<BR>vassalli più potenti e più diretti del re, come anche i "Pari ecclesiastici"<BR>, che sono pure duchi e conti<BR>ed hanno una parte importante nella politica regia, e tra il 1220 ed 1250 è<BR>attuata la loro aspirazione<BR>alla costituzione della "Corte dei pari",istituita dal re, e con la<BR>competenza a giudicare "tutti i<BR>processi concernenti i Pari. Si forma allora un corpo di privilegiati che<BR>avranno la certezza di essere<BR>giudicati soltanto dai loro pari"(pag.180).<BR>52. v. A.Passerin d'Entréves, La dottrina dello Stato, op.cit., p.234.<BR>53. v. A.Falchi, I fini dello Stato e la funzione del potere (1910), ora in<BR>Id., Lo Stato collettività,<BR>Pisa, 1994, nt.60 a pag.35. v. inoltre Rolf Schonberger, Tommaso D'Aquino<BR>(1998), tr. it. a cura di<BR>Pietro Kobau, Il Mulino, Bologna , 2002, p.144 sgg.; Sofia Vanni Rovighi,<BR>Introduzione a<BR>Tommaso d'Aquino, Laterza, Bari, 1995, p. 129 sgg. (in cui è scritto che il<BR>"De regimine principum<BR>(o De Regno) ribadisce la necessità naturale dello Stato, retto da un'<BR>autorità"), riportando un passo<BR>della medesima opera, in cui si sostiene che "data infatti l'esistenza di<BR>molti uomini e il fatto che<BR>ciascuno provvede a ciò che gli è conveniente, la comunità si disperderebbe<BR>in opposte direzioni se<BR>non vi fosse qualcuno che prendesse cura di ciò che appartiene al bene di<BR>tutti.E' necessario<BR>34<BR>34<BR>dunque che nella società vi sia un principio direttivo" (v. De Regimine<BR>Principum, a cura di G.<BR>Mathis, Paravia, Torino,1928, I,cap.2, par.4). Importante è anche un passo<BR>successivo, pure citato<BR>dalla Vanni Rovighi ( a pag. 130,op.ult.cit.), in cui si ritiene che i<BR>governanti devono mirare al bene<BR>comune: " se dunque una società di uomini liberi è ordinata da chi la<BR>governa al bene comune della<BR>società stessa, il governo sarà retto e giusto, quale conviene ad uomini<BR>liberi. Se invece il governo,<BR>anziché al bene comune della società, è ordinato al bene privato del<BR>governante, avremo un governo<BR>ingiusto e perverso" ( v. De Regimine Principum, op.cit.,I,cap.2,par.5).<BR>54. v. F.Suarez, Tractatus de legibus ac Deo legislatore, Lugdum, 1619,III,<BR>cap.I-IV.<BR>55. v. U.Grozio, De jure belli ac pacis, Wratislaviae, 1744, I, cap.I,par.14<BR>; cap.I,par.VII; cap.XIV.<BR>Interessanti sul tema, pur se con un taglio tematico differente rispetto all<BR>'oggetto della nostra<BR>citazione sono i classici riferimenti contenuti in Gioele Solari, Il ius<BR>circa sacra nell'età e nella<BR>dottrina di Ugone Grozio, in La filosofia politica,I, a cura di Luigi Firpo,<BR>Laterza, Bari, 1974, pp.<BR>65-130. E' importante anche ricordare che sul tema assume una sua<BR>indiscutibile pregnanza il<BR>pensiero di Baruch Spinoza, che nel "Trattato teologico-politico", edito nel<BR>1670, ritiene che "il<BR>potere coattivo è richiesto per l'esistenza della società politica",<BR>ma "la natura umana non sopporta la costrizione assoluta" e che "il potere<BR>sovrano.non si distacca<BR>e si contrappone, come in Hobbes, alla totalità dei cittadini, ma inerisce<BR>invece alla stessa<BR>collettività, cioè al popolo" ( v.M.D'Addio, Storia delle dottrine<BR>politiche, Ecig. Genova, 1984,<BR>I,p.611 sgg., p.616 e 619. v. altresì sul tema G.Solari, La dottrina del<BR>contratto sociale in Spinosa, in<BR>La filosofia politica,op.ult.cit.,p.195-250. Quest'ultimo scrive che in<BR>Spinoza l'origine<BR>contrattualistica della società e dello Stato "sembra implicare l'intervento<BR>del volere umano a<BR>interrompere il corso naturale delle cose per instaurare un ordine umano<BR>regolato non più dalla<BR>legge di natura, ma dalla legge di libertà" e parla di "elevazione del<BR>volere a principio dell'ordine<BR>giuridico", "di esaltazione dell'individuo ad autore ed arbitro della vita<BR>collettiva", che "sembrano<BR>contrastare con la negazione del libero arbitrio e l'affermazione della<BR>necessità universale, che sono<BR>i cardini del sistema spinoziano"(p.198).<BR>35<BR>35<BR>56. v. J.Chevallier, Storia del pensiero politico, I, tr.it., Il Mulino<BR>Bologna,1981,494.<BR>v.inoltre M.D'Addio, Storia delle dottrine politiche,op.ult.cit.,p.494 sgg.<BR>, che scrive che per Altusio<BR>"l'oggetto proprio della politica .