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CRISTOFORO COLOMBO

CRISTOFORO COLOMBO E LA SCOPERTA DELL'AMERICA
 
Cristoforo Colombo, scoperta dell'America e conquista
 

Cristoforo Colombo nacque a Genova, probabilmente nella casa dell'Olivello, vicino a Porta S. Andrea, fra l'agosto e l'ottobre 1451, primo figlio di Domenico, lanaiolo e di Susanna Fontanarossa. Ebbero altri tre figli, Giovanni, Bartolomeo e Diego. Il padre di Colombo, verso il 1470 si trasferì con tutta la famiglia a Savona. Avviò i quattro figli all'arte della lana poi facendo poco affari, avviò i figli al piccolo commercio marittimo e questi abbandonarono definitivamente Savona. Cosicchè le condizioni finanziarie di Domenico peggiorarono, anche quando il figlio era già diventato famoso. Nel '494, rimasto solo, Domenico chiuse bottega a Savona e rientrò a Genova. Qui possedeva due case, che dovettero essere vendute, ma non furono sufficienti i soldi per pagare i debiti. Alla fine del '94 Domenico morì indebitato e povero. Nel periodo nero di Savona, i figli quasi tutti intorno ai vent'anni cercarono di rendersi indipendenti. Il primo ad abbandonare la famiglia fu Bartolomeo, s'imbarcò dandosi per molto tempo alla navigazione. Il Portogallo era la meta prescelta dai navigatori liguri per i commerci che vi si svolgevano. Bartolomeo viaggiando molto, si appassionò così tanto alla cartografia allora usata, che presto iniziò ad essere così esperto da fornire alla marina dello Stato portoghese le ricercatissime carte nautiche. Divenne un lavoro ben pagato tanto da decidere di fare solo quello, e smise di navigare prendendo nel '72 la residenza a Lisbona. Questa passione lo trascinò a fare ricerche, a scoprire vecchie carte, testi, relazioni di naviganti. Mano a mano che scopriva questo "mondo" sommerso nei testi storici, che però riportavano geniali intuizioni, le folgorazioni furono così tante che sopraggiunse la passione per l'ignoto e i sogni fantastici. Anche CRISTOFORO, quand'era partito il fratello da Savona, vedendo le disastrose condizioni economiche del padre lo aveva imitato; si era imbarcato anche lui - non sappiamo con quali funzioni, ma non avendo molti studi, probabilmente mozzo- compiendo alcuni viaggi nei porti del Mediterraneo allora possessi genovesi, come Scio e Chio. Infine nel '74 lasciò la Liguria e si trasferì a Lisbona, raggiungendo così il fratello. La passione di Bartolomeo fu subito trasmessa al fratello, e i sogni fantastici pure, però con un Colombo più deciso a realizzarli, fino al punto che cominciò a progettare l'impresa ritenuta una pazzia, quella di raggiungere le Indie via ovest. Ma dove trovare i mezzi? Colombo convinse il fratello di proporre l'impresa a Enrico VII re d'Inghilterra o alla corte francese. Bartolomeo, sappiamo, partì per l'Inghilterra, portando in regalo al re perfino un suo planisfero, ma si attardò così tanto che Colombo, sempre più deciso a realizzare l'impresa, prima del suo rientro, aveva illustrato l'impresa sia alla corte del Portogallo sia in quella Spagnola, e ricevuto da quest'ultima i finanziamenti, aveva già allestito la spedizione ed era partito. Ma ritorniamo al suo viaggio a Lisbona nel 1474. Dopo il suo arrivo, la passione comunicatagli dal fratello lo portò a frequentare un cosmografo; tra un disegno e una carta nautica conobbe sua figlia, se ne invaghì e nel 1479 prese in moglie Felipe Moniz, figlia appunto di Bartolomeo Parestrello, di professione cosmografo e capitano colonizzatore di Porto Santo, dove aveva raccolto mappe, portolani, antichi libri greci e arabi, appunti sulle rotte atlantiche delle coste africane, di Madera, e delle Azzorre; quest'ultima una importante base per tutte quelle gelose scoperte fatte dai portoghesi in Atlantico. L'infante Re Enrico fu chiamato proprio "il navigatore", anche se lui non navigava. Tra il '74 e il '79 Colombo aveva nel frattempo compiuto un viaggio in Inghilterra, si era recato poi a Madera, a Porto Santo e molto probabilmente aveva navigato intorno all'Africa occidentale, sino alla Guinea. E proprio a Porto Santo aveva conosciuto Parestrello. Fino a quel tempo Colombo non aveva avuta alcuna istruzione scientifica, ma solo quella fornitagli dal fratello oltre la sua esperienza di un paio d'anni come semplice marittimo. Con Parestrello invece si formò la sua cultura cosmografica e geografica; e diventato suo suocero non si limitò a fargli leggere carte nautiche ma i classici, Eratostene, Plinio (Storia naturale), Pausania, Zacuto, l'opera del card. Pietro d'Ailly ( Imago Mundi e Piccolomini (Pio II Historia Rerum) che avevano trattato l'argomento con le concezione della distribuzione di terre e mari. Alcune errate, altre esatte ma Colombo queste ultime a quel tempo non lo poteva certo sapere: erano solo intuizioni, alcune sempre rifiutate, altre del tutto sconosciute. A Porto Santo ci rimase due anni; e oltre che aver l'Atlantico davanti, in casa aveva una raccolta impressionante di carte, di pergamene di libri. Morto il suocero la suocera gli donò tutto. Ma l'osservazione più preziosa che fece Colombo sull'isola, fu quella di riscontrare, che il vento costantemente spirava da ponente verso levante. Anche il racconto di Marco Polo gli accese la fantasia e gli fece nascere il desiderio di giungere al mitico Cipango o Zipungo per la via d'occidente. Non abbiamo testimonianza di Colombo, se lesse anche le scoperte, a proposito dell'oceano Atlantico (e di una terra al di là del mare) fatte dai Cartaginesi, dagli Scandinavi, dagli Irlandesi, dai Normanni, dai fratelli Zeno. Sappiamo solo che ebbe molti contatti con Toscanelli e il Cardinale Martines, e questi sappiamo che tutte queste scoperte le conoscevano benissimo, e sapevano anche quant'era la circonferenza della Terra. A Lisbona infatti Colombo conobbe il dotto canonico: FERDINANDO MARTINES (o Martins) il quale fin dal 1474 era stato in corrispondenza con PAOLO dal POZZO TOSCANELLI, reputatissimo cosmografo fiorentino che aveva ideato un ardito piano di viaggio transatlantico. Colombo, ormai entrato dentro nel firmamento della cosmografia tramite il suocero Parestrello, e con le notizie di Martinez, chiese al Toscanelli una copia della lettera inviata nel '474. Toscanelli non solo gli spedì la lettera, ma aggiunse anche una carta geografica nautica dandogli altri consigli, altre notizie nel frattempo venute a sua conoscenza, oltre a dargli incitamenti calorosi. Colombo in base a questa carta ne disegnò un'altra grande, probabilmente ne aveva bisogno per mostrare la situazione delle terre e dei mari al di là di Gibilterra e poter convincere i finanziatori dell'impresa o per i contraddittori degli increduli. (La carta nautica, disegnata da Colombo é oggi conservata alla biblioteca naz. di Parigi, fu riscoperta solo nel 1924. ). A quel tempo governava il Portogallo re Giovanni II. Era anche lui un appassionato di avventure marittime; Colombo infatti a lui si rivolse. Progetto ardito, straordinario, ma nonostante il fervore di Colombo nel presentarglielo, il re pur entusiasta, non osò andare oltre le sue impressioni e la sua passione, nominò quindi una commissione per valutarlo. La commissione, composta da vecchi capitani, studiò il progetto, ma conservatrice, diffidente e anche superstiziosa com'era la commissione, esaminando quelle carte con lo scarso appoggio delle nozioni geografiche di allora, concluse respingendo il progetto, perché a suo giudizio "ineseguibile", null'altro che una "fantasticheria". Colombo non si disanimò per questo, anzi decise di offrire il progetto alla Spagna, e nello stesso tempo, col medesimo intento, inviò il fratello Bartolomeo alla corte d'Inghilterra, e qualora da Enrico VII il progetto fosse stato respinto, di rivolgersi alla corte di Francia. Di entusiasmo per il suo progetto negli ultimi anni Colombo ne aveva molto, ma anche afflitto da un periodo di amarezze. Nel '486 era padre di famiglia, gli era morta la moglie, e non aveva nemmeno i mezzi per fare il viaggio in Spagna che seguitava a rimandare. Fu proprio per queste ristrettezze economiche che decise di lasciare Lisbona e stabilirsi a Cordova. Il caso (o altro?) volle, che in quel periodo per intensificare la lotta ai mori e agli ebrei, la corte si era insediata proprio a Cordova. Colombo ebbe qualche contatto con alcuni influenti personaggi per poter essere ricevuto dai sovrani e ci riuscì (ma c'è nell'ombra un grosso finanziere, Alfonso de Quintanilla- ebreo ma non espulso; forse per le sue ricchezze?) Fu così presentato a Ferdinando di Spagna e alla consorte regina Isabella. Esposto l'audace piano ai sovrani, a poco a poco riuscì ad incontrare più volte la regina e a convincerla. Isabella incaricò il suo confessore De Talavera di discutere l'ardita proposta. Mentre Ferdinando più freddo, a Salamanca, riuniva anche lui una commissione di esperti, scienziati, navigatori, dotti domenicani che però non concluse diversamente dalla commissione portoghese. L'oscurantismo religioso ebbe anche qui la sua parte. Colombo nell'esporre la sua idea, doveva vincere il sospetto che il suo progetto non contenesse opinioni incompatibili con la concezione della forma della Terra, quale é descritta nella Bibbia, cioè piana, e non rotonda, com'egli asseriva. C'è da dire che a Lisbona non c'era scienziato, geografo, matematico o anche semplice marinaio che non fosse entrato nell'idea di una terra rotonda. Ma un conto era pensarlo, un altro dirlo in giro. La personalità religiosa di Colombo, non è mai stata approfondita. Forse potremmo scoprire, perché poi ci furono tante ostilità nei suoi confronti, e anche perché si ostinò a non accettare l'idea che le terre appartenessero ad un nuovo continente. Sappiamo poco, ma conosciamo una sua citazione, dove afferma che "lo Spirito Santo opera in cristiani, giudei, mori e altri di ogni possibile setta" (la sua sigla era proprio XMY, cristiani, mori, giudei) un'affermazione fortemente eretica la sua nella Spagna di questo periodo (che abbiamo appena letto). L'inquisizione, stava massacrando da dodici anni per queste eresie, e anche per molto meno, bruciava sul rogo sia ebrei che mori. Stava compiendo la più grande "pulizia etnica" mai avvenuta prima e dopo in Europa. Alcuni affermano che Colombo era legato ai Templari, antidogmatici, che cercavano - aiutando lui - di vendicarsi dei roghi (fatti con gli avalli papali), un appoggio non tanto disinteressato, ma concesso per distruggere la visione dogmatica su cui la Chiesa fondava la sua autorità e dottrina. E' certo un mistero il perché le vele delle tre caravelle di Colombo avevano bene in vista la croce templare; nessuno ebbe da ridire in anni così spaventosi; ma un motivo ci doveva pur essere. Lo "sponsor" era abbastanza chiaro a tutti. Ma in seguito non se ne parlò più. Altri affermano che l'impresa fu possibile anche per il concorso degli ebrei, per via dei forti finanziamenti, anche se questi apparentemente uscirono dalla corte di Ferdinando "il Cattolico". C'e' forse l'appoggio di papa Alessandro VI? Proprio lui che guida l'inquisizione spagnola nell'espulsione degli ebrei? Tutto è possibile; era un Borgia! nipote (da parte di madre) del precedente Papa Callisto III (Alonso Borgia 1378-1458), nativo di Canais, nella Spagna, Catalana, Aragonese e che quando salì sul soglio pontificio nel '55, gli ebrei aragonesi lo indicavano non col nome Alonso Borgia, ma Alonso Borja, ed era l'arcivescovo di Valencia, più noto con il nome di Aharon Cybo, che era il nome di una famiglia smaccatamente ebrea. Qualcosa quindi non quadra, e il mistero s'infittisce. Anche curiosa e singolare - subito dopo la scoperta- quella immediatezza di Papa Borgia nel tracciare la famosa "riga" Inter Caetera (ne parleremo più avanti). La superstizione anche questa bisognava combatterla per vincere il terrore che incuteva l'Oceano tenebroso, come si chiamava allora l'Atlantico; poi bisognava distruggere pure la credenza della zona torrida - dove -affermavano alcuni reduci di quei viaggi- non si respirava più. Le leggende marinare (portoghesi) le avevano costruite ad arte e le avevano messe in giro, forse per non far scoprire alcune rotte che solo pochi capitani portoghesi conoscevano. All'equatore c'erano già stati parecchi, compreso Colombo, perché abitava a Lisbona, ma le rotte sulle coste africane erano di pertinenza solo portoghesi, e in quelle rotte loro non volevano intrusi. La leggenda riporta che alcuni personaggi nella commissione affermarono che il progetto di Colombo, poteva solo uscire da una mente malata. Non se ne fece più nulla. Tutti i contatti col sovrano e anche con la regina s'interruppero. A consolarlo in questi giorni, una dolce figura, una giovane spagnola, Beatrice Henriquez, che gli diede anche un figlio, Don Fernando (il suo biografo!) Dall'Inghilterra nessuna notizia del fratello. Sfinito, lacero e affranto Colombo decise di tentare l'ultima carta, recarsi lui in Francia. Giunto a Palos, rimasto senza nemmeno i mezzi per vivere, chiese qualche piatto di minestra al convento di Santa Maria della Rabida. Il fato ci mette lo zampino? Forse. Nel convento il padre guardiano, don Juan Perez, non era un semplice monaco, era stato un tempo il confessore della regina Isabella. Lo ascoltò con attenzione, e con le sue conoscenze geografiche apprese in convento, il progetto di Colombo non gli sembrò affatto quello di un folle, si offrì così di intercedere per lui presso la sovrana. In un momento molto particolare e favorevole. La Spagna stava celebrando in quei giorni la definitiva "Reconquista". Era il 2 Gennaio del 1491. A Granada, assediata da 80.000 soldati, cadevano le ultime due fortezze degli arabi, e l'ultimo sultano musulmano si arrendeva. Per la Spagna terminava la "guerra dei mori". Le feste a corte (e quelle religiose) si sprecarono. Isabella libera da ogni altra preoccupazione decise di ascoltare JUAN PEREZ e di promuovere la vagheggiata spedizione. Il 17 aprile Colombo già sottoscriveva i patti coi Reali Spagnoli, mentre si allestivano per lui le tre caravelle. Nominato Ammiraglio del Grande Oceano, il 3 agosto Colombo salpava da Palos. Con lui il mastro cartografo Giovanni de la Cosa, il fratello Francesco, due bravi capitani Alonso Pinzon sulla Pinta, Vincenzo Pinzon sulla Nina, e 90 marinai come "compagni d'avventura". Solo la Santa Maria ne aveva 50, le altre due caravelle ognuna 20. Dopo 12 giorni giunsero alle Canarie, il 7 settembre ripresero il viaggio. Dopo altri 30 di navigazione, la Terra promessa da Colombo non appariva. La leggenda narra che ci fu l'ammutinamento di alcuni marinai. Il Giornale di bordo di Colombo non ne fa menzione, ma qualcosa accadde: ad un'attenta osservazione del diario, traspare inoltre una velata inquietudine. E vi appare anche un inferiore riporto del numero di miglia percorse per non allarmare troppo gli equipaggi. Era sì inquieto tuttavia era determinato, anche perchè tornare indietro sarebbe stato un suicidio. Finalmente all'alba del 12 ottobre, scorse la Terra. Sbarcò in una