Home | Storia | Arte e letteratura | Foto | Ceramica | Moda | Info | Mappa
STORIA E LEGGENDA
HOTELS E RISTORANTI
ARTE E LETTERATURA
FOTO
CERAMICA
MODA

LA STORIA ED I PERSONAGGI ERETICI
Testi tratti dal sito: www.eresie.it di Douglas Swannie

LA STORIA DEGLI ERETICI- PERSONAGGI E VICENDE



Monarchianismo



Il monarchianismo (dal greco móne arché : principio unico) era un movimento
teologico del II e III secolo dopo Cristo, il cui scopo era di preservare
l'unità del concetto di Dio, negando la Trinità o la natura divina di
Cristo.
Facendo così, però, i monarchiani cadevano in due errori diametralmente
opposti tra loro: il modalismo o l'adozionismo.


1. Modalismo
Il modalismo fu una delle forme in cui si espresse il monarchianismo.
In particolare affermava che le persone della Trinità non erano altro che
"modi" di essere e di agire dell'unico Dio.
Il pensiero modalista fu probabilmente elaborato da Noeto, vescovo di
Smirne, mentre, secondo alcuni autori, il ruolo di caposcuola (ancora tutto
da dimostrare) sarebbe attribuito a Prassea, vittima, si ritiene, di una
campagna denigratoria orchestrata dal noto scrittore cartaginese e teologo
cristiano Tertulliano (155-222) per togliergli credibilità in quanto strenuo
oppositore del movimento montanista, di cui, guarda caso!, T. era un
difensore.
Tertulliano scrisse il libello Adversos Praxean, attaccando le presunte idee
modaliste di Prassea, che probabilmente erano state elaborate da Noeto o dai
suoi discepoli Epigono e Cleomene.
Il modalismo ebbe un ritorno di interesse intorno alla metà del III secolo
con Sabellio, che ribadì che la Trinità era fatta di modi di rivelazione o
attributi dati a Dio.
Un'ulteriore caratteristica del modalismo erano le idee patripassianiste,
cioè il concetto che fu il Figlio a incarnarsi solo in quanto "modo" scelto
dal Padre per manifestarsi e che quindi fu il Padre in realtà a soffrire e
patire la Passione.


2.  Adozionismo o monarchianismo dinamista
L'adozionismo, una forma di monarchianismo, ribadiva che, al momento del
battesimo di Gesù nel Giordano, il Cristo era sceso su di lui sotto forma di
una colomba e, solo da quel momento, Gesù era stato "adottato" come figlio
da Dio. Prima di questo episodio, Gesù era stato semplicemente un uomo
(psilos anthropos) e aveva vissuto come gli altri uomini. Questo fatto
eccezionale non lo rese Dio, ma lo diventò dopo la sua resurrezione.
L'adozionismo fu elaborato da Teodato (o Teodoto) di Bisanzio, un conciatore
di pelli, il quale si recò a Roma durante il papato di Vittore (189-198) a
insegnare la sua dottrina e per questo fu scomunicato, per l'appunto, da
Vittore.
L'operato di T. fu portato avanti dal quasi omonimo Teodato (o Teodoto),
detto il Banchiere o il Cambiavalute e da Esclipedoto durante il papato di
Zeffirino (198-217).
Intorno alla metà del III secolo l'adozionismo ebbe un revival con Artemone
a Roma, ma soprattutto con Paolo di Samosata, il più preparato teologo, che
avesse aderito a questa eresia.


Gribaldi Mofa, Matteo (1506-1562)



La vita
Matteo Gribaldi Mofa nacque a Chieri, vicino a Torino, nel 1506. Dopo la
laurea, divenne professore di diritto civile all'Università di Padova, dove
si accostò alle idee riformiste dopo aver letto il Trattato del Battesimo e
della Cena del frate minorita Camillo Renato (alias Paolo Ricci).
Nel proprio ruolo di docente, fu quindi in grado di influenzare e convertire
diversi discepoli, fra cui, più tardi (1552-54), il polacco Pietro Gonesius
(Goniadz). Come apprezzato professore universitario, G. svolse la sua
attività sia in Italia (Padova e Perugia) che in Francia (es. Grenoble).
Durante il suo soggiorno in quest'ultima città francese, G. acquistò nel
1535 ca. il castello di Farges, nel Pays de Gex, al tempo sotto la
giurisdizione del Cantone Berna.
La sua attività accademica lo costrinse spesso ad un faticoso pendolarismo
tra Grenoble, Farges, Padova (alle sue lezioni assisteva spesso il vescovo
di Capodistria, Pier Paolo Vergerio e nella città patavina egli strinse
rapporti di amicizia con Lelio Sozzini, figlio del suo collega Mariano
Sozzini) e Torino, dove viveva la famiglia. Riuscì comunque a pubblicare nel
1541 il suo De methodo ac ratione studendi libri tres, uno dei primi esempi
d'approccio metodologico agli studi giuridici.
Nel 1546 G. partecipò ai Collegia Vicentina, le riunioni di tradizione
antitrinitaria, e nel 1548 rimase colpito dalla vicenda di Francesco Spiera,
l'avvocato di Cittadella (Padova) convertito alla dottrina riformista e
costretto ad abiurare, poi morto per la disperazione dell'atto compiuto,
triste episodio raccontato anche da Celio Secondo Curione. Sull'argomento G.
scrisse nel 1549 una Historia de quondam quem hostes Evangelii in Italia
coegerunt abijcere agnitam veritatem, basata sui diversi colloqui che il
giurista ebbe direttamente con lo Spiera.
Questa straziante agonia accelerò la decisione di G. di recarsi nel 1552
nella Ginevra calvinista, dove continuò la sua opera di docenza presso la
locale università.
Ma nel 1553 egli prese una posizione coraggiosa nel caso Serveto, visitando
lo sfortunato antitrinitario in prigione, manifestando il suo accordo in
materia dogmatica con il pensiero del medico spagnolo e chiedendo
inutilmente un colloquio a riguardo con Calvino. Successivamente, indignato
per la morte sul rogo del Serveto, egli scrisse (in forma anonima)
l'Apologia pro Serveto, corretto e commentato da Curione e pubblicato a
Basilea.
Nello stesso periodo G. ospitò un altro contestatore italiano di Calvino,
Giovanni Valentino Gentile, che, povero in canna, fu aiutato da G. fino al
suo arresto da parte del balivo di Gex, al quale Gentile fece in seguito
un'inopportuna dedica su un suo scritto sulla sua fede antitrinitariana: la
cosa ovviamente fece andare su tutte le furie il magistrato svizzero.
Nel 1555 un ulteriore tentativo di incontro con Calvino (per la verità
richiesto da Calvino stesso) ebbe un epilogo negativo (il riformatore
ginevrino si rifiutò di stringergli la mano, se G. non avesse cambiato idea
sulla propria dottrina religiosa) e da questo momento Calvino si mise a
perseguitare il giurista torinese.
Nel frattempo, i suoi scritti religiosi gli costarono il licenziamento
dall'università di Padova e quindi G. fu lieto di accettare l'invito [su
suggerimento di Bonifacio Amerbach (1495-1562) e di Pier Paolo Vergerio] del
Duca Christoph del Württemberg  (1550-1568) di recarsi ad insegnare
all'università di Tübingen (in Germania), ma anche qui non ebbe vita facile:
infatti, dopo solo sei mesi, nel giugno 1557, fu convocato dal senato del
Württemberg, in seguito alle perplessità sulla sua fede, in materia di
Trinità, proprio da parte di Vergerio, istigato dal solito Calvino.
G. dapprima chiese tre settimane di tempo per preparare la sua difesa, ma
poi improvvisamente, consigliato da amici a corte, decise di fuggire da
Tübingen per rifugiarsi nel suo castello di Farges.
Tuttavia anche qui fu raggiunto dalla lunga mano della giustizia: fu infatti
arrestato dalle autorità di Berna (nella cui giurisdizione stava Farges)
sotto l'accusa di triteismo, a causa del materiale compromettente trovato
nella sua biblioteca di Tübingen e dei libretti di propaganda, che egli
faceva diffondere nel Bernese.
Dopo un periodo di quaranta giorni in prigione, egli dovette firmare un atto
di fede e in seguito venne espulso, per un breve periodo, dal territorio
della repubblica di Berna nel 1557. Infatti, già nel 1558, G. era di ritorno
a Farges, da dove inviò delle missive al senato di Tübingen, nell'inutile
tentativo di farsi riaccettare come docente all'università: fu il Vergerio
in persona, che, avendo analizzato la confessione di fede inviata al senato,
consigliò di respingere la richiesta.
G. tornò quindi a Grenoble ad insegnare come professore e qui morì di peste
nel 1564.


La dottrina
Come viene evidenziato dal suo scritto Religionis christianae progymnasmata,
G. fu un propugnatore del triteismo (dottrina poi confluita
nell'antitrinitarismo) funzionale, che diffondeva la nozione che le tre
persone della Trinità erano tre spiriti o sostanze spirituali, con il Figlio
e lo Spirito Santo inferiori a Dio Padre, unico vero Dio e fonte della
divinità. Questa dottrina è stata anche definita monoteistica emanistica.


Molinos, Miguel de (1640-1696) e Quietismo



La vita
Il mistico Miguel de Molinos nacque il 21 dicembre 1640 a Muniesa, vicino a
Saragoza, in Spagna. Da giovane egli studiò, laureandosi e venendo ordinato,
a Valencia, dove successivamente poté godere del beneficio (rendita) della
locale chiesa di San Tommaso e fu confessore per un convento di suore.
Nel 1662 egli si trasferì a Roma, dove divenne amico del cardinale Benedetto
Odescalchi, il futuro Papa (energico, saggio ma alquanto intransigente)
Innocenzo XI (1676-1689). Nel 1675 M. pubblicò, in italiano, la sua Guida
spirituale, che disinvolge l'anima e la conduce per l'interior cammino
all'acquisto della perfetta contemplazione e del ricco tesoro della pace
interiore, seguita poco dopo dal Trattato della Comunione quotidiana. I due
testi passarono abbastanza inosservati fino al 1681, quando il predicatore
gesuita Paolo Segneri (1624-1694) attaccò le idee di M., pur non citandolo
direttamente.
Una prima inchiesta dell'Inquisizione assolse il mistico spagnolo, tuttavia
i soliti gesuiti non ebbero problemi a scatenare il re di Francia, Luigi XIV
(1654-1715), ansioso di mettere in difficoltà Innocenzo XI con il quale era
ai ferri corti per le posizioni gallicane della monarchia francese, a
denunciare, attraverso il cardinale César d'Estrées (1628-1714),
ambasciatore presso la Santa Sede, la presenza di un eretico a Roma proprio
nella persona di M., oltretutto amico del Papa.
M. fu arrestato nel maggio 1685 e, nonostante le intercessioni di amici
altolocati, fu processato per eresia e immoralità (quest'ultima accusa fu un
malinteso derivato da una particolare interpretazione della sua dottrina:
vedi sotto): la sentenza di condanna fu pronunciata il 3 settembre 1687
nella chiesa domenicana di Santa Maria sopra Minerva a Roma. M. dovette fare
pubblica ammissione dei propri errori e fu condannato alla prigione a vita e
a vestirsi con il saio dei penitenti.
Infine il 2 novembre 1687 Innocenzo XI firmò la bolla Colestis pastor, che
condannò 68 proposizioni contenute nella Guida spirituale e in altre opere
di M.
M. morì in carcere il 28 dicembre 1696.