è la società umana, la "consociatio", che<BR>gli uomini costituiscono<BR>mediante un patto espresso o tacito di scambiarsi tutte le cose che sono<BR>necessarie ed utili alla vita<BR>sociale"(p.495) e riporta il passo della "Politica methodice digesta"<BR>(lib.I,cap.1,par.2,v.nell'edizione<BR>del 1932 edita ad Harvard a cura di C.J.Friedrich)<BR>secondo cui "politica est ars homines ad vitam socialem inter se<BR>constituendam, colendam et<BR>conservandam consociandi. Unde simbiotiche vocatur". v.altresì Otto von<BR>Gierke, Giovanni<BR>Althusius e lo sviluppo storico delle teorie giusnaturalistiche (Breslavia,<BR>1880), tr.it. a cura di<BR>Antonio Giolitti, Einaudi, Torino, 1974 (rist. ed.del 1943),p.33sgg.,<BR>p.35-36, ove si legge che "il<BR>popolo.è la sola fonte concepibile della sovranità, ne è per la stessa<BR>ragione il solo soggetto<BR>concepibile e stabile, e con la sua immortalità la custodisce e la<BR>protegge..L'Althusius è rimasto<BR>effettivamente fedele al programma così fissato. L'idea della sovranità<BR>popolare, da lui<BR>sviluppata,con ferrea coerenza, costituisce sempre la base dell'edificio<BR>sociale.".<BR>57.v. G.Bodin, "De Repubblica" (1576), Francoforte, 1609, VI libri, lib.I,<BR>cap.10 e lib.1, cap.8.<BR>Sostiene Mario D'Addio, in "Storia delle dottrine politiche",op.cit.,p.466<BR>sgg., che la sovranità è<BR>concepita da Bodin "come il potere assoluto che non riconosce al di sopra di<BR>sé alcun altro potere,<BR>se non quello di Dio. L'assolutezza significa per Bodin che il potere<BR>sovrano trova in se stesoo le<BR>ragioni della sua determinazione"(p.474), "la sovranità.è un potere<BR>assoluto, perpetuo,<BR>indivisibile, intrasferibile, e imprescrittibile"(p.476), "allo Stato,dopo<BR>Dio, l'uomo deve tutto, la sua<BR>umanità, la sua razionalità, la sua libertà: senza lo Stato o perso lo<BR>Stato, l'uomo ritornerebbe<BR>fatalmente alla primitiva vita ferina, caratterizzata dalla violenza, dagli<BR>assassini, dalle stragi, dalla<BR>continua lotta per la sopravvivenza"(p.469). Precisa Norberto Bobbio al<BR>riguardo (in "La teoria<BR>delle forme di governo nella storia del pensiero politico." Giappichelli,<BR>Torino,1976,p.87) che<BR>"contrariamente a quello che si crede di solito, potere assoluto non vuol<BR>dire affatto potere<BR>illimitato. Vuol dire semplicemente che il sovrano, essendo il detentore del<BR>potere di fare le leggi<BR>36<BR>36<BR>valevoli per tutto il paese, non è egli stesso sottoposto a queste leggi,<BR>perché "non è possibile<BR>comandare a se stessi". Come tutti gli esseri umani il sovrano è sottoposto<BR>alle leggi naturali e<BR>divine. Nella scala ascendente di poteri il potere del sovrano terreno non è<BR>l'ultimo dei poteri perché<BR>al disopra c'è la summa potestas di Dio, da cui derivano le leggi naturali e<BR>divine. Altri limiti del<BR>potere sovrano sono dati dalle leggi fondamentali dello Stato, che oggi<BR>chiameremmo le leggi<BR>costituzionali, com'è in una monarchia la legge che stabilisce la<BR>successione al trono".<BR>58.v. A.Passerin d'Entrèves, Rileggendo il defensor pacis, in Saggi di<BR>storia del pensiero politico.<BR>Dal medioevo alla società contemporanea, a cura di Gian Mario Bravo, Franco<BR>Angeli,<BR>Milano,1992, 135-167; Carlo Dolcini, Introduzione a Marsilio da Padova,<BR>Laterza, 1995,p. 27 e 25.<BR>v. inoltre E.A. Albertoni, Storia delle dottrine politiche in Italia,<BR>Edizioni di Comunità,<BR>Milano,1991, 2° ed., I,p.112 ( che scrive, a p.113, che "con Marsilio l'idea<BR>laica del potere, cioè lo<BR>svincolo della "città degli uomini" da ogni finalità trascendente e il<BR>predominio del potere civile su<BR>ogni pretesa ierocratica, apparve formulata in modo assai netto").<BR>59. v. N.Bobbio, Stato, op.cit.,p.464.<BR>60. v. U. Cerroni, Stato, in Enciclopedia Feltrinelli Fischer, Diritto, a<BR>cura di G.Crifò, 2, Feltrinelli,<BR>Milano, 1972, pp.475-500, p.475.<BR>61. v. G.Balladore-Pallieri, Dottrina dello Stato, 2° ed., Cedam, Padova,<BR>1964, p.4.<BR>62. v. G.Jellinek, Dottrina generale dello Stato (3° ed. 1914), tr.it., I<BR>vol. 1921, II vol.1949, a cura e<BR>con prefazione di V.E.Orlando, Milano, I, p.291sgg.,302sgg.,360sgg.,534sgg.<BR>63. v. G.Balladore-Pallieri, Dottrina dello Stato, op.ult.cit.,p.4.<BR>64. v. G.Balladore-Pallieri, Dottrina dello Stato, op.ult.cit.,p.6.<BR>65. v. G.Balladore-Pallieri, Dottrina dello Stato, op.ult.cit.,p.9.<BR>66. v. N.Bobbio, Stato, op.cit., p.465.<BR>67. v. N.Bobbio, Stato, op.cit.,p.466.<BR>68. v. V.Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, I, Introduzione al<BR>diritto costituzionale italiano,<BR>Cedam, Padova, 1970, p.54<BR>37<BR>37<BR>69. v. V.Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, I, op.ult.cit.,<BR>p.56-57.