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UMANESIMO E RINASCIMENTO

STORIA MODERNA: UMANESIMO E RINASCIMENTO
 
Umanesimo e Rinascimento, Stampa e Medicina
 

UMANESIMO E RINASCIMENTO INQUADRAMENTO STORICO DEL RINASCIMENTO Sul piano storico la fine dell'Umanesimo può essere datata al 1494, cioè al momento in cui il re di Francia, Carlo VIII, scende in Italia per far valere i suoi diritti di successione sul regno di Napoli, ove ai francesi-Angioini (chiamati dalla chiesa alla fine del XIII sec. in funzione anti-normanna) erano subentrati con la forza, nel 1442, gli Aragonesi di Spagna. Carlo VIII fu chiamato dal duca di Milano Ludovica Sforza (detto il Moro), che aveva usurpato il potere della città al nipote Gian Galeazzo Sforza. Il quale, essendo sposato con Isabella d'Aragona, nipote di Ferdinando I, re di Napoli, pensava, con l'aiuto di quest'ultimo, di poter cacciare l'usurpatore Lodovico. Tuttavia, non solo Milano aveva interesse a che Carlo VIII scendesse in Italia. Venezia sperava che con la distruzione del regno di Napoli finisse la concorrenza dei porti pugliesi nel mar Ionio e Mediterraneo; a Firenze le correnti politiche guidate dal frate domenicano Savonarola, speravano di abbattere la signorìa (o monarchia) dei Medici e di ripristinare la repubblica; nel Napoletano non pochi baroni e sudditi erano contrari al regime aragonese. Scendendo in Italia, Carlo VIII garantì a Ludovico il Moro il ducato di Milano; a Firenze aiutò a cacciare i Medici; col Papato trovò un accordo; a Napoli aiutò a cacciare gli Aragonesi. Senonché, appena egli si insediò nell'Italia meridionale, si formò una coalizione anti-francese, composta da Milano, Venezia e Roma, che con l'aiuto della Spagna e dell'Impero asburgico di Massimiliano I (che univa Austria, Ungheria, Boemia, Belgio, Olanda e che con la sua politica matrimoniale riuscirà in seguito a unire strettamente le Case d'Austria e di Spagna), cacciò i francesi dall'Italia. E così gli Aragonesi poterono riprendersi il trono di Napoli, ma il successore di Carlo VIII, Luigi XII, s'impadronisce con la forza del ducato di Milano, costringendo gli Aragonesi a non intervenire. In quel difficile periodo avvennero molte altre guerre in Italia. Cesare Borgia, figlio del papa Alessandro VI, combattè le piccole signorìe anti-papali della Romagna e delle Marche, impadronendosi dei loro territori e cercando di estenderli verso Bologna e la Toscana, ma il tentativo fallì. Venezia approfittò della situazione occupando alcuni territori della Romagna. Il Papato rispose dichiarando guerra a Venezia con l'aiuto di Francia, Spagna, Ducati di Ferrara e Mantova. Venezia fu costretta a ritirarsi. Poi il Papato organizza una Lega Santa contro i francesi di Milano, vedendo che questi avevano intenzione di estendere i loro territori verso le Romagne. La Lega riuscì ad assegnare Milano agli Sforza e Firenze (che nella guerra aveva parteggiato per i francesi) ai Medici. Ma la Francia non si rassegnò alla perdita della Lombardia e con Francesco I la riconquista. La guerra tra Francia e Spagna riprende quando il nuovo re di Spagna, Carlo I d'Asburgo, in virtù di una precedente politica matrimoniale, riceve in eredità, oltre ai possessi spagnoli in Italia: regno di Napoli, Sardegna e Sicilia, nonché alcuni possessi spagnoli in America, anche tutti i territori della corona imperiale (Austria, Boemia, Ungheria, Paesi Bassi). Egli assunse il titolo di Imperatore e il nome di Carlo V. La Francia si oppose a questa eredità e rivendicò la propria candidatura al trono dell'Impero (in linea di diritto, infatti, la corona era elettiva, anche se per consuetudine veniva trasmessa secondo i legami di parentela). Non avendo ottenuto nulla e temendo l'accerchiamento, la Francia scatena contro la Spagna 4 guerre, che si concludono con la pace di Cateau-Cambrésis (1559), che per quasi un secolo segnerà le linee fondamentali dell'assetto europeo. Con questa pace: 1. la Francia ottiene la rottura dell'accerchiamento, in quanto, Carlo V, alla sua morte, divide il proprio impero nei due rami di Austria e di Spagna; 2. la Francia però deve rinunciare a ogni pretesa su Milano e Napoli (che restano in mano spagnola) e deve restituire il Piemonte ai duchi di Savoia, anche se ottiene il riconoscimento della sua espansione verso il Reno; 3. il grande disegno di Carlo V, di restaurare l'unità politico-universale e religiosa (cattolica) dell'Europa contro i protestanti e i musulmani, fallisce completamente (francesi e turchi si erano alleati, i turchi arriveranno quasi fino a Vienna, inoltre con la pace di Augusta del 1555 si concede ai principi e re di decidere se la religione dei loro Stati sarà cattolica o protestante, mentre i sudditi dovranno rassegnarsi a seguire la religione dei rispettivi sovrani: cuius regio eius religio). Nella Germania del nord, nei Paesi Scandinavi, in Inghilterra, nei Paesi Bassi si affermano le confessioni protestanti. 4. Inghilterra, Olanda e Francia si affermano come moderne monarchie centralizzate, legate, sul piano economico, allo sviluppo della borghesia. LE SIGNORIE Il tramonto della potenza imperiale che fece seguito alla morte di Federico II, diede vigore alle tendenze espansionistiche delle più potenti città-stato, che si avviavano a estendere il loro potere su interi territori regionali. Tale processo si accompagnò col generale declino della forma di governo repubblicano-comunale, cui si sostituì il dominio personale di un signore e della sua famiglia. Questa trasformazione istituzionale fu resa inevitabile dal fatto che l'alta borghesia, pervenuta al governo delle città, non era stata capace di garantire né la giustizia sociale (poche famiglie borghesi si spartivano l'autorità, le proprietà e i profitti)), né la stabilità politica (per i contrasti tra popolo "grasso" e "minuto" e per le rivalità all'interno dello stesso ceto borghese), né la pace civile (per le rivalità intercomunali). In modo particolare il popolo minuto e gli abitanti del contado erano stati troppo a lungo sacrificati agli interessi delle città. Condizioni determinanti che avviarono in Italia un rapido e definitivo tramonto dell'istituzione comunale, furono: 1) espansione progressiva delle più potenti città dell'Italia centro-nord, che miravano a estendere la loro sovranità su centri economici concorrenti e su importanti vie di comunicazione (ad es. Milano allarga i propri territori fino a Como, Venezia sino a Ferrara, Pisa sino ad Amalfi, ecc.); 2) tendenza delle borghesie cittadine a delegare l'esercizio del potere a un "podestà", ritenendo così di tutelare più efficacemente la propria egemonia economica e politica; 3) consenso accordato dai ceti popolari urbani e rurali ad un esponente politico (o militare) ritenuto capace di governare in modo imparziale (ad es. il capitano del popolo). La figura del podestà appare nella prima metà del XIII sec. E' un magistrato unico, del ceto aristocratico, non coinvolto nelle lotte tra le fazioni cittadine perché forestiero, nominato a tempo determinato (da 6 mesi a 2 anni), è vincolato al parere e al voto degli altri organi comunali, però detiene i poteri giudiziari ed esecutivi. Al podestà i ceti subalterni oppongono la figura del capitano del popolo, anch'esso temporaneo, dotato di una propria milizia. Li misure antiaristocratiche del popolo minuto generalmente fallirono, poiché esso non giunse mai a governare. Il passaggio dal podestà al signore avviene nella seconda metà del XIII sec., allorché la borghesia più forte decide di delegare poteri sempre più ampi al podestà o all'esponente più autorevole di una famiglia prestigiosa. Il governo personale di un signore venne assestandosi entro ordinamenti statali unitari e accentrati (le signorie), esprimendo così, su base regionale, la generale tendenza dell'epoca (europea) verso la formazione di Stati monarchici e assoluti (come in Spagna, Portogallo, Francia e Inghilterra). Questo processo di unificazione politico-amministrativa finirà con l'ottenere il riconoscimento dell'imperatore o del papa (nelle terre pontificie o feudi papali), i quali, elevando il signore al rango di "principe", cioè conferendogli il "vicariato", per cui il signore veniva a rappresentare nella città l'autorità dell'imperatore o del papa, ne riconosceranno ereditaria la dignità, sottraendola, di diritto, ad ogni forma d'investitura e di controllo popolare. Questo determinerà la trasformazione della Signoria in Principato. (Tra le famiglie da ricordare: Visconti a Milano, Scaligeri a Verona, Medici a Firenze, Estensi a Ferrara, Da Polenta a Ravenna, Malatesta a Rimini e Cesena). La crisi del '300. Questa trasformazione si verifica anche nel corso del XV sec. Tuttavia, già verso la metà del sec. XIV la crisi economica era netta, a causa di: 1) carestie provocate dalle distruzioni di raccolti in conseguenza soprattutto della guerra dei Cento anni (tra Francia e Inghilterra), che devasterà gran parte della Francia. Correlata a questa guerra vi è il fallimento dei maggiori mercanti-banchieri d'Italia (Firenze) che non riuscirono a farsi restituire dalla corona inglese i propri crediti. 2) Terribile ondata della peste nel 1348-56, portata in Europa dai mercanti italiani che commerciavano con il lontano oriente. Essa sterminerà circa 30 milioni di persone: 1/3 della popolazione europea. Assumerà dopo il '56 ritmi decennali per scomparire come malattia endemica nel sec. XVIII. 3) Carestie causate sia dall'esaurimento della fertilità del suolo, sia da una repentina variazione climatica, con inverni glaciali ed estati aride. 4) Concentrazione della ricchezza nelle mani delle classi più agiate. Peggioramento in campagna dello sfruttamento dei contadini ad opera dei grandi proprietari. L'aristocrazia trasforma le colture in allevamenti e pascoli, impone maggiori tasse, ripristina con la forza il servaggio, espelle i contadini affidando molte terre ad affittuari... A ciò vanno aggiunti i bassi salari, il rialzo dei prezzi alimentari e del costo degli affitti urbani (la domanda era molto più alta dell'offerta). Alla crisi del '300 i contadini reagiranno con molte e sanguinose rivolte, soprattutto in Francia, Inghilterra e Fiandre. In Italia la maggiore è quella dei Ciompi a Firenze (operai tessili). Le rivolte saranno tutte represse con i nuovi eserciti di professione (le Compagnie di Ventura). Le compagnie di ventura erano formazioni di mercenari specializzati nel garantire l'ordine pubblico, tenuti in costante addestramento, al servizio di un condottiero (in genere piccolo nobile caduto in rovina). Queste compagnie costituivano soprattutto un'alternativa all'esercito comunale: le oligarchie infatti temevano di affidare ai cittadini delle armi che potevano essere utilizzate, eventualmente, per rovesciare il governo in carica. I mercenari venivano reclutati tra le popolazioni contadine più povere, che vedevano nel saccheggio e nel terrore il modo più facile per arricchirsi. In pratica nel '400 si viene affermando una classe sociale borghese poco numerosa, estremamente privilegiata, assai prudente nelle speculazioni (pensa soprattutto agli investimenti immobiliari: palazzi urbani e ville extraurbane, o all'usura, e tralascia gli investimenti produttivi), è disponibile al compromesso con l'aristocrazia feudale... Questa classe borghese è in sostanza quella che meglio si adegua alla realtà del Principato. In Italia i centri economici principali diventano Firenze, Genova, Milano e Venezia, con un'attività commerciale ridotta a causa del protezionismo degli Stati europei, che intendevano favorire le proprie borghesie nazionali: di qui l'acuirsi delle rivalità regionali tra le varie signorie e principati, e l'esigenza di sfruttare di più il mercato interno. I complessi finanziari delle monarchie nazionali francesi e inglesi e degli Asburgo nel centro-Europa, saranno in forte concorrenza con le banche italiane. In sintesi: il Principato è la creazione di una formazione politica intercittadina, che tende a configurarsi come uno Stato regionale, emarginando la comunità cittadina (fondamento della democrazia comunale) da tutte le funzioni di governo. Il principe unifica nella sua persona le signorie di più città. Agli organi elettivi si sostituisce una burocrazia di emanazione del principe. Guerre, paci e conquiste divengono fatti personali del principe e dell'oligarchia che lo appoggia. Il principe governa come un sovrano assoluto, dispone di soldati mercenari e forma alla propria Corte un corpo di diplomatici assai competenti. La lotta politica degrada a intrighi di palazzo, restando chiusa nei confini dell'oligarchia dominante. UMANESIMO IN ITALIA L'Umanesimo è un movimento culturale che si afferma in Italia nel 1400, cioè in un periodo storico in cui: tutti i tentativi di creare uno Stato unitario (almeno nell'Italia centro-settentrionale) erano falliti; cinque Stati regionali avevano imposto a tutta la penisola una politica di equilibrio e di spartizione delle zone d'influenza (Milano, Venezia, Firenze, Roma e Napoli); l'Umanesimo nasce per primo in Italia perché qui, prima o più che altrove, esistevano le condizioni favorevoli alla nascita dei rapporti economici capitalistici. Nei secoli XIV e XV l'Italia era uno dei paesi più progrediti del mondo. Già nel XIII sec. le città italiane avevano