La dottrina
Il quietismo mirava a privilegiare un rapporto diretto, una vera unione, con
Dio, ottenuto mediante uno stato di quiete, di passività, di annullamento
della volontà e di ogni pensiero intellettuale, rifiutando la consolidata
gerarchia ecclesiastica. L'uomo doveva percorrere la sua via interna
annichilandosi, abbandonandosi totalmente alla volontà di Dio senza pensare
a premi o punizioni e rimanere perinde ac cadaver (come un cadavere).
Facendo ciò, l'anima si annichiliva e ritornava alla fonte, l'essenza di
Dio, nella quale veniva trasformata e divinizzata.
Erano quindi disprezzate le attività esteriori del Cristianesimo, come le
preghiere (più il fedele si abbandonava alla volontà di Dio e più gli
risultava difficile recitare anche un semplice Padre Nostro), i sacramenti,
la ritualità.
L'accusa di immoralità rivolta a M. derivava dal convincimento quietista che
quando la purezza dell'anima fosse stata raggiunta con l'annichilazione
sopra descritta, l'uomo non doveva più chiedere niente a Dio, ma anche non
offrire resistenza alle tentazioni in quanto egli non avrebbe potuto più
peccare. Del resto un eventuale peccato (opera del diavolo) non andava
neanche confessato cosicché lo spirito potesse vincere il diavolo grazie
alla sua pace e all'unione più intima con Dio. Un credo questo simile a
quello del movimento medioevale dei fratelli del libero spirito, che, al
riguardo, rimandavano al passo di San Paolo: Tutto è puro per i puri
(Lettera a Tito 1,15).
Elementi della dottrina quietista si possono ritrovare nella storia del
Cristianesimo occidentale fino al `500: in alcune scuole gnostiche, nei
messaliani, nel movimento dei begardi e beghine, nei già citati fratelli del
libero spirito, nei mistici tedeschi come Johannes Eckhart, negli
alumbrados, e perfino nei santi mistici cattolici Teresa d'Avila (1515-1582)
e Giovanni della Croce (1542-1591).
Inoltre, nel XVII secolo, idee o istanze simili a quelle quietiste si
ritrovano espresse dai quaccheri di George Fox, dal giansenismo, dalla
mistica eterodossa francese (quietista ante-litteram) Antoinette Bourignon,
dal mistico spagnolo Juan Falconi (1596-1638), e soprattutto dai precursori
del pietismo luterano: Johann Arndt aveva pubblicato nel 1606 il suo lavoro
più famoso, Vier Bücher vom Wahren Christhentum [Quattro (diventati poi sei)
libri sul vero cristianesimo] e Jean de Labadie, dopo il 1650, aveva fondato
comunità mistica di adepti che si ritenevano predestinati alla salvezza e
che rifiutavano sacramenti, pratiche religiose, dogmi e gerarchia
ecclesiastica.


Il quietismo dopo Molinos
In Italia il più famoso seguace di M. fu il vescovo (poi cardinale) di Iesi,
Pier Matteo Petrucci, condannato nel 1687, mentre molto peggio andò ai
francescani minori conventuali Antonio Bevilacqua e Carlo Maria Campana,
decapitati nelle Carceri Nuove il 26 marzo 1695. Inoltre, nel 1708, fece
notevole scalpore il processo al prete bresciano Giuseppe Beccarelli
(1666-1716), accusato di quietismo, ma forse più noto per le gravi accuse di
sodomia nei confronti dei giovani che frequentavano il collegio bresciano,
di cui il Beccarelli era direttore.
Comunque la nazione dove il quietismo ebbe la diffusione più duratura fu la
Francia: a parte la mistica Antoinette Bourignon, gli esponenti più in vista
furono Jeanne Marie Guyon (detta Madame Guyon), una mistica ben introdotta
nell'aristocrazia francese e amica di Francoise d'Aubigne, Marchesa de
Maintenon (1635-1719) e moglie morganatica del re Luigi XIV (1654-1715); il
confessore della Guyon, padre François Lacombe (1643-1715); e l'arcivescovo
di Cambrai François de Fénelon.
Il grande nemico del quietismo fu Jacques Bénigne Bossuet (1627-1704),
predicatore e vescovo di Meaux, in Francia. Egli dispose l'arresto e
l'imprigionamento alla Bastiglia di Madame Guyon, entrò in polemica accesa
con Fénelon e fu il principale artefice della condanna, nel 1699, di
quest'ultimo da parte di Papa Innocenzo XII (1691-1700).



Buzio (o Mollio), Giovanni da Montalcino (m. 1553)



Giovanni Buzio, detto il Mollio, nato a Montalcino, in provincia di Siena,
era un francescano minorita conventuale ed un predicatore, che ebbe,
all'epoca, un vasto seguito.
Negli anni '30 del XVI secolo, egli frequentò i circoli erasminiani di
Brescia e nel 1538 si convertì alla dottrina luterana. Fu per questo,
processato intorno al 1540, quindi trasferito nel convento di San Lorenzo, a
Napoli, dove partecipò ai circoli valdesiani, ma successivamente lo troviamo
a Ravenna, dove incontrò Pietro Manelfi.
Nel 1552 egli fu nuovamente arrestato e tradotto a Roma per essere giudicato
dalla temibile Inquisizione Romana del cardinale Giovanni Pietro Carafa, poi
Papa Paolo IV (1555-1559).
Il processo si svolse contro undici eretici, dei quali solo B. non abiurò e
quindi fu ricondotto in carcere in attesa della sentenza di condanna a
morte.
Nel frattempo, i governanti di Siena cercarono inutilmente di fare un
tentativo di intercedere per il loro conterraneo, ma B. fu impiccato, poi
bruciato sul rogo, il 4 settembre 1553 a Campo dei Fiori, a Roma, assieme ad
un tessitore di seta, detto il Perugino.
Secondo Theodore Elze, testimone oculare della sentenza, che descrisse gli
ultimi attimi di B. in una lettera del 1553, pubblicata l'anno seguente a
Strasburgo, B., ottenuto la possibilità di dire le sue ultime parole davanti
al patibolo, rese grazie a Dio per il fatto di dover soffrire il martirio
per il nome di Dio e della universale Chiesa cristiana.
Esortato a nominare la Chiesa romana, B. avrebbe risposto che la Chiesa di
Cristo non poteva essere divisa in chiese locali, ma era unica e unita per
la fede, sposa diletta di Cristo.


Enrico di Losanna (o di Tolosa o di Le Mans o Enrico il monaco) (att. 1° ½
XII secolo)



Se sulla vita di Pietro di Bruis, suo precursore, si sanno poche notizie, se
ne conoscono ancora meno su questo ex monaco diacono dell'ordine di Cluny.
Anche per questo egli viene citato spesso con i vari nomi delle città dove
predicò, come si può notare nel titolo.
Nel 1116, dopo aver lasciato il convento, Enrico iniziò la sua carriera
nella città di Le Mans, nel nord della Francia, dove, ottenuto il permesso
di predicare in pubblico da parte del vescovo Ildeberto di Lavardin
(1056-1133), riuscì a creare, con le sue prediche contro la corruzione del
clero, un tale insurrezione da parte del popolo, da obbligare lo stesso
vescovo a scacciarlo, con fatica, dalla città.
E. proseguì allora come predicatore errante per tutta la Francia (Poitiers,
Bordeaux) e in quegli anni incontrò colui che avrebbe influenzato il suo
pensiero: Pietro di Bruis. Come Pietro, E. rifiutava il battesimo dei
bambini e quindi il peccato originale, considerato un problema solo di Adamo
ed Eva, e non di tutta l'umanità. Sempre, come il suo maestro, E. contestò
anche gli altri sacramenti, i riti, come la messa, il ruolo dei preti e del
clero, le ricchezze dei vescovi.
Egli credeva nella predestinazione, per cui i morti erano immediatamente
salvati o dannati, indipendentemente dalle preghiere e dalle messe di
suffragio, ma anche dai meriti acquisiti in vita, come credeva invece Pietro
di Bruis. Inoltre rispetto a quest'ultimo, E. non attuò mai quella
sistematica distruzione delle croci, né rifiutò parti del Vecchio e Nuovo
Testamento, fatto che contraddistinse i petrobrusiani.
Nel 1134, E. fu arrestato su ordine dell'arcivescovo di Arles ed inviato al
sinodo di Pisa, dove abiurò le sue credenze ed accettò di ritornare in
monastero a Citeaux.
Invece, una volta tornato in Francia, E. si guardò bene di recarsi nel
monastero e riprese la predicazione, in particolare nella zona di Tolosa,
appoggiato da Ildefonso, conte di Saint-Gilles. Preoccupati, le autorità
religiosi locali chiamarono in soccorso San Bernardo nel 1145, che recatosi
in Linguadoca si rese conto dell'enorme diffusione di dottrine eretiche, sia
portate da E. stesso, che dai catari.
Ildefonso fu convinto da Bernardo e dal legato pontificio Alberico di
Beauvais a non appoggiare più E., che fu infine catturato e di lui non si
seppe più nulla: si suppone che sia morto da lì a poco.
I suoi seguaci, denominati enriciani sopravvissero fino al 1152 ca.


Sergio di Costantinopoli (m. ca. 638) e monotelitismo (o monotelismo)



Sergio diventò patriarca di Costantinopoli nel 610: nel 622 accadde un
episodio che ebbe un notevole effetto sulla sua futura memoria: l'imperatore
Eraclio (610-641) diede udienza ad un monofisita, della corrente degli
Acefali, di nome Paolo, il quale dibatté con l'imperatore per perorare la
dottrina, in cui credeva.
Eraclio, nella contestazione dei punti teologici di Paolo, incorse nell'uso
delle parole: unica "operazione" (enérgheia), a proposito delle attività di
Cristo. Qualche anno più tardi, nel 626, Eraclio chiese a Ciro, a quel tempo
vescovo di Phasis, conforto sull'ortodossia delle parole da lui usate.
Non avendo ricevuto una risposta soddisfacente, Eraclio scrisse direttamente
a S., di cui l'imperatore aveva massima stima.
S. rispose facendo riferimento a una lettera di un suo predecessore, Menas,
approvata dal Papa Vigilio (537-555), in cui si citava una volontà (thélema)
di Cristo, il quale compiva opere divine ed umane mediante un'unica
operazione (enérgheia).
Non è mai stato accertato se questo documento fosse autentico: è stato
ipotizzato che fosse stato redatto, assieme ad altri documenti di supporto,
dal Pseudo-Dionigi l'Aeropagita, un teologo mistico del VI secolo, che
veniva spesso confuso con Dionigi l'Aeropagita, un greco convertito da San
Paolo ad Atene.
Dall'unico thélema deriva il termine, data a questa dottrina, di monotelismo
(o monotelitismo) e dall'unica enérgheia deriva il termine di monoenergismo.
La dottrina, rielaborata da S., permise a Ciro, diventato, nel frattempo,
nel 631, vescovo di Alessandria, di riconciliare temporaneamente i cattolici
e i monofisiti dell'Egitto, ma fu contestata da San Sofronio, vescovo di
Gerusalemme.
Allora S. si decise, nel 634, a scrivere a Papa Onorio (625-638) lasciando
cadere, per prudenza, la questione dell'unica o due (umana e divina, come
chiedeva Sofronio) operazioni e concentrandosi sull'unica volontà di Cristo,
da cui il nome di monotelitismo (o monotelismo).
Papa Onorio, imprudentemente, la approvò, senza troppo sottoporla al vaglio
dei teologi, e S. la incluse in un editto intitolato Ékthesis (Esposizione).
Tuttavia, dopo la morte di Papa Onorio e di S. stesso nel 638 e quella
dell'imperatore Eraclio nel 641, i teologi cattolici, con a capo Papa
Giovanni IV (640-642), smentirono questa dottrina, tornando alla dottrina
più canonica delle due volontà, divina e umana, di Cristo.
Il dibattito su energia e volontà, comunque, continuò ad infiammare gli
animi dei cristiani, a tal punto che l'imperatore Costante II (641-668)
dovette emanare, nel 648, l'editto Typos per frenare le polemiche.
Ma sulla cattedra di Pietro sedeva un energico Papa (San) Martino I
(649-655), il quale convocò, nel 649, un sinodo in Laterano, dove condannò
gli editti Ékthesis e Typos, scomunicò S. e ribadì l'esistenza in Cristo
delle due volontà.
Costante reagì molto male ai pronunciamenti di Martino: lo fece arrestare
nel 653 dall'esarca Teodoro Calliope e portare in catene a Costantinopoli.
Qui Martino fu imprigionato in attesa di essere condannato a morte, ma poi,
grazie all'intercessione del patriarca monotelita di Costantinopoli, Paolo,
la sentenza fu dall'imperatore trasformato in esilio a Cherson, in Crimea,
dove il povero Martino morì per stenti nel 655.
Ciononostante, l'ortodossia si era oramai pronunciata su questa dottrina e
nel 680 al VI Concilio Ecumenico a Costantinopoli, presieduto
dall'imperatore Costantino IV  Pogonato (668-685) e voluto da Papa Agatone
(678-681), il monotelismo ed il monoenergismo vennero definitivamente
condannati.
In questo Concilio la scomunica venne estesa anche a Papa Onorio, colpevole
di aver avallato la dottrina di S.
Successivamente Papa Leone II (682-683) nel 683 corresse il tiro, cambiando
la condanna di Onorio da eresia in negligenza pastorale.
Comunque la condanna a Onorio rimase ed il fatto che un Papa potesse cadere
in errore fu utilizzato durante la Riforma del XVI secolo dai protestanti,
che contestavano, a quel tempo, l'infallibilità papale.