<BR>70. v. V.Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale,I, op.ult.cit., p.53.<BR>71. v. C.Schmitt, Teologia politica, II, La leggenda della liquidazione di<BR>ogni teologia politica<BR>(1970),tr.it. a cura di A.Caracciolo, Giuffrè, Milano,1992,p.99.<BR>72. v. M.Horkheimer, Diritto naturale e ideologia, in Gli inizi della<BR>filosofia borghese della storia.<BR>Da Machiavelli a Hegel (1930), tr.it., Einaudi, Torino,1978, pp.26-55, p.30.<BR>73. v. M.Horkheimer, Diritto naturale e ideologia, op.ult.cit.,p.30. Il<BR>passo di Hobbes richiamato è<BR>contenuto in "Leviatano"(1651), tr.it. a cura di T.Magri, Editori Riuniti,<BR>Roma, 1993, Introduzione,<BR>p.51. E' importante anche ricordare l'incipit della stessa opera secondo cui<BR>"la natura, l'arte con cui<BR>Dio ha fatto il mondo e lo governa, è imitata dall'arte dell'uomo, come in<BR>molte altre cose, anche in<BR>questo: che si può fare un animale artificiale."(p.51).<BR>74. v. M.Horkheimer, Diritto naturale e ideologia, op.ult.cit.,p.27.<BR>75. v. H.Heller, Dottrina dello Stato (1934), tr.it., a cura di U.Pomarici,<BR>ESI, Napoli, 1988, p.64.<BR>Aggiunge l' insigne autore che "rispetto alla spiegazione trascendente e<BR>alla legittimazione dello<BR>Stato che vi è connessa, che non può fare a meno di forze soprannaturali, la<BR>concezione immanente<BR>comporta la deduzione dello Stato dalla "natura umana". Il sistema<BR>conoscitivo "naturale"sorto nel<BR>Rinascimento vuole dedurre tanto la religione quanto l'etica, il diritto e<BR>lo Stato da una connessione<BR>causale che viene quanto meno condizionata nell'uomo dall'ambiente. Ha così<BR>fine la concezione<BR>sociale teologica del Medioevo"(p.64).<BR>76. v. N.Bobbio, Stato, op.ult.cit.,p.463 sgg.<BR>77. v. N.Bobbio, Stato, op.ult.cit.,p.465.<BR>78. v. G.Solari, La formazione storica e filosofica dello Stato moderno,<BR>terza ed., Guida editore,<BR>Napoli, 1990, p.12.<BR>79. v. G. Solari, La formazione storica e filosofica dello Stato<BR>moderno,op.ult.cit.,p.12.<BR>80. v. G.Solari, La formazione storica e filosofica dello Stato<BR>moderno,op.ult.cit.,p.13.<BR>81. v. G.Solari, La formazione storica e filosofica dello Stato<BR>moderno,op.ult.cit.,p.15.<BR>38<BR>38<BR>82. v. G.Solari, La formazione storica e filosofica dello Stato<BR>moderno,op.ult.cit.,p.29.<BR>83. v. G.Solari, La formazione storica e filosofica dello Stato<BR>moderno,op.ult.cit.,p.31.<BR>84. v. G.Solari, La formazione storica e filosofica dello Stato<BR>moderno,op.ult.cit.,p.33.<BR>85. v. G.Solari, La formazione storica e filosofica dello Stato<BR>moderno,op.ult.cit.p.34.<BR>86. v. G.Solari, La formazione storica e filosofica dello Stato<BR>moderno,op.ult.cit.,p.41.<BR>87. v. G.Solari, La formazione storica e filosofica dello Stato<BR>moderno,op.ult.cit.,p.42.<BR>88. v. G.W.F.Hegel, Lezioni di filosofia della storia, I,tr.it., rist.dell'<BR>edizione del 1941, a cura di<BR>G.Calogero e C.Fatta, La Nuova Italia, Firenze-Milano,p.104. v. pure<BR>G.Gentile, I fondamenti della<BR>filosofia del diritto, Sansoni, Firenze, 1955, p.111 (" chi rappresenta la<BR>concezione hegeliana dello<BR>Stato come una concezione autoritaria contro la concezione liberale del<BR>giusnaturalismo<BR>individualistico, non si rende conto, o meglio ignora, il rapporto tra la<BR>forma soggettiva e la forma<BR>oggettiva dello spirito in quella Fenomenologia dello Spirito da cui questa<BR>filosofia prende le<BR>mosse. L'autorità è la stessa esistenza della libertà; e la libertà fuori<BR>della legge è una mera<BR>astrattezza") e p.112 ( "la sostanza consapevole di sé, di cui lo spirito,<BR>cioè per l'individuo, attinge<BR>la sua concretezza, è sostanza etica. Per la prima volta essa è intesa come<BR>tale.nella filosofia<BR>hegeliana. Ed è un punto che. si può dire rappresenti la più significativa<BR>conquista di Hegel nella<BR>sua Dottrina dello Stato. Dove l'eticità è il suggello della sostanzialità e<BR>spiritualità dello Stato"). Al<BR>riguardo Ernst Cassirer in "Il mito dello Stato",tr.it. di C.Pellizzi,<BR>premessa di C.W.Hendel,<BR>Longanesi, Milano, 1971, p.445-446, parlando di "sfondo metafisico della<BR>teoria politica di Hegel",<BR>che si riverbera sulla sua "teoria dello Stato", scrive che "la concezione<BR>dello Stato discende da<BR>quella storica. Per Hegel, lo Stato non è soltanto una parte, una provincia<BR>particolare, bensì<BR>l'essenza, il nocciolo stesso della vita storica. E' l'alfa e l'omega. Hegel<BR>nega che si possa parlare di<BR>vita storica fuori dello Stato e prima di esso. Se la realtà dev'essere<BR>definita in termini di storia<BR>piuttosto che in termini di natura,e se lo Stato è un presupposto necessario<BR>della storia, ne segue che<BR>dobbiamo vedere nello Stato le realtà suprema e più perfetta. Nessuna teoria<BR>politica prima di Hegel<BR>39<BR>39<BR>aveva mai presentato questa idea. Per Hegel lo Stato non è solo il<BR>rappresentante, ma l'incarnazione<BR>stessa dello "spirito del mondo"".