delle isole Lucaie cui dette il nome di San Salvador. Il 15 approdò ad un'altra isola, S. Maria, il 16 alla Grande Exuma, il 28 scoprì le isole poi dette delle Grandi Antille, ed il 6 dicembre nell'isola di Haiti che chiamò Hispaniola. RITORNO IN SPAGNA Partito da Hispaniola il 16 gennaio 1493, dopo una tempesta nelle Azzorre, rientrò a Lisbona e poi a Palos, ove sbarcò il 15 marzo. La relazione del viaggio che pubblichiamo in altre pagine è appunto del 15 marzo 1493 Grandi trionfali accoglienze a Barcellona. Solennemente ricevuto dai sovrani lo elessero Nobile, Grande Ammiraglio dell'Oceano, Vicerè delle Indie, con diritti e titoli trasmissibili agli eredi. La scoperta e l'ardimentosa traversata sulle terre che si reputavano far parte dell'Estremo oriente, si diffuse in un baleno in tutto il mondo. Al grande ricevimento alla corte di Barcellona era presente PIETRO D'ANGHIERA, e fu lui a leggere la notizia ufficiale del resoconto del viaggio; lo fece con tanto entusiasmo, poi volle commentare ed aggiunse anche d'altro oltre la notizia, disse che sospettava che non si fosse raggiunto il lembo più orientale dell'Asia, ma scoperto un NUOVO MONDO. Non ci fecero tanto caso, ma la coniazione delle "nuove terre" era ormai cosa fatta; ma perchè lo fossero di fatto ci sarà da attendere qualche anno per confermarlo. Intanto Colombo e altri restavano ostinatamente fermi nella credenza di essere giunti nelle indie; e sempre fermi anche quando altri si avventureranno verso nuovi lidi e scopriranno e daranno il loro nome al "Nuovo Continente". Amerigo Vespucci nel 1499 toccherà il Brasile, mentre Caboto sfiora un lembo dei futuri Stati Uniti. Ma siamo sicuri che nessuno lo sapesse fin dal primo giorno che era un nuovo mondo? E siamo anche sicuri dell'ostinazione di Colombo a non credere che lo fosse?. Come poteva Colombo ignorare Eratostene proprio ora, e dov'erano i 110-120 gradi che mancavano? Era sincero o fu bloccato dall'alto? Si voleva forse dar tempo agli spagnoli (a Ferdinando "il cattolico") di conquistare tutto il Nuovo Mondo? Per dare questa risposta ritorniamo alla curiosa "riga Inter Caetera" del Borgia, che divideva l'Atlantico longitudinalmente esattamente al centro e quindi il mondo in due, ma tutto a favore della Spagna. Ai portoghesi fu lasciato quasi nulla; solo acqua, le Azzorre, le Canarie, Madera e le isole di C. Verde che possedevano già. La riga lambiva appena appena la "gobba" del Sud America. Neppure un Machiavelli avrebbe mai pensato a una riga così partigiana. Si ha proprio quasi l'impressione che Borgia sapesse esattamente cosa c'era di là della riga. (l'attuale meridiano 40° di long.) IL 25 SETTEMBRE 1493 Colombo, compie il 2° viaggio verso l'America con diciassette navi; raggiunge Puerto Rico nelle Nuove Antille. Il 3 novembre é nelle isole Dominica, scopre poi nel corso di una lunga esplorazione, le isole Caraibi, Giamaica, Maria Galante, le Vergini, S. Cristoforo, Guadalupa, le Trinità. Siano così arrivati al 1496 Intanto i malevoli, invidiando la gloria dell'Eroe, lo calunniano di volersi fare Signore assoluto delle terre scoperte, ed inducono i Sovrani di Spagna ad ingiungergli di sospendere il corso delle sue esplorazioni e di far ritorno in Europa. Colombo ubbidisce e, presentatosi ai Monarchi, dimostra false le accuse. Il 30 MAGGIO del 1498, Colombo riparte per il 3° viaggio. Questa volta il 5 agosto raggiunge davvero il Nuovo continente. Scopre l'Orinoco, la costa occidentale dell'America del Sud (Colombia), e vi fonda la città di Cartagena. Di nuovo calunniato, nel novembre del 1500, é ricondotto in Europa, carico di catene, ma riesce ancora a dimostrare false le accuse. Il 9 MAGGIO 1502, Colombo riparte per il suo 4° viaggio. Esplora le coste orientali dell'America Centrale. Senonchè, per le malattie, i patimenti e le amarezze procurategli dai compagni, decide di ritornare in Spagna. Intanto, Isabella, la sua protettrice, era morta. Ferdinando il consorte, sopraffatto da maligne insinuazioni, gli negava i diritti che gli spettavano in virtù dei patti stipulati. L'Infelice affranto dalle fatiche, dai disinganni e dal peso delle sventure, muore in Valladolid, il 20 maggio 1506. Per le altre esplorazioni avvenute in contemporanea e successivamente. NOTE VARIE - Al ritorno dai viaggi, fra le altre cose, Colombo portò con se in Europa grani di mais (che gli inglesi coltiveranno come mangime per darlo ai tacchini=turkey, a questi animali da cortile anch'essi provenienti dal nuovo mondo. In seguito si darà al mais quello strano nome grano-turco che però non ha proprio nulla a che vedere con i turchi, ma con i "tacchini". IL MAIS (quindi il granoturco) sarà coltivato inizialmente in Europa ed esclusivamente per le bestie. Solo durante le grandi carestie del 1800, per la sua alta resa, si iniziò a consigliarne la coltura (si usarono i parroci nelle campagne per diffonderne la produzione) per soddisfare la grande richiesta di cibo delle popolazioni povere. Se ne fece poi così grande uso come unico cibo per sfamarsi, ma il cereale essendo carente di alcune importanti vitamine, necessarie all'organismo, causò per più di un secolo, uno dei più grandi flagelli europei nell'alimentazione nella povera gente: la pellagra (ne parleremo a suo tempo) 1492: La scoperta del Nuovo Mondo - Questa data, è di rilevante importanza anche per Venezia. Il viaggio di Colombo, volto a scoprire il Levante navigando a Ponente, inaugura una lunga serie di grandi spedizioni navigazioni oceaniche, in particolare la circumnavigazione dell'Africa compiuta da Vasco da Gama, che consente ai Portoghesi di raggiungere per mare i luoghi di produzione delle spezie, realizzando notevoli vantaggi rispetto ai mercanti veneziani, abituati ad esserne riforniti attraverso lunghi e spesso insicuri percorsi terrestri. Non che questo abbia costituito, come troppo spesso si suole ripetere, la rovina per la città lagunare. Infatti per tutto il XVI secolo, e anche oltre, l'economia veneziana continua a prosperare, pur battendo cammini che (con la sola eccezione dell'editoria che registra in laguna una delle sue produzioni più alte) sono abbastanza diversi da quelli seguiti, in generale, dal mondo moderno. Per non citare che due esempi, a Venezia si insiste nella produzione di tessuti di altissima qualità e quindi di alto costo (con un mercato molto ristretto), mentre si diffonde in tutto il mondo civilizzato la confezione di generi d'abbigliamento di tipo medio-basso; inoltre si cerca di snellire e di ammodernare, sull'esempio degli Olandesi, le costruzioni marittime. Ma, soprattutto, a Venezia, si assiste -con inizio del 1404- a un gigantesco trasferimento di capitali dal mare alla terra (fino a Bergamo) attraverso le bonifiche di terreni paludosi promosse dal patriziato veneziano, anche se una fazione in città, quella del "partito del mare" contrasta il partito dei "terricoli", timoroso il primo che questa operazione -di travaso di capitali verso la terra ferma- potesse arrecare danni all'integrità dell'economia della Laguna, tutta a vocazione marittima da ormai cinquecento anni. "Lassemo le cose come le sta" soleva dire un doge. Del resto le "avventure" sulla terra ferma, in certi casi si erano concluse con dei grandi fallimenti. E quando invece andarono bene, l'espansionismo veneziano mise in allarme gli altri stati che si coalizzarono tutti contro la Serenissima. Solo la Lega Cambriai del 1509 riportò un po' di pace con alcuni compromessi. Alla fine di sette anni di rovinosa guerra - che mise perfino a rischio l'esistenza stessa della Repubblica- si ristabilì il dominio di terraferma fino all'Adda, quale rimase fino alla fine della Repubblica. Ammaestrata dall'esperienza, la città dogale, a partire dal 1525, manterrà una saggia neutralità nella situazione di conflittualità internazionale creata dallo scontro fra gli Stati europei. Positiva questa neutralità per la pace interna, ma troppo isolazionista e inerme, fino a un punto che non riuscì poi a conservarla (non avendo alcun alleato) di fronte all'attacco napoleonico, a quello successivo austriaco nel 1848, e per una fazione (quella che voleva ritornare all'indipendenza della Serenissima) fu nefasto anche l'Unione all'Italia sabauda. Con la Pace di Senlis Carlo VIII Re di Francia interrompe momentaneamente le ostilità con gli Asburgo sull'eredità borgognone per avere mano libera nella discesa in Italia che compirà l'anno successivo. In particolare rinuncia ai suoi diritti sulla Franca Contea e sull'Artois. Nonostante questo la politica europea dei prossimi tre secoli sarà contraddistinta dall'ostilità tra la Francia e gli Asburgo. Insomma la vita di Cristoforo Colombo è misteriosa e appassionante, ci sono infinite lacune, distruzione e perdita di documenti, qualcuno falsificato, manipolato, interpretazioni assurde di eventi, ridicole leggende, punti di vista fanaticamente parziali, esaltazioni esagerate o attacchi violenti. In parte l'imbroglio si deve allo stesso Colombo, per la sua eccessiva riservatezza, per la sua trascuratezza nel lasciare testimonianze, per il suo desiderio di dimenticare la sua umile origine ed anche per la sua genialità incompresa. Colombo è un personaggio affascinante e complesso che avvince chi comincia ad approfondire le sue ricerche, chi legge le opere dei suoi migliori ed oggettivi biografi, delle sue relazioni di viaggio, delle sue lettere. Fu un figlio della sua epoca, epoca che riassunse e lanciò audacemente verso il futuro, in questo modo bisogna studiarlo e comprenderlo. Una conoscenza più profonda del secolo nel quale visse può svelare molti punti oscuri e rispondere a molti interrogativi. Permette inoltre di conoscere meglio alcuni dei problemi d'oggigiorno, in particolare latino-americani, eredità diretta del passato. LA RAGIONE DEL PERCHE' SPAGNA E PORTOGALLO: Il colonialismo moderno nasce nell'Europa occidentale dei secoli XV e XVI, allorché già erano in atto i meccanismi economico-sociali di disgregazione del feudalesimo e di formazione dei rapporti di produzione capitalistici, basati prevalentemente sulla manifattura. In questo periodo, la metallurgia e l'industria mineraria, tessile, manifatturiera (ad es. orologi, vetri, specchi, armi da fuoco, oggetti di lavoro precisi, ecc.) avevano raggiunto un'indipendenza quasi totale dall'agricoltura, realizzando profitti notevolmente superiori. Anche nelle campagne era aumentata quella parte della produzione agricola e dell'allevamento del bestiame destinata non al consumo dei contadini e dei feudatari, ma al mercato e allo scambio con prodotti dell'industria. La piccola produzione artigianale destinata al mercato locale, l'economia agricola finalizzata all'autoconsumo, le rendite parassitarie dei grandi latifondisti - tutto ciò stava per essere superato da una forma sociale più redditizia: quella capitalistica, sia essa nella forma commerciale e usuraia del mercante, che nella forma imprenditoriale vera e propria. L'allargarsi del mercato e della divisione sociale del lavoro stavano eliminando i rapporti personali tra produttore e consumatore, stavano trasformando i prodotti in merci, il valore d'uso in valore di scambio... I mercanti, in particolare, diventavano l'anello indispensabile che univa, su vasti mercati, le singole, grosse, aziende con i consumatori. I produttori diretti, artigiani e contadini, rovinati dalla concorrenza dei prodotti dell'industria manifatturiera, o intenzionati a emanciparsi dalla servitù della gleba o dalle costrizioni corporative, si trasformano in operai salariati: i più capaci o i più fortunati tentano la strada dell'imprenditoria privata a scopo di lucro. Uno dei modi ritenuti più facili per arricchirsi era il commercio con l'Asia, la cui importanza era notevolmente cresciuta dopo le crociate. Genova e ancor più Venezia distribuivano a tutta Europa gli oggetti di lusso orientali più richiesti: le spezie (pepe, chiodo di garofano, cannella, zenzero, noce moscata...), l'oro e le pietre preziose. India, Cina e Giappone erano considerati Paesi ricchissimi già dai tempi di Marco Polo. Tuttavia, tre problemi avevano messo in crisi questi commerci: a) il mondo musulmano monopolizzava tutti i commerci con l'Oriente e l'Estremo Oriente, per cui l'Europa non poteva avere legami diretti con queste aree geografiche (la via commerciale che passava attraverso il Mar Rosso era monopolio dei sultani egiziani, che a partire dal XV sec. cominciarono a imporre dazi doganali estremamente alti su tutte le merci); b) il crollo della potenza mongola, ad opera di quella ottomana, ebbe come risultato la fine del commercio carovaniero dell'Europa con la Cina e l'India attraverso l'Asia centrale e la Mongolia (l'ottomano era un regime dispotico di tipo feudale-militare); c) la caduta di Costantinopoli nel 1453 e le conquiste turche nell'Asia minore e nella penisola balcanica avevano chiuso quasi completamente la via commerciale verso l'Oriente attraverso la stessa Asia minore e la Siria. Prima della "scoperta" dell'America, i commerci più proficui, ma del tutto insufficienti, dei Paesi europei con l'Oriente e l'Africa erano diventati quelli con Egitto, Marocco, Algeria e Tunisia. Solo questi Paesi potevano avere collegamenti diretti coi Paesi sub-sahariani (Sudan, Guinea, ecc.), per ottenere oro, avorio, schiavi e prodotti esotici. L'esigenza degli europei, quindi, era di cercare nuove vie marittime verso l'Africa, l'India e l'Asia orientale. Le classi socialmente più elevate: nobili e monarchi, borghesi e alto clero, che conducevano una vita molto dispendiosa o che miravano ad accumulare capitali per investirli in attività finanziarie o produttive, o che necessitavano di finanziamenti per gli apparati burocratici, amministrativi e militari degli emergenti Stati assoluti e nazionali, ritenevano che il modo migliore per soddisfare le loro esigenze fosse quello di avere ingenti quantitativi di argento e soprattutto di oro, cioè una moneta pregiata come mezzo di scambio. Ecco, in questo senso si può dire che il colonialismo fu una diretta conseguenza del capitalismo europeo, anche se ebbe delle ripercussioni fondamentali (ai fini p.es. dell'accumulazione dei capitali) sullo stesso sviluppo del capitalismo. La scienza della navigazione I lunghi e pericolosi viaggi marittimi poterono essere intrapresi solo quando fu perfezionata la navigazione. I primi a trasformare la navigazione furono i portoghesi, che, utilizzando le due più importanti tradizioni navali del loro tempo: nordica e mediterranea (di quest'ultima, in particolare, essi presero come modelli la piccola imbarcazione araba, detta "karabo", usata per i commerci mediterranei, e un tipo di nave a tre alberi in uso a Genova), crearono un nuovo veliero: la caravella. Più lunga delle grosse navi da carico del XIII sec. e più corta delle galee e liburne romane (il rapporto tra lunghezza e larghezza andava da 3,3 a 3,8), la caravella era veloce e facilmente manovrabile, in virtù dell'uso simultaneo di poche vele diritte o quadre (per la