difeso vittoriosamente, nella lotta contro l'impero tedesco, la propria indipendenza. Verso la metà del XIII sec. in molte città-stato repubblicane era avvenuta l'emancipazione dei contadini dalla servitù della gleba, anche se a ciò non corrispondeva quasi mai un'equa distribuzione della terra. La libertà conquistata dai contadini era più che altro "giuridica", il che non poteva impedire loro di trasformarsi in operai salariati nelle fabbriche di panno (opifici) o in braccianti, sfruttati da artigiani arricchiti, i quali consegnavano loro la materia prima o semilavorata ricevendo in cambio il prodotto finito; dai maestri delle corporazioni, che spesso li costringevano a restare garzoni e apprendisti per sempre; da mercanti-imprenditori, che li utilizzavano nelle loro manifatture solo per produrre merci d'esportazione, offrendo loro salari molto bassi, orari molto pesanti, mansioni parcellizzate, pochissimi diritti e stretta sorveglianza sul luogo di lavoro; da altri ricchi contadini neo-proprietari o persino dagli stessi feudatari di prima che ora li sfruttano con altri metodi (ad es. la rendita in denaro). La più famosa rivolta dei contadini italiani fu quella guidata da Fra Dolcino, agli inizi del '300. Si può anzi dire che la repressione di tutti i movimenti ribellistici di quell'epoca (cardatori della lana, lanaioli, ecc.: vedi ad es. il tumulto dei Ciompi a Firenze), contribuì anch'essa all'istituzione di signorie e principati, cioè di governi centralizzati e autoritari. L'avvento delle Signorie, iniziato nel Trecento, aveva determinato l'estendersi territoriale dei confini dei Comuni più grandi, ma anche la fine dell'autonomia di molti altri Comuni e soprattutto la sostituzione del principio politico della repubblica con quello della monarchia. Tuttavia le Signorie sono state anche una risposta (seppure autoritaria) alle continue lotte intercomunali e intracomunali. La formazione delle Signorie contribuisce allo sviluppo dell'Umanesimo, perché: 1) organismi territoriali molto estesi, dotati di un complesso apparato burocratico-amministrativo e diplomatico, di corti culturali e politiche, portavano ad aumentare la richiesta di personale qualificato; personale che le Università tradizionali, ancorate ai programmi e alla didattica dell'enciclopedismo scolastico-aristotelico, non potevano fornire; di qui la nascita di nuove scuole (private) e accademie presso le corti; 2) oltre a ciò va considerato il fatto che il processo di formazione dei Comuni (iniziato sin dal mille e protrattosi fino all'avvento delle Signorie) aveva sì favorito l'autonomia economica e sociale dei ceti borghesi e commerciali, ma non era ancora riuscito a darsi una giustificazione teorica, di tipo etico-politico, filosofico-morale. E' appunto dal mondo antico che l'Italia umanistica delle Signorie trarrà gli spunti e gli esempi più significativi di virtù civili, di gloria militare, di eroismo personale, di autocontrollo delle passioni, di raffinato gusto estetico, che le serviranno per legittimare la propria diversità dal Medioevo (dall'"età di mezzo" -come veniva chiamato, in quanto, secondo gli umanisti, li divideva dall'epoca classica). Probabilmente i risultati più significativi e duraturi l'Italia li ottenne non sul terreno economico e politico, ma su quello culturale, con la nascita dell'Umanesimo prima e delle arti rinascimentali dopo. CARATTERISTICHE DELLA CULTURA UMANISTICA Riscoperta del mondo classico greco-latino (si studiano le lingue classiche, si ricercano antichi testi da interpretare in maniera filologica, erudita, razionale e critica: ad es. i testi degli antichi vengono analizzati attraverso il confronto fra i vari codici). La preoccupazione è quella di ristabilire l'esatto testo degli autori antichi, non più accettati nella lezione tradizionale medievale. Umanista non è solo -come nel Medioevo- lo studioso di retorica e di grammatica, ma un soggetto di "nuova umanità", cioè non solo nel senso che studia poesia, retorica, etica e politica (humanae litterae), senza più fare riferimento alla teologia scolastica, ma anche nel senso che lo studioso non è soggetto a una tradizionale autorità, essendo capace di autonomia critica e di senso storico, dovuto alla sua altissima cultura. L'umanista imita, stilisticamente, Cicerone nella prosa, Virgilio nell'epica, Orazio nella lirica: cerca addirittura di riproporre i loro problemi e di imitarli nelle loro virtù morali e politiche, nel loro razionalismo e naturalismo. Il Medioevo invece si era più che altro preoccupato di "ribattezzarli" secondo le esigenze della religione cristiana. Chi sono dunque gli umanisti? Sono intellettuali al servizio di una corte signorile, sono ricercatori eruditi e collezionisti di codici antichi, studiati in maniera filologica, al fine di stabilirne l'autenticità, la provenienza, la storicità (ad es. Lorenzo Valla dimostrò che la Donazione di Costantino è un falso medievale dell'VIII sec. elaborato per giustificare le pretese temporali del papato). Alcuni metodi di critica testuale o filologica sono validi ancora oggi: ad es. il carattere disinteressato della ricerca, per "amore" della verità. Grazie a loro nascono le prime biblioteche (quella Malatestiana a Cesena è del 1447-52) e nuove figure professionali: mercante di codici, libraio, tipografo... L'Umanesimo, riscoprendo il valore dell'autonomia creativa dell'uomo, superando i concetti tradizionali di autorità, rivelazione, dogma, ascetismo, teologia sistematica, tradizione con l'esigenza prioritaria di una riflessione personale, critica, Rompendo in sostanza l'unità enciclopedica medievale, inizia il processo di autonomia delle singole discipline, permettendo all'uomo di conoscere e dominare le leggi della natura e della storia. La riscoperta dell'autonomia della natura, con le sue leggi specifiche, porta allo sviluppo delle scienze esatte e applicate. Leonardo da Vinci traduce in scienza applicata le sue intuizioni nel campo dell'ottica, della meccanica, della fisica in generale. Architetti e ingegneri passano dalla progettazione di singoli edifici a quella di intere città. Geografi e cartografi saranno di grandissimo aiuto ai navigatori e agli esploratori dei nuovi mondi (vedi ad es. l'uso della bussola e delle carte geografiche). Grande sviluppo ebbero la medicina, la botanica, l'astronomia, la matematica, le costruzioni navali... La borghesia aveva bisogno dello sviluppo delle scienze basate sull'esperienza e sul calcolo, indispensabili alla produzione e al commercio dei beni di consumo. LE CONTRADDIZIONI DELL'UMANESIMO Esso afferma la dignità e l'autonomia dell'uomo nel momento in cui diventa cortigiano al servizio delle Signorie, per le quali la cultura è un elegante forma di pubblicità o un mezzo di evasione. Spesso infatti gli umanisti si consideravano una casta intellettuale al disopra del popolo. L'Umanesimo in sostanza esalta lo spirito critico mentre si estingue la dinamica politica del Comune, soffocata dalla dittatura delle Signorie. Esso acquisisce il senso della storia quando l'Italia viene tagliata fuori dal grande processo di formazione degli Stati nazionali. Paradossalmente, l'umanesimo, senza saperlo, prende a modello il mondo classico mentre la società borghese del '400 si stava avviando alla decadenza. Esso afferma degli ideali di rinnovamento socio-culturale, ma l'intellettuale resta isolato dalla società: ama la solitudine, rivaluta la tranquillità della campagna, usa il latino quando scrive, rinunciando al volgare (che tutti possono capire), tende all'idillio in letteratura, esaltando il valore della bellezza e dell'armonia formale. Non dimentichiamo che l'umanista è anche colui che giustifica l'idea secondo cui il successo rende leciti i mezzi con cui lo si consegue. Essendo fondamentalmente individualista, l'umanista considerava la soddisfazione delle esigenze dell'individuo un fine in se stesso. Sotto questo aspetto, le personalità che più si dovevano stimare -secondo l'umanista- erano quelle "emergenti" per ricchezza, cultura e potere. Gli umanisti non furono contrari al cristianesimo ma alla scolastica medievale: furono anzi i primi a evidenziare una notevole autonomia di giudizio, eppure non ebbero mai la forza di creare un movimento di riforma religiosa analogo a quello protestante. Perché queste contraddizioni? Perché pur esistendo in Italia, a quel tempo, l'esigenza di superare la tradizione medievale e il particolarismo locale, non si aveva la sufficiente forza per realizzare questa esigenza di unificazione nazionale. Il termine "umanesimo" viene da "studia humanitatis" ed è sorto in contrapposizione agli studi teologici, della Scolastica, e all'esperienza cristiana medievale. Gli umanisti hanno voluto far credere che lo sviluppo autonomo della personalità umana sia iniziato solo a partire dalla sconfitta dell'idea di teocrazia, al punto che si è considerato tutto l'arco del Medioevo come una sorta di esperienza e di pensiero oscurantista. E gli storici, i critici letterari, artistici, ancora oggi, credono vera l'interpretazione che gli umanisti hanno dato della loro svolta storica. In realtà è assurdo sostenere che nel Medioevo non vi fu sviluppo della personalità. Il fatto di essere legati alla produzione agricola, alla terra, alle tradizioni rurali, alla filosofia del buon senso e del senso comune, a una concezione religiosa della vita, non significa che si fosse in presenza di una civiltà arretrata, sottosviluppata ecc. Il fatto che gli intellettuali di estrazione borghese ad un certo punto abbiano cominciato a parlare di "umanesimo", in contrapposizione all'ecclesiologia, non significa affatto che tale "umanesimo" fosse davvero "umano", cioè "democratico", "egualitario", "pluralista". Umanesimo e Rinascimento furono modi di vivere e di pensare di una determinata classe: quella borghese, soprattutto quella intellettuale. La stragrande maggioranza della popolazione rimase rurale e cristiana, benché in forme e modi sempre più distanti da quelli dell'ufficialità della chiesa romana. Gli intellettuali borghesi (in Italia prima che altrove) furono sì "umanisti", ma non "popolari", furono sì "laici" ma non "democratici". Questi intellettuali, in Italia, non seppero mai convogliare le loro idee verso quel movimento popolare di contestazione religiosa che in Europa settentrionale prenderà il nome di Riforma protestante. Non seppero mai porre le basi per uno sviluppo "democratico popolare" della "democrazia borghese". Come d'altra parte non vi riuscì la stessa Riforma, il cui risvolto più conseguente: la Guerra dei contadini, venne tragicamente represso dalle forze più retrive del tardo feudalesimo con l'avallo degli stessi riformisti. Gli intellettuali borghesi italiani fecero una rivoluzione più teorica che pratica, se si esclude ovviamente quella artistica e letteraria, che fu pur sempre una innovativa "pratica estetica e stilistica". La chiesa romana, infatti, con la Controriforma, seppe metterli a tacere prima ancora che scoppiasse la Riforma. Quello che Marx disse degli idealisti tedeschi, che fecero una rivoluzione del pensiero mentre i francesi fecero una rivoluzione politica vera e propria, noi dobbiamo dirlo dei nostri intellettuali nel confronto coi teologi protestanti. E non a caso detta chiesa scelse, come principale aiuto secolare, le dinastie aragonese e borbone, cioè quanto di più arretrato vi fosse nell'Europa post-feudale. Con questo naturalmente non si vuole sostenere che non si fosse in presenza di una profonda crisi del clericalismo e dell'idea di teocrazia, o che tale utopia antistorica non dovesse essere superata ecc. Si vuole semplicemente dire che l'alternativa attuata dagli umanisti (e dai rinascimentali) non va considerata come l'unica possibile (non a caso altrove, in Europa, furono fatte la Riforma e la Guerra dei contadini), l'unica che ci abbia permesso di allargare i confini della democrazia fino a quelli attuali. In realtà non è ancora nata una vera alternativa laico-democratica all'esperienza religiosa medievale. Da circa mezzo millennio noi, in Europa occidentale, stiamo sperimentando semplicemente un'alternativa di tipo "borghese". L'unica vera alternativa può essere soltanto quella del socialismo democratico. UMANESIMO L'Umanesimo è un movimento culturale che si afferma in Italia nel 1400, cioè in un periodo storico in cui tutti i tentativi di creare uno Stato unitario (almeno nell'Italia centro-settentrionale) erano falliti; cinque Stati regionali avevano imposto a tutta la penisola una politica di equilibrio e di spartizione delle zone d'influenza (Milano, Venezia, Firenze, Roma e Napoli). L'Umanesimo nasce per primo in Italia perché qui, prima o più che altrove, esistevano le condizioni favorevoli alla nascita dei rapporti economici capitalistici. Nei secoli XIV e XV l'Italia era uno dei paesi più progrediti del mondo. Già nel XIII sec. le città italiane avevano difeso vittoriosamente, nella lotta contro l'impero tedesco, la propria indipendenza. Verso la metà del XIII sec. in molte città-stato repubblicane era avvenuta l'emancipazione dei contadini dalla servitù della gleba, anche se a ciò non corrispondeva quasi mai un'equa distribuzione della terra. La libertà conquistata dai contadini era più che altro "giuridica", il che non poteva impedire loro