<BR>89. v. G.W.F.Hegel, Fenomenologia dello Spirito, tr.it., Firenze,<BR>1960,II,p.201.<BR>90.v. L.Duguit, Lecons de droit public général, Paris, Boccard, 1926, 120<BR>sgg. Sul pensiero di O.<BR>Maier, v. Id., Le droit administratif allemand, Paris, 1902, I, p.15.<BR>91. v. G.Sartori, Democrazia degli antichi e dei moderni, op.ult.cit.,p.142.<BR>Il discorso sui termini o<BR>sulle locuzioni eventualmente comprensive del sostantivo "Stato" è piuttosto<BR>articolato. L'Ornaghi ,<BR>voce "Stato, in Digesto IV, disc.pubbl.XVI, Utet ,Torino, 1999, p.26 sgg.,<BR>nella ricerca di una<BR>definizione delle istituzioni politiche sovrane ritiene sia rilevante "il<BR>rapporto tra lo Stato e la<BR>politica.come questione di teoria e di indagine empirica"(p.26) e che "il<BR>ritmo delle trasformazioni<BR>"politico-istituzionali" è spesso.ben più lento di quello dei cambiamenti<BR>economici-sociali" e<BR>parla di "teoria dell'organizzazione e del potere statale". Distingue,<BR>inoltre, due modelli di Stato,<BR>quello "anglo-insulare" e l' "europeo-continentale" (p.29) ritenendo che<BR>debba parlarsi di<BR>"identificazione nazional-territoriale delle esperienze statali"; e si pone<BR>la questione, all'interno di<BR>un "periplo concettuale", del se debba parlarsi di "Stato" o "sistema<BR>politico", perché il "problema<BR>cruciale" è "il rapporto tra Stato e politica", propenso a delimitare<BR>storicamente la nozione di Stato<BR>per "la irriducibilità a ordinamento giuridico dei tipi storici di Stato che<BR>hanno preceduto lo Stato<BR>rappresentativo". Lo stesso autore ritiene, peraltro, che il discorso sia<BR>ancor più frastagliato perché<BR>"le classiche teorie dello Stato sembrano cedere il posto al "vuoto" di una<BR>teoria dello Stato<BR>contemporaneo"(p.27). Parla di "sistema politico" A.Mastropaolo, voce<BR> "Stato", in Il mondo<BR>contemporaneo, X, Firenze, 1981, pp.350-393; di "grande modello" il Perini,<BR>in "Lo Stato: il grande<BR>modello ?, in Enc. Einaudi, XV, Torino, 1982, pp.993-1033. v. pure sul tema<BR>M.S.Giannini,<BR>Precisazioni sulla nozione di "Stato", in Ornaghi, Vitale (a cura di),<BR>Multiformità ed unità della<BR>politica. Atti del convegno tenuto in occasione del 70° compleanno di<BR>G.Miglio, 24-26 ottobre<BR>1988, Milano,1992; P.G. Grasso, L'insegnamento di Emilio Bussi sull'<BR>"evoluzione storica dei tipi<BR>di Stato" e gli studi di diritto pubblico contemporaneo, introduzione ad<BR>E.Bussi, Evoluzione storica<BR>40<BR>40<BR>dei tipi di Stato (1954), op.cit., p.V sgg; P.P.Portinaro, La teoria<BR>contemporanea e il problema dello<BR>Stato, in A.Panebianco ( a cura di), L'analisi della politica. Tradizioni di<BR>ricerca, modelli, teorie,<BR>Bologna, 1988, pp.319-335.<BR>92. v. Raggi, La parola e la cosa di un concetto, Camerino, 1908. E sull'<BR>argomento, con particolare<BR>attenzione alla metamorfosi suaccennata dello Stato di diritto monoclasse,<BR>suonano come<BR>significative le parole di Santi Romano, espresse in "Lo Stato moderno e la<BR>sua crisi"( Discorso<BR>inaugurale dell'anno accademico 1909-1910 nella Regia Università di Pisa, in<BR>Rivista di diritto<BR>pubblico, Milano,1910,p.87 sgg., ora in Id., Lo Stato moderno e la sua<BR>crisi. Saggi di diritto<BR>costituzionale, Giuffrè, Milano, 1969, pp.5-26): "la crisi.dello Stato<BR>attuale si può ritenere che sia<BR>caratterizzata dalla convergenza di questi due fenomeni, l'uno dei quali<BR>aggrava necessariamente<BR>l'altro: il progressivo organizzarsi sulla base di particolari interessi<BR>della società che va sempre più<BR>perdendo il suo carattere atomistico, e la deficienza dei mezzi giuridici e<BR>istituzionali, che la società<BR>medesima possiede per fare rispecchiare e valere la sua struttura in seno a<BR>quella dello Stato" (p.23).<BR>Si deve per precisione ricordare che la più compiuta teorizzazione della<BR>distinzione tra "Stato<BR>monoclasse" e "Stato pluriclasse" si deve a M.S.Giannini, Il pubblico<BR>potere, Il Mulino,1978; Id.,<BR>Stato sociale: una nozione inutile, Il Politico, 1977,p.205 sgg.