propulsione in mare aperto) e di molte vele oblique o triangolari o latine (per la direzione), che le permettevano, con soli 20-30 marinai, di muoversi anche col vento sfavorevole. La necessità di aumentare la velocità e di guadagnare in stabilità aveva determinato l'allargamento della superficie delle vele e, di conseguenza, la trasformazione della chiglia, che si alzava in due parti ricurve uguali, in elemento portante della nave. Nel Mediterraneo, dove le navi usavano vele latine, introdotte dagli arabi all'inizio del XIV sec., l'uso della vela quadra all'albero maestro e della latina a quello di mezzana, segnò una vera rivoluzione, anche se la vela quadra era già stata ampiamente usata nell'antichità greco-romana. Fin dalla metà del '400, navi di tre o quattro alberi erano la normalità. La caravella aveva un unico timone di poppa, interno allo scafo, manovrato attraverso un'asta terminante in una ruota: esso sostituiva il timone esterno e i remi di governo. Il timoniere operava sotto il ponte di coperta ed aveva una visuale molto limitata. La stiva, molto capiente, era utile per le lunghe navigazioni. Lo scafo di scarso pescaggio (grazie alla chiglia "panciuta") consentiva di avventurarsi sui bassi fondali costieri e addirittura di risalire i fiumi per lunghi tratti. Delle tre caravelle di Colombo, solo la Niña (50 tonnellate di stazza, 17 metri di lunghezza) e la Pinta (60 tonnellate di stazza, 21 metri di lunghezza), possono essere definite tali, in quanto la Santa Maria, nave ammiraglia (100 tonnellate di stazza, 26 metri di lunghezza) era piuttosto una "caracca". Essa si sfasciò durante il primo viaggio, mentre l'equipaggio costeggiava l'isola di Haiti. La velocità della caravella sarà superata soltanto dai clippers, gli enormi velieri del XIX sec. La caravella, col tempo, si trasformerà nella fregata, nave tipica da guerra, passando dalla struttura in legno a quella in acciaio. Oltre a ciò furono adottati o migliorati la bussola (l'ago magnetico prima immerso nell'acqua, montato su un perno, ora viene inserito in una scatola, insieme ad un quadrante circolare, diviso in 32 punti: nord, nord-est, nord-nord-est ecc., formando la cosiddetta "rosa dei venti", indipendente dal movimento della nave), le carte nautiche (basate sul mappamondo di Toscanelli) e i portolani (libri particolari che descrivevano le coste e gli approdi: i portolani saranno prodotti come vere e proprie carte marine solo quando si generalizzerà la proiezione cartografica di Mercatore nel 1569), l'astrolabio (strumento goniometrico preso dagli arabi, con cui si calcolava la posizione degli astri e la latitudine), il quadrante nautico e la balestrigia (che facilitavano il calcolo della latitudine in mare), le tavole trigonometriche di martelogio (che permettevano di correggere in modo approssimato lo scarto fra il Nord e il polo magnetico indicato dalla bussola). Qui si può precisare che molta di questa strumentazione, già in uso sulla terra per lo studio dei corpi celesti, venne adottata sulle navi proprio per intraprendere dei viaggi in mari sconosciuti. Per i navigatori era necessario imparare a determinare la posizione delle terre avvistate, in rapporto a precisi punti di riferimento (i corpi celesti), a cominciare dalla stella polare, la cui altezza, cioè l'angolo sopra l'orizzonte, diminuiva via via che una nave procedeva verso sud. Nell'emisfero australe, dove non era più possibile riferirsi alla stella polare, si ricorreva, sempre con l'aiuto dell'astrolabio, alla misurazione dell'altezza della meridiana del sole, il che comportava calcoli piuttosto complicati. In ogni caso per tutto il '500 non fu possibile risolvere il problema della determinazione della longitudine. La navigazione in mare aperto era basata su una stima approssimata della velocità, della direzione e del tempo, integrata con osservazioni di latitudine. La stessa decisione di usare le Canarie come base di partenza del primo viaggio, era nata da un'errata valutazione di Colombo che, sulla scia del Toscanelli, credeva il Giappone (Cipango) non solo sulla stessa latitudine dell'arcipelago canario (28o parallelo), ma anche a una distanza inferiore ai 5000 km, mentre in realtà la distanza è di quasi 20.000 km. Fu dunque un caso che Colombo scoprì l'America. La cartografia Un serio ostacolo all'organizzazione dei viaggi marittimi erano alcune opinioni geografiche che risultarono dominanti nei primi 1500 anni d.C., fondate sulla teoria di Tolomeo, uno scienziato dell'antica Grecia, la cui mappa terrestre fu comunque di gran lunga migliore di tutte le mappe prodotte nel Medioevo. Tolomeo ammetteva la sfericità della Terra, ma la restringeva all'8% della sua reale dimensione, mettendo l'equatore troppo a nord, al punto che a sud la sua mappa si fermava all'Etiopia. Inoltre sosteneva che l'Asia sud-orientale si congiungesse con l'Africa orientale e che l'Oceano Indiano era completamente racchiuso dalla terra (ignorava anche la natura peninsulare dell'India e l'esistenza dell'arcipelago indonesiano). In tal modo non sarebbe stato possibile passare dall'Oceano Atlantico all'Oceano Indiano e raggiungere, per via mare, le coste dall'Asia orientale. Inoltre nel Medioevo si credeva che presso l'equatore esistessero temperature così elevate da far "bollire" il mare e bruciare le navi. La vita sulla Terra era ritenuta possibile solo nelle zone climatiche temperate. Molte di queste idee già nel sec. XIII, con Marco Polo e altri viaggiatori (inclusi i missionari francescani), erano state messe seriamente in discussione (si dimostrò, ad es., che la costa orientale dell'Asia era bagnata dal mare). Nel 1375 l'Atlante catalano dell'ebreo Abramo Cresques aveva presentato un'assoluta novità. Sino a quel momento si credeva che esistesse solo ciò che gli europei avevano visto: ora invece le terre che si sapevano esistere, ma che non si conoscevano, erano raffigurate in bianco, come "luogo sconosciuto" (le isole atlantiche, l'Estremo oriente e i regni africani oltre il Sahara). Agli inizi del XV sec. si avanzò l'idea di poter raggiungere via mare la costa orientale dell'Asia, navigando dall'Europa verso occidente, attraverso l'Oceano Atlantico (vedi ad es. l'opera Imago Mundi del vescovo francese Pierre d'Ailly, del 1410, la carta geografica del cosmografo fiorentino Paolo Toscanelli e il mappamondo dell'astronomo di Norimberga, Martin Behaim). Naturalmente, per condividere un'idea del genere bisognava accettare l'ipotesi della sfericità della Terra e di un unico oceano che la bagnava (ipotesi peraltro già formulata da alcuni antichi scienziati greci). Verso la metà del '400 le mitiche Colonne d'Ercole, barriera del mondo conosciuto, si erano spostate in mezzo all'Atlantico. Il problema era diventato non solo quello di arrivarvi ma anche quello di ritornare in Europa. Non pochi casi erano finiti tragicamente. Decisive furono le esperienze dei portoghesi che nel 1483-84 avevano superato l'equatore, dimostrando a tutti che la zona intertropicale era abitata e attraversabile. Era di colpo crollata la teoria tradizionale secondo cui agli Antipodi gli uomini non potessero stare in piedi e che le navi, scivolando verso sud, non potessero mai fare ritorno. Praticamente, alla fine del XV sec. la rotondità della terra non veniva messa in discussione da nessuno, se non da qualche ambiente clericale. Il merito di Colombo, in tal senso, sta piuttosto nell'aver saputo sfruttare, nel percorso di andata, i venti alisei che nel mese di settembre soffiano in modo regolare e costante presso le Canarie, e, nel percorso di ritorno, i venti occidentali. Da notare che le mappe del capitano turco Piri Reis, scoperte nel 1929 negli archivi del Topkapi, essendo molto precise e di assoluta avanguardia per quei tempi, gettano una luce diversa sul patrimonio delle autentiche conoscenze nautiche a cavallo tra XV e XVI secolo. Forse a partire da esse gli studiosi riusciranno anche a risolvere il famoso mistero di una mappa segreta giunta nelle mani di Colombo prima della sua partenza per San Salvador. L'arte militare Naturalmente senza il perfezionamento dell'arte militare, non sarebbero potute avvenire le esplorazioni marittime commerciali, poiché sia il Portogallo che la Spagna non scartarono mai a priori l'idea di dover usare la forza (soprattutto contro il mondo musulmano), pur di ottenere quello che cercavano. Furono la scoperta della polvere da sparo (miscela di carbone, zolfo e potassio) e i progressi nella lavorazione del ferro ad aprire la strada alla costruzione dei cannoni, in grado di lanciare bombe di ferro o di bronzo che esplodevano sino a mille metri di distanza. Con i cannoni (che perfezionarono le primitive bombarde, larghe di bocca e molto corte, capaci di lanciare solo palle di pietra lungo una traiettoria quasi circolare) si potevano distruggere torri, bastioni, castelli e assediare con successo le città; mentre con i proiettili dei fucili si poteva forare il ferro e il cuoio, rendendo così inutili le pesanti armature medievali. Le caravelle, nate come battelli da commercio, si potevano trasformare in navi da guerra, in grado di portare anche pesanti cannoni, da un minimo di 15 a un massimo di 40. Il resto del mondo E' bene però sottolineare che in questi secoli non era sviluppata solo l'Europa occidentale ma anche una buona parte dell'Asia. Indiani, cinesi, malesi e arabi avevano raggiunto già nel periodo medievale notevoli risultati nel campo delle conoscenze geografiche, nello sviluppo e nell'arte della navigazione negli oceani Indiano e Pacifico. Molto tempo prima della comparsa degli europei nell'Oceano Indiano, questi popoli avevano scoperto la grande via marittima sud-asiatica che collegava i Paesi dal Mar Rosso e dal Golfo Persico fino al Mar Cinese meridionale. Come già detto, nel XV sec. il primato nel commercio e nella navigazione nel Mar Rosso, nel Golfo Persico e nella parte occidentale dell'Oceano Indiano, era passato agli arabi, che erano gli unici veri intermediari nel commercio dell'Asia meridionale con l'Europa. Le loro navi raggiungevano l'India, Ceylon, Giava, la Cina... Città e mercanti dell'Islam -ha scritto F. Braudel- s'impadronivano già di oro, avorio e schiavi sulla costa di Zanzibar e, attraverso il Sahara, nell'ansa del Niger. Anche gli arabi disponevano di bussole, compassi, portolani, carte nautiche e di una vasta letteratura specializzata per la navigazione. Senza questa letteratura, l'arrivo dei portoghesi in India sarebbe stato sicuramente più difficoltoso. Quando le navi di Vasco de Gama, nel 1498, gettarono per la prima volta l'ancora nella città indiana di Calcutta, il loro pilota era il famoso marinaio Ahmed Ibn Madjid. Egli scrisse il Libro di dati utili sulle basi della scienza marinara e sulle sue regole, ove vengono minuziosamente delineate tutte le rotte nel Mar Rosso e nel Golfo Persico lungo l'Africa, verso l'India e verso l'arcipelago malese, fino alle coste della Cina e di Formosa. Solo il commercio marittimo nell'Asia sud-orientale era sostanzialmente nelle mani dei cinesi e dei malesi. La Cina, in particolare, era una grande potenza marinara. Già nel II secolo d.C. nei cantieri cantonesi si fabbricavano navi a quattro alberi, con una capacità di carico di 100 tonnellate. La Cina esportava grandi quantità di seta, porcellane, oggetti d'arte, mentre importava spezie, cotone, erbe medicinali, vetro e altre merci. Nei suoi porti si costruivano vascelli per i viaggi di lungo percorso, in grado di contenere fino a mille marinai e soldati (scorta necessaria per fronteggiare i pirati dell'arcipelago malese). Queste navi erano mosse da vele fatte di canna, fissate su pennoni mobili: il che permetteva di mutarne la posizione a seconda della direzione del vento. Le carte geografiche erano note da tempi immemorabili e alla fine dell'XI sec. le navi cinesi impiegavano regolarmente la bussola, mentre i loro marinai conoscevano alla perfezione i monsoni dei mari del Sud, le correnti marine, le secche, i tifoni, ecc. Nella prima metà del XV sec. essi avevano già realizzato grandi spedizioni militari e marittime nell'Oceano Indiano e nell'arcipelago malese, eliminando le numerose bande di pirati che ostacolavano lo sviluppo del loro commercio con i Paesi dell'Asia meridionale. Tra il 1403 e il 1419 i cinesi erano riusciti a costruire delle navi di circa 100 metri di lunghezza. Si pensa addirittura che intorno al 1420 essi siano giunti al Capo di Buona Speranza. Ciò non può escludere l'ipotesi che la Cina o comunque l'Asia abbia tenuto contatti sporadici con l'America fino a poco tempo prima dell'arrivo degli europei. Anche per i cinesi la Terra era composta da tre continenti: essi conoscevano il profilo sud-occidentale dell'Asia fino al Mar Rosso, la forma triangolare dell'Africa e l'esistenza del Mediterraneo. Inoltre, benché non conoscessero né il nome né il profilo dell'Europa, indicavano sulle loro carte un centinano di toponimi europei, tra cui Germania, Francia, Budapest... Alla fine del '500 saranno i gesuiti a introdurre in Cina la nuova immagine del mondo. Perché Spagna e Portogallo Sino a pochi anni fa si sosteneva che gli indios americani erano venuti dall'Asia (australiani, mongoli, popolazioni uraliche e malesi-polinesiani) attraverso lo stretto di Bering nell'età della pietra. Oggi invece, grazie alla nuove scoperte archeologiche, ai progressi nella stratigrafia e nell'uso del carbonio 14, si fa risalire tale migrazione a 40-80.000 anni prima della nostra era. Alcuni degli antichi abitatori dell'America possono essere giunti dall'Asia attraverso l'Antartico. Probabilmente tale migrazione è cessata circa 20.000 anni prima della nostra era. Comunque a tutt'oggi i reperti umani più antichi che si trovano in America risalgono a 15-20.000 anni fa. Non pochi studiosi oggi sono dell'avviso che i rapporti tra Asia e America siano continuati anche dopo la fine delle migrazioni. Troppe cose simili lo attestano: non solo oggetti di artigianato, sculture, ceramiche..., ma anche nell'ambito dell'architettura, della letteratura, della religione, delle tecniche agricole e di costruzione delle canoe, persino nei calendari e nell'alimentazione. Esiste un documento cinese, conosciuto col nome di Storia delle dieci isole, che risale a due secoli prima di Cristo, e che narra di una spedizione di monaci buddisti diretti verso il continente americano, tornati in Asia dopo 40 anni, attraverso il Pacifico a sud. Quando Colombo raggiunse per la prima volta la terraferma, nell'attuale territorio del canale di Panama, gli aborigeni gli comunicarono che sul versante opposto c'era il mare, anche se non sapevano che ci fosse un continente diverso dal loro. Naturalmente nessuno dei fatti qui ricordati è sufficiente da solo a provare che gli asiatici abbiano "scoperto" l'America prima degli europei; anche perché questi contatti attraverso il Pacifico, se vi sono stati, non hanno prodotto effetti significativi sulle popolazioni del Nuovo Mondo. Alla "scoperta" non seguì la "conquista". E