Severo di Antiochia (ca. 465 - 538) e monoergetismo



La vita
Severo, patriarca monofisita di Antiochia, nacque nel 465 ca.  a Sozopolis
nella Pisidia (una regione a sud ovest della odierna Turchia) da una
famiglia in vista (suo padre era un senatore) della città.
Da giovane ebbe una educazione laica: fu inviato a studiare retorica ad
Alessandria, nella quale arte si distinse particolarmente e nel 486, S.
iniziò gli studi di legge a Beritus (in Libano) assieme all'amico Zaccaria
Scolastico, suo biografo.
Solo poco dopo, nel 488 a Tripoli, S. decise a farsi battezzare ed
intraprese la vita monastica a Maïuma (l'attuale Gaza) e sottoponendosi a
digiuni e veglie. Zaccaria riporta che non fece più un bagno per tutta la
sua vita, considerandolo una peccaminosa abitudine.
Successivamente, sempre a Gaza, fece costruire a sue spese un monastero per
asceti.
Intorno al 508, S. si recò con un gruppo di monaci a Costantinopoli,
aderendo al Henoticon, il documento di compromesso tra cattolici e
monofisiti, messo a punto dall'imperatore Zenone (474-475 e 476-491) nel
482, e particolarmente voluto dal successivo imperatore Anastasio (491-518):
Quest'ultimo favorì S., diventato suo consigliere, facendolo nominare
patriarca di Antiochia nel 512. Qui S. continuò nelle sue rigorosissime
abitudini ascetiche, facendo distruggere i bagni del palazzo vescovile e
licenziando i cuochi.
Tuttavia, la nomina nel 518 ad imperatore del cattolico Giustino (518-527)
portò alla destituzione di S., che fuggì in esilio ad Alessandria, dove si
impegnò in una polemica contro gli aftartodocetisti di Giuliano di
Alicarnasso.
Durante il regno dell'imperatore Giustiniano (527-565), S. poté, come altri
monofisiti, confidare nella protezione dell'imperatrice Teodora, e nel 532
venne reinstallato nella sua sede vescovile, ma un sinodo del 536 a
Costantinopoli, presieduto da Papa San Agapito (535-536), segnò il momento
più basso per il monofisismo: vennero deposti vari vescovi monofisiti, tra
cui S. e molti suoi seguaci, denominati severiani, tra cui Teodosio di
Alessandria.
Quest'ultimo ful'artefice della nomina, nel 542, a vescovo di Edessa di
Giacomo Baradeo, l'uomo che guidò la riscossa dei monofisiti in tutto il
Medioriente.
S., dopo la deposizione, ritornò alla sua vita di eremita in Egitto, dove
morì l'8 Febbraio 538.


La dottrina
S. fu un monofisita alquanto atipico: rifiutò infatti la corrente di
pensiero di Eutiche, considerandola eretica. Egli fu fondatore della
corrente monofisita dei severiani (o fartatolatri o corrutticoli, come
vennero chiamati ironicamente dai loro avversari aftartodocetisti) che
propugnava il monoergetismo, sostenendo che in Cristo, durante
l'incarnazione, si fossero combinato le due nature, umana e divina, per
ottenere un'unica ipostasi.
In realtà, l'eterodossia di S. non fu molto elevata, casomai egli fu più uno
scismatico, che, però, rifiutò ostinatamente di accettare i dogmi del
Concilio di Calcedonia.


Monofisismo (V-VII secolo)



Dottrina eretica sviluppata da Eutiche, archimandrita (superiore) di un
monastero con più di trecento monaci a Costantinopoli.


Dottrina
Nel 448, all'età di settant'anni, Eutiche scese in campo nella disputa
teologica con Nestorio, ed in polemica con quest'ultimo, che affermava la
presenza di due persone distinte (l'una divina e l'altra umana) nel Cristo
incarnato, Eutiche ribadì che, prima dell'incarnazione, c'erano due nature,
ma dopo una sola, quella divina, derivata dall'unione delle due nature
stesse (ek duo physeon).
In questa maniera, Eutiche negò che la natura di Cristo fosse consustanziale
alla nostra, fatto che, quindi, impedirebbe di redimerci attraverso di Lui.
Detta dottrina fu definita monofisismo, ma secondo alcuni autori, Eutiche
non ne fu il vero fondatore, che si deve probabilmente ricercare in San
Cirillo di Alessandria (376-444, Vescovo e Padre della Chiesa). Altri fanno
risalire le prime credenze monofisite ad Apollinare di Laodicea.


La storia fino al Concilio di Calcedonia
La chiave di volta per la diffusione del m. fu il Concilio di Efeso
dell'Agosto 449,  presieduto da San Flaviano, Patriarca di Costantinopoli e
fortemente voluto da Dioscoro, vescovo monofisita di Alessandria e
successore di Cirillo: in questo Concilio, l'insegnamento di Eutiche venne
dichiarato ortodosso.
Sfortunatamente l'intero andamento del Concilio fu palesemente falsato dal
clima di terrore instaurato da Dioscoro e dai suoi monaci semianalfabeti
violenti e fanatici, capeggiati da Barsumas: furono destituiti i più
importanti teologi antiocheni (Domno di Antiochia, Eusebio di Dorileo, Iba
di Edessa e Teodoreto di Ciro), con l'accusa di nestorianesimo e perfino San
Flaviano fu percosso, probabilmente da Barsumas, e morì alcuni giorni dopo,
non si sa se per lo choc o per le percosse.
Ovviamente, il concilio si concluse con l'assoluzione di Eutiche e la
scomunica di Flaviano e di Papa Leone I Magno (440-461), che definì questo
sinodo come non un "concilium", bensì un "latrocinium" (brigantaggio)!
Fu altresì ovvio che il Papa considerasse privo di validità qualsiasi
decisione presa, ma in contrasto con il pensiero papale, l'imperatore
Teodosio II (408-450) lo ritenne valido.
Tuttavia, dopo la morte di Teodosio nel 450, nel Concilio a Calcedonia,
convocato nell'Ottobre 451 dall'imperatrice Pulcheria, fervente cattolica
ortodossa , il monofisismo venne condannato e furono esiliati sia Dioscoro,
che Eutiche.


Le chiese monofisite oggigiorno
Il m. si sviluppò in molte parti dell'impero, ma soprattutto in quattro
paesi: Egitto, Etiopia, Siria e Armenia. Oggigiorno dette chiese, ancora
esistenti, si autodefiniscono ortodosse (oppure ortodosse copte), creando
indubbiamente un po' di confusione con le chiese ortodosse calcedonesi
(quelle più universalmente conosciute oggi come ortodosse).


Egitto
Dopo che Dioscoro fu bandito, l'imperatore Marciano (450-457) fece eleggere
al seggio di Alessandria Proterio. Ma questi fu semplicemente ignorato dagli
egiziani e successivamente assassinato nel 457.
Fu, invece, eletto a Patriarca d'Alessandria nel 457 (o 460), per
acclamazione popolare, Timoteo Aeluro  (dal nome del gatto sacro agli
antichi egizi), ma questo diede luogo alla creazione, nell'impero, di due
fazioni contrapposte: i cattolici ortodossi, chiamati Melchiti, fedeli
all'imperatore, e i monofisiti.
Aeluro, con l'aiuto dei monaci cristiani egiziani, denominati in arabo qubt
(copti) dal greco (e)gýpt(ikos), fu il fondatore della Chiesa Egizia
monofisita, detta appunto Chiesa Copta.
Il tipo di monofisismo adottato dai Copti rifiutava il concetto espresso da
Eutiche di fusione tra le due nature, divina e umana, di Gesù Cristo, per
favorire un'unione come tra corpo e anima.
Nel periodo 484-519, durante lo scisma acaciano, provocato dal patriarca di
Costantinopoli, Acacio di Berea, il m. si rinforzò in Egitto, grazie
soprattutto a Pietro Mongo, vescovo di Alessandria e successore di Aeluro,
che accettò il Henoticon, il documento di compromesso (poi fallito) tra
cattolici e monofisiti, voluto dall'imperatore Zenone (474-475 e 476-491).
La lotta con i bizantini fu tale negli anni successivi che i copti
acclamarono gli arabi come liberatori, quando questi conquistarono l'Egitto
nel 642. Tuttavia anche i mussulmani perseguitarono i copti, non tanto con i
massacri, quanto con subdole ed atroci tecniche di intimidazione, come la
marchiatura a fuoco delle mani dei copti sotto il califfato degli Ommiadi
(661-750) oppure l'obbligo di portare croci pesanti (2 kg.) intorno al
collo, stabilito dai califfi della dinastia Abbasside (750-868). Solamente
con la dinastia Fatimida (969-1171) i copti poterono liberamente esercitare
la loro fede, ma in seguito, la situazione divenne sempre più tragica a
causa delle persecuzioni e delle stragi sotto i Mamelucchi e i Turchi:
significativo fu il fatto che il numero dei vescovi fosse calato dai 168 del
VI° secolo ai soli 17 del XVII° secolo. Il periodo buio finì finalmente con
l'avvento al potere di Mehemet Ali nel 1804 e con i protettorati inglese e
francese.
Oggigiorno i copti nel mondo sono tra 1.300.000 e 3.000.000, distribuiti in
Egitto, Sudan, Uganda, Sud Africa, Palestina e Kuwait. 


Etiopia
L'Etiopia venne cristianizzata, nel IV secolo, da San Frumenzio, diventato
vescovo di Axum nel 356. Le resistenze nei confronti della nuova religione
furono elevate e solo nel VI secolo il Cristianesimo riprese vigore con
l'arrivo dei "Nove Santi", monaci monofisiti giunti in Etiopia,
probabilmente per sfuggire alle persecuzioni dei cattolici.
Dal 640, la Chiesa di Etiopia fu assorbita da quella Copta egiziana e questa
dipendenza  rimase fino al 1948.
A causa delle minacce di invasioni mussulmane, nel XVII secolo, sotto il
negus Susenyos, ci fu una effimera unione con la Chiesa Cattolica, che durò
solamente 11 anni (1621-1632). Fu comunque l'ultimo negus (poi imperatore)
Hailé Selassié (Haylasellase I) (1892-1975, imperatore: 1930-1936 e
1941-1974) a riorganizzare la Chiesa di Etiopia, affrancandola, come già
detto, dalla Chiesa Copta egiziana nel 1948 e facendola diventare Chiesa di
Stato nel 1955.
La Chiesa, con una forte componente monastica, mantiene alcune usanze di
chiara influenza ebraica, come la circoncisione, la festività settimanale di
sabato, la suddivisione delle carni in pure ed impure, e soprattutto la
presenza dell'Arca dell'Alleanza ad Axum, la cui autenticità ha fatto
versare ultimamente fiumi di inchiostro senza peraltro dirimere questo
affascinante enigma.
Oggi la Chiesa di Etiopia è la più grande delle chiese pre-calcedoniche e
conta tra gli 8 e 9 milioni di fedeli in Etiopia e Eritrea.


Siria
Il monofisismo siriano fu fondato da Severo di Antiochia, patriarca tra il
512 ed il 518, ma nel Settembre 518, un sinodo, convocato dall'imperatore
Giustino I (518-527), che desiderava la riunione con i cristiani
occidentali, depose Severo ed iniziò una campagna di persecuzione nei
confronti del m.: solo l'azione di Giovanni Bar Qursos, vescovo di Tella (in
Siria), impedì la scomparsa del movimento per mancanza di nuovi sacerdoti.
Infatti Bar Qursos, a suo rischio e pericolo, si mise ad ordinare quanti più
preti monofisiti possibili su un vasto territorio corrispondente agli
odierni Siria, Turchia, Libano, Iraq e Armenia.
Simile azione fu compiuto da Giacomo Baradeo, l'eroe del m. siriano,
nominato al seggio di vescovo di Edessa nel 542 con la protezione
dell'imperatrice Teodora, moglie di Giustiniano. Baradeo fu il vero
fondatore della Chiesa Nazionale Siriana o Chiesa Siriana Occidentale,
chiamata in suo onore Giacobita.
Contrariamente che in Egitto, la Chiesa Siriana poté svilupparsi sotto le
dinastie arabe almeno fino al XII° secolo. Ma l'invasione di Tamerlano del
1380, le continue lotte interne, le persecuzioni da parte dei Turchi
(durante la Prima Guerra Mondiale) portarono ad un rapido declino della
Chiesa, che fu solo parzialmente compensata dall'unione con la Chiesa
siro-malabita, di origine nestoriana, clamorosamente riunitasi con i (ex
nemici) giacobiti siriani nel 1603 pur di sopravvivere al tentativo
portoghese di farla riassorbire dal Cattolicesimo: artefice di tale
decisione fu il patriarca Thomas Parampil. 