di trasformarsi in operai salariati nelle fabbriche di panno (opifici) o in braccianti, sfruttati da artigiani arricchiti, i quali consegnavano loro la materia prima o semilavorata ricevendo in cambio il prodotto finito; dai maestri delle corporazioni, che spesso li costringevano a restare garzoni e apprendisti per sempre; da mercanti-imprenditori, che li utilizzavano nelle loro manifatture solo per produrre merci d'esportazione, offrendo loro salari molto bassi, orari molto pesanti, mansioni parcellizzate, pochissimi diritti e stretta sorveglianza sul luogo di lavoro; da altri ricchi contadini neo-proprietari o persino dagli stessi feudatari di prima che ora li sfruttano con altri metodi (ad es. la rendita in denaro). La più famosa rivolta dei contadini italiani fu quella guidata da Fra Dolcino, agli inizi del '300. Si può anzi dire che la repressione di tutti i movimenti ribellistici di quell'epoca (cardatori della lana, lanaioli, ecc.: vedi ad es. il tumulto dei Ciompi a Firenze), contribuì anch'essa all'istituzione di signorie e principati, cioè di governi centralizzati e autoritari. L'avvento delle Signorie, iniziato nel Trecento, aveva determinato l'estendersi territoriale dei confini dei Comuni più grandi, ma anche la fine dell'autonomia di molti altri Comuni e soprattutto la sostituzione del principio politico della repubblica con quello della monarchia. Tuttavia le Signorie sono state anche una risposta (seppure autoritaria) alle continue lotte intercomunali e intracomunali. La formazione delle Signorie contribuisce allo sviluppo dell'Umanesimo, perché: organismi territoriali molto estesi, dotati di un complesso apparato burocratico-amministrativo e diplomatico, di corti culturali e politiche, portavano ad aumentare la richiesta di personale qualificato; personale che le Università tradizionali, ancorate ai programmi e alla didattica dell'enciclopedismo scolastico-aristotelico, non potevano fornire; di qui la nascita di nuove scuole (private) e accademie presso le corti; oltre a ciò va considerato il fatto che il processo di formazione dei Comuni (iniziato sin dal mille e protrattosi fino all'avvento delle Signorie) aveva sì favorito l'autonomia economica e sociale dei ceti borghesi e commerciali, ma non era ancora riuscito a darsi una giustificazione teorica, di tipo etico-politico, filosofico-morale. E' appunto dal mondo antico che l'Italia umanistica delle Signorie trarrà gli spunti e gli esempi più significativi di virtù civili, di gloria militare, di eroismo personale, di autocontrollo delle passioni, di raffinato gusto estetico, che le serviranno per legittimare la propria diversità dal Medioevo (dall'"età di mezzo" -come veniva chiamato, in quanto, secondo gli umanisti, li divideva dall'epoca classica). Probabilmente i risultati più significativi e duraturi l'Italia li ottenne non sul terreno economico e politico, ma su quello culturale, con la nascita dell'Umanesimo prima e delle arti rinascimentali dopo. CARATTERISTICHE DELLA CULTURA UMANISTICA Riscoperta del mondo classico greco-latino (si studiano le lingue classiche, si ricercano antichi testi da interpretare in maniera filologica, erudita, razionale e critica: ad es. i testi degli antichi vengono analizzati attraverso il confronto fra i vari codici). La preoccupazione è quella di ristabilire l'esatto testo degli autori antichi, non più accettati nella lezione tradizionale medievale. Umanista non è solo -come nel Medioevo- lo studioso di retorica e di grammatica, ma un soggetto di "nuova umanità", cioè non solo nel senso che studia poesia, retorica, etica e politica (humanae litterae), senza più fare riferimento alla teologia scolastica, ma anche nel senso che lo studioso non è soggetto a una tradizionale autorità, essendo capace di autonomia critica e di senso storico, dovuto alla sua altissima cultura. L'umanista imita, stilisticamente, Cicerone nella prosa, Virgilio nell'epica, Orazio nella lirica: cerca addirittura di riproporre i loro problemi e di imitarli nelle loro virtù morali e politiche, nel loro razionalismo e naturalismo. Il Medioevo invece si era più che altro preoccupato di "ribattezzarli" secondo le esigenze della religione cristiana. Chi sono dunque gli umanisti? Sono intellettuali al servizio di una corte signorile, sono ricercatori eruditi e collezionisti di codici antichi, studiati in maniera filologica, al fine di stabilirne l'autenticità, la provenienza, la storicità (ad es. Lorenzo Valla dimostrò che la Donazione di Costantino è un falso medievale dell'VIII sec. elaborato per giustificare le pretese temporali del papato). Alcuni metodi di critica testuale o filologica sono validi ancora oggi: ad es. il carattere disinteressato della ricerca, per "amore" della verità. Grazie a loro nascono le prime biblioteche (quella Malatestiana a Cesena è del 1447-52) e nuove figure professionali: mercante di codici, libraio, tipografo... L'Umanesimo, riscoprendo il valore dell'autonomia creativa dell'uomo, superando i concetti tradizionali di autorità, rivelazione, dogma, ascetismo, teologia sistematica, tradizione con l'esigenza prioritaria di una riflessione personale, critica, Rompendo in sostanza l'unità enciclopedica medievale, inizia il processo di autonomia delle singole discipline, permettendo all'uomo di conoscere e dominare le leggi della natura e della storia. La riscoperta dell'autonomia della natura, con le sue leggi specifiche, porta allo sviluppo delle scienze esatte e applicate. Leonardo da Vinci traduce in scienza applicata le sue intuizioni nel campo dell'ottica, della meccanica, della fisica in generale. Architetti e ingegneri passano dalla progettazione di singoli edifici a quella di intere città. Geografi e cartografi saranno di grandissimo aiuto ai navigatori e agli esploratori dei nuovi mondi (vedi ad es. l'uso della bussola e delle carte geografiche). Grande sviluppo ebbero la medicina, la botanica, l'astronomia, la matematica, le costruzioni navali... La borghesia aveva bisogno dello sviluppo delle scienze basate sull'esperienza e sul calcolo, indispensabili alla produzione e al commercio dei beni di consumo. LE CONTRADDIZIONI DELL'UMANESIMO L'Umanesimo: afferma la dignità e l'autonomia dell'uomo nel momento in cui diventa cortigiano al servizio delle Signorie, per le quali la cultura è un elegante forma di pubblicità o un mezzo di evasione. Spesso infatti gli umanisti si consideravano una casta intellettuale al disopra del popolo. L'Umanesimo in sostanza esalta lo spirito critico mentre si estingue la dinamica politica del Comune, soffocata dalla dittatura delle Signorie. acquisisce il senso della storia quando l'Italia viene tagliata fuori dal grande processo di formazione degli Stati nazionali. Paradossalmente, l'umanesimo, senza saperlo, prende a modello il mondo classico mentre la società borghese del '400 si stava avviando alla decadenza. afferma degli ideali di rinnovamento socio-culturale, ma l'intellettuale resta isolato dalla società: ama la solitudine, rivaluta la tranquillità della campagna, usa il latino quando scrive, rinunciando al volgare (che tutti possono capire), tende all'idillio in letteratura, esaltando il valore della bellezza e dell'armonia formale. Non dimentichiamo che l'umanista è anche colui che giustifica l'idea secondo cui il successo rende leciti i mezzi con cui lo si consegue. Essendo fondamentalmente individualista, l'umanista considerava la soddisfazione delle esigenze dell'individuo un fine in se stesso. Sotto questo aspetto, le personalità che più si dovevano stimare -secondo l'umanista- erano quelle "emergenti" per ricchezza, cultura e potere. Gli umanisti non furono contrari al cristianesimo ma alla scolastica medievale: furono anzi i primi a evidenziare una notevole autonomia di giudizio, eppure non ebbero mai la forza di creare un movimento di riforma religiosa analogo a quello protestante. Perché queste contraddizioni? Perché pur esistendo in Italia, a quel tempo, l'esigenza di superare la tradizione medievale e il particolarismo locale, non si aveva la sufficiente forza per realizzare questa esigenza di unificazione nazionale. RINASCIMENTO ITALIANO L'Umanesimo prosegue nel 1500 e viene chiamato dagli storici della letteratura Rinascimento. Perché? Perché la riscoperta della classicità greco-latina assume ora forme assolutamente originali, assai più perfezionate di quelle umanistiche. Tuttavia questo sviluppo impetuoso delle arti rinascimentali avviene soprattutto nella prima parte del secolo. L'Italia infatti, a partire dalla seconda metà, entrerà in una crisi economica, sociale e politica così profonda che si protrarrà sino al momento dell'unificazione nazionale. I progressi culturali Diventa sempre più chiara la consapevolezza che la cultura classica (greco-latina) è stata manipolata o travisata durante il Medioevo. Si è convinti che la cultura classica sia più vicina alle esigenze umanistiche, a condizione naturalmente di riattualizzarla e non di riprodurla meccanicamente: in questo senso più che di "rinascita" della cultura classica si deve parlare di "nascita di una cultura nuova". La formazione e lo sviluppo di questa "cultura nuova" dipende strettamente dalla maturazione dello "spirito borghese", cioè di quel modo di vivere e di pensare improntato a esigenze di chiarezza, razionalità, concretezza, efficienza, laicità, naturalismo, ecc. La cultura tradizionale delle Università appare del tutto inadeguata: soprattutto perché non sa superare il grande divario tra il "sapere" ufficiale e la nuova "realtà". Di qui la creazione di organismi autonomi: le Accademie, ove gli autori più letti sono Aristotele e soprattutto Platone. L'intellettuale di questo periodo tende a porsi come operatore autonomo, contrario ai condizionamenti imposti dalle vecchie istituzioni, preoccupato di organizzare la vita civile della propria città o signoria o principato su basi culturali originali. Egli mira a sostituirsi al "chierico". All'estero (soprattutto in Francia, Germania e Olanda), la vita intellettuale di tutti i principali centri di studio europei gravita ancora intorno al sistema culturale-religioso medievale. La cultura laica quindi tarda ad affermarsi. Ma questo ritardo, rispetto all'Italia, è vissuto all'estero in maniera costruttiva, nel senso che gli intellettuali, sulla base di esigenze sociali di rinnovamento, cercano di riformare, cioè di esaminare criticamente, taluni aspetti della religione cattolica, realizzando così un rapporto molto stretto con le masse cattoliche. Nell'Umanesimo transalpino si riscoprono i testi patristici e la stessa Bibbia. Questa coesione sociale e culturale di intellettuali e popolo porterà, da un lato, alla Riforma protestante e, dall'altro, alla formazione delle monarchie nazionali. Viceversa, in Italia gli intellettuali, pur essendo culturalmente più avanzati, non hanno un rapporto organico con le masse cattoliche né lo cercano, e persino tra di loro restano separati, come sono separate le varie Signorie cui fanno riferimento. Ecco perché da noi la Controriforma avrà facilmente successo, determinando quel processo involutivo della cultura che si trascinerà sino all'unificazione. La riscoperta filosofica di Platone e Aristotele porta a questi risultati: a) valorizzazione degli strumenti conoscitivi dell'uomo, applicati allo studio della natura e della stessa realtà umana (quindi sviluppo delle scienze matematiche, fisiche, astronomiche, ecc., secondo il metodo induttivo-sperimentale: dal particolare al generale, cioè le teorie vanno dedotte dai fatti concreti e non viceversa); b) sviluppo delle arti meccaniche, cioè della tecnica e della tecnologia (vedi ad es. Leonardo da Vinci): nascono nuove macchine, nuovi strumenti di lavoro, nuovi procedimenti... sulla base delle nuove esigenze della borghesia. Le contraddizioni principali Gli intellettuali avevano una formazione culturale cosmopolita, avevano esigenze di tipo universale, però erano costretti a muoversi nella ristretta cerchia della corte signorile. Aspiravano a una civiltà universale, ma vivevano ancora in strutture corporative, tipiche di un'Italia divisa in Stati poco comunicanti fra loro. Gli intellettuali esaltavano la dignità civile e politica dell'uomo, ma solo sul piano teorico-culturale; di fatto restavano estranei all'impegno politico-civile vero e proprio. Oppure si limitavano a tutelare gli interessi delle corti che li pagavano. L'Italia divisa in stati diventa terra di conquista di Francia e Spagna. In seguito la lotta fra queste due nazioni si sposta dall'Italia a tutta l'Europa, includendo persino l'impero turco-ottomano. L'Italia nella storia d'Europa diventa una provincia sempre meno significativa. La Riforma protestante in Italia: viene soffocata sul nascere dalla Controriforma (Concilio di Trento, Inquisizione, Indice dei libri proibiti, Gesuiti). Nell'Europa settentrionale la Riforma contribuisce all'emancipazione della classe borghese dalla nobiltà e dal clero (in Germania vi partecipano in massa anche i contadini). Non solo, ma con la Riforma gli Stati nazionali si rafforzano, potendo incamerarsi i beni ecclesiastici del clero (specie quello regolare). Il potere politico-economico del clero diminuisce notevolmente. fu poco avvertita dagli intellettuali anche perché la problematica teologica