questo vale anche per alcuni europei pre-colombiani: si pensi a quel gruppo di monaci irlandesi, tra cui san Brendano, che nel VII sec. avrebbe -secondo una tradizione- varcato l'Atlantico. O al vichingo Leif Ericsson, che attorno all'anno mille, approdò in Vinlandia, l'attuale Terranova. Oggi peraltro nessuno mette in discussione che gli scandinavi abbiano mantenuto piccoli stanziamenti nel nord-est del continente americano tra il IX e il XV sec., anche se non compresero di aver scoperto il Nuovo Mondo e non introdussero neppure i cavalli. Era necessario elencare queste cose per sfatare anzitutto il mito che Spagna e Portogallo siano state le prime nazioni del mondo a metter piede in America. Gli europei non hanno "scoperto" l'America: semmai l'hanno fatto i primi emigranti asiatici, che hanno popolato un continente disabitato. Meglio sarebbe dire che con Colombo inizia il colonialismo europeo di tipo capitalistico in un nuovo continente. E inizia in modo consapevole, poiché lo stesso Colombo, che per l'occasione cambiò il proprio cognome in Colòn (ripopolatore), negli anni 1497-98 elaborò un Memoriale, abbastanza dettagliato, di colonizzazione, rivolto ai Re Cattolici sul popolamento delle Indie. Nel 1500 scrisse una lettera a donna Juana de Torres in cui rivendicò esplicitamente il suo ruolo di conquistatore: "Io debbo essere giudicato come capitano inviato di Spagna a conquistare fino alle Indie gente bellicosa e numerosa, di costumi e credenza opposti ai nostri, la quale vive per balze e monti senza fissa dimora... Io debbo essere giudicato come capitano, che da tanto tempo ad oggi, porta le armi al fianco senza abbandonarle nemmeno un'ora e che comanda a cavalieri di conquista e a uomini d'azione e non a letterati". Il modello di colonialismo cui Colombo s'ispirava era evidentemente quello portoghese, che aveva realizzato grandi successi, nel decenni precedenti alla "scoperta" dell'America, sia in Africa che in Asia. Molto tempo prima di Colombo vi era stato il colonialismo medievale delle crociate, indirizzato verso l'Europa orientale e il Medio oriente. Praticamente l'Europa occidentale, da quando è sorta l'istituzione della proprietà privata, è sempre stata caratterizzata da rapporti colonialistici col resto del mondo. Al tempo dei romani il ruolo veniva svolto dall'Italia nei confronti dell'Europa e dei paesi mediterranei. Solo partendo da questo presupposto si può comprendere il motivo per cui Spagna e Portogallo, e non Cina o qualche paese arabo, hanno fatto dell'America un continente da sfruttare. Naturalmente non sarebbe inutile cercare di capire se il cristianesimo aveva in sé degli elementi che potevano essere usati meglio di quelli dell'islam o del buddismo, per un'operazione del genere. Gli studi, in questo senso, sono davvero pochi, almeno in Europa. Ancora, in effetti, non è molto chiaro il motivo per cui sono state proprio le due nazioni più cattoliche d'Europa, quelle peraltro che si trovavano nelle peggiori condizioni per uno sviluppo capitalistico (si pensi soprattutto alla Spagna), a dare il via al moderno colonialismo borghese. Probabilmente Spagna e Portogallo cercavano nelle avventure coloniali internazionali un modo pratico per non far morire l'ideale della cristianità, che nell'Europa umanistica e rinascimentale era entrato fortemente in crisi. Spagna e Portogallo, rimaste troppo indietro rispetto ai processi emancipativi del continente europeo, credettero di trovare nel colonialismo l'occasione della propria sopravvivenza in quanto nazioni "cattoliche". In questo senso la "Riconquista" antislamica non sortì l'effetto sperato, poiché alla omologazione ideologica non seguì il benessere economico. Eliminando ebrei e musulmani (cioè le classe e i ceti artigianali, commerciali e finanziari), gli spagnoli e i portoghesi non furono capaci di sostituirli con proprie forze sociali di tipo borghese, né seppero edificare un tipo di società più democratica. Il fallimento economico della "Riconquista" rese in un certo senso inevitabile, se si voleva salvaguardare inalterata l'ideologia cristiana, la sua prosecuzione aldilà dei confini nazionali. Solo col passare del tempo, non senza drammi e tragedie, Spagna e Portogallo saranno costrette ad ammettere che il medioevo cattolico non aveva alcuna possibilità di contrastare l'emergente capitalismo protestante. L'ideale cristiano poteva sperare di sopravvivere solo dopo averlo negato. COME RICORDARE IL V CENTENARIO Proviamo a ipotizzare che cosa sarebbe successo in Europa se non fosse stata scoperta l'America. L'Europa del nord, divenuta protestante e capitalistica, avrebbe colonizzato, molto probabilmente, quella del sud, cattolica e feudale (l'Italia non era feudale ma era divisa in tanti staterelli e quindi era politicamente debole: la Francia cattolica e sempre più borghese cercò di occuparla con la discesa del re Carlo VIII nel 1494). Poi questa Europa avrebbe cercato di orientarsi verso l'est ancora feudale (ma con tracce di socialismo agricolo) e di religione ortodossa. Ma nell'est-europeo forse avrebbe incontrato una certa resistenza (come ne incontrò all'epoca delle crociate e dell'impero latino d'oriente), per cui ad un certo punto avrebbe preferito muovere verso sud, in Africa (scontrandosi di nuovo col mondo islamico, che questa volta però avrebbe avuto la peggio), e poi verso l'oriente asiatico (come già stavano cercando di fare i portoghesi, che erano sì cattolici ma dediti ai commerci, tanto che se non fossero stati occupati nel XVI sec. dagli spagnoli, divenuti loro rivali dopo la conquista dell'America, essi probabilmente sarebbero diventati una nazione capitalistica e protestante, al pari dell'Olanda). L'Europa borghese, in sostanza, si sarebbe avventurata nell'oriente asiatico e islamico, cercando di colonizzarlo non solo sulle coste (come facevano i portoghesi) ma anche nell'entroterra. Cosa che poi comincerà a fare più di un secolo dopo la conquista dell'America. Senza questa conquista, l'Europa, probabilmente, sarebbe stata tutta capitalistica e prevalentemente protestante (come oggi sono gli USA), avrebbe occupato tutta l'Africa (come poi ha fatto insieme agli USA) e buona parte dell'Asia, minacciando costantemente l'Europa orientale. Già prima della Riforma, gli Stati nazionali avevano cercato di emanciparsi dall'egemonia del papato e dell'impero, conservando, nel contenuto la religione cattolica e nella forma la supremazia della monarchia (appoggiata dalla borghesia) sul papato. Con la Riforma molti Stati dell'Europa settentrionale decisero addirittura di abbracciare una nuova confessione cristiana, oppure di conservare quella cattolica tradizionale sul piano istituzionale, ufficiale, ma non negli usi e costumi della società civile (Francia e Belgio). L'Inghilterra ne modificò inizialmente un solo aspetto, ma quello decisivo nell'ambito del cattolicesimo: capo della chiesa diventò lo stesso re inglese. Fatto questo, le sarà poi facile accettare il compromesso col calvinismo sul piano dei rapporti sociali. La Germania, dal canto suo, aveva tutte le carte in regola per diventare una grande potenza capitalistica, ma i protestanti si limitarono a una rivoluzione delle "coscienze" (più tardi l'idealismo farà quella del "pensiero"), nel senso che la borghesia non ebbe il coraggio di trarre le dovute conseguenze pratiche dalla propria emancipazione religiosa. Con la conquista dell'America, invece, due potenze feudali (Spagna e Portogallo, ma la prima soprattutto) riuscirono a restare feudali e quindi cattoliche per molto tempo, prima di lasciarsi surclassare dalle potenze protestanti e borghesi. Quella conquista, in tal senso, non servì loro né per affermarsi come potenze conservatrici, poiché Olanda, Inghilterra e Francia ebbero la meglio; né servì per diventare capitalistiche come le potenze rivali. Fu invece utilizzata per promuovere il capitalismo dell'Europa del nord e per scatenare assurde guerre di religione (come quelle di Carlo V e di Filippo II), onde impedire il trionfo della Riforma. Ormai i tempi erano maturi per la tolleranza e la libertà di religione (seppure nei limiti del cuius regio eius religio). La conquista del 1492 quindi ebbe il merito di dimostrare, indirettamente, che il feudalesimo e il cattolicesimo erano nel XVI sec. due istituzioni completamente superate e che potevano continuare a sussistere, con la forza, solo in America Latina e nelle regioni più arretrate d'Europa. * * * Il dominio ispano-portoghese sul mondo rappresentò dunque, nel XVI sec., l'ultima massima espressione del feudalesimo cattolico europeo e, successivamente, sudamericano. (Da notare che il colonialismo portoghese non lasciò un'impronta profonda, sul piano religioso-culturale, in Asia e Africa). La differenza tra il feudalesimo spagnolo e il capitalismo olandese, francese e inglese non sta nell'esigenza di una conquista del mondo e quindi nell'esigenza di imporre una determinata ideologia, cultura, politica ecc., ma sta piuttosto nel diverso valore attribuito all'economia, cioè al denaro, al capitale, all'oro e all'argento, al commercio e all'industria. Il capitalismo ha potuto svilupparsi all'interno del feudalesimo a motivo di un'analoga sete di dominio, accettata sul piano culturale, ma nel capitalismo, essendo l'attenzione incentrata su aspetti artificiali, come appunto il macchinismo, il capitale, il profitto fine a se stesso ecc., è dovuto accadere un profondo mutamento: la cultura religiosa tradizionale è stata laicizzata. La rivoluzione industriale ha trasformato la teologia in diritto, il cattolico in protestante, il servo della gleba e l'artigiano in borghese, l'uguaglianza davanti a dio nell'uguaglianza davanti alla legge ecc. Per gli spagnoli lo sfruttamento dei coloni doveva servire per condurre una vita da parassiti, da consumatori di lusso, dediti allo spreco, e naturalmente per sostenere l'anacronistico ideale della cristianità universale sotto il papato. Viceversa, per la cultura borghese, lo sfruttamento delle colonie doveva servire per accumulare capitali, per trasformare la natura, per produrre attività industriali, commerciali, per emanciparsi da ogni tradizione cattolica. Lo spagnolo cattolico era troppo "cattolico" per potersi trasformare in un imprenditore borghese. Distruggeva e massacrava non solo per un interesse personale ma anche per realizzare un ideale, quello della superiorità universale del cattolicesimo latino. La Spagna rappresentava gli ultimi resti di quella coscienza integralistica e totalitaria che nel '500 continuava a vedere nella chiesa cattolica un motivo di unificazione universale, da realizzare con la forza politico-militare. In tal senso il bisogno di colonizzare fu dettato anche dalla necessità di sostenere finanziariamente questo ideale impossibile di egemonia mondiale. Il capitale serviva allo spagnolo anche per affermare meglio la propria identità di cattolico, la quale conservava alcuni elementi di critica dello stesso concetto di "conquista", sviluppati poi da alcune correnti progressiste legate soprattutto ai nomi di B. Las Casas, F. Suarez, F. de Vitoria, Bernardino di Sahagùn ecc. Queste correnti accettarono il confronto con le culture indigeniste, ma la Scolastica spagnola, dopo il trionfo della Riforma protestante, divenne chiusa e arrogante. Questa doppiezza, tipica del cattolicesimo-romano, che sul piano teorico afferma valori umanistici e sul piano pratico tollera comportamenti disumani, ha la sua origine nel fatto che il cattolicesimo-romano, pur separandosi dalla confessione greco-ortodossa, ha conservato alcune tracce dell'umanesimo bizantino, il quale cercava di restare coerente con la tradizione cristiana più autentica. In sostanza, quando fu "scoperta" l'America, quando cominciarono ad emergere le nazioni capitalistiche, quando nacque la Riforma protestante, la doppiezza del cattolicesimo-romano aveva raggiunto livelli assolutamente insopportabili e le tracce della passata ortodossia erano diventate così deboli che ormai non vi era nessuna possibilità di risalire attraverso di esse alle fonti originarie e di fondare, sulla base di esse o di una loro laicizzazione, una nuova società. L'Europa insomma divenne capitalistica e protestante anche a causa della tenace opposizione della chiesa cattolica al recupero delle tradizioni ortodosse, quelle tradizioni che sul piano socio-economico seppero favorire una forma di feudalesimo molto meno oppressivo di quello occidentale (tant'è che si cominciò a delineare la necessità del suo superamento solo alla fine del secolo scorso). Non a caso proprio pochi decenni prima del viaggio di Colombo, il papato era riuscito, con un colpo solo, a ottenere il riconoscimento ortodosso del primato universale e giurisdizionale di Roma al concilio di Ferrara-Firenze, nonché la fine delle tesi occidentali sul conciliarismo ecclesiale. * * * Gli spagnoli insomma volevano oro, argento e spezie per arricchirsi come gli ebrei e i mori, senza però dover diventare come loro, e cioè borghesi. L'oro e l'argento, derubati agli indios, non rappresentavano altro che la possibilità di diventare borghesi senza esserlo, cioè di diventare degli sfruttatori senza capacità imprenditoriali o manageriali, senza la cultura protestante. Il genocidio compiuto in America era una diretta conseguenza del terribile odio che uomini di mentalità medievale provavano nei confronti della borghesia di origine ebraica e musulmana (e nei confronti della borghesia in generale). Non dobbiamo infatti dimenticare che la Spagna raggiunse l'apogeo della propria feudalità quando tutti gli altri Stati europei si accingevano a diventare capitalisti. Nella Spagna del XVI sec. la contraddizione fra necessità della tradizione ed esigenze della modernità, era particolarmente acuta. Per la Spagna non c'era altro modo d'impedire la fine del feudalesimo che quello di distruggere fisicamente la classe borghese. Quell'odio vetero-feudale contro la modernità raggiunse proporzioni inaudite nel "Nuovo Mondo" perché qui l'hidalgo conquistador l'associò alla consapevolezza della propria assoluta superiorità bellica. Il feudalesimo spagnolo, diviso com'era in classi antagonistiche, abituato soltanto a ragionare coi criteri della forza, non riuscì ad accettare il comunismo primitivo delle civiltà indigene, anche se l'impatto con la "diversità" fu così forte che la teologia cattolica europea dovette rivedere molti dei suoi postulati. L'europeo della tradizione feudale perse insomma l'occasione di vincere la propria battaglia contro il capitalismo emergente partendo dal recupero del comunismo primitivo incontrato nell'America centrale, che naturalmente avrebbe dovuto essere integrato dalle acquizioni scientifiche, culturali ecc. più progressiste dell'Europa occidentale. In America gli europei avrebbero potuto costruire quella società democratica che in Europa occidentale si riteneva possibile solo superando il feudalesimo col capitalismo. Il fatto che gli spagnoli si siano serviti delle ricchezze del