Armenia
Il Cristianesimo in Armenia fu introdotto da San Gregorio l'Illuminatore
(240-332) nel 314, anche se la data ufficialmente accettata è il 306, mentre
un altro santo, Meshrob Mashdotz (354-440) diede alla nazione l'alfabeto
armeno. La Chiesa Armena rimase fino al V secolo sotto l'influenza
bizantina, ma durante il Concilio di Calcedonia del 451 gli armeni ruppero
le relazioni, in quanto non condividevano la dottrina della doppia natura di
Cristo.
Essi si accostarono, quindi, al monofisismo, se pur con varianti locali,
anche per un'opportunità politica: infatti i nemici di sempre, i persiani,
avevano aderito al nestorianesimo.
I bizantini cercarono più volte di riportare l'Armenia al cattolicesimo e
nel 591, l'imperatore Maurizio (582-602), dopo aver occupato parte del
territorio, provocò una scissione interna, facendo nominare un patriarca
fedele alla dottrina di Calcedonia.
Questa scissione non durò a lungo e nel 645 al sinodo armeno di Tvin furono
condannate le decisioni di Calcedonia. In quegli anni, l'Armenia fu
conquistata dagli arabi, che garantirono comunque una certa libertà
religiosa, la quale permise alla Chiesa Armena di consolidarsi e
svilupparsi.
Oggigiorno si calcola che vi siano circa 3.000.000 di fedeli armeni sparsi
per il mondo (Armenia, Vicino Oriente, Europa e Americhe, dove, solo in USA,
i fedeli sono oltre 400.000), coordinati da due cattolicossati (da
catholicos, patriarca) (Etchmiadzin, in Armenia, e Antelias, in Libano,
quest'ultima sede dell'antico cattolicossato di Cilicia ) e due patriarcati
[Gerusalemme  e Costantinopoli]. Il clero è formato da preti sposati e
monaci celibi.

Montano e montanismo (II secolo)



Che Montano sia stato un riformatore della giovane Chiesa Cristiana o un
millenarista e trascinatore di folle poco importa, sicuramente egli fu il
fondatore di un fenomeno di massa molto popolare, il montanismo o
catafrigismo (dalla Frigia, regione di origine del movimento), che preoccupò
non poco i vescovi cattolici del II e III secolo.


La vita
M. nacque, con ogni probabilità, ad Ardabau, in Frigia (Asia Minore), nella
prima metà del II secolo.
Secondo S. Girolamo, egli era stato sacerdote di Cibele fino alla
conversione al Cristianesimo ed a questo passato tenebroso (il culto di
questa dea comprendeva crudeli cerimonie, come l'autocastrazione dei suoi
sacerdoti) il Padre della Chiesa attribuiva le estasi di M. come
comportamento tipico dei seguaci di Cibele. Oggigiorno si tende, tuttavia, a
non dare molto credito a questa ipotesi, probabilmente una fantasiosa
forzatura di S. Girolamo.
M. iniziò a predicare nella regione natale nel 156 (o 157) accompagnandosi
con due profetesse Massimilla e Priscilla (o Prisca), anch'esse, come M.,
illuminate dallo Spirito Santo e dotate di capacità profetiche.
Ed infatti, invece di riti più tradizionali, M. riuniva i suoi seguaci in
manifestazioni di massa nella piana tra Pepuza e Tymion (sempre in Frigia),
dove i profeti andavano in estasi e parlavano per bocca dello Spirito Santo.
Il fenomeno montanismo continuò a diffondersi fino alle prime reazioni,
piuttosto contrastanti, da parte della Chiesa: la denuncia fatta nel 171 dal
vescovo di Ierapoli, Apollinare e l'attacco da parte di Sant'Ireneo (ca.
140-200) (per la verità, non molto incisivo per il fatto che Ireneo stesso
era un millenarista convinto come M.) nel suo Adversos haereses del 177
vennero vanificati  dall'atteggiamento piuttosto neutrale dei Papi Eleuterio
(175-189) e Vittore I (189-199), nel periodo dei quali il movimento poté
prosperare indisturbato.
Infatti una vera e propria condanna avvenne solo nel 202/203, sotto Papa
Zefirino (199-217), cioè molti anni dopo la morte dell'ultima dei tre
fondatori, Massimilla avvenuta nel 179 (la data della morte di Montano,che,
secondo alcune fonti, si sarebbe impiccato, e di Priscilla è probabilmente
anteriore).
Anche dopo la morte dei fondatori e nonostante la persecuzione da parte
dell'imperatore Settimio Severo (173-211) nel 193, il montanismo continuò a
diffondersi in Asia Minore, Africa settentrionale (Cartagine), Gallia
(Lione) e a Roma stessa, dove diventarono celebri le scuole montaniste di
Eschine e Proclo. A Cartagine, nel 207, fu guadagnato alla causa montanista
un convertito d'eccellenza: il noto scrittore e teologo cristiano
Tertulliano (ca. 155-222).
Il movimento si espanse fino al IV secolo, quando iniziò il suo lento
declino grazie al nuovo corso dato alla Chiesa Cristiana dall'imperatore
Costantino (306-337), ma si estinse solo nel VI secolo soprattutto a causa
delle dure repressioni ordinate dall'imperatore Giustiniano (527-565),
durante il regno del quale, si dice, furono scoperti e bruciati i resti di
Montano, Massimilla e Priscilla.
Tuttavia sopravvisse qualche frangia montanista isolata , poiché nel VIII
secolo se ne sentiva ancora l'influenza tant'è che l'imperatore d'Oriente
Leone III l'Isaurico (717-741) adottò misure repressive contro i montanisti
nel 722.


La dottrina
Il montanismo non era dotata di una vera e propria dottrina, bensì di una
serie di comportamenti e precetti. Infatti, sotto questo punto di vista, non
si può definire una eresia vera e propria, ma piuttosto uno scisma interno
alla Chiesa Cristiana.
Lo scisma era sorto perché i montanisti affermavano la superiorità dei
profeti carismatici sui vescovi e ammettevano, in contrasto con la Chiesa
"ufficiale",  la partecipazione delle donne, soprattutto per quanto
riguardava le rivelazioni e le profezie: Massimilla e Priscilla ne erano i
più celebri esempi.
I montanisti erano quartodecimani, cioè festeggiavano la Pasqua il 14°
giorno del mese di Nisan (mese ebraico tra Marzo e Aprile, il cui inizio era
stabilito dalla luna di Marzo), indipendentemente dal giorno della
settimana, e non nella domenica successiva.
Tuttavia il vero punto focale del movimento era lo spirito millenarista,
l'attesa del ritorno a breve di Cristo sulla terra, chiamata parusía: ciò
era probabilmente dovuto all'enorme influenza sul mondo cristiano di quel
periodo che ebbe l'Apocalisse di Giovanni.
I montanisti, quindi, per prepararsi degnamente a questa venuta, avevano
adottato dei comportamenti morali molto severi: proibivano il secondo
matrimonio, e certe volte il matrimonio stesso, praticavano la castità
assoluta e periodi di digiuno molto drastici, erano inflessibili con chi
commetteva i peccata graviora (adulterio, omicidio, apostasia) e
condannavano coloro che fuggivano durante le persecuzioni, arrivando perfino
a lodare l'autodenuncia.
Per i suoi seguaci, M. era il novello paraclèto, cioè consolatore, secondo
il passo dal Vangelo di San Giovanni (14,16): io invocherò il Padre ed egli
vi darà un altro consolatore, affinché resti con voi per sempre, e la nuova
Gerusalemme, scesa dal cielo in terra, sarebbe diventata la città di Pepuzia
(da cui il nome di pepuziani dato ai montanisti) secondo l'interpretazione
di un sogno di Priscilla.
E nonostante che le date fissate per la parusía venissero puntualmente
disattese, come spesso è successo anche in altri casi (vedi le sette
millenariste del XIX e XX secolo), la popolarità del movimento rimase, come
si è detto, altissimo per parecchio tempo.


Morato, famiglia (XVI secolo)



Di questa famiglia di umanisti riformati, si ricordano:


1) Morato, Fulvio Pellegrino (ca. 1483-1548)
L'umanista Fulvio Pellegrino Morato nacque a Mantova nel 1483 circa.
Dopo aver sposato Lucrezia Gozzi, egli fu assunto come "lettore" (cioè
professore) all'Accademia di Vicenza per sette anni (1532-1539) dove si fece
notare per la forte propaganda anticlericale, mediante la lettura ai suoi
allievi, tra cui Alessandro Trissino, di testi della Riforma , come la
Christianae religionis institutio di Calvino. Queste attività di M.
richiamarono l'attenzione degli inquisitori di Vicenza sulle cellule
protestanti in città e forzarono M. a trasferirsi a Ferrara, alla corte di
Renata d'Este, nota protettrice di riformatori.
A Ferrara M. divenne professore di letteratura classica e precettore dei
figli di Renata d'Este e fu definitivamente convertito, assieme alla figlia
quindicenne Olimpia, alla Riforma stessa, da Celio Secondo Curione nel 1541.
M. morì nel 1548 a Ferrara.
Curiosamente l'umanista mantovano è più universalmente conosciuto non tanto
per il suo credo religioso, quanto per una serie di originali studi compiuti
nel campo dei colori e del linguaggio dei fiori. Mediante la pubblicazione
del libro Del significato de Colori, a Venezia nel 1535, M. lanciò la moda
di un galateo dei colori, cercando di confermare le sue tesi mediante il
ricorso ai classici, come Omero, Ovidio, Virgilio, Orazio, Boccaccio,
Petrarca.
Nell'appendice dello stesso libro (che avrebbe avuto ben otto edizioni),
egli scrisse un curioso trattato (un divertimento per le signore, come
diceva lui stesso) sul simbolismo e sul linguaggio dei fiori, sotto forma di
dizionario: a determinati fiori corrispondevano specifiche frasi o pensieri.
Comunque la fama di M. è anche dovuta a studi più seri, tra cui apprezzate
edizioni critiche di opere di Dante e Petrarca.


2) Morato, Olimpia Fulvia (1526-1555)
Probabilmente la più famosa umanista donna del Rinascimento fu Olimpia
Fulvia Morato, figlia di Fulvio Pellegrino e Lucrezia Gozzi, nata a Ferrara
nel 1526. Fu educata, fin dalla tenera età, dal padre in lingua e
letteratura latina e greca, rivelandosi inoltre un genio molto precoce in
astronomia, botanica, zoologia e meteorologia.
All'età di 14 anni, Olimpia divenne compagna di studi della principessa Anna
d'Este (1531-1607), figlia di Renata d'Este e cinque anni più giovane di
lei: con la principessa ella fu educata dai precettori, i fratelli Johann e
Kilian Sinapius, originari di Schweinfurt, nella Baviera settentrionale.
L'anno dopo, nel 1541, come già detto, fu convertita, assieme al padre, alla
Riforma da Celio Secondo Curione.
Ma, nel giro di pochi anni, a causa della crescente pressione
dell'Inquisizione e dei Gesuiti sul Duca Ercole II (1543-1559) (questi aveva
perfino confinato la moglie Renata nel palazzo di San Francesco), Olimpia si
trovò in una situazione sempre più difficile resa più penosa dalla morte del
padre nel 1548.
Nell'inverno 1549 Olimpia decise di sposare il medico riformato Andreas
Grundler (ca. 1506-1555), anch'egli di Schweinfurt come i fratelli Sinapius,
e che si era laureato in medicina a Ferrara: una scelta di campo coraggiosa
dell'umanista ferrarese, che lei confermò anche nella primavera 1550,
quando, assieme a Lavinia Franciotti della Rovere Orsini, cercò inutilmente
di intercedere per la liberazione del fornaio di Faenza, Fanino Fanini,
imprigionato come predicatore calvinista e successivamente giustiziato il 22
agosto dello stesso anno.
Le crescenti persecuzioni contro i protestanti italiani convinsero Olimpia
di emigrare in Germania nell'estate 1550 con il marito e con il fratellino
Emilio di 8 anni.
Essi si stabilirono a Schweinfurt, dove Andreas fu nominato medico della
città bavarese e dove Olimpia, incoraggiata da Curione, tradusse i Salmi in
greco e mantenne una fitta corrispondenza con riformatori in tutta Europa.
Nell'aprile 1553, durante la cosiddetta Seconda Guerra dei Margravi
(1552-1555), Schweinfurt fu occupata da Albrecht Alcibiades di
Brandenburg-Kulmbach (margravio: 1551-1554), ma la peste colpì occupanti e
cittadini, e peggio ancora la città fu assediata dalle truppe avversarie di
Weigand von Redwitz (1522-1556) e Melchior Zobel von Guttenberg (1544-1558),
principi-vescovi rispettivamente di Bamberg e di Würzburg. La capitolazione
avvenne nel giugno 1554: la città fu messa a ferro e fuoco e Olimpia, Emilio
e Andreas si salvarono per il rotto della cuffia, sebbene il medico venisse
imprigionato per un breve periodo. Purtroppo essi persero tutti i loro
averi, compresi moltissimi manoscritti della scrittrice.
Vagarono per un mese di città in città e la salute di Olimpia peggiorò
sensibilmente, a causa di frequenti attacchi di malaria. Finalmente, nel
luglio 1554, i conti di Erbach, Georg V (1539-1569) e Valentin II
(1539-1563), offrirono a Grundler un posto di professore in medicina
all'università di Heidelberg e l'umanista Jacobus Mycillus (nome umanistico
di Jacob Moeltzer) invitò Olimpia a dare lezione di greco.
Nell'ultimo anno della sua vita a Heidelberg, Olimpia riuscì a ricostruire a
memoria alcuni suoi poemi distrutti, a riformare una nuova biblioteca con
l'aiuto di Curione e a riprendere i contatti con i più famosi riformatori,
come Pier Paolo Vergerio, a cui chiese di tradurre il Grande Catechismo di
Lutero in italiano, ritenendo che potesse essere di grande utilità "ai
nostri italici, specialmente alla gioventù" (tuttavia Vergerio non poté
esaudire la richiesta).
Ma la sua salute era definitivamente compromessa: il 26 ottobre 1555,
all'età di soli 29 anni, Olimpia morì di tubercolosi, seguita alcune
settimane dopo dal marito e dal fratello, uccisi dalla peste.
L'amico di sempre, Celio Secondo Curione, pubblicò l'opera omnia di Olimpia
nel 1558 (le ristampe aggiornate furono del 1562, 1570 e 1580).