interessava relativamente. Gli umanisti e i rinascimentali credevano in un Dio razionale, poco vincolato ai riti della Chiesa o all'intolleranza dei fanatici. Questa indifferenza impedì agli intellettuali di cogliere le istanze socio-politiche sottese alla Riforma. La Controriforma cattolica La causa scatenante della Controriforma è stata la Riforma protestante scoppiata dapprima in Germania e poi in tutta l'Europa settentrionale. Il successo della Controriforma in Italia è dipeso dalle contraddizioni del Rinascimento. Suo strumento principale è stato il Concilio di Trento (1545-63), in seguito anche il Tribunale dell'Inquisizione, l'Indice dei libri proibiti, i roghi per gli eretici (Savonarola, Giordano Bruno, ecc)... In Italia la Controriforma si pone come il tentativo di fendere, con una politica intransigente, l'ordine e l'autorità ch'erano stati messi in discussione dall'Umanesimo e dal Rinascimento. Il baricentro della vita italiana si sposta da Firenze a Roma. UMANESIMO - RINASCIMENTO L'Umanesimo e il Rinascimento nacquero per primi in Italia perché qui, prima o più che altrove, si ebbero le condizioni favorevoli alla nascita dei rapporti capitalistici. Nei secoli XIV e XV l'Italia era uno dei paesi più progrediti d'Europa. Nel XIII sec. le città italiane avevano difeso vittoriosamente, nella lotta contro l'impero tedesco, la propria indipendenza (che divenne oltremodo sicura dopo la caduta della dinastia degli Hohenstaufen). Il problema stava semmai nel fatto che il territorio del paese non era ancora unito economicamente e politicamente. Già verso la metà del XIII sec. ebbe inizio in molte città-stato repubblicane la liberazione dei contadini dalla servitù della gleba. A ciò naturalmente non corrispondeva mai un'equa distribuzione della terra ai contadini liberati: la libertà concessa era solo giuridica, non economica. Con la sola libertà "formale" essi non potevano fare altro che trasformarsi in operai salariati o in braccianti, sfruttati da artigiani arricchiti, dai maestri delle corporazioni, da mercanti-imprenditori o da altri ricchi contadini neo-proprietari o dagli stessi feudatari di prima, ma con altri metodi (ad es. la mezzadria, la rendita in denaro, ecc.). Ecco perché la produzione capitalistica si sviluppò precocemente in Italia. I servi della gleba si emanciparono ancor prima di essersi assicurati un qualsiasi diritto sulla terra. Naturalmente non mancarono proteste e rivolte contadine, aventi per tema la distribuzione equa delle proprietà. La più famosa delle quali fu quella di Fra Dolcino, agli inizi del '300, considerata una delle più grandi insurrezioni contadine dell'Europa occidentale di quel periodo. Queste rivolte furono sempre duramente represse: esse tuttavia contribuirono alla transizione dal feudalesimo al capitalismo. Nel XIV sec. avvennero grandi trasformazioni nella produzione artigianale controllata dalle corporazioni. Si costatò che l'ostinazione nel mantenere la piccola produzione, i metodi e gli utensili tradizionali e la tendenza a frenare l'ulteriore progresso tecnico (che diventava fonte di concorrenza tra i singoli artigiani della medesima specializzazione), avevano trasformato le corporazioni in un ostacolo al progresso della tecnica e all'ulteriore sviluppo della produzione. Accadde allora che singoli artigiani, per soddisfare le aumentate esigenze del mercato interno e soprattutto estero, cominciassero ad allargare la loro produzione aldilà delle rigide barriere corporative. Quelli che possedevano le botteghe più grandi commissionavano il lavoro ai piccoli artigiani, consegnando loro la materia prima o semilavorata e ricevendo il prodotto finito. In tal modo aumentava la ricchezza degli artigiani più abbienti e lo sfruttamento di quelli piccoli, ivi inclusi gli apprendisti e i garzoni. Anzi, col tempo, la qualifica di "maestro" divenne accessibile solo agli apprendisti e ai garzoni che erano imparentati colla famiglia dell'imprenditore. Gli altri garzoni e apprendisti si trasformarono in operai salariati a vita. I contadini senza terra, i garzoni e gli apprendisti, i braccianti, i piccoli artigiani costituivano la grande maggioranza dello strato inferiore degli abitanti delle città. I piccoli artigiani, in particolare, venivano sfruttati anche dal capitale commerciale di quei mercanti che fornivano materia prima, impegnando gli artigiani a rivendere loro i prodotti finiti, rendendoseli così economicamente dipendenti. Questo processo servì da punto di partenza per la manifattura capitalistica. Nelle fabbriche di panno (opifici) cominciarono a lavorare contadini senza specializzazione e artigiani caduti in rovina. Ogni operaio doveva svolgere una sola operazione. Tale divisione del lavoro era ignota all'artigiano della corporazione e anche al contadino (che nel periodo invernale, peraltro, svolgeva anche mansioni da artigiano). Anche nei cantieri navali di Venezia e Genova si affermò il principio della divisione del lavoro. In seguito, nei settori della metallurgia, nell'estrazione dei metalli, ecc. Sorsero poi unioni d'imprenditori che si occupavano contemporaneamente del commercio, dell'industria e dell'attività bancaria, e che smerciavano la produzione soprattutto nei mercati esteri (cioè nei paesi dell'Europa occidentale, del Mediterraneo orientale e dell'Asia). La domanda estera contribuì, a sua volta, a sviluppare la manifattura: il lavoro cioè in un unico luogo di un gran numero di operai sotto la direzione di un capitalista. Le prime manifatture dell'Europa tardo-feudale sorsero nelle città italiane più sviluppate e in alcuni centri del commercio d'esportazione di altri Paesi (come ad es. le città delle Fiandre, dell'Olanda, ecc.). Lo sfruttamento degli operai era notevole: la giornata lavorativa, in media, era di 14-16 ore, sotto lo stretto controllo dei sorveglianti, con salari molto bassi, coi quali spesso l'operaio doveva pagare delle multe anche per le più piccole infrazioni. La prima rivolta degli operai salariati avvenne a Firenze nel 1343: fu quella dei cardatori di lana. Poi ci fu quella dei lanaioli a Perugia nel 1371. A Siena di nuovo i cardatori e infine il grande tumulto dei Ciompi a Firenze nel 1378. Queste ed altre rivolte non ebbero effetti politici significativi, in quanto nelle città vennero conservati gli ordinamenti precedenti e i padroni mantennero il possesso dei laboratori, delle botteghe, degli opifici, mentre gli insorti, male organizzati e troppo spontaneistici, venivano generalmente travolti dalle forze militari dei poteri costituiti. I quali, anzi, proprio per questa ragione, divennero sempre più autoritari (vedi ad es. l'istituzione di signorie e principati). E tuttavia, se i tumulti popolari non riuscirono a trasformare il capitalismo manifatturiero italiano in un sistema produttivo più equo e democratico, il frazionamento politico-economico del territorio (nel quale esso si era pur formato) ne impedì l'ulteriore sviluppo, determinandone infine la decadenza. Le città italiane, isolate fra loro economicamente, commerciavano merci di produzione propria, che finivano principalmente sui mercati esteri. Per la conquista di questi mercati le città erano sempre in concorrenza fra loro: di qui le interminabili guerre, che portavano sempre all'indebolimento delle reciproche parti. Alla fine del '400 la situazione in pratica era la seguente: a Milano i duchi della famiglia Sforza; a Venezia l'oligarchia commerciale; a Firenze i Medici; nell'Italia centrale lo Stato della chiesa e a sud il Regno di Napoli, governato dalla dinastia spagnola degli Aragona. Lo Stato della chiesa e il Meridione erano praticamente sottosviluppati: il papato, oltre ad ostacolare fortemente l'unificazione della penisola, spesso chiamava in Italia i conquistatori stranieri allo scopo di consolidare il proprio prestigio (famosa fu la rivolta a Roma di Cola di Rienzo nel 1347). La mancanza di un unico mercato nazionale fu il motivo principale della decadenza economica dell'Italia (si pensi ad es. alla presenza delle barriere doganali, ai dazi elevati, al protezionismo reciproco degli Stati: fattori questi che facevano enormemente lievitare i prezzi delle merci). Peraltro, all'interno di ogni Stato solo la città principale poteva estendere la propria industria. L'assenza del mercato nazionale aveva prodotto notevoli contraddizioni nella gestione dell'economia: nelle manifatture si impiegavano ancora metodi di costrizione diretta insopportabili; la borghesia restava legata ai signori feudali, per cui nella campagna la manifattura si estese pochissimo (i latifondisti non avevano gli stessi interessi della borghesia e si accontentavano del rapporto di mezzadria, i cui pesi anzi venivano sempre più accentuati e scaricati sulle spalle dei contadini); l'export si riferiva soprattutto al tessile; le corporazioni continuavano ad esistere... Fu sufficiente la scoperta dell'America, che spostò il traffico commerciale sulle coste dell'Atlantico, a far perdere all'Italia la sua importanza nel commercio mondiale e a farla ritornare al sistema feudale, rendendola di nuovo appetibile per le nazioni straniere (specie Francia e Spagna). Quando Inghilterra, Francia e altri paesi nord-europei svilupparono una loro manifattura, i prodotti tessili delle città industriali italiane non furono più concorrenziali, sia in quantità che in qualità. Successivamente altre industrie furono rovinate dalla concorrenza straniera: cantieristica, bellica, cotonifici, ecc. In sostanza solo i prodotti di lusso continuavano ad essere richiesti (seta, oreficeria, vetro veneziano, oggetti d'arte), il cui consumo ovviamente riguardava l'élite. Il Mediterraneo perse d'importanza per le città italiane anche a causa dell'occupazione di Costantinopoli nel 1453, data a partire dalla quale i nostri mercanti, per riavere i diritti commerciali di un tempo, dovevano pagare forti tasse. L'unica via di transito per l'oriente era quella egiziana, ma qui erano i sultani arabi a detenere il monopolio del commercio. A causa della decadenza economica, mercanti ed imprenditori cominciarono ad abbandonare l'attività commerciale e industriale, ricercando altri settori nei quali investire con profitto i propri capitali. Fu così che si svilupparono le operazioni finanziarie e usuraie (con prestiti ai proprietari terrieri, ad es.), ma anche l'acquisto di terre insieme ai titoli nobiliari da parte della borghesia cittadina. Imprenditori, mercanti e banchieri si trasformavano in proprietari terrieri che concedevano piccoli appezzamenti di terra in affitto a contadini a condizioni semi-feudali. La rendita feudale divenne la fonte principale dei loro redditi. Nell'Italia settentrionale, man mano che si chiudevano gli opifici, una gran quantità di operai era costretta a lasciare la città e a ritornare in campagna: di qui il grande sviluppo dell'orticoltura. Il tipo dominante di affitto era la mezzadria: in base a un contratto il mezzadro doveva assumersi tutte le spese dell'azienda, apportare i miglioramenti necessari e introdurre nuove colture. Naturalmente il proprietario poteva sempre interferire, però s'impegnava a fornire sementi, bestiame, strumenti agricoli o il denaro per comprarli. Il mezzadro doveva dare metà del raccolto al proprietario e pagare le imposte allo Stato. Purtroppo, i mezzadri, dovendo sopportare le guerre di conquista franco-spagnole e vessati da interessi usurai, divennero ben presto, pur essendo formalmente liberi, schiavi del loro padrone, per cui la fuga dalla terra veniva sempre punita col carcere. Col tempo ovviamente il padrone pretenderà, oltre alla metà del raccolto, anche altre corvées. In una situazione ancora peggiore si trovavano gli operai salariati agricoli, completamente privi di qualunque proprietà. Il frazionamento politico rese l'Italia facile preda degli Stati vicini, Francia e Spagna, che avevano già ultimato la loro unificazione alla fine del '400 mediante forti monarchie centralizzate. Il primo a scendere fu Carlo VIII chiamato da Ludovico il Moro di Milano per combattere Ferdinando I, re spagnolo a Napoli. Carlo VIII s'insediò nel napoletano coll'intenzione di restarvi, ma Milano, Venezia, il papato, il re di Spagna e l'imperatore d'Austria riusciranno a cacciare i francesi. La guerra naturalmente continuò ancora per molti anni: sino alla pace di Cateau-Cambresis (1559), che sancì definitivamente l'egemonia spagnola in Europa e in Italia. La Francia dovette rinunciare a ogni pretesa sull'Italia. Durante queste guerre, l'Italia cattolica si vide impegnata anche nella Controriforma con il Concilio di Trento (1545-63): si ripristinò il Tribunale dell'inquisizione e si istituì l'Indice dei libri proibiti. Contro gli avidi feudatari di Spagna e Francia, e contro le bande di mercenari che con i loro saccheggi devastavano il paese, insorsero le masse popolari al centro-nord con idee eretiche e riformatrici (valdesi e anabattisti), al sud, senza idee eretiche ma con uguale volontà di resistenza. Tuttavia la Spagna trionfò su tutti, continuando a rapinare e a tenere in condizione di vassallaggio gran parte dei territori italiani. Nel corso del XVI sec. si cominciò ad avanzare l'idea dell'unificazione del paese (vedi ad es. Machiavelli e Guicciardini): un'idea che avrebbe dovuto essere realizzata ad ogni costo e con