colonialismo per cercare di fermare in Europa l'avanzata del capitalismo e del protestantesimo e di imporre con la forza militare la società cattolico-feudale, si può spiegare solo pensando che già all'interno della confessione cattolica vi erano i presupposti ideologici che avrebbero potuto portato le spedizioni marittime e commerciali d'oltreoceano ad assumere i connotati di spedizioni militari vere e proprie. Cioè a dire, anche se in gioco non vi fossero state la ricerca delle spezie o dei metalli pregiati, tali spedizioni -è da presumere- sarebbero ugualmente avvenute con l'uso della forza militare, appunto perché la religione cattolica, per diffondersi, ne prevede esplicitamente l'uso. Certo è che se non ci fosse stata la motivazione economica, difficilmente avrebbe potuto esserci un colonialismo basato su motivazioni esclusivamente religiose. Neppure le crociate medievali erano prive d'interessi commerciali. In altre parole, mercanti e marinai europei diventavano "violenti" quando le possibilità di arricchirsi sfruttando le risorse altrui erano a portata di mano, ma senza la religione cattolica non si sarebbe affermato un atteggiamento così colonialistico. Non si trovano infatti esempi analoghi nelle terre dominate dalla religione ortodossa. La differenza fra le crociate medievali e lo spirito di conquista del XVI sec. sta soltanto in questo, che allora le crociate erano un'esigenza di tutta la cristianità medievale occidentale, mentre nel XVI sec. erano un'esigenza della nazione economicamente più arretrata d'Europa: la Spagna. A nessuna nazione del '500 sarebbe venuto in mente di conquistare le terre dei mori o dei pagani in nome della diffusione del cristianesimo. L'odio nei confronti del papato era troppo forte e lo stesso papato da tempo aveva perso ogni vera credibilità. Nessun europeo, che non fosse strettamente legato a qualche ambiente clericale, avrebbe accettato di rischiare di morire per un ideale religioso. Questo naturalmente non significa che i mercanti e i borghesi delle nazioni capitalistiche saranno immuni dallo "spirito di conquista", o che schiere di fanatici protestanti non andranno al seguito dei loro connazionali conquistatori, cercando di competere coi rivali cattolici. Solo che le nazioni capitalistiche non avevano più l'onere di dover mediare i loro interessi con quelli della chiesa romana. L'ideale religioso restava strettamente subordinato a quello economico di una classe sociale particolare. * * * Gli spagnoli, quando approdarono per la prima volta in America, massacrarono non solo per motivi economici (cioè per poter diventare borghesi senza esserlo), ma anche per motivi culturali. Ciò che videro infatti rappresentava, fra le altre cose, anche il loro inconscio pre-schiavista o pre-servile, ovvero il desiderio rimosso di poter vivere "felici" in una società priva di conflitti di classe. Essi non riuscirono a tollerare che la "felicità" o il benessere sociale e psico-fisico potessero accompagnarsi con la semplicità dei costumi, degli strumenti tecnico-scientifici e di lavoro, degli atteggiamenti sociali, con la comunione dei beni e il rapporto equilibrato con la natura, coll'assenza di religioni, di leggi, di armi, di proprietà privata, con l'indifferenza (che non fosse estetica) per l'oro e l'argento, con il sentimento dell'innocenza espresso anche dalla nudità fisica... Gli indios che incontrò Colombo (e che egli non riuscì assolutamente a capire), altro non rappresentavano che l'uomo naturale: in antitesi non a "uomo civile" ma a "uomo incivile", cioè a uomo avido e crudele, falso e bugiardo... Il primo genocidio fu il più difficile da legittimare. Non a caso le civiltà pre-colombiane che più hanno resistito ai conquistadores sono state quelle più lontane dalla logica dello schiavismo, quelle cioè che piuttosto che accettare la schiavitù si sono lasciate sterminare. Ancora oggi esistono comunità indigene le cui condizioni di vita sono molto simili a quelle che avevano trovato i conquistatori. In Americalatina vi sono ancora 40 milioni di indios e oltre 400 culture. Viceversa, la distruzione degli imperi inca, maya e azteco va attribuita esclusivamente a interessi economici di profitto, poiché sul piano culturale gli europei avevano già superato il fastidio di "sentirsi giudicati". La pratica dello schiavismo, dell'antropofagia, del sacrificio agli dèi di vergini e bambini, la poligamia dei leaders politico-religiosi ecc. : queste e altre cose facevano sentire gli europei in "diritto" di compiere il genocidio, il saccheggio, l'esproprio, lo sfruttamento... Quei tre imperi, peraltro, stavano lentamente impadronendosi di tutta l'America centro-meridionale. Nello scontro tra europei e amerindi non ha vinto solo la forza delle armi, ma anche la maggiore astuzia di una civiltà che era stata prima schiavista e poi servile per almeno 1500 anni. Tuttavia, gli europei si dimostrarono così ostili alle culture incontrate che non solo non riuscirono a stabilire con esse un rapporto paritetico, egualitario, ma anche quando distrussero le civiltà schiaviste non riuscirono neppure a sostituirle con altre di livello superiore. Essi infatti non fecero che peggiorare la situazione, tanto che ad un certo punto furono costretti a importare gli schiavi dall'Africa per rimpiazzare quelli americani decimati. In questo senso lo "schiavismo" qui importato dagli europei borghesi e protestanti fu senz'altro più efficiente di quello ispano-portoghese. Lo schiavismo degli spagnoli era superiore a quello indigeno solo quanto a perfidia ed esosità. Esso riuscì a imporsi con grande facilità, nell'ambito delle società schiaviste americane, perché ebbe la fortuna di arrivare nel momento in cui quegli schiavismi regionali avevano già perso molta della loro legittimità. Gli spagnoli in pratica hanno interrotto quella fase di passaggio che caratterizza tutte le formazioni sociali schiavistiche: la fase in cui bisogna decidere se trasformare gli schiavi in soggetti di diritto, a causa della loro resistenza allo sfruttamento, oppure se allargare le zone geografiche d'influenza, aumentando così le riserve di manodopera gratuita. Gli spagnoli si sostituirono agli imperi schiavisti optando naturalmente per la seconda alternativa. * * * Cosa deve fare oggi l'Americalatina, cioè il continente che molto più dell'Africa e dell'Asia ha accettato la cultura occidentale? Essa deve riscoprire la propria autonoma identità servendosi della cultura mondiale. Deve riscoprire il suo passato pre-schiavista servendosi di quella cultura mondiale che può aiutarla a uscire dal neo-colonialismo. L'America non può realizzare il socialismo democratico, che ancora non esiste in alcuna parte del mondo, tornando semplicemente alle sue origini pre-coloniali: queste origini non possono essere recuperate affermando l'isolazionismo. Il problema non è più quello di contrapporre le tradizioni comunitarie alla modernità capitalistica, poiché in questo tentativo il confronto vedrebbe il capitalismo vincente. Il problema oggi è quello di vedere se è possibile incanalare la modernizzazione dell'America in queste due direzioni, fra loro complementari: 1) rispettare le ultime tradizioni comunitarie esistenti, integrandole creativamente con le nuove dimensioni del vivere civile; 2) costruire una società democratica e socialista che sappia valorizzare le migliori conquiste tecnico-scientifiche e la cultura più umanistica espressa dall'umanità intera, e quindi anche dall'Occidente. In questo senso la posizione ufficiale dell'occidente capitalistico e della chiesa cattolica non possono essere di alcun aiuto per gli interessi latinoamericani. Le ultime proposte neocoloniali sono state quella degli USA, con l'Iniziativa per le Americhe, secondo cui si dovrebbe creare un megamercato continentale "libero", naturalmente a tutto vantaggio degli Stati Uniti, che temono sempre di più l'espansionismo economico-finanziario del Giappone e l'unificazione europea; e quella della Spagna, con l'Integrazione iberoamericana, secondo cui la Spagna si farebbe intermediaria degli interessi dell'Europa occidentale nel continente sudamericano. Dal canto suo la chiesa cattolica di Wojtyla parla di "nuova evangelizzazione". La ripresa missionaria di questa chiesa dovrebbe servire per rispondere alla sfida delle sètte che pullulano in Americalatina, oltre che per rinnovare la cultura cattolica sudamericana, sempre più minacciata dalla secolarizzazione e per ribadire la stretta dipendenza del cattolicesimo sudamericano da quello europeo. In tal senso Wojtyla rifiuta la "scelta preferenziale per i poveri" come punto di partenza, e privilegia la "fusione delle culture" come elemento essenziale accanto ad altri. La teologia della liberazione viene tenuta rigorosamente ai margini della dialettica culturale del momento. LA FAME D'ORO DELLA SPAGNA Il Paese che ebbe il destino di svolgere il ruolo di "precursore" del capitalismo, e cioè la Spagna, fu anche quello che nel XVI sec. si trovava nelle peggiori condizioni per uno sviluppo capitalistico. Semplicemente perché con la "Riconquista" cattolica del territorio nazionale, che si concluderà nel 1492, i sovrani spagnoli eliminarono la borghesia come classe sociale, essendo essa prevalentemente rappresentata da ebrei e mori. Le fasi della Riconquista La "Riconquista", iniziata nei secoli VIII-IX, vide come protagoniste attive tutte le classi sociali della società feudale, ma soprattutto i contadini, i quali, potendo occupare le terre arabe, devastate dalle continue guerre, miravano ad affrancarsi dalla servitù della gleba. I mercanti e gli artigiani di religione cattolica vi parteciparono perché sapevano che il meridione era economicamente più sviluppato. Fu proprio in seguito a questo processo che si costituirono i grandi Stati della Spagna medievale, come la Castiglia, l'Aragona e la Catalogna. Con lo svolgersi della "Riconquista" inizia a svilupparsi il sistema feudale vero e proprio, in ritardo rispetto agli altri paesi europei. Nella Castiglia la classe dominante era composta da latifondisti laici ed ecclesiastici. L'alta aristocrazia poteva fare guerre senza tener conto della volontà del re e annettersi vasti territori. Essa era esente dal pagamento delle imposte e possedeva diritti di immunità, per cui i funzionari statali non potevano entrare nelle sue proprietà. Catalogna e Valencia erano regioni costiere legate al commercio mediterraneo. L'Aragona invece era molto arretrata, anche se, in virtù delle sue imprese politico-militari nel Mediterraneo, era riuscita ad occupare Sicilia, Sardegna e Regno di Napoli. La corona comunque non sarà in grado di contrastare le forze particolaristiche (città e nobiltà) che miravano a consolidare i loro privilegi. La "Riconquista" riprese con grande vigore verso la metà dell'XI sec., dopo che il califfato di Cordoba si era frazionato in una serie di emirati arabo-berberi, continuamente in lotta tra loro. Gran parte della penisola iberica, nella seconda metà del XIII sec., era occupata da due Stati: Castiglia e Aragona. A occidente invece vi era il Portogallo. Ai mori restava un piccolo territorio attorno a Granada. Il momento più significativo dell'unificazione nazionale fu quando Ferdinando, erede al trono d'Aragona, sposò nel 1469, Isabella, erede al trono di Castiglia. Lo Stato che si formerà da questo matrimonio sarà di notevoli dimensioni, perché comprenderà anche le isole Baleari, la Sicilia, la Sardegna e l'Italia meridionale. Naturalmente non si può qui parlare di "unità politico-nazionale" o di uno Stato "assoluto" (come ad es. quello ad esso contemporaneo dell'inglese Enrico VII). L'unione di Castiglia e Aragona (avvenuta nel 1479) era più che altro "personale": molti atti di governo erano decisi e attuati in comune, ma in molti casi vigeva ancora una separazione giurisdizionale e uno squilibrio in favore della Castiglia. Inoltre la formazione dell'unità nazionale incontrava, sul suo cammino, tre seri ostacoli: a) i grandi feudatari, che volevano conservare il frazionamento politico del Paese, durante la "Riconquista" avevano ampliato notevolmente i loro possedimenti; b) lo strato superiore del patriziato cittadino, favorevole all'unificazione, godeva di molti privilegi medievali e sosteneva il potere regio solo a condizione di non perderli; c) la piccola e media nobiltà sosteneva il re più che altro allo scopo di garantirsi le rendite pagate dai contadini, i quali si opponevano sempre più spesso al servaggio. In ogni caso, con l'appoggio dei piccoli nobili e della borghesia cittadina, la monarchia lottò con successo contro i grandi feudatari. In particolare, l'alleanza con la borghesia consentì alla corona di assicurarsi regolari risorse finanziarie, un esercito non feudale e un severo controllo dell'ordine pubblico. Una volta sottomessa l'alta aristocrazia, la monarchia intraprese la guerra contro l'emirato di Granada, che cadde dopo 10 anni, pochi mesi prima che Colombo "scoprì" l'America. Poi la monarchia, a sorpresa, cominciò a limitare i diritti delle città all'autogoverno, facendole controllare da propri funzionari permanenti, che godevano di ampie facoltà giudiziarie, politiche, amministrative e finanziarie. In tal modo impedì alla borghesia di rivendicare un potere politico. Lo stesso potere delle Cortes (Parlamento) venne notevolmente ridimensionato. In un Paese arretrato come la Spagna, difficilmente l'assolutismo avrebbe potuto avere con la borghesia un rapporto che andasse aldilà di un uso strumentale contro l'anarchia feudale. Ciò che ai Re Cattolici premeva di ottenere, attraverso l'aiuto della borghesia, era unicamente l'estromissione di una buona parte dell'aristocrazia dagli affari politici. Per il resto, sul piano economico, potevano continuare a dominare i metodi tradizionali della società medievale. [Anche per la designazione dei vescovi, la corona poneva al papato condizioni ad essa ampiamente favorevoli]. La politica estera seguì le direttive tradizionali antifrancesi e di salvaguardia del predominio nel Mediterraneo, contro veneziani e musulmani. Il diretto dominio del regno di Napoli e l'occupazione di Tripoli (1511) allontanarono definitivamente, grazie anche alla sottomissione di Algeri e Tunisi, la minaccia islamica e imposero il dominio spagnolo sulle coste africane. Adeguandosi, seppure in ritardo, alla politica generale della cristianità occidentale (che sin dal XIII sec. aveva inaugurato, in concomitanza con le crociate, una strategia persecutoria o quanto meno discriminatoria contro gli ebrei), la monarchia spagnola, per la quale la creazione di uno Stato moderno implicava l'unità della fede religiosa, introduce nel 1480 l'Inquisizione ed emana un editto di segregazione generale degli ebrei. L'antisemitismo raggiunge l'apice allorquando si fonde con la lotta contro i mori e gli eretici. Prima dell'editto reale di espulsione del marzo 1492, vi erano in Spagna da 200 a 300.000 ebrei (sefarditi): dopo l'editto ne emigrarono da 150 a 200.000; ne rimasero in