Fanini, Fanino (o Fannio, Camillo) (ca. 1520-1550)



La vita
Fanino Fanini (o Camillo Fannio) nato a Faenza nel 1520 circa da una agiata
famiglia di fornai, era il primogenito dei tre figli di Melchiorre Fanini
(m. 1546) e Chiara Brini. Nel 1542 F. sposò Barbara Baroncini, da cui ebbe
due figli, Giovanni Battista e Giulia, ed intraprese il mestiere di
famiglia, ma poco dopo iniziò ad interessarsi alle idee calviniste,
probabilmente in seguito alla lettura del Beneficio di Christo di Benedetto
Fontanini da Mantova e della Tragedia intitolata libero arbitrio di
Francesco Negri da Bassano, e, dopo la conversione, si diede ad un'intensa
attività di propaganda.
Fu arrestato nel 1547 e processato dall'inquisitore Alessandro da Lugo, ma
fu liberato "per pietà" e bandito da Faenza e dallo Stato della Chiesa.
Tuttavia F. rimase in Romagna e, associatosi agli evangelisti Barbone
Morisi, Giovan Matteo Bulgarelli, Alessandro Bianchi e Nicola Passerino,
fece una massiccia propaganda calvinista a Lugo, Imola e Bagnacavallo, dove
fecero proselitismo perfino nel convento femminile di Santa Chiara.
I punti principali delle prediche semplici, ma efficaci, di F. furono la
negazione dei sacramenti dell'Eucaristia e dell'Ordinazione, della messa e
dell'intercessione dei santi, della recita del rosario e della pratica del
digiuno, ma a Bagnacavallo il 27 febbraio 1549 F. fu arrestato per la
seconda volta e recluso nella rocca di Lugo per diciotto mesi, ed in seguito
venne trasferito a Ferrara per il processo. Tuttavia immediatamente dopo
l'arresto il cardinale Alessandro Farnese (1520-1589), nipote del Papa Paolo
III (1534-1549), chiese l'estradizione del prigioniero a Roma: era l'inizio
di un lungo tira e molla tra il papato e il duca di Ferrara Ercole II d'Este
(1543-1559), geloso della sua autonomia giudiziaria. Anche durante il
processo, il duca riuscì infatti a far affiancare l'inquisitore di Ferrara
Girolamo Papino da un domenicano, un francescano, ma soprattutto da tre
giudici "laici" nominati dalla corte ducale.
Il processo, comunque, si concluse il 25 settembre 1549 con la condanna al
rogo di F., eppure il duca fu notevolmente recalcitrante nel far eseguire la
sentenza, anche per una inusitata corsa alla solidarietà con tentativi di
far liberare il fornaio faentino da parte di illustri personaggi dell'epoca,
come il famoso capitano di ventura Camillo Orsini(1491-1559), la nuora
Lavinia Franciotti della Rovere Orsini e Olimpia Morato: le ultime due,
probabilmente sollecitate dalla duchessa Renata, moglie di Ercole II,
cercarono di intercedere presso il duca nella primavera 1550 e visitarono il
prigioniero in carcere per portargli l'elemosina della duchessa.
Perfino Renata in persona cercò di intervenire presso il marito, tuttavia
essendo già in odore di eresia calvinista (sarebbe stata poi relegata nel
palazzo di San Francesco, denominata per questo Palazzo della Duchessa), il
suo tentativo fu vano, se non ulteriormente compromettente per la sua
posizione a corte.
Dopo l'elezione del nuovo papa, Giulio III (1550-1555) nel febbraio 1550, il
duca fu fatto oggetto di pressioni e ricatti da parte del famigerato
inquisitore cardinale Giovanni Pietro Carafa, poi Papa Paolo IV (1555-1559):
Carafa alluse che se Ercole non avesse acconsentito all'esecuzione di F.,
l'Inquisitore Generale avrebbe aperto un procedimento contro la duchessa
Renata d'Este.
A questo punto, per scaricarsi la responsabilità, Ercole si fece mandare da
Giulio III una breve di autorizzazione alla condanna a morte di F.: il
povero fornaio, nonostante un tentativo della moglie e dei figli di
convincerlo ad abiurare, fu giustiziato mediante impiccagione, seguita dal
rogo, a Ferrara il 22 agosto 1550.


Le reazioni all'esecuzione
F. fu subito eletto ad esempio di martire protestante da parte di diversi
riformatori, come Francesco Negri, che scrisse nel 1550 De Fanini faventini
ac Dominici bassanensis morte (..) in merito all'esecuzione capitale del
fornaio di Faenza e di Domenico Cabianca da Bassano, conterraneo di Negri.
Anche Giulio Della Rovere esaltò la figura di F. nella seconda edizione
della sua popolare Esortazione alli dispersi per l'Italia, titolo poi
modificato in Esortazione al martirio, testo in cui spingeva i potenziali
martiri della fede riformata ad affrontare la morte.
Anche all'estero, e più precisamente a Ginevra, la vita ed il martirio di F.
furono descritti nel martirologio calvinista Actiones et monimenta martyrum
e nelle Icones di Théodore de Bèze.


Chemnitz, Martin (1522-1586)

La vita
Il famoso teologo luterano Martin Chemnitz nacque il 9 Novembre 1522 a
Treuenbrietzen, nel Brandeburgo, tra Berlino e Wittenberg. Il padre, un
mercante di stoffe, inviò il giovane e dotato figlio alla scuola di Latino a
Wittenberg, ma successivamente C. dovette poi abbandonare gli studi per
aiutare la famiglia.
Tra il 1539 ed il 1542, C. riprese i suoi studi a Magdeburgo e poi,
dedicandosi alla matematica e all'astrologia, a Francoforte sull'Oder e, dal
1545, nuovamente a Wittenberg, per studiare con Philipp Melantone, che lo
convertì al luteranesimo.
Nel 1547, a causa della guerra smacaldica, nella quale il principe elettore
di Brunswick, Heinrich il Giovane (1514-1568) si era schierato con i
cattolici, C. decise di trasferirsi presso il Duca (protestante) di Prussia,
Alberto di Brandeburgo-Ansbach a Köningsberg, e qui diresse la locale scuola
e poté continuare i suoi studi di astrologia.
Dal 1550, C. fu nominato dal duca bibliotecario della biblioteca di
Köningsberg, dove ebbe la possibilità di studiare i testi dei Padri della
Chiesa. Se ne appassionò a tal punto che si dedicò con passione allo studio
della teologia, laureandosi magister a Rostock.
Nell'Aprile 1553, C. si trasferì a Wittenberg per insegnare alla facoltà di
filosofia: qui diventò collega del suo ex maestro Melantone, i cui Loci
communes  furono il tema delle lezioni tenute da C. tenne proprio in
quell'anno. Già l'anno dopo, tuttavia, C. veniva chiamato a Braunschweig
(Brunswick) come predicatore della chiesa di Sant'Egidio ed aiutante del
coordinatore delle Chiese luterane, Joachim Mörlin (1514-1571), che lo
nominò sovrintendente a Königsberg, carica mantenuta da C. fino al 1567.
In questo periodo, dal 1565 fino al 1573, C. scrisse e pubblicò la sua opera
più famosa, l'Examen concilii Tridentini, un'impietosa analisi critica del
Concilio di Trento, che aveva appena chiusi i battenti due anni prima, dopo
un interminabile lavoro durato tre sessioni, dal 1545 al 1547, dal 1551 al
1552 e dal 1562 al 1563.
Nel 1568 C., assieme a Jakob Andreä (1528-1590), cancelliere all'università
di Tübingen e noto come il Lutero del Württemberg (oltre ad essere
successivamente ricordato anche come il nonno di Johann Valentin Andreä,
presunto fondatore del movimento dei Rosacroce), fu incaricato dal nuovo
principe Julius di Brunswick (1568-1589) di diffondere il luteranesimo a
Braunschweig e presiedette nel 1576 anche alla fondazione dell'università di
Helmstedt (dove insegnò nel 1589 Giordano Bruno).
Nel 1577 C., assieme al già citato Andreä e a Nikolaus Selnecker
(1532-1592), fu tra i teologi che redassero la Formula di Concordia, un atto
di fede luterana pubblicato successivamente a Dresda nel 1580. La Formula
riconosce le tre più antiche professioni di fede (degli apostoli, niceno e
di Sant'Atanasio) e fa parte dei testi fondamentali del luteranesimo,
assieme alla Confessio Augustana del 1530, l'Apologia sulla precedente,
scritta da Melantone, i Catechismi maggiore e minore di Lutero, gli Articuli
Smalcaldici, sempre di Lutero.
C. si ritirò nel 1584 e morì l'8 Aprile 1586 a Braunschweig.


Le opere e la dottrina
C. fu un scrittore molto prolifico e letto ai suoi tempi. Tra i suoi lavori
principali, a parte la partecipazione alla stesura della Formula di
Concordia, si ricordano:
Repetitio sanae doctrinae de vera praesentia corporis et sanguinis in coena
(1561), nel quale difese la dottrina luterana della presenza reale del Corpo
e Sangue di Cristo durante l'Eucaristia.
La già citata Examen concilii Tridentini (1565-1573), opera fondamentale del
luteranesimo. In essa C. rifiutò la motivazione cattolica che il testo della
Bibbia era oscuro e incerto e che quindi necessitava della tradizione e
della re-interpretazione della Chiesa cattolica. Per C. la Bibbia era
scriptura divinitus inspirata (Scrittura ispirata dal Divino): quello che
Gesù aveva detto ai suoi discepoli era stato successivamente dettato
letteralmente a loro dal Spirito Santo.
De duabus natirus in Christo (1570), un brillante e devoto trattato sulla
Cristologia.
Loci theologici (pubblicato postumo nel 1591), un commentario sui Loci
communes di Melantone.


Morone, Giovanni, cardinale di Modena (1509-1580)



I primi anni
Giovanni Girolamo Morone nacque il 25 gennaio 1509 a Milano da una nobile ed
illustre famiglia: il padre Conte Gerolamo Morone (1470-1529) era stato Gran
Cancelliere sotto i duchi Massimiliano (1512-1515) e Francesco II
(1522-1535) Sforza, ma, a causa di una congiura fallita contro gli spagnoli
nel 1525, era caduto in disgrazia presso l'imperatore Carlo V (1516-1556) ed
era stato imprigionato e in seguito aveva dovuto recarsi in esilio a Modena,
dove il giovane M. era stato educato.
L'adolescente M. aveva studiato con profitto giurisprudenza a Padova e nel
1529, all'età di soli 20 anni, era stato nominato vescovo di Modena, in
cambio di un importante servigio reso dal padre al papa Clemente VII
(1523-1534). Tuttavia la nomina venne violentemente contestata dal cardinale
Ippolito d'Este (1509-1572), a cui pare la sede fosse stata promessa: con
l'ausilio del fratello, il duca di Ferrara, Alfonso I d'Este (duca:
1505-1534) Ippolito si impossessò con la forza della sede vescovile e non lo
cedette al M. fino al 1532 e solo dietro un vitalizio annuale di 400 ducati.