<BR>93. v. O.Ranelletti, Diritto amministrativo, Napoli, 1912, I, p.143. Sulla<BR>nozione di "Stato di diritto"<BR>v. inoltre il recente saggio di L.Ferrajoli, Lo Stato di diritto fra passato<BR>futuro, in Lo Stato di diritto.<BR>Storia, teoria, critica, a cura di P.Costa e L.Ferrajoli, Feltrinelli,<BR>milano,2002,pp.349-386 e D.Zolo,<BR>Teoria e critica dello Stato di diritto, ivi, pp.17-8 Il Ferrajoli parla di<BR>"due significati diversi" dell'<BR>"espressione Stato di diritto", inteso "in senso debole o formale" come<BR>"qualunque ordinamento nel<BR>quale i pubblici poteri sono conferiti dalla legge ed esercitati nelle forme<BR>e con le procedure da<BR>questa stabilite", "corrispondente all'uso tedesco di "Rechtsstaat""; ed in<BR>senso "forte o<BR>sostanziale"come "ordinamenti nei quali i pubblici poteri sono altresì<BR>soggetti alla ( e perciò limitati<BR>o vincolati dalla ) legge, non solo quanto alle forme ma anche quanto ai<BR>contenuti del loro esercizio.<BR>In questo significato più ristretto, corrispondente a quello prevalente nell<BR>'uso italiano, sono Stati di<BR>41<BR>41<BR>diritto quegli ordinamenti in cui tutti i poteri, incluso quello<BR>legislativo, sono vincolati al rispetto di<BR>principi sostanziali, stabiliti di solito da norme costituzionali, quali la<BR>divisione dei poteri e i diritti<BR>fondamentali"(p.349). v. anche al riguardo G.Perticone, Il diritto e lo<BR>Stato nel pensiero italiano<BR>contemporaneo, Cedam, Padova,1964, p.45 (ove si legge che "quell'aspetto<BR>caratteristico che il<BR>pensiero filosofico-giuridico assume come dottrina dello Stato, ne<BR>rispecchia le posizioni<BR>fondamentali ed opera come elemento chiarificatore, in quanto ne rivela<BR>senza equivoco la portata<BR>pratica" per cui "lo Stato come organismo etico o come sistema economico o<BR>come persona<BR>giuridica sovrana sono i punti di raccolta delle diverse correnti di<BR>pensiero che partono dalla<BR>concezione del diritto come norma obbiettiva e come volontà attuale del<BR>soggetto organizzato<BR>politicamente").<BR>94. v. G.Jellinek, Dottrina generale dello Stato, op.ult.cit.,p.534.<BR>95. v. G.Jellinek, Dottrina generale dello Stato, op.ult.cit.,p.94sgg. e<BR>107sgg. v. pure V.E.Orlando,<BR>Trattato di diritto amministrativo italiano, I, Introduzione, Milano, 1905,<BR>p.5.<BR>96. v. C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, I, op.ult.cit., p.141.<BR>97. v. C.Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico, Utet, Torino, 1985, p.61.<BR>98. v. C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, op.ult, cit., p.137.<BR>99. v. H. Kelsen Forme di governo e concezioni del mondo, in Il primato del<BR>parlamento, tr.it. a<BR>cura di C. Geraci con prefazione di P.Petta, Giuffrè, Milano, 1982, p.39-40.<BR>Scrive infatti l'insigne<BR>autore che "mentre sul futuro dominava l'idea di Stato democratico" che<BR>"conquistava tutti coloro<BR>che credevano nel progresso, che volevano un maggiore sviluppo sociale. Per<BR>quest'idea lottava<BR>soprattutto la giovane, emergente borghesia.", ".sul buio orizzonte del<BR>nostro tempo sale un<BR>nuovo astro, al quale tanto più si rivolgono fiduciose le speranze non solo<BR>della borghesia ma anche<BR>di una parte delle masse proletarie quanto più insanguinata è la luce che<BR>esso proietta: la dittatura..";<BR>"non si tratta di difendere o di avversare l'uno o l'altro di questi due<BR>tipi fondamentali di<BR>organizzazione statale, anzi sociale, ma di comprenderli entrambi, di<BR>penetrarne l'essenza, coglierne<BR>le radici.". Con riferimento al suaccennato problema della natura degli<BR>Stati totalitari ed in<BR>42<BR>42<BR>particolare di quello nazista, si rinvia a E.Fraenkel, Il doppio Stato.<BR>Contributo alla teoria della<BR>dittatura (1974), tr.it., con prefazione di N.Bobbio, Einaudi, Torino, 1983,<BR>p. 21sgg. e 98sgg. Parla<BR>sul tema di "dittature capitaliste", entro la sua "teoria generale della<BR>dittatura", M.Duverger in "I<BR>sistemi politici" (1955), tr. it., Laterza, Bari, 1978, p. 414sgg., 426-427<BR>(con specifica attenzione al<BR>ruolo del partito unico nella dittatura nazista).<BR>100. v. G. Jellinek, Sistema dei diritti pubblici soggettivi, prefazione<BR>alla prima edizione tedesca del<BR>1892, in Ia ed. italiana con prefazione di V.E. Orlando, Milano, 1912, XXI.<BR>43<BR>43<BR>
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LA FILOSOFIA - ANTICA GRECIA