qualsiasi mezzo e soprattutto per opera di un principe risoluto e senza scrupoli. Il modello del Machiavelli era il figlio del papa Alessandro VI, Cesare Borgia, duca di Romagna, famoso per i suoi delitti. Quadro culturale Premessa Probabilmente i risultati più significativi e duraturi l'Italia li ottenne non sul terreno economico e politico, ma su quello culturale, con la nascita dell'Umanesimo e delle arti rinascimentali. L'insorgere dei rapporti capitalistici portò infatti alla formazione della scienza sperimentale, alla riscoperta e allo studio dei documenti della cultura antica (in funzione antiscolastica e antimedievale), alla fioritura dell'arte e allo sviluppo di una concezione immanente del mondo che spezzava l'egemonia intellettuale della chiesa. Si ebbero anche la formazione di letterature nelle nuove lingue vive dell'epoca e la comparsa del teatro professionale. Sul piano delle scienze sperimentali si ebbero grandi progressi nelle costruzioni navali, nella scienza della navigazione (impiego della bussola, delle carte geografiche, ecc.). Si sviluppò anche la medicina, la botanica, la matematica, l'astronomia, ecc. La borghesia aveva bisogno dello sviluppo delle scienze basate sull'esperienza, indispensabili alla produzione, allo smercio dei prodotti, all'aumento della produttività del lavoro. Questa nuova concezione del mondo si espresse nel Rinascimento italiano soprattutto nelle opere dei poeti, dei pittori, degli scultori e degli architetti, che erano al servizio dei ricchi cittadini, dei signori feudali di larghe vedute e del papato. Per "nuova concezione del mondo" s'intende quella dei ricchi abitanti di città, trasformatisi col tempo in borghesi. Con la parola "humanista" s'indicava nel XVI sec. il carattere terreno, pratico, immanente della nuova scienza e della nuova letteratura, in antitesi alla teologia e alla scolastica. Il tratto più caratteristico dell'umanesimo era l'individualismo, nel senso che si considerava la soddisfazione delle esigenze dell'individuo un fine in sé. Spesso infatti si giustificava l'idea secondo cui il successo rende leciti i mezzi con cui lo si consegue. Da questo punto di vista le personalità che più si dovevano stimare erano quelle "emergenti" per ricchezza, cultura e potere. Un altro tratto caratteristico era il destarsi negli umanisti di una coscienza nazionale: lo attesta non solo il bisogno di scrivere nelle lingue volgari o popolari, pur essendo essi ottimi conoscitori del latino e del greco classici, ma anche l'ideale di una forte monarchia centralizzata come organizzazione politica della nazione. Uno dei più grandi umanisti del XIV sec., Lorenzo Valla, dimostrò che nella traduzione latina della Bibbia (VULGATA) erano stati commessi numerosi errori e che il documento sul quale i papi fondarono le loro pretese al potere temporale (la cd. Donazione di Costantino) era un falso composto nell'VIII sec.. Questo è un solo esempio, benché notevole, di come gli umanisti cominciassero a togliere alla chiesa il monopolio dell'interpretazione biblica e della tradizione cristiana. Il difetto principale degli umanisti era che si consideravano una casta intellettuale al di sopra del popolo. I movimenti intellettuali Se cominciamo col movimento intellettuale che per molti aspetti è il più caratteristico del Rinascimento, l'umanesimo, ci troviamo di fronte a discussioni e controversie riguardo alla sua durata, al suo significato e al suo valore. Tra gli storici italiani l'umanesimo fu spesso identificato con la cultura del Quattrocento e separato dal Rinascimento vero e proprio che sarebbe il Cinquecento, abitudine che è forse venuta meno negli anni recenti. Nei paesi di lingua inglese la parola humanism che comprende ciò che in italiano viene distinto bene come umanesimo e umanismo, ha portato a una grande confusione poiché il significato vago e moralizzante dell'umanismo contemporaneo viene senz'altro applicato all'umanesimo del Rinascimento e si dimentica che l'umanesimo del Rinascimento insiste sì sui valori umani, ma persegue questi valori attraverso una cultura classica (greco-romana) e umanistica. L'umanesimo del Rinascimento è strettamente collegato con gli studia humanitatis, schema che si distingue nettamente dalle arti liberali del Medioevo e dalle belle arti del tempo moderno e che comprende la grammatica, la retorica, la poesia, la storia e la filosofia morale. Siccome la grammatica si intendeva come lo studio della lingua e letteratura classica greca e latina, e la retorica e la poesia consistevano sia nello studio dei prosatori e poeti classici che nella pratica della composizione in prosa e in versi, ne risulta che gli studia humanitatis di cui gli umanisti furono maestri comprendevano tra l'altro la filologia classica, la letteratura (latina e anche volgare), la storiografia e la filosofia morale, ed escludevano le altre discipline che facevano pure parte dello studio e dell'insegnamento universitario nel Rinascimento come nel tardo Medioevo, cioè le altre discipline filosofiche come la logica, la filosofia naturale e la metafisica, e poi la teologia, la giurisprudenza, la medicina e le matematiche. Quindi l'umanesimo non costituisce l'insieme del sapere o del pensiero del Rinascimento, ma soltanto un settore parziale e ben definito. Tra le discipline filosofiche, soltanto la filosofia morale fa parte degli studia humanitatis mentre le altre ne rimangono fuori. D'altra parte, gli studia humanitatis includono, all'infuori della filosofia morale, parecchi studi che non hanno niente a che fare con la filosofia nel senso stretto della parola: la filologia, la letteratura, la storia. Tra gli umanisti alcuni dettero contributi importanti al pensiero morale, quali il Petrarca, il Salutati, il Bruni, il Valla, l'Alberti e molti altri, ma questi stessi umanisti si occupavano anche di storia, letteratura e filologia, e molti altri umanisti si occupavano di poesia, retorica, filologia o storia senza dare un contributo neanche minimo al pensiero morale o filosofico. Le tematiche Bisogna notare anzitutto i temi di cui gli umanisti si occupano nei loro trattati. Sono in parte gli stessi temi che si trovano nella letteratura filosofica antica e medievale, e specialmente quella popolare: il sommo bene, la virtù e il piacere; il fato, la fortuna e il libero arbitrio; la dignità dell'uomo e la sua miseria; la nobiltà e la ricchezza e i loro rapporti con la virtù. Gli umanisti parlano del rapporto tra intelletto e volontà, e favoriscono spesso la volontà. Parlano dei doveri e dei vantaggi di varie forme di vita, e spesso fanno il paragone tra di esse. Difendono poi l'importanza dei loro studi contro i critici scolastici e teologici, o addirittura attaccano la filosofia scolastica come astrusa e inutile. I temi e gli argomenti sono interessanti, ma non sono profondi o rigorosi secondo i criteri della filosofia antica o moderna o anche medievale. Le conclusioni sono spesso ambigue, e le tesi chiare di un Petrarca, Bruni o Valla non costituiscono un pensiero sistematico o un insieme di dottrine generalmente accettato dagli altri umanisti. Ciò che li unisce non sono determinate dottrine, ma certi atteggiamenti generali: un ideale culturale che si basa sullo studio dei classici latini e greci e che viene messo al centro degli studi e della scuola elementare e secondaria, e la convinzione che l'antichità fu superiore ai tempi più recenti e che bisognava arrivare a una rinascita delle lettere, degli studi e del pensiero. Gli umanisti non furono contrari al cristianesimo, come lo erano alla filosofia e alla teologia scolastica; per loro la rinascita dei classici comportava anche la rinascita dei classici cristiani, cioè della Bibbia e dei Padri della Chiesa. Ma lo studio intenso della letteratura e filosofia antica portava a una secolarizzazione degli studi e della cultura. Abitudini stilistiche e filologiche La quaestio e il commento vengono man mano sostituiti dal trattato e dal dialogo, dal discorso e dall'epistola, e finalmente dal saggio. La prosa elegante ciceroniana o almeno classicheggiante sostituisce il ragionamento dialettico degli scolastici, non solo nella struttura dei periodi ma anche nella terminologia, spesso con una perdita di precisione. La generalizzazione astratta cede all'opinione personale e all'esperienza individuale. Si sente poi nell'uso delle fonti e delle idee la conoscenza più vasta e più profonda dei testi classici latini e specialmente greci. Il poema di Lucrezio, poco copiato o citato nel Medioevo, ebbe una diffusione notevole e rese nota la cosmologia atomistica di Democrito ed Epicuro. Gli scritti filosofici di Cicerone, del resto ben noti nel Medioveo, furono studiati per una conoscenza migliore delle dottrine stoiche, epicuree e accademiche. Vi fu poi una vera ondata di testi filosofici greci che furono studiati nel testo originale e tradotti in latino per la prima volta: molte opere di Platone e Proclo e dei commentatori di Aristotele, l'opera principale di Sesto Empirico, tutte le opere di Teofrasto, Epitteto, Marco Aurelio, Plotino e degli altri neoplatonici, e anche le opere popolari di Isocrate, Plutarco e Luciano, e le vite dei filosofi di Diogene Laerzio che contengono pezzi importanti di Epicuro. Anche gli scritti tradotti e studiati nel Medioevo, come Aristotele, furono ritradotti e studiati nell'originale testo greco e si prestavano quindi a interpretazioni nuove. In questo modo l'intero tesoro della filosofia antica fu reso accessibile al mondo occidentale come non lo era stato fin dall'antichità romana e forse nemmeno allora. Grazie a quest'opera di recupero, vi furono dei tentativi seri di risuscitare in forma autentica o modificata la filosofia stoica, epicurea e scettica, di ridurre a una forma più pura le dottrine aristoteliche e neoplatoniche note anche nel medioevo, e di ragionare di tutti i problemi in una maniera eclettica che utilizzava liberamente tutte le fonti antiche (e pseudo-antiche) disponibili. Vi fu poi uno sviluppo graduale del metodo filologico e della critica testuale che portò i suoi frutti anche filosofici nell'opera di Ermolao Barbaro e del Poliziano. Abbiamo come risultato di questi sviluppi nel Quattrocento e ancor di più nel Cinquecento un fermento e una varietà delle idee scelte e ricombinate da molte fonti, che sciolgono i concetti precisi ma rigidi della tarda scolastica e che, pur non portando immediatamente a una nuova sintesi chiara e ferma, prepara l'ambiente per l'opera più precisa e duratura di Galileo e Cartesio. Infatti troviamo l'influsso dell'umanesimo, anche fuori degli studia humanitatis, in tutti gli strati della cultura del Rinascimento. In tutti questi campi l'umanesimo fornisce il fermento, il metodo, lo stile e le fonti classiche piuttosto che il contenuto e la sostanza la quale viene data in parte dalla tradizione medievale e in parte dalle esperienze e osservazioni nuove come quelle fatte nel Mondo Nuovo. Mentre l'umanesimo italiano, i cui inizi si possono seguire fin dal primo Trecento o perfino dall'ultimo Duecento quando i suoi collegamenti medievali, grammatici e retorici piuttosto che filosofici sono ancora visibili, ebbe la sua piena fioritura nel Quattrocento, non bisogna dimenticare che continuò attivo, specialmente nella retorica, nella poesia latina, nella storiografia e nella filologia classica attraverso tutto il Cinquecento e ancora nel primo Seicento. D'altra parte la cultura umanistica, per quanto di origine italiana, non fu affatto limitata all'Italia. La sua diffusione, specialmente in Francia, Germania e Boemia è stata notata già nel Trecento, e nel Quattrocento cominciò a diffondersi in tutti i paesi europei. Il Cinquecento fu poi il secolo che vide l'opera dei grandi umanisti fuori dell'Italia: Reuchlin e Erasmo, Budé, Vives e Tommaso Moro. Vi sono differenze stilistiche e altre dovute ai vari paesi e ai tempi cambiati, ma troviamo gli stessi tratti fondamentali: la profonda cultura classica (conoscenza del greco e latino clasici, della filosofia, letteratura e patrologia classiche), il senso critico e storico, l'eleganza letteraria, l'eclettismo (nel senso della poliedricità delle fonti attinte), l'interesse per i problemi morali e pedagogici ma anche politici e religiosi, l'avversione nei confronti della Scolastica, l'indifferenza alle tradizioni professionali delle discipline universitarie. Per quanto riguarda i rapporti Umanesimo/religione va affermato qualche volta, che la cultura umanistica non è soppressa dai movimenti religiosi del Cinquecento, e che gli umanisti come gruppo non hanno favorito un solo partito religioso, protestante o cattolico. La cultura umanistica come tale è neutrale di fronte a determinate dottrine teologiche o anche filosofiche, e il singolo umanista può scegliere le sue opinioni secondo le sue convinzioni o inclinazioni. Troviamo studiosi e letterati umanisti e uomini di cultura umanistica tra i cattolici, i protestanti e gli eretici del Cinquecento. Melantone (e forse anche Lutero), Calvino e molti gesuiti furono profondamente imbevuti della cultura umanistica del loro tempo. L'aristotelismo Se l'umanesimo fu forse l'elemento più vivo e nuovo nella cultura intellettuale del Rinascimento, e specialmente nell'Italia del Tre e Quattrocento, e se il suo influsso si fece