M. in Germania
Nel frattempo M. venne utilizzato da Papa Paolo III (1534-1549) in delicate
missioni all'estero, soprattutto in Germania: dal 1536 fu nunzio presso
Ferdinando I, re dei Romani ed in seguito imperatore (1556-1564), e legato
pontificio alle Diete di Hagenau del 1540, Ratisbona del 1541 e Spira nel
1542.
Fu in questo periodo che M. imparò a conoscere da vicino il luteranesimo ed
a rendersi conto che le colpe della scissione non erano proprie tutte da
addossare ai protestanti. Infatti, quando il 17 giugno 1537, il cardinale
Jacopo Sadoleto scrisse a Melantone, convinto della possibilità di dialogo
tra le chiese cristiane e desideroso di allacciare un rapporto con il più
disponibile tra i riformatori luterani al dialogo con i cattolici, l'unico a
prendere le difese del criticatissimo Sadoleto fu M., che gli scrisse una
lettera di solidarietà.


M. ed il Concilio di Trento
Il 1 novembre 1542 M. (creato cardinale il 2 giugno dello stesso anno),
assieme ai cardinali Reginald Pole e Pietro Paolo Parisio, vescovo di Nusco
(m.1545), fu incaricato da Paolo III di aprire ufficialmente i lavori del
Concilio di Trento (lavori ufficiali: 1545-1563), ma questo primo tentativo
di iniziare il tanto atteso concilio fu un vero fallimento. Comparvero
pochissimi delegati e i lavori furono sospesi il 6 luglio 1543.
All'apertura ufficiale dei lavori conciliari nel dicembre 1545, M. non
partecipò in quanto era stato, nel frattempo, nominato legato pontificio a
Bologna. Successivamente egli venne incaricato dal papa Giulio III
(1550-1555) di organizzare il rientro dei lavori del concilio nella sede
originaria di Trento, dopo il momentaneo trasferimento degli stessi proprio
a Bologna.


M. a Modena
Per quanto riguarda la sua sede vescovile di Modena, egli vi rientrò nel
1542 e in settembre, avendo ricevuto allarmanti relazioni dal suo vicario
Domenico Sigibaldi, obbligò i partecipanti dell'Accademia Grillenzoni a
sottoscrivere un formulario di fede cattolica, redatto dal cardinale Gasparo
Contarini, gli Articuli orthodoxae professionis, per allontanare il sospetto
di un livello di eresia locale talmente diffusa e incontrollabile da
richiedere un successivo intervento dell'Inquisizione. Degli intellettuali
riformati coinvolti, Ludovico Castelvetro si rassegnò a sottoscrivere il
formulario, invece Filippo Valentini ed il professore universitario
Francesco Porto (1511-1581) si rifiutarono, preferendo allontanarsi dalla
città.
Eppure, d'altra parte, con la nota tecnica di un colpo al cerchio e uno alla
botte, M. invitò nella propria diocesi predicatori eterodossi, come il
domenicano Bernardo de' Bartoli nel 1543 o il minorita Bartolomeo Golfi
Della Pergola, che predicò a Modena durante la quaresima del 1544.
Evidentemente l'interesse di M. per la Riforma - lesse con grande interesse
Il Beneficio di Christo di Benedetto Fontanini e gli scritti di Marcantonio
Flaminio - era comunque permeato da un solido nicodemismo: fu, in questo
senso, criticato nella Tragedia intitolata Libero arbitrio di Francesco
Negri da Bassano. Eppure la prudenza non fu sufficiente a M. per evitare una
prima inchiesta aperta nel 1552 da parte del Grande Inquisitore Gian Pietro
Carafa.
Nel 1550 M. rinunciò alla sede di Modena a favore del valdesiano Egidio
Foscherari in cambio di una rendita annuale, ma cinque anni più tardi Giulio
III decise di nominarlo vescovo di Novara (comunque alla morte di Foscherari
nel 1564 M. fu nuovamente proclamato vescovo di Modena).


Il processo
Nel 1555 M. venne inviato come legato pontificio alla Dieta di Augusta, ma
l'improvvisa morte di Giulio III e l'elezione del fanatico Carafa, con il
titolo di Papa Paolo IV (1555-1559), lo obbligò ad un rientro in Italia,
seguito dallo stato di messa in accusa da parte di Paolo IV per eresia.
Era l'inizio del regolamento di conti di Paolo IV nei confronti dei
cosiddetti "spirituali", che tra il 1557 ed il 1558 portò in carcere, tra
gli altri, M., l'arcivescovo di Otranto Pietro Antonio di Capua, il vescovo
di Cheronissa Giovanni Francesco Verdura, il sopramenzionato Egidio
Foscherari, il cavaliere Mario Galeota ed il nobile Bartolomeo Spadafora:
Reginald Pole si salvò solo per l'intercessione della regina cattolica
d'Inghilterra, Maria Tudor (1553-1558).
M. subì un processo inquisitoriale per sue idee sospette sulla
giustificazione per fede e sulla venerazione dei santi e delle reliquie e
incarcerato il 31 maggio 1557 a Castel Sant'Angelo. Per la verità, le accuse
contro di lui decaddero poco dopo, ma l'orgoglioso cardinale pretese le
scuse ufficiali del papa, che non arrivarono, e quindi egli poté essere
liberato solo dopo la morte di Paolo IV il 18 agosto 1559.


Gli ultimi anni
Il nuovo papa, Pio IV (1559-1565) lo scagionò completamente dalle accuse nel
1560 e nel 1563 lo invitò a presiedere ai lavori conciliari a Trento.
Nel 1566 egli fu uno dei principali candidati al seggio papale, ma gli fu
preferito Michele Ghisleri (un altro inquisitore!), che assunse il nome di
Pio V (1566-1572) e che doveva tutta la sua carriera a Paolo IV: arrivato al
potere, nel 1568 Pio V iniziò a far raccogliere da parte dell'Inquisitore
domenicano Camillo Campeggi (diventato poi vescovo di Nepi e Sutri) una
serie di documentazione atta ad incastrare definitivamente M. e gli altri
spirituali, ma, benché l'Inquisizione procedesse con estrema severità contro
alcuni spirituali (un esempio per tutti il rogo di Pietro Carnesecchi), non
si giunse ad un nuovo processo contro M. probabilmente per la morte di Pio V
nel 1572.
Finalmente la situazione per M. ritornò normale sotto il successore Gregorio
XIII (1572-1585): M. svolse missioni all'estero, ricoprendo incarichi
ufficiali, ad esempio legato pontificio alla Dieta di Ratisbona nel 1576 e
cardinale protettore d'Inghilterra nel biennio 1578-79.
Infine, poco prima della sua morte, avvenuta il 1 dicembre 1580, M. fu
nominato cardinale vescovo di Ostia.


Turrettini, famiglia (XVI e XVII secolo)



Famiglia di riformatori esuli lucchesi (per la particolare situazione di
Lucca nel XVI secolo, vedi Burlamacchi) del XVI e XVII secolo, di cui si
ricordano:


1) Turrettini, Francesco (1547-1628)
Figlio del gonfaloniere (capo magistrato) Regolo, Francesco Turrettini, nato
a Lucca il 5 maggio 1547, fu il primo della famiglia a convertirsi alla
Riforma. In seguito a questa decisione, F. si trasferì all'estero, a Lione,
Ginevra (dal 1574 al 1579, e dove lo raggiunse la notizia della sua condanna
come eretico e relativa confisca dei suoi beni, pronunciata a Lucca il 28
febbraio 1578), Anversa (dal 1579 al 1585), Francoforte, Basilea e Zurigo
(dove si rifece una fortuna nel commercio della seta e sposò nel 1587
Camilla Burlamacchi, figlia di Michele), per stabilirsi definitivamente a
Ginevra nel 1592. Nel 1627 venne accettato come cittadino di Ginevra ed
eletto come membro dei Duecento e del Consiglio dei Quaranta. Assieme a
Pompeo Diodati, Orazio Micheli (n. 1553), Fabrizio Burlamacchi e Cesare
Balbani, F. creò il cartello dei commercianti di seta ginevrini, denominato
La Grande Boutique.
Morì nel 1628, alla vigilia di una grave crisi economica, che segnò il
declino dell'industria della seta, quindi la fortuna dei Turrettini, che
comunque sfornò da quel momento non più capaci mercanti, bensì ottimi
teologi riformati.


2) Turrettini, Bénédict (1588-1631)
Figlio primogenito di Francesco, Bénédict (Benedetto) Turrettini, nato a
Zurigo l'8 novembre 1588, era un apprezzato pastore riformato e dal 1612
professore di teologia. Nel 1620 fu delegato a partecipare al sinodo di
Ales, dove sostenne le ragioni di Franz Gomar contro Jacob Arminio e dove
furono introdotte in Francia le decisioni del sinodo di Dordrecht (tuttavia
negli ultimi anni della sua vita eglifu abbastanza tollerante verso gli
arminiani). Ebbe sei figli, di cui il terzogenito fu Francesco (o François).
Morì a Ginevra il 4 marzo 1631.


3) Turrettini, Francesco (o François) (1623-1687)
Il più famoso della famiglia Turrettini, Francesco (o François), terzogenito
di Bénédict, nacque il 17 ottobre 1623 a Ginevra, dove studiò all'accademia
sotto la direzione di Giovanni Diodati, Friedrich Spanheim (1600-1649),
Alexandre Morus (1578-1651) e Theodore Tronchin (1582-1657).
In seguito viaggiò per motivi di studio a Utrecht, Parigi [dove ebbe come
maestri Pierre Gassendi (1592-1655) e David Blondel], Saumur, Montaubon e
Nimes. A Saumur egli fu coinvolto in una disputa teologica con il teologo
Moise Amyraut, fautore dell'universalismo ipotetico o condizionale (la
volontà, cioè, di Dio di salvare tutti a condizione che essi avessero
creduto) contrapposto al concetto calvinista ortodosso della predestinazione
degli eletti.
F. ritornò nel 1648 a Ginevra e fu nominato pastore della locale comunità
italiana, mentre nel 1650 egli rifiutò la nomina alla cattedra di filosofia
dell'accademia di Ginevra, e nel 1652 si recò a Leida come pastore della
città, dopo la morte di Aaron Morus (1624-1652).
Richiamato indietro a Ginevra a furor di popolo nel 1653 fu nominato
successore (nel 1657) di Theodore Tronchin come professore di teologia
all'accademia, dove, nella sua attività educatrice, osservò una rigorosa
ortodossia riformata, lottando contro divagazioni arministe o sociniane.
F. fu incaricato diverse volte di svolgere missioni all'estero a favore
della repubblica di Ginevra, come nel 1661-62 quando, per cercare fondi
necessari alla fortificazione delle mura della città svizzera, si recò
presso gli Stati Generali in Olanda. Qui fu invitato a stabilirsi, ma
rifiutò per ritornare a svolgere un'attività di intermediazione a Ginevra,
dove l'arminista Louis Trochin (1629-1705) (il figlio di Theodore) stava
contestando la crescente intransigenza della Venerabile Compagnia dei
Pastori.
Nel 1669 F. si sposò con Isabelle de Masse e dal matrimonio nacquero 4
figli, di cui sopravvisse solo l'ultimo, Jean Alphonse.
Nel 1675 F. fu autore, assieme a Johann Heinrich Heidegger (1633-1698) di
Zurigo, Lukas Gernler (1625-1676) di Basilea ed ad altri riformatori, della
Formula consensus Ecclesiarum Helveticarum Reformatarum, la confessione di
fede calvinista, risposta ortodossa all'amyraldismo e che, dal 1679, i
pastori e i professori dell'accademia ginevrina dovevano obbligatoriamente
sottoscrivere.
Gli ultimi anni della sua vita furono amareggiati dalle notizie delle
persecuzioni dei valdesi da parte dei Duchi di Savoia [Vittorio Amedeo II di
Savoia (1675-1732) emise nel 1686 un editto, che stabiliva l'espulsione o la
conversione forzata dei protestanti piemontesi] e degli ugonotti in Francia,
dopo la revoca nel 1685 dell'editto di Nantes.
F. morì a Ginevra il 28 settembre 1687.
La sua attività letteraria comprende la monumentale opera principale
Institutio Theologiae Elencticae (1679-82), diversi sermoni (1674), i studi
sulla Giustificazione di Cristo (1666), il trattato I papisti e le
rivendicazioni dei riformati (1664).