RICERCHE - LA NASCITA DELLA FILOSOFIA IN GRECIA

La filosofia nasce in Grecia, e non in altre civiltà (Egitto, Mesopotamia,
Persia). Tale tesi non è del tutto scontata. Come sostiene G. Reale, alcuni
antichi, anzitutto, attribuivano la nascita della filosofia ad altre fonti:
all'Egitto, secondo alcuni sacerdoti Egiziani dell'epoca tolemaica, o alla
Bibbia (soprattutto al Pentateuco), secondo ebrei alessandrini, o anche
certi greci, come Numenio di Apamea, che definì Platone un "Mosè
atticizzato". La verità è che solo in epoca tarda la filosofia greca si
volge alle saggezze orientali, di cui nessuno parla nell'epoca classica
delle grandi sintesi. Anche dei moderni, in secondo luogo, hanno preteso di
trovare una derivazione della filosofia greca da sapienze orientali. Ma i
popoli orientali non possedevano sapere filosofico, e anche se l'avessero
posseduto (secondo il Reale) non lo avrebbero potuto trasmettere per
difficoltà linguistiche (di traduzione dei termini specifici). Senza contare
che non esistono reali affinità tra il pensiero filosofico greco e le
saggezze orientali.

In particolare caratteristica comune alle saggezze di Egiziani, Caldei e
altre civiltà orientali è l'indirizzo pratico-utilitario, mentre solo in
Grecia si sviluppa un sapere puramente speculativo. Così le matematiche
vennero coltivate (in Egitto) per le loro implicazioni operative (ad esempio
in campo idraulico) e l'astronomia (presso i Caldei) venne studiata per
finalità pratiche (astrologia come previsione del futuro).