Spagna, disposti a farsi battezzare, circa 50.000. Di quelli emigrati, circa 120.000 riparò in Portogallo, dove già ne esistevano 75.000. Dall'inizio delle persecuzioni almeno 2000 ebrei vennero messi sul rogo. Il grande benessere raggiunto sotto la dominazione araba era finito per sempre. Gli ebrei torneranno in Spagna solo verso la metà del nostro secolo. I mori invece, al tempo dei Re Cattolici, erano circa un milione, di cui 300.000 furono espulsi. Nel 1502 furono dichiarati del tutto "illegali" e quindi costretti alla definitiva espulsione. [Da notare che allora la Spagna aveva circa 10 milioni di abitanti]. Lo Stato e la nobiltà s'impadronirono delle loro ricchezze (inquisitori e delatori ricevevano 1/3 dei beni dei condannati, il resto andava alla corona), ma, non sapendole convertire in capitali, non fecero che favorire i capitalisti stranieri, che poterono così trovare un enorme spazio a loro disposizione. Mentre nei grandi Stati euroccidentali la monarchia assoluta rappresentava il centro dell'unificazione sociale e nazionale, grazie soprattutto all'aiuto della borghesia, viceversa nella Spagna l'assolutismo e l'accentramento monarchico avvennero contro gli interessi della borghesia, a esclusivo vantaggio di quelli aristocratici, in stretta relazione col potere ecclesiastico. L'espulsione degli ebrei e dei mori fu, allo stesso tempo, causa ed effetto della debolezza della borghesia spagnola. Fu il frutto dell'offensiva delle classi nobiliari ed ecclesiastiche contro i settori che minacciavano di costituirsi in borghesia nazionale. A ciò tuttavia va aggiunta la considerazione che se l'espulsione fu possibile, molto dipese anche dal fatto che la borghesia ebraica e musulmana non erano riuscite a integrarsi con quella cattolica o con la popolazione di religione cattolica (che era prevalentemente contadina). D'altra parte l'integrazione non sarebbe mai potuta avvenire finché le parti in causa avessero continuato a considerare le differenze religiose come un ostacolo insormontabile. Non dobbiamo inoltre dimenticare che il cattolicesimo spagnolo mal sopportava di coinvolgersi con lo stile di vita borghese. E' vero che gli ebrei parteciparono alla "Riconquista", mostrando lealtà nei confronti della monarchia, ma è anche vero che se non l'avessero fatto, la loro espulsione sarebbe stata anticipata (l'antisemitismo in Spagna era stato già molto forte alla fine del XIV sec.). Gli ebrei avevano bisogno di "mostrare" il loro patriottismo, onde evitare l'accusa di non sapersi integrare nel contesto sociale. Non a caso la loro espulsione fu appoggiata attivamente dagli strati popolari, poiché sugli ebrei le autorità scaricavano i motivi della crisi socio-economica (furono persino accusati di aver provocato la peste nera del 1348). Economia e classi sociali Il settore agricolo più importante, nella maggior parte delle regioni spagnole del XVI sec., era, soprattutto nella Castiglia, l'allevamento ovino, a causa del grande sviluppo dell'industria tessile nell'Europa nord-occidentale (Fiandre, Francia, ecc.). I tentativi dei contadini di recintare le proprie terre per salvarle dalla rovina provocata dai greggi di passaggio, incontravano sempre forti resistenze da parte degli allevatori, che erano protetti dalla corona per motivi fiscali. La corona anzi fece in modo che gli allevatori potessero accaparrarsi quante più terre possibili. I contadini furono rovinati al punto che tutta la Spagna settentrionale doveva ricorrere al grano d'importazione. In pratica, lo sviluppo dei rapporti mercantili-monetari non portò nelle campagne spagnole al sorgere del sistema capitalistico di produzione, ma, al contrario, favorì la conservazione dei rapporti feudali e la decadenza dell'agricoltura. La produzione artigianale e industriale era concentrata nelle città, soprattutto a Siviglia, Toledo, Granada, ecc. I maggiori successi furono raggiunti nella produzione del panno e della seta, soprattutto dopo la conquista dell'America (i conquistadores avevano bisogno di vestiario, armi, ecc., in cambio di oro e argento), ma anche perché molti contadini, fuggiti dalle campagne, affluivano nelle città in cerca di lavoro. Ciononostante, a confronto con la produzione dei Paesi più avanzati d'Europa, le dimensioni dell'industria spagnola erano modeste, anche a causa del fatto che gli ex-regni spagnoli (Leòn, Valencia, Catalogna...), trasformatisi alla fine del XV sec. in province dello Stato unificato, mantenevano le particolarità del loro sviluppo storico, restando economicamente isolate, chiuse nei propri privilegi feudali (di signori e di città): privilegi che ovviamente creavano ostacoli allo sviluppo dei rapporti commerciali con le regioni vicine (ad es. esistevano ancora numerose dogane). La classe spagnola più rigidamente strutturata era quella nobiliare, suddivisa in: a) Grandi, cioè i ricchi proprietari, a più diretto contatto con la monarchia, dalla quale ottenevano privilegi in cambio di lealtà e di lotta al decentramento dei poteri. Erano i più parassiti; b) Dignitari, non direttamente vincolati alla corona, poiché il loro potere derivava anzitutto dal possesso delle terre. Ogni Grande è un Dignitario, ma il contrario non è sempre vero. Spesso lo Stato deve combattere contro questa nobiltà che pretende ampia autonomia; c) Cavalieri, organizzati in "ordini", con propri regolamenti e rituali rigidissimi, in relazione con la purezza della fede e della razza. La loro ricchezza dipende dal militarismo. Erano i più monarchici, i più razzisti della nobiltà, perché dipendevano totalmente dallo Stato; d) Hidalgos, cioè i nobili decaduti (9/10 della nobiltà nel suo complesso): l'unica cosa che avevano era il lignaggio, di cui naturalmente si vantavano. Disprezzavano il lavoro. Spesso erano un modello che i più poveri volevano imitare (per avere le "apparenze da gran signore"). Sono loro che nel periodo del capitalismo mercantile disprezzano il lavoro e il denaro in nome di valori pre-borghesi (onore, indipendenza di pensiero, senso eroico della vita). In realtà volevano la ricchezza, ma guadagnata nell'avventura, e non per accumulare ma per consumare. Il basso clero spesso assomigliava agli hidalgos. Il vero conquistatore sarà l'hidalgo che dalla "Riconquista" non aveva ottenuto particolari vantaggi materiali. Questo giovane celibe, militare a tempo pieno, cadetto di famiglia nobile ma decaduta, nelle "Indie" si emanciperà economicamente dalla propria soggezione nei confronti della grande nobiltà e della borghesia. I mezzi per ottenere questo non saranno più quelli tradizionali: coraggio militare, lignaggio, onore, ma quelli moderni: massacri, sfruttamento, espropriazione di risorse, ecc. La sua rapida ascesa sociale sarà il frutto non di una "lotta di classe" ma di una "scoperta geografica". De Sepùlveda racconterà nella sua Cronica Indiana, che Hernàn Cortés si sentiva autorizzato da Dio a combattere gli indios pagani, così come un crociato fa la sua "guerra santa" per un fine superiore, nobilitato dalla religione; ma, nello stesso tempo, afferma, con altrettanta sicurezza, che i conquistadores erano lì per rubare e saccheggiare. Il Dio della fede andava trasformato in "oro" e l'oro diventava il nuovo "dio". Nasce il colonialismo Nella primavera del 1492 gli spagnoli avevano conquistato Granada, ultimo baluardo dei mori nella penisola iberica. Nell'agosto dello stesso anno partirono le tre caravelle di Colombo, al fine di scoprire la via occidentale verso le Indie e l'Asia orientale. Colombo venne nominato "ammiraglio e vicerè" di tutte le terre che avrebbe scoperto, con il diritto di tenere per sé 1/10 di tutti i guadagni che ne sarebbero derivati. Colombo si era rivolto alla Spagna quando vide che il navigatore Diaz era tornato trionfalmente in patria dopo aver doppiato il Capo di Buona Speranza, dimostrando così che la via orientale per le Indie era concretamente percorribile. Ora la via oceanica per la Spagna era l'unica possibile, poiché il Portogallo, avendo occupato le isole atlantiche e alcune posizioni marocchine, l'aveva tagliata fuori dalla rotta africana. Il 12 ottobre 1492, dopo 69 giorni di navigazione, le caravelle raggiunsero Guanahani (S. Salvador), una delle isole Bahamas. Dopo questa spedizione, Colombo ne fece altre tre, scoprendo ed esplorando Cuba, Haiti (che divenne il centro della colonizzazione), Giamaica e altre isole caraibiche, nonché il litorale orientale dell'America centrale e la costa del Venezuela. Il motivo fondamentale di queste esplorazioni era la ricerca dell'oro e delle spezie. Colombo, siccome non ne trovò quanto avrebbe voluto, propose ai suoi monarchi di trasportare in Spagna degli schiavi. Gli indigeni delle colonie, trasformati in schiavi, non riuscivano a sopportare il peso delle fatiche, per cui, quando cominciarono a soccombere a decine di migliaia (anche per malattie contratte dal contatto con gli europei) gli spagnoli importarono schiavi africani in massa per sostituirli. La prima importazione iniziò nel 1501 e verso il 1518 era già diventata una delle attività coloniali più redditizie. Nel 1501 si vietò in maniera formale a qualsiasi straniero l'accesso alle cosiddette Indie. Nel 1503 venne fondata la Casa de contrataciòn di Siviglia, sul modello del sistema monopolistico-commerciale portoghese, al fine di regolare e controllare il traffico di passeggeri e merci con le "Indie". Si trattava di una corporazione di commercianti, cui fu concessa autorità sufficiente per impedire che si violassero i privilegi dei commercianti spagnoli che avevano rapporti con le colonie. Per esercitare il controllo tutte le navi dovevano salpare e attraccare a Siviglia. Col tempo, la "Casa" divenne un'istituzione governativa, con compiti politici, amministrativi e giudiziari (i suoi funzionari non potevano partecipare direttamente ai traffici). Essa perse la sua autonomia con la creazione nel 1524 del "Consiglio delle Indie", e si trasformò in uno strumento di potere al servizio dei gruppi finanziari di Siviglia, mentre le facoltà governative, giudiziarie e anche militari vennero trasferite dalla corona al suddetto "Consiglio", i cui compiti erano di proporre al re i nomi di tutte le alte cariche (laiche e religiose) per le Indie; assicurare la censura dei libri e il permesso di pubblicazione; fungere da corte di appello per le sentenze dei tribunali delle colonie, ecc. Il "Consiglio" agiva nel più rigoroso segreto. Nel 1524 l'imperatore Carlo V, sempre più consapevole della necessità di capitali stranieri per sostenere le imprese coloniali, e messo alle strette dai banchieri tedeschi, consentì che mercanti stranieri commerciassero con le Indie, anche se confermò il divieto ad una loro installazione nel Nuovo Mondo. Ma già nel 1525-26 sudditi provenienti da quasi tutti i suoi domini, ottennero il permesso di recarsi in America, e nel 1529 la corona concesse a dieci porti castigliani di commerciare col Nuovo Mondo. Nel 1538, a causa delle proteste dei mercanti spagnoli, che non volevano la concorrenza straniera, si vietò di nuovo a tutti gli stranieri l'accesso alle terre americane. Siviglia riuscirà a conservare il proprio monopolio fino al 1680, allorché dovrà cederlo a Cadice. Tuttavia gli stranieri, facendosi naturalizzare come castigliani oppure ottenendo permessi speciali, continuarono ad approdare sul nuovo continente. Dal sec. XVI al sec. XIX (fine del traffico e della schiavitù), circa 9.500.000 negri furono deportati dall'Africa (la loro condizione giuridica era inferiore a quella dell'indio, al punto che i Codici delle Indie vietavano ai negri di accoppiarsi con le indias). Il 38% fu portato in Brasile, il 6% negli Stati Uniti, più del 50% nelle Antille britanniche, nelle colonie francesi dei Caraibi e in quelle spagnole. Solo Cuba ne accolse 702.000, più di qualsiasi altra colonia spagnola. A differenza della schiavitù indios, quella negra aveva già dei precedenti in Spagna: alla fine del XV sec. c'erano in Andalusia numerosi schiavi importati direttamente dalla Guinea (dopo il trattato di pace di Alcaçovas, nel 1497, col Portogallo, saranno i mercanti lusitani a rifornire di schiavi la Spagna, anche se quest'ultima, con la Casa de contrataciòn, cercherà di realizzare un proprio monopolio schiavista). Il requerimiento Sarà a seguito delle denunce dei religiosi contro il sistema schiavistico, che giocava sull'equivoco della non-appartenenza dell'indio alla specie umana e anche per limitare l'autonomia degli encomenderos, che si promulgheranno nel 1512 le "Leggi di Burgos", che toglievano legittimità all'asservimento degli indios pacifici, alle conversioni forzate, all'encomienda repressiva (vedi più avanti), consentendo però il lavoro forzato e l'intervento punitivo nei confronti dei ribelli. Tali Leggi furono un tentativo di rendere più efficace la predicazione della fede cristiana, impedendo che i conquistatori decimassero le popolazioni indigene. Il papato volle cioè far capire alla Spagna che il privilegio della conquista le era stato concesso anche per la conversione degli indios. Il requerimiento nacque, nel 1514, proprio in applicazione alle Leggi di Burgos. Esso altro non voleva essere che uno strumento per regolamentare, in maniera "legale", le conquiste fino ad allora caotiche: non esprimeva il desiderio della corona spagnola d'impedire guerre ingiustificate, concedendo alcuni diritti agli indiani, ma piuttosto la preoccupazione della stessa corona di tenere sotto controllo i conquistadores e gli encomenderos. Il testo comincia con una breve storia dell'umanità, il cui punto culminante è rappresentato dall'apparizione di Cristo, definito "capo della stirpe umana", il quale avrebbe trasmesso il suo potere a san Pietro e questi ai papi suoi successori. Uno degli ultimi papi avrebbe poi fatto dono del continente americano agli spagnoli (e in parte ai portoghesi). Gli indiani dovevano essere informati della situazione. I conquistatori, infatti (usando naturalmente la lingua spagnola e senza interpreti) intimavano agli indigeni di riconoscere il papa come signore del mondo e, in sua vece, il re di Castiglia per diritto di donazione; in caso contrario, essi si sarebbero sentiti autorizzati a compiere la schiavizzazione forzata, o, nel peggiore dei casi, lo sterminio. L'alternativa dunque era fra il servaggio feudale e lo schiavismo. A causa di questo suo carattere così scandalosamente ipocrita, il requerimiento già nel 1525 non veniva più applicato. In seguito, saranno le Leggi Nuove del 1542 a stabilire formalmente che il monarca spagnolo era sovrano anche degli indios, al fine di sottrarre quest'ultimi al totale arbitrio dei conquistatori. Un altro pretesto con cui si cercò di legittimare la schiavitù fu cercato nel fatto che talune civiltà (ad es. quella azteca), la praticavano ancor prima d'incontrare gli spagnoli. Las Casas però preciserà che, generalmente, tra gli indios la schiavitù era una pena inflitta per determinati delitti, aveva carattere transitorio e non portava alla morte. Inoltre si