4) Turrettini, Jean Alphonse (1671-1737)
L'unico figlio sopravvissuto di François, Jean Alphonse nacque a Ginevra il
13 agosto 1671 e studiò con il teologo arminista Louis Trochin, il filosofo
cartesiano Jean Robert Chouet (1642-1731) e gli storici Friedrich Spanheim e
Jacques Bénigne Bossuet (1627-1704).
Conclusi brillantemente i suoi studi nel 1691, egli fece un viaggio di studi
in Olanda, in Inghilterra a Cambridge, conoscendo, fra gli altri, Isaac
Newton (1642-1727), e in Francia, dove venne influenzato dalle idee di
Nicholas Malebranche (1638-1715).
Ritornato a Ginevra per motivi di salute, nel 1693, all'età di 22 anni entrò
a far parte della Venerabile Compagnia dei Pastori e nel 1697 accettò
l'offerta di un professorato di Storia Ecclesiastica e successivamente, nel
1705, quella di docente di Teologia.
Il suo nome fu legato al periodo di liberalizzazione della disciplina
ecclesiastica calvinista (fu uno dei principali artefici nell'abolizione nel
1706 del Consensus Helveticus, tanto voluto da suo padre), all'apertura
dell'accademia ginevrina a materie non ecclesiastiche, come la matematica, e
alle variazioni introdotte nella liturgia rigidamente riferita agli
insegnamenti di Calvino. Fu uno dei più grandi pensatori irenici calvinisti
dell'epoca e i suoi sforzi, che ricordavano un po' quelli del teologo
luterano Georg Callisen (Calixtus), per una riunificazione con le altre
anime del protestantesimo (luteranesimo e anglicanesimo) interessarono
personaggi come il re di Prussia, Federico I (1701-1713), il filosofo
Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) e l'arcivescovo anglicano di
Canterbury William Wake (1657-1737).
Nella sua opera più famosa, la Nubes testium pro moderato et pacifico de
rebus theologicis judicio, et instituenda inter Protestantes concordia del
1719, egli cercò di distinguere fra dottrine fondamentali e sostanziali e
insegnamenti protestanti non essenziali: solo i primi, punti fondamentali
della fede, erano veramente necessari, per il resto era possibile trovare un
accordo a patto che si ricorresse di più alla tolleranza ed al dialogo con
le altre confessioni.
J. morì a Ginevra il 1 maggio 1737.


Sozzini (o Socini, Sozini, Sozzino, Socino o Socinus), Fausto Paolo
(1539-1604) e Socinianesimo in Polonia



I primi anni
Il famoso teologo antitrinitario Fausto Paolo Sozzini (o Socini: per le
altre varianti del cognome, vedere il titolo), nome umanistico Faustus
Socinus,  nacque il 5 dicembre 1539 a Siena, primogenito del giurista
Alessandro Sozzini (1509-1541) [a sua volta primogenito del giureconsulto
Mariano Sozzini il giovane (1482-1556)] e di Agnese Petrucci, discendente di
Pandolfo Petrucci (1452-1512), governatore di Siena dal 1487 al 1512.
Il piccolo Fausto, dopo la nascita della sorella Fillide (1540-1568), rimase
nel 1541 orfano del padre, e dopo poco anche della madre. Egli fu allevato
nella famiglia paterna senza un'educazione regolare, con un interesse più
per le lettere che per la giurisprudenza (gli studi tradizionali della
famiglia Sozzini), sotto lo stimolo culturale di suo zio Celso, professore
di diritto a Bologna, e proprio in questa città Celso trasportò nel 1554
l'Accademia senese dei Sizienti, di cui S., pare, abbia fatto parte.
E' sicuro invece la sua adesione, nel 1557, all'Accademia senese degli
Intronati, dove egli entrò con il nome di Frastagliato, sempre al seguito
dello zio Celso, che aveva assunto il nome di Sonnacchioso. Le riunioni
degli Intronati, votati alle discussioni sulla letteratura, lingua e
religione furono per S. senz'altro più interessanti di quelle dei Sizienti,
dedicati solo ad argomenti giuridici. Comunque, per sua fortuna, non dovette
affidarsi ad un titolo di studi per vivere, perché, nel 1556, alla morte del
nonno Mariano, S. poté disporre (per più di trent'anni) di una certa
sicurezza economica, quando ricevette in eredità un quarto dei beni di
famiglia.


Lo sviluppo del pensiero religioso di S.
I primi interessi religiosi eterodossi di S. gli furono trasmessi dallo zio
Lelio, che, benché esule dal 1547 in Svizzera per motivi religiosi, ebbe la
possibilità di rivisitare Siena e parlare col nipote nel 1552.
Nel 1558 S. fu coinvolto nel processo per eresia a carico degli zii Celso e
Camillo, segno di un graduale schieramento a favore delle scelte protestanti
dei famigliari. Nel 1561 egli lasciò Siena per recarsi a Lione ufficialmente
per impratichirsi nell'arte mercantile, ma nella città francese egli spese
due anni della sua vita soprattutto ad approfondire le sue conoscenze
religiose e a mantenere i contatti con lo zio Lelio, che abitava a Zurigo.
Avvertito della morte di quest'ultimo, avvenuto il 14 maggio 1562, da parte
del mercante Antonio Mario Besozzi (m. 1567), S. accorse a Zurigo per
raccogliere gli scritti di Lelio, che poi usò per meditare e sviluppare la
dottrina del pensiero sociniano: già nell'aprile 1563, rielaborando concetti
di Lelio, S. aveva composto un commento all'incipit del Vangelo di San
Giovanni, dal titolo Explicatio primae partis primi capiti Evangelii
Johannis, dove però, rispetto allo zio, S. diede più forza al carattere
spirituale di Cristo.
In seguito S. si stabilì per un breve periodo a Basilea (sebbene il suo nome
fosse anche citato nell'elenco degli iscritti alla Chiesa degli Italiani a
Ginevra), dove conobbe Celio Secondo Curione, amico dello zio Lelio. S. si
recò anche a Zurigo, dove fu tuttavia coinvolto nell'espulsione, per le sue
idee antitrinitarie, antiecclesiastiche e contro i Sacramenti, di Bernardino
Ochino (da S. conosciuto nella città svizzera) da parte del riformatore
Johann Heinrich Bullinger nel dicembre 1563.
A questo punto S., nonostante fosse già abbastanza compromesso con la
Riforma, prese la sconcertante decisione di ritornare in Toscana. Sulla
strada di ritorno, passò per Chiavenna, dove fece visita all'amico e maestro
Ludovico Castelvetro.


Il periodo fiorentino (1563-1574)
Effettivamente non è del tutto chiaro perché S. decidesse di rientrare in
Italia, visto che poi, per la sua stessa incolumità, dovette poi osservare
una prassi fortemente nicodemitica: infatti per i successivi 11 anni (dal
1563 al 1574) si tenne per sé le sue intime elucubrazioni religiose.
S. si trasferì a Firenze ed entrò come segretario al servizio di Isabella
de' Medici(1542-1576), figlia del granduca Cosimo I de' Medici (duca di
Firenze: 1537-1569 e granduca di Toscana: 1569-1574), e del marito Paolo
Giordano Orsini (1537-1585), accompagnando la sua protettrice a Roma nel
1571 e componendo poemi e sonetti, di cui i più ispirati furono quelli
composto in onore della sorella Fillide, morta nel 1568 e di Ludovico
Castelvetro, morto il 21 febbraio 1571, in cui S. dichiarò che il modenese
gli aveva chiaramente mostrato la via da seguire: l'esilio (in terra
protestante) e la palese professione di fede.
Nel frattempo (1568) fu stampato, sotto lo pseudonimo del gesuita Domenico
Lopez, il suo scritto teologico De Sacrae Scripturae Autoritate, che,
applicando i metodi della filologia moderna, introdotti da Lorenzo Valla,
ribadiva l'autorità della Sacra Scrittura e l'eccellenza della religione
cristiana. L'uso di uno pseudonimo fu probabilmente frutto di un accordo
segreto con Cosimo I: il granduca avrebbe accordato la sua protezione, a
patto che S. non pubblicasse i suoi scritti con il proprio nome. L'accordo
proseguì anche con il successore di Cosimo, Francesco Maria (1574-1587) e
garantì il regolare afflusso di proventi verso il paese estero, dove S.
aveva, in volta in volta, stabilito la propria residenza.
Nonostante la dichiarazione in occasione della morte di Castelvetro e la
pubblicazione del De Sacrae Scripturae Autoritate, S. prese la decisione di
abbandonare per sempre l'Italia solo dopo la morte del Granduca Cosimo I de'
Medici, avvenuta nell'aprile 1574. Del resto, due anni dopo, nel giugno
1576, avvenne una tragedia che avrebbe rinforzato la sua decisione: la sua
protettrice, Isabella de' Medici, fu strangolata dal gelosissimo marito, che
aveva saputo dell'esistenza di un amante della moglie [sebbene avesse lui
stesso come amante Vittoria Colonna Accoramboni (1557-1585)]. Quindi nulla
poté il nuovo granduca, Francesco Maria, fratello di Isabella, per
convincere il senese a recedere dalla sua decisione. Tra l'altro, la scelta
di S. era dettata dalla necessità di vivere in un ambiente, che gli
permettesse di sviluppare con serenità e sicurezza i suoi studi sulle
Scritture.


S. in Svizzera
Nella seconda metà del 1574, quindi, S. emigrò in Svizzera, a Basilea, dove
i capi religiosi erano i tolleranti riformatori Theodore Zwinger (1533-1588)
e Basilio Amerbach (1533-1591): per quest'ultimo lo zio Lelio aveva scritto
una lettera di presentazione nel lontano 1547, quando lo svizzero aveva
espresso il desiderio di recarsi in Italia per completare i suoi studi di
giurisprudenza. A Basilea S. risedette per circa quattro anni, studiando le
Sacre Scritture e soprattutto il problema della redenzione, sul quale
argomento scrisse due trattati: la sua opera principale De Jesu Christo
Servatore (Gesù Cristo salvatore), finita nel 1578, pubblicata parzialmente
(ma senza il suo consenso) nel 1583 e interamente in Cracovia nel 1594, e il
trattato De statu primi hominis ante lapsum (Sulla condizione del primo uomo
prima della Caduta), sempre scritta nel 1578, ma pubblicata postuma nel
1610.
Il primo trattato, nato dalle discussioni con i riformatori Gerolamo
Marliano, Giovanni Battista Rota (pastore della Chiesa italiana a Ginevra),
Manfredi Balbani e Jacques Couët du Vivier (1547-1608), esponeva l'idea di
S. a riguardo della redenzione: il punto principale della dottrina
protestante della giustificazione per fede non era il sacrificio di Cristo
compiuto per espiare i nostri peccati, bensì la rivelazione divina
attraverso l'esempio della vita di Cristo, vero salvatore e redentore degli
uomini.
Il secondo trattato, invece, si inserì nella polemica in atto tra S. e
Francesco Pucci, il pensatore utopistico che rigettava il concetto di
peccato originale: secondo Pucci, l'uomo è immortale e si danna solo quando,
razionalmente, devia dalla legge divina. Per S., che si confrontò con Pucci
nel 1577 a Basilea in un incontro organizzato da Francesco Betti, l'uomo,
essere mortale, si deve invece conquistare l'immortalità con la fede attiva.


S. in Transilvania
Una copia del manoscritto del De Jesu Christo Servatore giunse fino in
Transilvania e attirò l'attenzione del riformatore antitrinitario e medico
Giorgio Biandrata, che invitò S. a recarsi a Kolozsvàr (oggi Cluj in
Romania) nel novembre 1578, per polemizzare con Ferenc Dàvid, il quale aveva
aderito alla fazione degli antitrinitariani non-adoranti, coloro i quali
negavano il ruolo di guida per i fedeli verso la salvezza del Cristo e
rifiutavano, conseguentemente, ogni forma di adorazione di Gesù Cristo. A
loro si contrapponevano gli antitrinitariani adoranti, che ponevano la
figura di Cristo come riferimento per la salvezza degli uomini. Da qui si
comprende l'interesse di Biandrata verso il trattato di S., che considerava
Gesù Cristo colui il cui compito era di rivelare Dio agli uomini, i quali
potevano così raggiungere la salvezza, seguendo il Suo esempio.
L'inattesa conclusione della discussione avvenne nel giugno 1579, quando, su
denuncia di Biandrata, Dàvid fu fatto arrestare in giugno e imprigionare
nella fortezza di Déva dove morì il 15 novembre dello stesso anno.