sentire man mano in tutti i settori culturali del periodo, sarebbe un errore pensare che la vita intellettuale del periodo si potesse ridurre all'umanesimo solo. In realtà vi furono parecchie tradizioni e correnti di origine e interesse diversi le quali si trovavano di fronte all'umanesimo in un rapporto di rivalità o di semplice coesistenza. La cultura umanistica è riuscita a conquistare la scuola media, e a occupare nell'insegnamento universitario le cattedre di grammatica, retorica e poesia, di greco e spesso di filosofia morale. Ma continuava l'insegnamento universitario delle altre discipline che risaliva all'origine dell'università nei secoli XII e XIII, e la tradizione scolastica, cioè universitaria di queste materie, durante il nostro periodo non fu mai interrotta, ma soltanto modificata sotto l'influsso dell'umanesimo. Bisogna ricordarsi di questi fatti piuttosto fondamentali, se vogliamo capire l'importanza e la vitalità dell'aristotelismo che nel pensiero del Rinascimento occupa un posto distinto dall'umanesimo. L'importanza dell'aristotelismo dipende dai nostri criteri. Se mettiamo l'accento sulla tradizione tecnica e professionale, se non universitaria, della filosofia, bisogna dire che nel Rinascimento questa tradizione viene rappresentata dall'aristotelismo, e che il contributo degli umanisti alla filosofia, per quanto interessante e influente, fu un contributo fatto da dilettanti e dall'esterno. Si è però anche notato che gli aristotelici del tardo Medioevo hanno seguito un metodo razionalistico e hanno studiato molti problemi di logica e fisica in modo tale da apparire come predecessori del libero pensiero e della scienza moderna. La vasta letteratura aristotelica prodotta dal secolo XII fino al secolo XVII e oltre ritrova la sua origine nell'insegnamento universitario e scolastico. L'aristotelismo in Italia si distingue fin dagli inizi dall'aristotelismo negli altri paesi. Questa differenza non consiste nella scelta dei testi o nel metodo della loro spiegazione, ma nel rapporto tra la filosofia aristotelica con le altre discipline universitarie, e quindi risale a una differenza strutturale tra le università italiane e la maggior parte delle università fuori dell'Italia. Le università fuori dell'Italia, con l'eccezione di Montpellier, si componevano di quattro facoltà, cioè teologia, giurisprudenza, medicina e filosofia (e arti), dove la teologia predomina e la filosofia serve più cha altro come preparazione alla teologia. Le università italiane (eccetto Salerno), cominciando con Bologna, iniziarono come scuole di diritto romano e canonico alle quali furono aggregati alcuni corsi preparatori di grammatica e retorica. Nel corso del XIII secolo l'insegnamento della medicina fu stabilito a Bologna e altrove, e la medicina, insieme alla filosofia aristotelica, alla grammatica e retorica e alle matematiche venne a costituire una facoltà indipendente dalla facoltà di legge e spesso in rivalità con questa. Le università italiane non ebbero mai una facoltà separata di teologia, e l'insegnamento teologico in Italia fu sempre limitato alle scuole degli ordini religiosi e a pochi corsi piuttosto sporadici dati all'università entro la facoltà di medicina e arti. La conseguenza di questo sviluppo fu il carattere laico dell'aristotelismo italiano, che dal secolo XII fino al secolo XVII fu sempre collegato con lo studio e l'insegnamento della medicina e mai con quello della teologia. L'aristotelismo laico nacque anzitutto a Bologna, poi si sviluppò a Padova, infine in tutte le università italiane, ma l'università di Padova ebbe un ruolo importante nell'epoca in cui si distinse in tutti i campi, cioè nel tardo Quattrocento e nel Cinquecento dopo il 1525. Questa scuola aristotelica, e specialmente quella italiana, fa impressione per la sua vitalità e la varietà dei suoi problemi. Basata solidamente nella sua propria tradizione, non mancava poi di legami esterni, ricevendo e impartendo influssi significativi. Il Pomponazzi, pure essendo commentatore aristotelico, dovette agli umanisti del suo tempo la conoscenza di molti testi classici quale Platone, Plutarco e la sua dottrina filosofica si presenta stoica piuttosto che aristotelica su alcuni punti fondamentali. Il platonismo Il platonismo fiorentino del Quattrocento è stato spesso interpretato come una semplice parte o appendice dell'umanesimo poiché i suoi rappresentanti avevano senz'altro una cultura umanistica, studiavano e traducevano i testi platonici e neoplatonici e cercavano, pure con altri elementi antichi, di risuscitare il platonismo antico come altri umanisti avevano o avrebbero fatto con le dottrine stoiche, scettiche e altre. D'altro canto vi sono sufficienti motivi per considerare questo grande movimento come qualcosa di a sé stante, distinto dall'umanesimo e anche dall'aristotelismo. A differenza dell'umanesimo, il platonismo rinascimentale aveva un profondo interesse per i problemi cosmologici e metafisici che mancava nel pensiero degli umanisti. Per quanto riguarda il suo rapporto con l'aristotelismo, il platonismo del Rinascimento è stato spesso opposto all'aristotelismo scolastico del tardo Medioevo, contrasto che si accentua con riferimento al platonismo antiaristotelico di Gemisto Pletone e dei suoi seguaci bizantini. E' stato altresì mostrato che il platonismo del Ficino come quello del Pico non fu affatto antiaristotelico, ma profondamente penetrato e influenzato dalla filosofia scolastica. Il platonismo del Rinascimento non deriva la sua forza dalla tradizione dell'insegnamento, come l'aristotelismo che dominava l'istruzione filosofica e scientifica nelle università e nei collegi religiosi, o l'umanesimo che dominava la scuola media e le cattedre universitarie degli studia humanitatis. L' Accademia platonica di Firenze sotto il Ficino era senz'altro un centro influente di discussione e diffusione delle dottrine platoniche, ma ebbe un'organizzazione poco stabile e durò appena un trentennio. La forza del platonismo del Rinascimento non deriva dalla scuole. Si deve al fatto che i tre pensatori più importanti del Quattrocento, il Cusano, il Ficino e il Pico furono, se non platonici puri, fortemente imbevuti di Platonismo e che i loro scritti, come quelli di Platone stesso e dei neoplatonici, ebbero nel tardo Quattrocento e nel Cinquecento una vasta diffusione. Ci rimane da fare un breve accenno a quei pensatori del Cinquecento che sono noti per il loro contributo originale, specialmente alla filosofia naturale, per quanto abbiano assorbito più o meno profondamente l'influsso dell'umanesimo, dell'aristotelismo o del platonismo. La cosmologia del Cardano, del Telesio, del Patrizi e del Bruno ha il merito di aver tentato di sostituire la tradizionale cosmologia aristotelica con una costruzione nuova basata su principi nuovi. LA FISIONOMIA DEL NUOVO INTELLETTUALE ITALIANO NEL RINASCIMENTO CORTE E ACCADEMIE COME ASTENSIONE, CARATTERE ESEMPLARE DEL CORTEGIANO Nell'Umanesimo lo sviluppo di una cultura diversificata ed eterogenea aveva portato alla formazione di un intellettuale dinamico e fervido; soprattutto in Italia, i gruppi di intellettuali cercavano per sé luoghi di incontro, dove ritrovarsi, discutere, comporre. Nel corso del Quattrocento gli artisti, oltre che riunirsi nei luoghi preesistenti (università, scuole e cancellerie), fecero sorgere delle strutture che permettevano loro di essere più liberi e indipendenti: accademie, corti, circoli, biblioteche. Ognuno di questi era un luogo di fervida vita intellettuale, e gli artisti vi si ritrovavano non solo per comporre le loro opere, ma soprattutto per confrontare le proprie idee sulla vita sociale e politica del tempo. Sebbene esistessero per concessione del potere politico, tuttavia le accademie umanistiche non necessariamente comprendevano membri di una stessa ideologia. Anzi, più spesso accadeva l'esatto contrario: nei circoli entravano in dialettica fazioni politiche opposte, e la produzione letteraria che nasceva non sosteneva sempre chi era al potere, ma lo contrastava. Nessun intellettuale quattrocentesco era perciò limitato nell'esprimere le proprie idee, neppure se faceva parte di un circolo ristretto. Nel Rinascimento invece tutti i luoghi di ritrovo degli intellettuali furono gerarchizzati e istituzionalizzati, cioè resi dipendenti direttamente dal potere governativo. Questo fenomeno è facilmente spiegabile: il Quattrocento aveva visto il fiorire della Signoria, nella quale le varie famiglie al potere avevano fatto di tutto per incentivare la produzione artistica, filosofica e letteraria. Per esempio Lorenzo il Magnifico, Signore di Firenze dal 1469 al 1492, riunì la Brigata Laurenziana, circolo di, florida attività letteraria, e fu egli stesso un abile scrittore, allo scopo di creare una alta cultura nei Fiorentini, non solo per avere al suo seguito gli intellettuali del tempo. Durante il Cinquecento in Italia, e in generale in Europa, nacque il fenomeno del Principato: la Signoria, non essendo più in grado di reggersi da sola, chiedeva aiuto o al Papato o all'Impero, perché il potere del principe venisse legittimato da una di queste due grandi forze. Il Principato assunse caratteristiche più assolutistiche rispetto alla Signoria: esso si fondava infatti sulla burocrazia d'accentramento, che fa ripensare alle strutture feudali tipiche dei Normanni, il cui governo si basava sul potere verticistico del re, cui lo Scacchiere (una sorta di Primo Ministro che controllava i funzionari regi) doveva rendere conto di ogni azione. Anche il Principato si strutturava in una maniera molto simile: il potere dei principi veniva legittimato dall'Imperatore, che concedeva loro i titoli onorifici di Duca o Marchese, ma che di fatto pretendeva per sé molti poteri, tra cui il "monopolio della violenza pubblica", il diritto di far guerra, l'amministrazione della giustizia e la riscossione delle tasse, che avveniva attraverso delegati imperiali il cui compito era anche il controllo del territorio. Il Principato fu dunque un'involuzione, che riportava a una situazione simile a quella feudale, e un ritorno al passato anche dal punto di vista della figura dell'intellettuale: essendo il Principato prettamente verticistico e assolutistico, chi deteneva il potere non poteva permettere che chi aveva in mano la cultura gli si opponesse. Fin dall'antichità infatti chi voleva mantenere un potere assoluto doveva ingraziarsi artisti e letterati: anche nella Roma imperiale Augusto aveva fondato il Circolo di Mecenate, favorendo i poeti che lo lodavano e lo facevano apparire il salvatore di Roma. Persino nel secolo attuale c'è un esempio di cultura al servizio del potere assoluto e dittatoriale: la campagna propagandistica del Fascismo in Italia era attuata da intellettuali quali Pirandello, Volpe e Gentili, e un letterato privo della tessera del Partito perdeva immediatamente il posto di lavoro. Anche nelle corti rinascimentali non potevano che esserci intellettuali che sostenevano il potere politico, o che perlomeno non lo criticavano. Una tale situazione non poteva dare spazio a un panorama culturale simile a quello delle Accademie quattrocentesche: in quelle la vita intellettuale era vivida e rigogliosa, mentre nelle rinascimentali gli artisti, non sentendosi liberi di esprimere la propria ideologia, erano come limitati e per questo erano nervosi e spesso in contrasto fra loro. Il perfetto intellettuale di Corte doveva astenersi dal dare giudizi sulla situazione politica e doveva al contrario essere accondiscendente con il Principe, che lo manteneva e gli permetteva di continuare la sua attività. La figura dell'uomo di corte ideale fu teorizzata da Baldassar Castiglione nella sua opera più famosa, il "Cortegiano". L'opera si presenta come un vero e proprio manuale per la formazione dell'uomo di corte, ossia del massimo modello di uomo perfetto rinascimentale. Essa è strutturata come un dialogo diviso in quattro serate (che corrispondono ai quattro libri di cui è composta), al quale partecipano vari personaggi: uomini di corte, nobili, dame. In particolare nei primi due libri viene delineata la figura del cortigiano ideale: nel primo le doti fisiche e morali, nel secondo le circostanze in cui gli è concesso parlare. Ne emerge un uomo nobile, elegante, forte e colto, che sappia essere abile e piacevole nel parlare. Insomma, l'intellettuale di corte doveva essere abile con le parole, per non offendere o contraddire mai chi gli stava davanti. Le qualità del cortigiano dovevano emergere secondo Castiglione con "discrezione ed avvertenza", cioè con naturalezza, senza uno sforzo apparente: in caso contrario, il nobile Signore si sarebbe potuto sentire offeso dall'avere a Corte un uomo che pareva così perfetto da essere superiore a tutti. Il letterato di corte doveva invece dimostrare di avere grandi doti e qualità, ma senza cercare la gloria e la lode personale: il suo compito era mettersi al servizio del nobile per aumentare il suo prestigio e la sua potenza; in cambio egli trovava un alloggio sicuro e stabile. Il letterato quindi era ben disposto ad astenersi dall'opposizione politica, purché gli fossero garantite una vita tranquilla e la possibilità di portare avanti la propria produzione artistica. Moltissimi intellettuali rinascimentale