trattava di una punizione personale e non collettiva, come invece fu quella imposta dai conquistatori, i quali non si limitavano a usare lo schiavo per il lavoro, ma lo usavano anche come merce di scambio. Dopo Colombo La notizia della scoperta di Colombo suscitò un grande allarme in Portogallo, che si sentiva defraudato dei propri possessi asiatici. La contesa tra le due nazioni venne inizialmente risolta dal papato. (In seguito la Spagna si servirà spesso dei riconoscimenti ufficiali della Chiesa romana al proprio esclusivo dominio nel "Nuovo Mondo", perché altre nazioni -soprattutto quelle di religione protestante- pretenderanno una spartizione delle colonie). Tuttavia, dopo il successo di Vasco de Gama, nel 1498, Colombo cominciò ad essere definito un impostore, tanto che i re spagnoli lo privarono non solo del diritto di effettuare altri viaggi verso Occidente, ma anche dei redditi ottenuti dalle terre scoperte. Colombo, in breve tempo, venne privato di tutti i suoi beni, che servirono per pagare i debiti dei suoi creditori. Abbandonato da tutti, morirà nel 1506. Persino il continente da lui scoperto, prenderà il nome dell'italiano Amerigo Vespucci, che negli anni 1499-1504 partecipò ad una spedizione nelle coste del Sudamerica: le sue lettere suscitarono grande interesse in Europa. [Furono gli autori di un'importante Introduzione alla Cosmografia, pubblicata nel 1507, che, valutando i meriti del Vespucci, decisero di dare il suo nome al "Nuovo mondo", che lui stesso peraltro definì così]. Dopo Colombo, altri conquistadores continuarono ad allargare i possessi coloniali spagnoli in America (Istmo di Panama, Yucatan, Messico...). Furono soprattutto intrapresi dei tentativi per trovare uno stretto che collegasse l'Atlantico al Pacifico. Il progetto di una grande spedizione per ricercare la via sud-occidentale verso il Pacifico e arrivare all'Asia per la via occidentale, fu proposto al re spagnolo da Ferdinando Magellano. Il suo obiettivo economico era quello di raggiungere le isole Molucche, che si sapevano ricche di spezie. Magellano partì dalla Spagna nel 1519, arrivò nello stretto che ancora oggi porta il suo nome e puntò verso le rive dell'Asia, attraversando il "Mare del Sud", che ribattezzò "Oceano Pacifico", essendogli apparso molto calmo. Nel 1521, dopo tre anni di navigazione, raggiunse quelle che oggi vengono chiamate le Filippine (che saranno definitivamente conquistate nel 1567). Qui cercò di conquistare le terre da lui scoperte, ma venne ucciso in uno scontro con gli indigeni. Alle isole Molucche giunsero solo due navi delle cinque ch'erano partite, e solo una fu in grado di tornare in Spagna col carico di spezie. Dell'intero equipaggio: 265 uomini, solo 18 erano sopravvissuti. Tuttavia la vendita del carico di spezie fu in grado di coprire abbondantemente le spese della spedizione. Magellano aveva praticamente portato a termine l'opera iniziata da Colombo, anche se la nuova rotta dall'Europa all'Asia non avrà una grande importanza pratica, data la lunga distanza e la difficoltà della navigazione. Cortés e Pizarro Negli anni 1519-21 ben più importante fu la spedizione militare dei 600 conquistatori castigliani comandati dall'hidalgo F. Cortés, che fornito di 16 cavalli e armato di 13 cannoni, era partito da Cuba verso le zone interne del Messico, alla conquista dello Stato degli aztechi, le cui ricchezze non erano inferiori a quelle dell'India. Cortés aveva organizzato la spedizione con i guadagni ottenuti da una piantagione di Cuba. Le vittorie abbastanza facili dei suoi reparti militari dipesero sostanzialmente da tre fattori: - a) la lunga esperienza politico-militare acquisita dai mercenari durante la "Riconquista": proprio in virtù di quel processo di unificazione nazionale, iniziato nella penisola iberica nell'800 e "terminato" nelle Americhe intorno al 1600, si poterono trasferire nelle colonie (adattandole) quelle strutture di dominio che in parte erano già state collaudate nella madrepatria lottando contro i mori; - b) l'impiego di armi da fuoco, corazze d'acciaio e cavalli (mai visti prima in America). Sia nel XV che nel XVI sec. i navigatori, esploratori e conquistatori euroccidentali erano convinti, non meno dei crociati dei secoli precedenti, di appartenere alla parte civilmente e religiosamente avanzata dell'umanità, ma mentre nel Medioevo lo scontro armato contro l'"infedele" era alla pari, ora la superiorità tecnologica degli europei era decisamente superiore. Questo spiega anche perché i 200.000 europei che alla fine del '500 si trovavano oltreoceano erano in grado di controllare popolazioni indigene da 50 a 100 volte più numerose; - c) le discordie intestine fra gli aztechi e le tribù loro soggette. In un primo momento gli aztechi accettarono la cattura, con l'inganno, del loro re Montezuma e che gli spagnoli governassero a nome suo il Paese. Ben presto però scoppiò una grande insurrezione contro gli avidi e spietati conquistatori (ad es. tutti gli oggetti d'oro venivano fusi in lingotti e distribuiti fra i componenti della spedizione). Cortés assediò la capitale Tenochtitlan (l'odierna Città del Messico) con un esercito di 10.000 uomini (in gran parte indigeni anti-aztechi): dei 300.000 abitanti che la città aveva ne morirono ben 240.000. I vincitori s'impadronirono di 600 kg d'oro. Nel 1521 il Messico divenne una colonia spagnola: l'oro, le pietre preziose e le terre vennero suddivise tra i colonizzatori. Successivamente gli spagnoli occuparono il Guatemala e l'Honduras. Nel 1546 sottomisero i Maya nello Yucatan. Essi rivolgevano tutta la loro attenzione verso le zone montagnose dell'America meridionale, ricche di oro e argento. Negli anni 1531-33 il conquistatore Francisco Pizarro intraprese la conquista dello Stato degli inca, nel Perù-Bolivia. Con un reparto di 180 uomini e con 37 cavalli, Pizarro penetrò in questo Stato approfittando della lotta di due fratelli "eredi" al trono. Egli fece prigioniero uno dei due pretendenti, Atahualpa, governando il Paese a suo nome. Per la liberazione di Atahualpa venne preteso un riscatto di 5,5 tonnellate d'oro e 11,8 tonnellate d'argento (cioè in sostanza il valore equivalente a quello di mezzo secolo di produzione europea). Anche questo bottino, d'inestimabile valore artistico, venne fuso in lingotti e diviso tra i conquistatori. Non solo, ma ottenuto il riscatto, essi uccisero a tradimento Atahualpa, occuparono la capitale (impadronendosi di altre 1,1 tonnellate di oro e di 15 tonnellate d'argento) e posero sul trono un indigeno di fiducia. A Potosì (Bolivia) s'impadronirono di ricchissimi giacimenti d'argento. La sola quinta parte di questo argento, dovuta alla corona spagnola, forniva 1/7 della produzione mondiale. Non dimentichiamo che l'estrazione mondiale di argento supererà per valore quella dell'oro sino agli anni '30 del secolo scorso. Questo perché né i portoghesi né gli spagnoli furono in grado di scoprire grandi giacimenti di minerale aurifero. Colombo, Cortèz e Pizarro dovevano necessariamente esagerare le ricchezze americane per poter assoldare gli eserciti, per garantirsi la protezione dei monarchi, per trovare il denaro presso i banchieri e i mercanti che organizzavano le loro spedizioni. Questo, anche se nel XVI sec. l'America fornirà oltre 1/3 dell'oro mondiale, nel XVII sec. oltre la metà e nel secolo successivo i 2/3. Dal 1493 al 1529 nelle "Indie occidentali" vennero estratte circa 22 tonnellate di oro, che comporteranno la morte di almeno 2 milioni di indios. Un altro calcolo vuole che dal 1503 al 1660, circa 16 milioni di kg d'argento giunsero a Siviglia (triplicando l'argento esistente allora in Europa), mentre furono 185.000 i kg d'oro portati dall'America (che aumentò di 1/5 la disponibilità d'oro dell'Europa). Non dobbiamo dimenticare che solo il 40% circa del metallo imbarcato in America giungeva a Siviglia: neanche 20 anni dopo la conquista dell'America, le navi spagnole che trasportavano l'oro verso l'Europa cominciarono ad essere assalite dai pirati, inclusi quelli olandesi, inglesi e francesi. Infatti, proprio i rischi e le difficoltà inerenti allo sfruttamento delle miniere, indurranno la corona spagnola a rinunciare al proprio monopolio assoluto e a cedere le miniere in usufrutto, e ad affidarle a privati in cambio di una percentuale (5%) del metallo estratto. Per evitare che oro e argento finissero in mano agli stranieri, la corona proibiva alle colonie qualunque importazione da altri Paesi, ed anche l'impianto di industrie straniere veniva ostacolato. Alle colonie dunque non restava che ricorrere al contrabbando, essendo la madrepatria incapace di soddisfare le loro esigenze, che non riguardavano soltanto armi, vestiti, cavalli, grano e vino, ma anche prodotti di lusso, tessuti, libri, alimenti del Vecchio Mondo, cui si sentivano nostalgicamente attaccati. Con ciò naturalmente non si vuole affermare che nelle colonie esisteva un maggior "spirito capitalistico". Le ricchezze che restavano in America, dedotta la maggior parte destinata al processo di accumulazione europeo, non venivano impiegate in un processo di sviluppo, ma investite nella costruzione di palazzi e chiese lussuose, nell'acquisto di gioielli e articoli di lusso o di nuove terre da parte dei proprietari di miniere e grossi latifondisti. All'inizio degli anni '40 gli spagnoli occuparono il Cile, mentre nella seconda metà del XVI sec. conquistarono l'Argentina. Lo sviluppo autonomo di tutti i popoli del continente americano venne definitivamente bloccato. La colonizzazione dell'Occidente cristiano sopportava meno di quella islamica che là dove fosse riuscita ad insediarsi, le civiltà dei vinti potessero continuare a seguire relativamente indisturbate il loro corso. E così nei primi due decenni della conquista perirono (soprattutto di malattie) circa 40 milioni d'indigeni. Alla fine del '500 da 80 milioni circa che erano, essi si trovarono ridotti a 12 milioni. Nel 1650 la cifra era scesa a 3,5 milioni: oltre il 90% di perdite. Solo nel Messico centrale la popolazione si ridusse nel 1605 a 1.075.000 unità dei 25 milioni che era prima dell'arrivo di Cortés. La storia dell'umanità non ha mai conosciuto una catastrofe demografica di queste proporzioni. Ancora oggi l'America Latina è l'unico dei tre continenti colonizzati dall'Europa nel quale mai nessun popolo indigeno ha potuto riprendersi il potere. L'encomienda La monarchia spagnola, a differenza di quella portoghese, riservava ai conquistatori, attraverso un rapporto d'investitura personale, l'esclusiva dei monopoli e dello sfruttamento delle terre d'oltremare. Il moltiplicarsi delle concessioni ridusse, almeno relativamente, le prerogative dei vari conquistatori, portando all'istituzione dell'encomienda (che entrò nel diritto pubblico spagnolo sin dal 1503). L'encomienda (tutela) consisteva nella delega ad un imprenditore dei diritti signorili su un repartimiento (dominio) e sugli indigeni che lo abitavano. I repartimientos altro non rappresentavano che la schiavitù "de facto", l'encomienda invece rappresentò la schiavitù "de jure". Con il primo sistema i conquistatori schiavizzavano gli indios in modo del tutto arbitrario; con il secondo sistema li schiavizzavano in modo conforme alla volontà del re. L'encomienda non era che un contratto medievale per il quale il re concedeva degli indios in usufrutto (non in proprietà) e per un tempo limitato al conquistatore, il quale aveva l'onere di organizzare la loro vita, di istruirli e di cristianizzarli (gli indios, se si convertivano, non potevano essere considerati "schiavi", ma "servi della gleba"). I repartimientos, inizialmente, furono autorizzati dalla corona con l'obiettivo di servire a pubbliche necessità (sfruttamento dei giacimenti, carico delle merci, costruzione di città e opere urbanistiche, ecc.), ma in pratica i coloni si servivano della popolazione indigena per ogni tipo di lavoro. I più grandi saccheggi delle Indie furono causati più dai repartimientos che dall'encomienda. Gli indios repartidos non erano proprietà di nessuno e, allo stesso tempo, appartenevano a tutti e tutti potevano fare di loro quello che volevano. In questo senso, l'encomienda rappresentò il passaggio dalla fase in cui l'indios veniva "negato" come tale, alla fase in cui, dopo averlo riconosciuto come "essere umano", si iniziava ad "assimilarlo", rendendolo accettabile alla cultura europea. La denuncia più famosa contro questo sistema fu lanciata, come noto, dal padre domenicano Bartolomé de Las Casas: La sua Brevissima relazione della distruzione delle Indie è del 1552. Las Casas contestò i seguenti aspetti della colonizzazione: a) l'istituto giuridico del requerimiento; b) la cristianizzazione forzata; c) l'encomienda e le guerre di conquista. Las Casas chiese: a) l'affermazione del fondamento "naturale" del diritto di ogni popolo all'autodeterminazione; b) la limitazione della sovranità del re, al fine di non sopprimere gli ordini locali preesistenti; c) il risarcimento dei danni provocati dal saccheggio delle risorse naturali. Las Casas fu però favorevole, nel 1516, all'utilizzo degli schiavi neri per alleviare la sorte degli indios, anche se alla fine della sua vita ammise l'errore. L'encomienda serviva anche a uno scopo socio-militare: siccome il pagamento "in indios" costituiva parte delle retribuzioni che il conquistatore riceveva dal re per i suoi servizi militari, la corona vedeva in questo rapporto uno strumento per stabilire un controllo sul conquistatore, che era tenuto, in forza appunto dell'encomienda, a determinati doveri nei riguardi del re. La corona inoltre sperava che l'encomendero si sentisse integrato nella società coloniale nascente ed evitasse di abbandonarla dopo averla sfruttata al massimo. La corona, d'altra parte, non era in condizioni di finanziare eserciti professionali per l'immenso continente scoperto. Naturalmente per i conquistatori gli obblighi militari venivano intesi nel senso di poter realizzare guerre di espansione per catturare più indios. Tutte le controversie tra la corona e i conquistatori verteranno proprio sull'interpretazione della natura dell'encomienda: istituzione di carattere pubblico, per la monarchia; di carattere privato (cioè inalienabile ed ereditaria), per i conquistatori. La lotta cioè sarà tra l'istituzione feudale della monarchia, che voleva rapportarsi solo con "vassalli" e "servi della gleba", e i conquistatori, che volevano trasformarsi in imprenditori schiavisti. Dall'encomienda comunque non sorgerà alcun vero "vassallo", alcuna élite militare, caratterizzata da un sentimento eroico e cristiano della vita, ma piuttosto una classe economica assetata di ricchezze (soprattutto quando si formerà la seconda generazione di encomenderos). Da notare che dall'unione tra indias e spagnoli nascerà una nuova razza e classe sociale che sarà altamente redditizia per gli obiettivi dell'accumulazione pre-capitalistica: il meticcio. Sebbene formalmente vassalli del re, i meticci non erano né spagnoli né