 Se anche qualcosa venne ricevuto dai Greci da civiltà orientali, esso venne
rielaborato "qualitativamente" (Reale).
la libertà e la criticità come condizioni della filosofia

Prometeo punito: il desiderio
di superare il limite ...
anche contro il divino.

È tesi diffusa che tale origine si spieghi con le particolari condizioni che
il mondo greco offriva:

1) In ambito politico: la libertà.

2) In ambito culturale: un senso critico più sviluppato che presso altre
culture, e la volontà di capire, spiegare la realtà in termini razionali.

Lo stesso mito greco, e la religione greca, non contengono quegli elementi
mostruosi e irrazionali che si trovano presso altri popoli. In particolare i
greci avevano, ancor prima della nascita della filosofia, un vivo senso che
la realtà obbedisce a delle leggi razionali, ossia è retta dalla giustizia.
Gli Dei greci sono concepiti antropomorficamente: l'uomo non ha al di sopra
di sè un Divino che pensi e agisca in modo totalmente incomprensibile. Così
anche il poema omerico, la "Bibbia dei Greci", evidenzia una stima per la
razionalità, per la sua affermazione della vittoria della misura razionale
(emblematizzata da Ulisse) su ogni fattore mostruoso-irrazionale (come il
Ciclope, le Sirene, la maga Circe).

Si possono inoltre vedere sotto altri testi che illustra tale convinzione.
la filosofia come condizione della libertà e della capacità critica

È forse ancora più giusto vedere nella filosofia non solo il frutto della
libertà politica, fenomeno specificamente greco, ma almeno altrettanto una
condizione propizia allo sviluppo di quella.

Si potrebbe dire che dove c'è applicazione spregiudicata della ragione, lì
sono le condizioni della democrazia, e del rispetto della dignità umana. La
grecità non vede una fioritura totale e inappuntabile della razionalità
filosofica, a cui si sarebbe meglio approssimata la filosofia medioevale; ma
rappresenta comunque un importante passo avanti, senza paragoni con le
vicine civiltà.
per un giudizio
per un giudizio

In generale la filosofia greca è un importante momento del pensiero umano,
non privo peraltro di limiti e di ambiguità.
Occorre perciò evitare  tanto una sua demonizzazione, di matrice fideistica,
come fatto a suo tempo da Tertulliano e da settori marginali della cultura
medioevale: la filosofia greca ha fornito preziosi strumenti concettuali,
che sarebbe stupido respingere in blocco, ed ha riconosciuto che la realtà è
un dato oggettivo (che va perciò anzitutto contemplato), (relativamente)
armonico e intelligibile
quanto una sua acritica recezione, tanto più se ne facesse un assoluto: i
greci hanno intravvisto importanti aspetti della verità totale, ma non hanno
avuto la piena Luce sul senso della realtà, che solo nell'evento di Gesù
Cristo è stato rivelato. La Novità di questo evento deve essere ben chiara.

Ad esempio l'Odissea può essere vista per certi aspetti come un simbolo
positivo, che prefigura verità poi rivelate dal Cristianesimo (così molti
Padri della Chiesa intendevano vari episodi, in senso simbolico, come quello
delle suadenti sirene, figura delle tentazioni diaboliche, a cui si può
resistere legati all'albero, che è l'albero della Croce, o mettendosi, come
i compagni di Ulisse, nelle orecchie i tappi di cera delle parole della
Scrittura); per altri aspetti però essa è indibbiamente lo specchio di una
mentalità pagana, in cui ambiguamente convivono il valore della fedeltà e
quello della dispersiva evasione, e in cui da un lato il nuovo che viene
trovato non può essere ricondotto a una unità di senso e dall'altro il
termine ultimo è il ritorno a un (assolutamente) già noto (Itaca, una
condizione semmai peggiore di come era stata lasciata).

Il mondo classico può dunque essere visto come una attesa, come una domanda
(ad esempio di significato della sofferenza, specie nei grandi Tragici) e
come parziale e ambigua (mescolata a molti errori) risposta. Utile come
strumento, da vagliare criticamente. Cfr. la breve storia della filosofia in
sintesi, qui proposta.

Il dio appunto che, come dice il discorso antico, tiene il principio e la
fine e il mezzo di tutte le cose che sono, raggiunge diritto il suo scopo
attraversando secondo natura ogni cosa, e a lui sempre viene dietro Dike,
punitrice di coloro che si allontanano dalla legge divina...
(PLATONE, Leggi 715e-716a)

... stimando massimamente Eunomia, amante delle cose giuste, la quale
preserva tutte le città e i paesi. E a favore dell'inesorabile e veneranda
Dike - che al dire di Orfeo, il fondatore per noi delle più sacre
iniziazioni, sta seduta accanto al trono di Zeus e contempla tutte le cose
degli uomini - chiunque sia abituato alla fiducia in se stesso deve
decretare così, astenendosi e guardandosi dal disonorarla.
(PSEUDO DEMOSTENE, Contro Aristogitone I, II)

E c'è Giustizia, Vergine, nata da Zeus,
e nobile e veneranda per gli dèi
   che hanno l'Olimpo;
e quando qualcuno l'offende e, iniquamente, la disprezza,
allora sedendo presso Zeus padre, figlio di Crono,
a lui racconta gli ingiusti pensieri degli uomini:
che paghi il popolo le scelleratezze dei re
i quali, nutrendo propositi tristi,
le loro sentenze stravolgono iniquamente parlando.