posero la propria abilità letteraria (che poteva spaziare in tutti i campi, dalla poesia al teatro) al servizio del potere politico: l'uomo descritto nel "Cortegiano" non era un'utopia, ma era la figura di riferimento di ogni intellettuale di corte del Cinquecento. LA GENESI DELLA REPUBBLICA FIORENTINA E LA ISTITUZIONE DEL CONSIGLIO MAGGIORE: DALLA SIGNORIA AL SAVONAROLA, A MACHIAVELLI, AL PRINCIPATO Verso la metà del secolo XIV Firenze fu sconvolta dalle guerre di fazione fra guelfi e ghibellini, i cui scontri erano quasi all'ordine del giorno; in seguito nella città ci fu il fallimento, della banca dei Bardi, che causò un grave tracollo economico. Firenze così perse la sua stabilità e nel 1342 fu sottomessa al Duca d'Atene, perdendo anche la sua indipen­denza comunale; la città fu poi investita da una pestilenza (1347) che ne decimò la popo­lazione. Tutti questi avvenimenti portarono al decadimento le istituzioni del Comune, che lasciò il posto alla oligarchia nobiliare: il Comune, non essendo più in grado di reggersi, cominciò a chiedere aiuto alle famiglie di antica casata, che di fatto presero sempre più potere all'interno della città. In particolare a Firenze emerse la famiglia dei Medici; nel 1434 il fondatore della Signoria fiorentina, Cosimo il Vecchio, rese ereditaria la, sua posizione di capo effettivo della città, pur non sovvertendo totalmente l'assetto comunale. Per indicare la costituzione politica di Firenze nel 400 viene usato il termine "Principato occulto" proprio per indicare la sua caratteristica principale: rimanevano in piedi tutti gli organi comunali, ma chi deteneva il potere era la famiglia dei Medici. La figura di Cosimo il Vecchio rappresentava il "Cesarismo rinascimentale": come Cesare Augusto aveva dato inizio all'Impero di Roma, riunendo in sé tutti i poteri, ma rifiutando qualsiasi titolo onorifico, così Cosimo governava Firenze, salvando però l'aspetto esterio­re di Comune indipendente. Con Lorenzo il Magnifico, nipote di Cosimo il Vecchio, la Signoria di Firenze raggiunse il suo massimo splendore, sia in campo culturale sia in campo politico, sia in campo eco­nomico. La politica del giovane Signore fu detta dell'equilibrio", poiché all'estero mirava a mantenere un equilibrio fra gli Stati, affinché nessuno fosse superiore a un altro. Le iniziative di Lorenzo, volte alla pacificazione dei conflitti fra, gli, Stati, gli procurarono il so­prannome di "ago della bilancia", poiché sempre tentava di trovare un compromesso che accontentasse entrambe le parti in causa. Egli avviò anche un programma di riforme interne, creando nuove magistrature politiche (Consiglio dei Settanta, Otto di pratica, Dodici Procuratori) e ristrutturando le finanze fiorentine con l'istituzione del Monte Comune. Fino al 1492, anno della morte del Magnifico, Firenze fu dunque al centro della politica italiana; scomparso Lorenzo, però, se ne andò anche l'equilibrio di cui egli si era sem­pre fatto garante: l'opposizione popolare al governo mediceo crebbe e alla calata del so­vrano francese Carlo VIII (1494) in Italia, gli oppositori colsero l'occasione per deporre la Signoria. Piero de' Medici, figlio di Lorenzo, aveva deciso di offrire a Carlo VIII la sua sottomis­sione, affinché l'appoggio del sovrano soffocasse il rinnovato spirito repubblicano fioren­tino. 1 popolari, però, capitanati dal frate Girolamo Savonarola, insorsero e causarono la caduta del governo mediceo. Seguì un periodo di grave crisi politica, durante la quale i fiorentini trovarono in Savonarola una guida morale e politica, grazie alla quale restaura­rono la repubblica. Girolamo Savonarola era un frate domenicano inviato a Firenze come predicatore; egli denunciava soprattutto i costumi della Chiesa dell'epoca e fu subito al centro dell'atten­zione dei fiorentini. Dalla sua parte stavano soprattutto i poveri e gli scontenti della Signoria, ai quali i Medici avevano espropriato i beni: a causa delle persone che stavano al suo seguito, il frate fu chiamato "predicatore dei disperati". Nelle sue predicazioni, egli invocava la discesa di un uomo "di là dai monti a uso di Ciro, al quale Dio sarà sua guida e duce, e nessuno li potrà resistere e piglierà le città e le fortezze con le meluzze". In Carlo VIII il frate vide quindi il salvatore dell'Italia, colui che doveva liberarla e risvegliare "i cecati populi de Italia": ristabilita la repubblica, egli si curò infatti di allearsi subito con la Francia. Al suo governo tuttavia non mancarono le opposizioni: la classe dirigente fiorentina non amava i comportamenti del frate, che predicava continuamente e praticava riti e cerimonie fuori dall'ordinario; inoltre Savonarola distrusse oggetti mondani e artistici in nome della religione e auspicava riforme economiche molto audaci.. Egli fece una importante riforma socio-politica: distrusse le magistrature precedenti (il Consiglio del Comune e il Consiglio del Popolo) e le riunì in un unico Consiglio Maggiore. I due consigli si controllavano vicendevolmente ma pensando che si danneggiassero la città che aveva bisogno di un unico governo centrale, si ispirò alla Repubblica veneziana. Fra seguaci del savonarola e sostenitori dei Medici ricomincia­rono le lotte che avevano caratterizzato il XIV secolo; Firenze fu nuovamente in balia di tensioni insostenibili, accresciute anche dalla scomunica di Savonarola, che nel 1498 papa Alessandro VI condannò a morte sul rogo. Nello stesso anno, pochi giorni dopo la morte del Savonarola, fu assunto come segretario della Seconda Cancelleria Niccolò Machiavelli, che l'anno seguente passò alla segreteria dei Dieci di Balia. Questa magistratura aveva il compito di dirigere la politica estera del Comune: Machiavelli infatti ebbe vari incarichi diplomatici in Italia e all'estero, venendo così a contatto con le maggiori personalità politiche del tempo. Ebbe modo pertanto di seguire da vicino le principali vicende del tempo, su cui scrisse acuti resoconti raccolti poi nelle "Legazioni". Nel 1512 fu eletto Papa Giulio de' Medici, che prese il nome di Leone X; egli favorì il ri­torno della famiglia dei Medici a Firenze, grazie anche all'appoggio da parte della Spagna. Entrati a Firenze con l'aiuto delle truppe spagnole, i Medici ebbero facilmente la meglio sull'esercito cittadino costituito da Machiavelli. Restaurato il potere della famiglia a Firenze, Machiavelli vi si sottomise, ma fu ugualmente rimosso dal segretariato e co­stretto a lasciare la vita politica. Inoltre venne mandato in esilio a San Casciano un anno, perché non interferisse con la politica dei Medici. Dopo la Signoria che aveva preceduto la repubblica del Savonarola, Firenze si trovava ad avere come forma di governo il Principato, evoluzione della Signoria stessa. Il Principato fu una forma di governo molto comune nell'Italia del XVI secolo: la Signoria non era più in grado di sostenersi da sola e aveva bisogno dell'appoggio dell'imperatore o del Papa, che legittimasse il potere del principe. La stessa cosa accadde anche per i Medici, che per ricostituire uno Stato regionale principesco ebbe bisogno dell'aiuto spagnolo. SINTESI UMANESIMO E RINASCIMENTO Con lo sviluppo delle città e della borghesia mercantile, la cultura non pose più al centro dei suoi interessi soltanto Dio e la fede cristiana. Nelle opere di Dante Alighieri (1265-1321) e di Francesco Petrarca (1304-1374) l'antichità classica rappresenta un nuovo modello a cui ispirarsi; nel Decamerone di Giovanni Boccaccio (1313-1375) la vita quotidiana fa il suo ingresso nella letteratura. Il Quattrocento segnò la nascita dell'Umanesimo, un movimento di grande rinno­vamento culturale. La riscoperta della cultura classica si accompagnò a una nuova concezione del mondo: gli umanisti riscoprirono il valore dell'esistenza terrena, po­nendo l'uomo al centro dell'universo. Fra Quattro e Cinquecento ebbe inizio una nuova epoca di grandissimo sviluppo delle arti, della letteratura e delle scienze: il Rinascimento. Consapevole delle proprie capacità e senza più timore di confrontarsi con il mondo antico, lo studioso del Rinascimento sottolineò l'importanza dell'applicazione praticadelle proprie teorie e non pose limiti alle sue conoscenze: Leonardo da Vinci (1452-1519) si cimentò nell'arte, nell'ingegneria e nello studio dell'anatomia; Michelangelo Buonarroti (1475-1564) fu insieme pittore, scultore e architetto. L'Italia del Rinascimento fu la sede di una straordinaria fioritura artistica. Grandi architetti come Brunelleschi (13 77-1446), Bramante (1444-1514) e lo stesso Michelangelo rinnovarono il volto delle città, mentre pittori di immensa fama come Leonardo, Raffaello (1483-1 520) e Tiziano (1490-1576) diventarono un modello per tutta l'Europa In campo letterario l'opera più rappresentativa del Rinascimento italiano fu l'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto (1474-1533). Torquato Tasso (1544-1595) dedicò il suo poema, la Gerusalemme Liberata, alla prima crociata. Il Rinascimento italiano segnò un grande rinnovamento anche in altri campi. Il principe, opera del fiorentino Niccolò Machiavelli (1469-152 7), inaugurò la scienza politica moderna. Grande fu l'importanza, per la ricerca storica, di Francesco Guicciardini (1483-1540), con la sua Storia d'Italia. L'interesse per l'uomo e la natura determinarono lo sviluppo della ricerca scientifica. Adottarono il metodo dell'osservazione diretta dei fenomeni naturali, scienziati come il belga Andrea Vesalio (1514-1564) nello studio del corpo umano e il polacco Niccolò Copernico (1473-1543) nel campo dell'astronomia. Una svolta nella cultura italiana Fino all'inizio del duecento la cultura medievale in Italia fu strettamente legata alla Chiesa: quasi soltanto gli ecclesiastici erano uomini di cultura, quasi tutte le opere scritte riguardavano la teologia o l'interpretazione della Sacra Scrittura, anche le opere dell'antichità greca e latina venivano interpretate alla luce del pensiero cristiano. Gli autori più letti e studiati erano sant'Agostino, san Girolamo, san Tommaso, ecc. Lentamente, a partire dal Duecento, con lo sviluppo della civiltà dei comuni e della borghesia, questa caratteristica della cultura iniziò a mutare e si allentò il suo collegamento con la religione e con gli ambienti della Chiesa. Nel trecento alcuni grandi autori diedero un forte sviluppo alla letteratura laica: ricordiamo soltanto, a titolo di esempio, Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Giovanni Boccaccio. Dante Alighieri (1265-1321), l'autore della Divina Commedia, e il grande poeta Francesco Petrarca (1304-1374), erano profondamente religiosi e la loro opera risentiva molto di questa religiosità, ma il loro modello culturale e morale di riferimento era ormai quello di Roma antica. Giovanni Boccaccio (1313-1375) nelle novelle del Decamerone descrisse vizi e virtù della società del suo tempo elevandoli a dignità letteraria ed esaltando, accanto alle virtù morali tradizionali, anche l'intelligenza, la furbizia, lo spirito d'iniziativa, il desiderio di avventura. FIN QUI Al centro del mondo c'è l'uomo Nel corso del Quattrocento l'interesse per la cultura del mondo classico si diffuse nelle corti dei principi e dei signori delle maggiori città italiane. Erano ambienti diversi da quelli ecclesiastici, dove avevano grande peso anche valori diversi da quelli della reli­gione: valori legati alla vita, alla ricchezza, al potere, alla ricerca del bello. Qui si attenuò sempre di più il carattere religioso della cultura. La vita terrena non fu più vista soltanto come un momento di passaggio verso la vita eterna e le riflessioni dei filosofi si concentrarono sul si­gnificato e sul valore dell'esistenza dell'uomo. Proprio perché poneva l'attenzione sull'uomo, questa nuova tendenza della cultura fu chiama­ta Umanesimo. Gli umanisti affermarono il diritto dell'uomo a realizzare nel piombo la propria personalità. Essi non arrivarono mai a negare l'importanza e il si­gnificato di Dio e della religione: sostennero però che la fede non era in contrasto con il desi­derio dell'uomo di affermarsi. Fu questo l'inizio di una rivoluzione che modificò profondamente la cultura italiana ed europea. DALL'UMANESIMO AL RINASCIMENTO Di Umanesimo si parla dunque soprattutto per indicare un filone di studio e di pensiero indirizzato prevalentemente alla conoscenza dei classici e a una riflessione storica, filosofica e letteraria concentrata sui valori dell'uomo e della sua esistenza terrena. Esso fu soprattutto un grande movimento di idee. Umanisti furono, nel Quattrocento, gli italiani Giovanni Pontano, Lorenzo Valla, Marsilio Ficino, Pico della Mi­randola e lo stesso pontefice Pio II Al termine Umanesimo si affiancò successivamente quello di Rinascimento, utilizzato dal pittore e storico dell'arte Giorgio Vasari (1511-74) per sottolineare che fra il Quattro e il Cinquecento era iniziata "una nuova era di rinascita e rigenerazione dell'umanità". La rivalutazione dell'uomo portò con sé lo studio della natura, dove la vita dell'uomo si realizza, e, soprattutto, una parallela rivalutazione di tutto ciò che è il frutto del­lo spirito e della mente umana: l'arte, la letteratura e la musica. Ogni piccola o grande città italiana e tutte le corti signorili vollero costruire splen­didi edifici, nuove chiese, grandi e piccoli