indios: non venivano encomendados, ma sfruttati col pagamento di un salario, per cui i coloni si liberavano da ogni responsabilità di tutela. In molte di queste encomienda s'impose, almeno nelle fasi iniziali della conquista, una vera e propria "anarchia sessuale", nel senso cioè che al patriarcalismo di tipo cattolico-monogamico si sostituirà quello di tipo musulmano, rendendo l'harem un'istituzione semi-ufficiale, che la chiesa spagnola cercherà sempre di ostacolare. Non dobbiamo infatti dimenticare che i rapimenti di donne indigene costituirono le prime forme di schiavitù, che dureranno per tutto il periodo coloniale. A differenza di quella maschile, la schiavitù femminile sembra essere tollerata dalla legislazione delle "Indie", tant'è che non si trovano leggi che vietino tali pratiche. Esistevano peraltro specifici repartimientos di donne per il servizio domestico (cameriere, nutrici, cuoche...) e quelli realizzati con il matrimonio tra un'india e un conquistatore, per facilitare a quest'ultimo l'accesso alla proprietà terriera e quindi per ottenere un'encomienda. I precedenti dell'encomienda risalgono a quando Colombo impose agli abitanti maggiori di 14 anni, di alcune province delle Antille, un tributo consistente in una certa quantità di oro ogni tre mesi (gli indios lontani dalle miniere dovevano consegnare 11,5 kg di cotone a persona). La differenza tra repartimientos ed encomienda stava anche in questo, che il tributo riscosso nella prima forma di organizzazione del lavoro, diverrà legittimo, dal punto di vista della corona, solo nella seconda forma di organizzazione produttiva. Le prerogative dell'encomienda vennero limitate nel 1530, 1542 e 1549, ma esse sopravviveranno sino al XVIII sec. (alle Filippine furono estese nel 1565). Il boomerang della conquista Le conseguenze della conquista dell'America sulla Spagna feudale furono catastrofiche, anche se in un primo momento contribuirono ad accentuare l'assolutismo della monarchia. Verso la metà del '500 le contraddizioni economiche del Paese erano già enormi: persino al tempo della sua massima floridezza economica (inizio XVI sec.), l'import era superiore all'export, in tutte le merci più significative. Questo perché la corona non difese mai la propria industria dalla concorrenza straniera, né per la produzione interna né per l'esportazione. L'assenza di una borghesia che fosse capace di trasformare l'oro e l'argento in uno strumento per la produzione capitalistica, determinò tre conseguenze fatali per il Paese: a) la dipendenza dalle nazioni europee più avanzate; b) il consolidamento delle classi parassitarie; c) il peso assoluto dello Stato nella società. Già nel 1528 i genovesi erano padroni della maggior parte delle imprese commerciali spagnole: verso la metà del XVI sec. dominavano le industrie del sapone, il commercio dei cereali, della seta, della lana, dell'acciaio e di altri articoli ancora. La corona era ipotecata con banche e case di credito europee (ad es. i Fugger). Il motivo di questa crisi è facilmente comprensibile. L'America produceva oro e argento; se la Spagna li voleva, doveva dare qualcosa in cambio, e se non aveva gli articoli richiesti dalle province d'oltremare, era costretta ad acquistare questi articoli in altri Paesi d'Europa ed esportarli in America per proprio conto. Con che cosa poteva pagare gli articoli comprati in Europa? Soltanto con l'oro e l'argento americani, oppure con la lana, la seta, il ferro e la frutta della Spagna, ma quest'ultima possibilità era irrealizzabile, poiché il Paese non conosceva una vera e propria rivoluzione industriale, avendo eliminato la borghesia come classe sociale. Anche quando la corona di Spagna, per motivi di parentela, si troverà legata a quella dell'Impero, sotto il nome di Carlo V (1530-56), unendo territori vastissimi (Spagna, Italia meridionale con le isole, Paesi Bassi, Impero, Franca Contea e colonie americane), la situazione economica mon migliorerà. (Carlo V era nato nei Paesi Bassi; la sede del suo impero era in Germania; i suoi consiglieri erano tutti fiamminghi). Carlo V era convinto che nel '500 si potesse ancora costruire una "monarchia cristiana universale", contro soprattutto le rivendicazioni borghesi e protestanti. Ma la sua politica assolutistica e vetero-feudale incontrò subito grandi resistenze: i principi feudali tedeschi, di religione protestante, lo costrinsero a rinunciare all'idea della "monarchia universale cristiana"; la Francia si oppose efficacemente al suo tentativo di egemonizzare l'intera Europa; i turchi minacciavano la parte sud-orientale dell'Europa centrale; i pirati algerini minacciavano le coste spagnole... Solo in Spagna l'assolutismo di Carlo V ebbe la meglio, con la repressione della rivolta dei "comuneros", cioè dei Comuni liberi della Castiglia, i quali chiedevano: presenza della sede regale in Spagna, conferimento delle cariche pubbliche solo agli spagnoli, convocazione triennale delle Cortes (Parlamento), indipendenza dei deputati dalla corona, divieto di esportazione di oro e argento americani... La rivolta, cui inizialmente aderirono tutte le classi sociali, fallì perché a queste richieste la borghesia ne aggiunse altre dirette contro gli interessi della nobiltà (redistribuzione delle terre, pagamento delle imposte, cariche amministrative elettive...). I nobili si staccarono dal movimento e la borghesia non ebbe la capacità di dirigerlo. Carlo V abdicò nel 1556, dividendo l'impero in due parti. Re di Spagna diventò il figlio Filippo II (1556-98), che ereditò Franca Contea, Paesi Bassi, possessi in Italia e nelle colonie. Filippo II perseguì fanaticamente un solo scopo: il trionfo del cattolicesimo a livello europeo e lo sterminio degli eretici. Un censimento effettuato durante il suo regno attesta che, fra sacerdoti, chierici con gli ordini minori e frati, il clero costituiva il 25% della popolazione adulta. Instaurò in Spagna un regime di terrore, adottando l'Inquisizione. In 18 anni d'Inquisizione, sotto la direzione di Torquemada, furono processate 100.000 persone, di cui bruciate, in effigie, da 6 a 7000, e 9000 in carne ed ossa. Egli occupò il Portogallo nel 1581. Poi pensò di cattolicizzare l'intera Europa. Gli ostacoli maggiori che incontrò e che segnarono la fine della potenza spagnola, furono: l'Inghilterra, che distrusse nel 1588 metà flotta navale dell'"Invincibile Armada"; la Francia, che dopo un'aspra guerra riuscì a concludere una pace vantaggiosa; i Paesi Bassi, che dopo una vasta ribellione, si resero indipendenti... La rivoluzione dei prezzi La crisi economica interna diede alla Spagna di Filippo II il colpo di grazia. Il problema fondamentale era rappresentato dal rincaro delle materie prime, dei prodotti agricoli e delle merci industriali e artigianali, collegato al fatto che la massiccia importazione di oro e argento dalle colonie, provocando l'inevitabile "rivoluzione dei prezzi", invece di arricchire il Paese, ancora sostanzialmente feudale, lo impoveriva sempre di più (al punto che i tessuti fabbricati nei Paesi Bassi con lana spagnola, costavano meno dei tessuti prodotti nella stessa Spagna). La rivoluzione dei prezzi fu un fenomeno di portata europea. Verso la metà del XVI sec. nelle colonie americane si estraevano oro e argento in quantità 5 volte maggiore rispetto a quanto se ne otteneva in Europa prima del 1492 (nella seconda metà del '500 la quantità sul mercato europeo era aumentata di 16 volte rispetto alla prima metà). Questo afflusso massiccio e a buon mercato (perché ottenuto con il lavoro sottopagato dei servi della gleba e schiavi indios) portò in Europa alla svalutazione della moneta (la cui circolazione dopo la conquista era comunque aumentata di 4 volte) e quindi del suo potere d'acquisto e al rincaro del costo della vita. L'aumento dei prezzi per tutte le merci, sia agricole che industriali, in media andava dalle due alle tre volte (però, ad es., verso la fine del '500 il prezzo del pane era cresciuto di 16 volte rispetto agli inizi del secolo). Il processo si fece chiaramente inflazionistico a partire dalla metà del sec. XVI, soprattutto per quanto riguarda i prezzi agricoli. Naturalmente per i tempi di allora anche un semplice tasso inflazionistico del 2 o 3% annuo risultava molto preoccupante. L'aumento dei prezzi favorì i Paesi in via d'industrializzazione, come Inghilterra, Olanda e Francia, ovvero le classi a reddito mobile, e colpì i Paesi che avevano larghi crediti, come ad es. Genova, e le classi a reddito fisso. Fra le classi a reddito mobile vanno annoverate la borghesia, i contadini ricchi che potevano vendere una parte della loro produzione e la nobiltà che impiegava lavoro salariato nelle proprie terre, i proprietari terrieri che affittavano a breve termine, ma ci guadagnavano anche i contadini che avevano contratti d'affitto a lungo termine, per i quali pagavano un rendita monetaria fissa. S'impoverivano invece i signori feudali che avevano concesso le terre in affitto a lungo termine, anche se cercavano di riparare alle perdite inasprendo lo sfruttamento dei contadini, elevando la rendita monetaria, passando in certi casi dal tributo in denaro a quello in natura, oppure cacciando i contadini dalla terra, ovvero introducendo nelle campagne dei meccanismi di sfruttamento capitalistici. Naturalmente chi soffrì di più dell'inflazione furono i contadini poveri e tutti i salariati. Il livello dei salari non si elevò affatto in modo proporzionato, sia per la lentezza con la quale reagirono gli organismi corporativi, sia per l'abbondanza di manodopera e per l'esistenza di disoccupati. Le costose merci spagnole, inferiori per qualità a quelle dei paesi nord-europei, non potevano sostenere la concorrenza dei prodotti stranieri e cominciavano a perdere tutti i mercati di sbocco. Esprimendo gli interessi della nobiltà, la quale riceveva ingenti redditi anche dalle miniere d'argento e dai campi auriferi d'America, la monarchia non favoriva in alcun modo l'industria, ma solo gli allevamenti ovini per l'esportazione della lana greggia. Soprattutto nella prima metà del '500. Ma nella seconda metà del secolo si ricominciò a coltivare grano, in seguito alla caduta della domanda laniera da parte delle manifatture olandesi. Per reagire al rialzo eccezionale dei cereali, lo Stato ne fissò i prezzi massimi alla produzione: ma ciò andò a vantaggio dei grossisti, che li rivendevano poi a molto di più. Il commercio del grano era già per 1/4 in mano ai Fugger (grande compagnia commerciale e usuraia tedesca, la quale disponeva anche dei maggiori giacimenti di mercurio e zinco della Spagna). Il Paese fu praticamente invaso dai mercanti stranieri, che lo trasformarono in una "colonia europea". L'oro americano finiva all'estero, per il pagamento degli interessi ai banchieri genovesi e tedeschi sugli enormi prestiti concessi alla corona, oppure per finanziare le guerre e le controriforme della casa d'Asburgo. Benché la corona si fosse riservata il 20% di tutta le quantità di metallo prezioso fatto giungere a Siviglia, essa fu la prima a proclamare la loro insufficienza. Il governo non era in grado di pagare i propri debiti. Nel 1557 cercò di trasformarli in obbligazioni di Stato, offrendo la garanzia che in caso di bancarotta essi non sarebbero stati annullati. Filippo II però, dovette dichiarare bancarotta per ben sei volte, determinando così una serie di fallimenti a catena. Era infatti divenuto abituale che, in attesa dell'arrivo delle flotte dall'America e per rendere continuo il flusso dei pagamenti, oltre che per effettuarli sulle piazze e sui teatri d'operazione più diversi, i finanzieri europei anticipassero, con un forte interesse, le somme di cui la monarchia spagnola aveva bisogno. Già nel 1557 si ebbero delle bancarotte nei Paesi Bassi, a Milano e a Napoli, oltre che in Francia. Naturalmente le maggiori vittime del terremoto bancario erano i piccoli risparmiatori. A causa di questa grande incertezza finanziaria il credito si estese tramite il sempre più abituale impiego della lettera di cambio. E comunque alla fine del '500 l'argento in Spagna sparì dalle monete, facendo posto al rame. Per concludere In definitiva, lo Stato assoluto spagnolo conservava una somiglianza soltanto esteriore con le monarchie assolute del resto d'Europa. All'inizio del XVII sec. immense ricchezze erano concentrate nelle mani dei Grandi nobili e del clero (quest'ultimo aveva 1/4 di tutte le terre). Si cacciarono persino, nel 1609, gli ultimi 500.000 moriscos rimasti nel Paese (mori convertiti), per confiscarne tutti i beni. Un secolo dopo, un altro censimento relativo alle categorie sociali, segnalava, fra l'altro, che i nobili erano circa 723.000, i loro domestici circa 277.000, i burocrati 70.000 e i mendicanti circa 2 milioni. Alcuni storici però hanno osservato che se l'America fosse stata "scoperta" da imprese come quella dei Fugger o dei Welsser, il genocidio degli indios sarebbe stato assai più grave (come avvenne ad es. in Venezuela). Per un mercante di religione protestante, la conquista non avrebbe avuto altra giustificazione che il guadagno. Persino Enrico VII d'Inghilterra, cattolico non meno ortodosso dei sovrani di Spagna e Portogallo, quando nel 1496 incaricò G. Caboto di "conquistare, occupare e prendere possesso delle terre dei pagani e degli infedeli", evitò ogni accenno alla morale e all'opera di conversione. Da notare che Spagna e Portogallo per tre secoli tennero strettamente legate alla madrepatria le colonie americane abitate da europei, ignorando la distanza e i fattori ambientali che potevano favorire il distacco e mantenendole assai vicine al modello della civiltà iberica. Questa impresa non fu uguagliata da nessun altro Paese coloniale europeo. Naturalmente, nonostante i trattati di Tordesillas e di Saragozza, che dovevano assicurare a Spagna e Portogallo la spartizione delle terre scoperte, i governi di altri Paesi europei cominciarono a rivolgersi verso le parti inesplorate della Terra alla ricerca di guadagni e ricchezze. Giovanni Caboto, a nome dell'Inghilterra, raggiunse nel 1497 la costa orientale del Canada, mentre suo figlio l'anno dopo esplorò la costa nord-orientale degli attuali Stati Uniti. Gli olandesi scoprirono l'Australia nel XVII sec. Anche i russi rivolsero una particolare attenzione alle scoperte geografiche, spinti dallo sviluppo dei rapporti mercantili-monetari e dal processo di formazione di un unico mercato interno. Partendo dalla loro base originaria sul Dnepr, essi si lanciarono, attraverso l'ovest, sull'Europa slava e balcanica dominata dagli ottomani; attraverso l'est e il nord, sul grande mondo eurasiatico delle razzie tartaro-mongoliche, ampliando le loro frontiere sino alla Cina e appropriandosi di un tratto dell'America: l'Alaska. Fu nel 1648 che scoprirono lo stretto che divide l'America dall'Asia (chiamato più tardi di Bering) e quindi la via marittima attorno all'Asia nord-orientale, costeggiando la Siberia.

 
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