A questo pensate, o re, raddrizzate le vostre parole,
voi mangiatori di doni, e le vostre inique sentenze scordate;
a se stesso prepara mali l'uomo che mali per altri prepara
 e un cattivo pensiero pessimo è per chi l'ha pensato;
lo sguardo di Zeus tutto vede e tutto notando
anche questo, se vuole, scorge, né gli fallisce
qual è questa giustizia che la città racchiude dentro di sé
[..]
Tale è la legge che agli uomini impose il figlio di Crono:
ai pesci e alle fiere e agli uccelli alati
di mangiarsi fra loro, perché fra loro giustizia non c'è,.
ma agli uomini diede giustizia che è molto migliore;
se infatti qualcuno è disposto a dare giuste sentenze
cosciente, a lui dà benessere Zeus onniveggente;
ma chi sia testimone, e deliberatamente, commette spergiuro
e mente e Giustizia offendendo pecca senza rimedio,
oscura dopo di lui la sua stirpe sarà;
migliore invece sarà la stirpe dell'uomo che il giuramento rispetta.
(ESIODO, Opere e giorni, 256-269, 276-28)




si fanno ricchi dietro all'ingiustizia
senza riguardo ai beni sacri o pubblici,
chi di qua chi di là saccheggiano, rapinano,
spregiando i fondamenti di Giustizia.
Ella non parla: conscia del presente e del passato,
arriva sempre, vindice, col tempo.
 (SOLONE, D3)

Ogni virtù nella giustizia si compendia.
 (Focilide, D10)

Scegli piuttosto un'esistenza pia con pochi mezzi
che la ricchezza frutto d'ingiustizia.
ella giustizia tutti i privilegi assommano,
e il giusto è sempre un ottimate, Cirno.
[ ]
C'è una cosa, che inganna gli uomini:
i beati puniscono la colpa variamente.
Se c'è chi paga di persona il debito,
e non lascia in sospeso sui figli la rovina,
c'è chi sfugge alle grinfie di giustizia:
acerba morte gli cala sulle palpebre, lo stronca.
(TEOGNIDE 1, 145-148, 203-208)

La Giustizia come legge dell'universo

Principio degli esseri è l'infinito... da dove infatti gli esseri hanno
l'origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi
pagano l'uno all'altro la pena e l'espiazione dell'ingiustizia secondo
l'ordine del tempo.
(ANASSIMANDRO)
La Giustizia come armonia della vita

Ora ecco il pavimento è terso e le mani di tutti e i calici. C'è chi ci
circonda il capo di ritorte ghirlande, e c'è chi porge in una tazza
l'essenza profumata. Il cratere è lì, ripieno di allegria, e c'è pronto
altro vino nei vasi, che dice che mai verrà meno, dolce come il miele,
odorante di fiori; nel mezzo l'incenso emana il suo sacro effluvio; c'è
acqua fresca e dolce e limpida; qui accanto sono i biondi pani e la tavola
sontuosa oppressa dal peso del cacio e del biondo miele; nel mezzo l'altare
è tutto quanto coperto di fiori e tutta la casa risuona del canto e del
tripudio. Bisogna anzi tutto, da uomini dabbene, levare canti di lode a dio
con racconti pii e con parole pure. Ma una volta che si è libato e implorato
di poter operare secondo giustizia (perché questa è invero la prima cosa),
non è eccesso peccaminoso bere fino a tanto che chi non è troppo vecchio
possa giungere a casa senza la guida del servo. È da lodare quell'uomo che,
dopo aver bevuto, rivela cose belle, così come la memoria e l'as pirazione
alla virtù glielo suggeriscono. Non narrare le lotte dei Titani o dei
Giganti o, ancora, dei Centauri, parti della fantasia dei primitivi, oppure
le violente lotte di partito, che son cose che non hanno pregio di sorta, ma
bensì rispettare e onorare gli dèi, questo è bene. (... ) Perché vale più la
nostra saggezza che non ha la forza fisica degli uomini e dei cavalli. Ben
irragionevole è questa valutazione, e non è giusto apprezzare più la forza
che non la benefica saggezza. Difatti, che ci sia tra il popolo un abile
pugilatore o uno valente nel pentatlon o nella lotta o nella velocità delle
gambe - che è la più celebrata manifestazione di forza tra quante prove gli
uomini compiono negli agoni -, non per questo ne è avvantaggiato il buon
ordine della città. Una gioia ben piccola le verrebbe dal fatto che uno
vince una gara sulle rive del Pisa. non è questo infatti che impingua le
casse della città.
(SENOFANE, D21 Bl, B2)

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