palazzi. Proteggere artisti o letterati, spesso mantenendoli presso di sé, divenne un'abitudine non solo dei pontefici, dei signori o dei principi, ma anche delle famiglie più ricche.Il nuovo gusto per il bello che caratterizzò il Rinasci­mento favorì anche lo straordinario sviluppo di un raffinato artigianato. Nei palazzi rinascimentali non lavora­vano soltanto pittori, scultori e poeti, ma anche orafi, fa­legnami, decoratori. Anche gli oggetti di uso quotidiano divennero vere e proprie opere d'arte, che esprimevano i nuovi ideali di bellezza ed armonia. La stampa Nel 1434 un orafo tedesco, Johann Gutenberg, scoprì un modo semplice e ingegnoso per ottenere molte copie di una pagina scritta. Occorreva innanzi tutto costruire dei caratteri mobili, cioè dei "cubetti" di metallo ciascuno dei quali portava in rilievo, sulla faccia superiore, una lettera dell'alfabeto. Tali caratteri venivano poi disposti l'uno accanto all'altro, in modo da comporre le parole del testo. Le parole, a loro volta, dovevano formare delle righe e le righe, poste una sotto l'altra, le pagine. Legate strettamente per tenerle ferme, queste pagine venivano spalmate d'inchiostro. Premendo contro di esse un foglio bianco, se ne otteneva una copia quasi perfetta. Una volta stampato il numero di copie desiderato, la pagina veniva scomposta; i caratteri venivano recuperati, divisi lettera per lettera, ciascuna lettera riposta in un proprio cassettino. Il costo dei libri, che fino ad allora erano stati pazientemente copiati a mano, diminuì moltissimo mentre aumentò enormemente la quantità dei libri disponibili. L'arte della stampa si affermò dopo il 1456, data nella quale Gutenberg pubblicò la sua prima opera importante, la Bibbia. Ciò non avvenne senza difficoltà tecniche, perché i caratteri mobili che servivano per formare le lettere dovevano essere fabbricati in una lega metallica né troppo dura né troppo morbida, risultato del corretto dosaggio di piombo, stagno e antimonio. Per realizzare i caratteri mobili erano necessarie tre operazioni: fabbricare dei punzoni, in acciaio molto duro, che recavano il carattere in rilievo; realizzare una forma di fusione cava (la matrice) premendo il punzone su un blocchetto di rame, più tenero; infine, riempire la matrice cava con una lega metallica riscaldata fino alla temperatura di fusione e poi farla raffreddare, ottenendo così il carattere da utilizzare. Per inchiostrare i caratteri si usò dapprima una piccola spatola e poi un rullo. Per stampare le pagine si usò per secoli una semplice macchina detta torchio da stampa: una piastra di metallo comandata da un meccanismo a vite comprimeva il foglio contro la pagina inchiostrata. L'invenzione della stampa si diffuse molto rapidamente, grazie agli artigiani stampatori che viaggiavano da un paese all'altro con i propri materiali. lì primo libro stampato a Parigi è del 1471, a Lione del 1473, a Venezia del 1470, a Napoli del 1471. Nell'arco di pochi anni sorsero poi delle officine stabili. Nel 1480 più di 100 città europee avevano le loro stamperie e nel 1500 ben 236.Si è calcolato che gli incunaboli (libri stampati prima del 1500> ebbero una tiratura globale di 20 milioni di copie; questa cifra è ancora più impressionante se si pensa che l'Europa a quell'epoca contava forse 70 milioni di abitanti, la grandissima maggioranza dei quali era analfabeta. L'ARTE Già nel Trecento figure di altissimo rilievo, come Giotto (1266-1337), Paolo Uccello (1397-1475), Simone Martini (1284-1344), avevano dato importanti contributi all'arte italiana. Nei due secoli successivi vi fu nel nostro paese un'impressionante fioritura di pittori, sculto­ri, architetti e artisti di ogni genere, che disseminarono l'Europa dei loro capolavori.Per quanto riguarda l'architettura, furono dapprima rinnovate le città italiane e in un secondo tempo quelle europee, in molti casi costruite ancora in legno. Brunelleschi (1377-1446), Bramante (1444-1514), Leon Battista Alberti, Francesco di Giorgio Martini (1439-1502) e Michelangelo costruirono splendide chiese, grandi basiliche ornate da cupole gigantesche, palazzi e fortezze. Furono addirittura migliaia i pittori di scuola veneziana, fiorentina, romana e napoletana che lavorarono per i signori, i principi, le grandi famiglie italiane e le principali corti europee. Tiziano (1490-1576) fu il pittore dell'imperatore Carlo V e del re Filippo II di Spagna; Leonardo lavorò per Francesco I di Francia; Raffaello (1483-1520), fu attivo a Roma per i papi.La splendida fioritura artistica italiana si prolungò fino a tutto il Seicento. Pittori, scultori, architetti, scenografi, musicisti, ma anche artigiani e tecnici italiani invasero letteralmente l'Europa, dando un contributo straordinario alla formazione di un'arte e di una cultura comune a tutti i maggiori Paesi europei. LA LETTERATURA DEL RINASCIMENTO L'opera letteraria italiana che divenne il simbolo del Rinascimento in tutta Europa fu l'Orlando Furio­so, poema scritto da Ludovico Ariosto (1474-1533). Ne vennero stampate innumerevoli edizioni in po­chi anni. Persino coloro che non sapevano leggere, si tramandavano brani dell'Orlando a memoria.Tramite questo poema dell'amore, dell'avventura e della fantasia l'Ariosto diffuse in modo del tutto nuovo un tema che aveva avuto grande fortuna nel Medioevo: quello delle imprese dei cavalieri e dei paladini di Carlo Magno.Altro grande autore del Cinquecento fu Torquato Tasso (1544-95), che scrisse in versi la Gerusalemme Liberata, un poema dedicato alla prima crociata. IL PENSIERO POLITICO E LA RICERCA STORICA Il Rinascimento italiano fu uno straordinario momento di sviluppo delle arti. Ma non solo. Anche la filosofia, la letteratura, il pensiero politico, la ricerca storica attra­versarono innovazioni di grande rilievo.Il fiorentino Niccolò Machiavelli (1469-1527), è considerato l'iniziatore del pensie­ro politico moderno. Egli studiò la politica come arte del governare, liberandola dai rapporti con la religione o la morale. Lasciò un'opera, Il principe, considerata ancora oggi un grande classico della scienza politica.Lo stesso Machiavelli fu anche uno storico di rilievo, come anche Francesco Guicciardini (1483-1540), che scrisse la Storia d'Italia.Storici, pensatori, letterati trovarono un largo spazio nelle corti di signori, principi e sovrani. Lavorarono come educatori, segretari, diplomatici, consiglieri politici, spesso anche all'estero (in Francia, Spagna o Germania). Talvolta questo rapporto di dipen­denza li costrinse a subire delle umiliazioni, ma spesso permise loro di creare opere di livello altissimo. LA SCIENZA L'interesse per l'uomo e per la natura determinò anche una vivace ripresa dell'indagine scientifica.Nel Medioevo la scienza si era affidata non tanto all'osservazione diretta dei fatti quanto alla lettura di testi autorevoli: nella Bibbia o nell'opera del filosofo greco Aristotele (384-322 a.C.) si rintracciavano le spiegazioni dei fenomeni naturali.In accordo con la più alta opinione che l'uomo del Rinascimento ebbe di se stesso, la scienza si liberò dal timore del confronto col passato e si affidò alle proprie ricerche e alle proprie libere valutazioni. Si cominciò a discutere l'uso che sino ad allora si era fatto della Bibbia, un testo religioso, come fonte di precise conoscenze scientifiche.Di grande rilievo furono gli sviluppi delle scienze naturali: biologia, zoologia, botanica. Lo studio del corpo umano fece grandi progressi soprattutto grazie al belga Andrea Vesalio (1514-64). Altrettanto importanti furono i passi avanti fatti nel campo dell'astronomia, soprattutto per opera del polacco Niccolò Copernico (1473-1543). Osservando il moto dei pianeti, egli dimostrò che è la Terra a girare intorno al Sole e non, come si credeva, viceversa.L'enciclopedismo, cioè la capacità di approfondire molte discipline, non caratterizzò solo gli artisti e i filosofi, ma anche gli scienziati. Oltre al caso già citato di Leonardo, artista e scienziato insieme, ricordiamo quello di Girolamo Cardano (1501-76), medico, scienziato, matematico, ideatore di dispositivi meccanici ancora oggi in uso. LA MEDICINA Nonostante il risveglio artistico nel 400\500 gli studi di molti intellettuali sul corpo umano( vedi Leonardo), la medicina rimane ferma al nastro di partenza. Il modello seguito è ancora Galeno e la scuola salernitana; l'arte medica si mescola con la magia, la stregoneria, l'alchimia. Tutto resta approssimativo: non si conoscono le cause delle malattie e, di conseguenza, anche i rimedi sono empirici, basti su tisane, decotti, infusi. Le precauzioni igieniche non esistono; talvolta gli stessi medicamenti sono causa di gravi infezioni, visti gli ingredienti usati, che prevedevano anche ossa di scheletro umano, scorpioni catturati nei giorni del solleone. I "farmaci" venivano "pubblicizzati" citando le persone famose che li avevano assunti e ne avevano tratto beneficio. Spesso, a conclusione di una ricetta, si trova scritto: "è un medicamento da gran personaggi e non da poveri!". Molto approssimativo il tempo indicato per la "bollitura", calcolato con il tempo di due, tre Ave Maria, Padre Nostro, Miserere ecc… Altre volte troviamo una raccomandazione molto "sottile" e arguta: "sta 'sano" e questo, forse, è il rimedio migliore per le varie malattie. Comunque, alcuni di questi rimedi, come la liquirizia per la voce o l'aglio contro i bachi, sono tuttora presenti; si pensi al "cerotto", che, sotto il nome "cerotto sano" (ideato dai frati) avrebbe guarito: piaghe, contusioni, fuoco di S. Antonio, il dolor di testa, i reni, la caduta dei capelli, ecc… Dall'indicazione dei rimedi, ricaviamo anche informazioni sulle principali malattie del tempo e sugli ingredienti conosciuti. L'arte medica rimase per molto tempo prerogativa dei monaci, specie dei Benedettini, che spesso veicolavano consigli medici anche con proverbi in versi: es. "Da una grande cena, viene allo stomaco una grosso pena". Alcuni rimedi Rimedi per l'itterizia o spargimento di fiele Celidonia, manipolo 1; fiori e foglie di iperico, di ciascheduno manipolo uno e mezzo; avorio raspato, sterco d'anatra; di ciascheduno dra.3; zafferano, dra. Una e mezzo; lo sterco e il zafferano si leghino in una pezza sottile di lino e si metta a bollire il tutto assieme in pare uguale di acqua di cetraca e di vino bianco secondo l'arte, e infine si faccia dolce con lo zucchero. La dose è un bicchiere la mattina per alcuni giorni Balsamo per le ferite della testa "Trementina, libbre due; gomma elemi, rafa di pino; di ciascheduno once cinque; si liquefacciano assieme; dopo aggiungere polvere d'astrologia, once due; polvere di bettonica, sangue di drago, di ciascheduno mezza oncia; conservalo per il bisogno e,quando li vuoi adoperare, scaldalo perché resta un po' sodo; applicalo sopra il male: serve anche per le altre ferite.ù Per far venire le purghe alle donne "Cime tenere di merangole cinque o sei; dalle da mangiare per tre o quattro mattine col pane e avrai il tuo intento" Unguento per i pidocchi della testa "Argento vivo,affongia di porco maschio, unguento tosato, di ciascheduno due once; sugo di limoni, mezza oncia; mescola benissimo e fanne unguento". Impiastro per tumori "Sterco fresco di capra; mescola con farina d' orzo, con aceto e acqua; fanne un impiastro e applicalo sopra il male più volte". Pillole sublinguali per la voce "polvere di requilizia e succo della stessa, gomma dragante arabica, amido, mastici, pinoli: di ciascuno parti uguali; con mucillagine di draganti si facciano pillole in forma di ceci e la sera se ne metta uno sotto la lingua, così che la malattia avrai una buona voce: queste pillole servono per Lettori, Predicatori e furono provate". Per il catarro "Cinque capi d'aglio cotti sotto la cenere; applicali sopra il petto, che non tocchino la bocca dello stomaco". Per far nascere i capelli dove non sono "Carne di lumache, vespe, api, sanguisughe; sale bruciato: ciascuno in parti uguali; metti tutto in un vaso di vetro e bucato, che abbia molti buchi nel fondo e sotto di questo un altro vaso di vetro che raccoglierà l'umidità che ne esce e con questa ungi il luogo dove vuoi che nascano i capelli; con questo ho fatto nascere la barba ad un canonico in meno di un mese, ungendo ogni giorno." Per far odiare il vino ad una persona "Metti a seccare al forno, in una pignatta nuova, un polmone di pecora; poi riducila in polvere e dalla da bere a quella persona due o tre volte col vino, e gli verrà tanto un' odio che non lo potrà più sentire; oppure piglia un'anguilla viva, soffocala nel vino, che vi muoia dentro e dalla da bere, che farà lo stesso. Le ricette migliori per la salute sono quelle che si possono ricavare dagli otto precetti, che sintetizziamo per comodità: e dai tre rimedi (quando mancano i dottori). Precetti Lasciare tutte le fatiche superflue, la tristezza, la paura. Non adirarsi oltre misura. Bere moderatamente del buon vino. Mangiare sobriamente a cena. Dopo cenato, lavarsi in piedi e camminare leggermente. Non dormire subito dopo i pasti. Non trattenere l' orina ( genera calcoli, renella........) Non forzare la natura per andar di corpo, e non trattenere troppo a lungo gli escrementi. Rimedi Vivere allegramente e sorridere. Riposare il corpo. Dieta moderata.

 
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