S. in Polonia
S. non prese comunque parte attiva alla tragedia umana di Dàvid, perché, già
nel maggio 1579, si era trasferito in Polonia, presso i Fratelli Polacchi,
l'ecclesia minor di fede antitrinitaria (o unitariana) che aveva mantenuto
le caratteristiche ariane (in particolare il concetto che Cristo era
pre-esistito alla creazione del mondo e quindi era giusto adorarlo) e
anabattiste, datale da Pietro Gonesio: fu soprattutto l'arrivo di S. che
contribuì ad uniformare la dottrina sui principi proposti dal senese.
S. pose la sua residenza a Cracovia, sebbene il centro di riferimento per
l'unitarismo polacco fosse la vicina cittadina di Raków, dove era stato
fondato un seminario di studi antitrinitari nel 1569 e dove, tra il 1603 ed
il 1605, sarebbe stato redatto il catechismo ufficiale della setta.
Curiosamente S. non fece ufficialmente parte della Chiesa antitrinitariana
di Cracovia, se non in tarda età, a causa del suo rifiuto di farsi
ribattezzare (l'influenza anabattista era ancora molto forte sugli
antitrinitariani polacchi) da parte del pastore Szymon Ronemberg.
Qui, però, riprese la polemica tra adoranti ed alcuni esponenti
non-adoranti, come Giacomo Paleologo, Jànos Sommer (1540-1574), e Andrea
Dudith Sbardellati: comunque, oltre alla solita diatriba se fosse giusto o
meno adorare Gesù Cristo, con il suo De Jesu Christi filii Dei natura sive
essentia, S. attaccò i non-adoranti come giudaizzanti, che volevano, tra
l'altro, santificare il sabato, secondo un uso sabbatariano, che si sarebbe
espanso in Inghilterra, portatovi proprio dagli antitrinitariani profughi
dalla Polonia.
Inoltre un altro punto di frizione con S. fu l'obbligo morale, secondo
Paleologo, del cristiano nella difesa, anche prendendo le armi, del paese
che offriva la sua ospitalità. S. era in totale disaccordo con questa tesi:
per l'antitrinitariano senese, il cristiano, secondo l'interpretazione del
Nuovo Testamento, non poteva versare il sangue di altri cristiani.
I toni della polemica furono così accesi che il medico Marcello
Squarcialupi, amico di Biandrata, nel 1581 scrisse una lettera a S. per
richiamarlo ad abbassare i toni della polemica, che danneggiava l'immagine
degli esuli italiani.
Comunque, a parte questo episodio, S. mantenne sempre buone relazioni
sociali con diversi esuli italiani in Polonia, soprattutto con Niccolò
Buccella, che diventò suo amico fraterno e che nominò S. come uno dei suoi
eredi, e con Prospero Provana, che lo ospitò spesso in sua casa.
Nel marzo 1583, temendo rappresaglie da parte del fronte cattolico polacco,
S. decise di andare ad abitare nel villaggio di Pawlikowice (oggigiorno
Roznów, sudest di Cracovia), ospite del nobile polacco Krzysztof Morsztyn, e
ne sposò la figlia Elizabeth nel 1586. L'anno dopo nacque l'unica figlia di
S., Agnese (1587-1654), ma, nello stesso anno morì la moglie. Il 1587 fu
anche l'anno della morte del suo protettore in patria, Francesco Maria de'
Medici, e, nonostante S. mantenesse apparentemente dei buoni rapporti con il
nuovo granduca, Ferdinando I (1587-1609), l'Inquisizione a Siena gli
sequestrò i beni, con l'accusa di eresia. Tuttavia la perdita di introiti
dalla madrepatria fu parzialmente compensata dalla possibilità di pubblicare
con il proprio nome le sue opere, poiché, come si è detto precedentemente,
l'anonimato era la conditio sine qua non imposta prima da Cosimo I, poi da
Francesco Maria de' Medici perché S. potesse continuare a ricevere i
proventi delle sue proprietà di famiglia.
Nel 1588 S. riuscì nell'impresa di unire tutte le fazioni antitrinitariane
al sinodo di Brest (Brzesc, in Lituania) e, in suo onore, da questo momento
gli antitrinitariani si denomineranno sociniani. Oltretutto la crescente
popolarità presso la nobiltà polacca e l'autorevolezza dei suoi interventi
fecero sì che nel 1596 S. fosse nominato capo della Chiesa sociniana
polacca.
Tuttavia la conseguenza fu che egli dovette fronteggiare una violenta
reazione, anche di piazza, dei cattolici: nel 1591 il suo punto d'incontro a
Cracovia fu devastato dalla folla, ma soprattutto, nel 1598, gli studenti
universitari, sobillati dai gesuiti, fecero irruzione nella sua casa di
Cracovia, mentre giaceva a letto ammalato: S. stesso fu malmenato e portato
davanti al municipio, dove vennero bruciati i suoi scritti e i suoi libri.
Richiesto di abiurare, rifiutò e fu quindi trascinato via per essere
annegato nel fiume Vistola, e solo il tempestivo intervento di un professore
universitario, Martin Wadowit, gli salvò la vita.
Temendo quindi per altri attacchi di fanatici, S. si trasferì da Cracovia a
Luslawice, un villaggio a nord di Tarnów, a 30 km. da Cracovia, ospite di
Abraham Blonski, e qui iniziò, senza poterla finire, la stesura della bozza
di un catechismo antitrinitariano, la Christianae religionis brevissima
institutio, per interrogationes et responsiones, quam catechismus vulgo
vocant, che fu la base del catechismo ufficiale, redatto, dopo la sua morte,
dal fedele discepolo Piotr Stoinski junior (m. 1605), assieme a Valentinus
Smalcius (1572-1622), Hieronymus Moskorzowski (m. 1625) ed altri, in polacco
nel 1605.
Il testo fu poi tradotto in tedesco nel 1608, in latino nel 1609, ed in
inglese, a cura di John Biddle, nel 1652 con il titolo di The Racovian
Catechisme (Catechismo di Raków), nome con il quale oggi è conosciuto nel
mondo anglosassone unitariano.
S., ormai vecchio e sofferente per ripetute coliche e calcoli renali, morì a
Luslawice il 4 marzo 1604. Dapprima sulla sua tomba fu posta la scritta Chi
semina virtù, raccoglie la fama, e vera fama supera la morte, ma nel 1936 i
suoi resti furono posti in un mausoleo, dove sulla sua tomba vennero scritte
queste significative parole: Crolli la superba Babilonia: Lutero ne
distrusse i tetti, Calvino le mura, Socini le fondamenta.


Il pensiero religioso
Secondo Marian Hillar, il nocciolo delle dottrine sociniane si riassumano in
dieci punti:
Antitrinitarismo, o negazione del concetto tradizionale della Trinità.
Unitarianismo, o negazione della pre-esistenza di Gesù.
Il concetto della redenzione attraverso atti morali.
Il dualismo radicale: Dio e l'uomo sono radicalmente differenti.
Il primo uomo, Adamo, era mortale prima della Caduta.
Il concetto della religione come pratica di principi etici, per esempio la
convinzione che gli insegnamenti morali di Cristo, tipo il Sermone della
Montagna, devono essere praticati.
La convinzione che l'uomo è capace di sviluppare la volontà di seguire
Cristo e così ottenere la salvezza.
L'opposizione al misticismo, che richieda qualche speciale illuminazione per
conoscere la verità religiosa.
La convinzione che la ragione dell'uomo è sufficiente per capire e
interpretare le Scritture.
La posizione empirica che tutte le nostre conoscenze derivano
dall'esperienza dei sensi.
Il pensiero di S., fortemente razionale, accettava un solo Dio, mentre Gesù
Cristo era semplicemente un uomo crocefisso, il cui compito era di rivelare
Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così la salvezza, seguendo
il Suo esempio. Per lui la Sacra Scrittura, redatta da uomini, non era
indenne da errori, e l'uomo doveva basarsi sulla propria etica per osservare
i comandamenti e non era quindi necessaria la grazia divina. Egli, inoltre,
negava l'esistenza dell'inferno, il peccato originale, la necessità dei
sacramenti, la predestinazione, e, rispetto ai Fratelli Polacchi, rifiutava
il secondo battesimo.


La fine del socinianesimo in Polonia
Pochi anni dopo, nel 1610, sotto il regno di Sigismondo Augusto III
(1587-1632), la potente organizzazione gesuita sbarcò in Polonia decretando
il rapido declino degli antitrinitariani (o unitariani) in Polonia: il 6
novembre 1611 fu bruciato sul rogo a Varsavia l'unitariano Jan Tyskiewicz,
un agiato cittadino di Bielsk, per essersi rifiutato di giurare sulla
Trinità e nel 1638 fu chiuso il seminario di Raków.
Il colpo finale per l'unitarismo in Polonia fu comunque, durante il regno di
Giovanni Casimiro (1648-1668), il bando di espulsione per tutti gli
unitariani polacchi, deciso nel 1658 e diventato esecutivo il 10 luglio
1660, che li costrinse o ad uniformarsi al cattolicesimo o ad emigrare in
altri paesi europei (in Olanda, dove la maggior parte si trasferì aderendo
alla Chiesa Arminiana dei rimostranti, in Germania, e in Transilvania, dove
però essi non aderirono alla Chiesa Unitariana Transilvana, ma formarono una
chiesa autonoma a Kolozsvàr estinguendosi nel 1793). Nel 1668 fu introdotta
la legge, che prevedeva la pena di morte per i cattolici battezzati, che si
fossero convertiti al protestantesimo.
L'ultima sacca di resistenza unitariana in Polonia si estinse nel 1811 e
solo nel 1921 furono riaccettate le congregazioni unitariane nella nazione
rinata dopo secoli di dominazione straniera. Ma la successiva occupazione
nazista nel 1939 e l'instaurazione del comunismo ha fatto sì che
l'unitarianismo polacco potesse incominciare a muovere nuovamente qualche
timido passo solamente dopo la caduta del muro di Berlino, negli anni '90
del XX secolo. L'attuale Chiesa unitariana in Polonia comprende solo qualche
centinaio di fedeli.
Per lo sviluppo del socinianesimo in altri paesi, vedi unitarianismo.


Muggleton, Lodowick (1609-1698) e muggletoniani



La setta religiosa dei muggletoniani si sviluppò in Inghilterra all'indomani
della guerra civile (1642-46) e prese il nome da uno dei fondatori, Lodowick
Muggleton. Il messaggio di fondo della setta era di tipo millenarista (la
Terza Era dello Spirito Santo di gioachimita memoria) e basato sulla
interpretazione di un passo del Libro dell'Apocalisse (XI:3-6):
E io darò ai miei due testimoni di profetare, ed essi profeteranno per
milleduecentosessanta giorni, vestiti di cilicio.
Questi sono i due olivi e i due candelabri che stanno nel cospetto del
Signore della terra.
E se alcuno li vuole offendere, esce dalla loro bocca un fuoco che divora i
loro nemici; e se alcuno li vuole offendere, bisogna ch'ei sia ucciso in
questa maniera.
Essi hanno il potere di chiudere il cielo onde non cada pioggia durante i
giorni della loro profezia; e hanno potestà sulle acque di convertirle in
sangue, potestà di percuotere la terra di qualunque piaga, quante volte
vorranno.
Questo ruolo di due testimoni venne reclamato dal 1652 dai due cugini John
Reeve (1608-1658) e Lodowick Muggleton (1609-1698), che affermavano di aver
avuto la chiamata da Dio per preparare il Regno dei Santi. C'era stato, per
la verità, un precedente nel 1636 con due tessitori di Colcester, che si
erano auto-proclamati i due testimoni, ma questi ebbero scarso seguito e
morirono miseramente in prigione nel 1642.
Quindi nel febbraio 1652 John Reeve, che faceva il sarto di Londra, disse di
aver ricevuto tre visioni da Dio e che l'Onnipotente l'aveva nominato Suo
profeta, mentre Lodowick Muggleton, suo cugino, che aveva avuto simili
visioni, fu nominato Suo portavoce.
La dottrina della setta fu un misto di dottrine dei Ranters, dei Familisti,
dei Behmenisti con buona dose di millenarismo e predestinazione, mentre fu
fortemente in contrasto con le idee di George Fox, il fondatore del
movimento quacchero, e dei battisti.
Benché la setta avesse preso in seguito (dal 1676) il nome del suo
principale organizzatore Muggleton, fu Reeve (da cui il termine, meno usato,
di Reeveoniani) il leader carismatico del movimento fino al 1658, e i suoi
seguaci lo temevano, in quanto, come Profeta di Dio, egli affermava di
sapere chi si sarebbe salvato e chi no.
Dal 1653 i due incominciarono ad avere i primi guai giudiziari: per le loro
convinzioni furono imprigionati una prima volta nella prigione di Bridewell,
a Londra, in seguito alla Blasfemy Act (legge contro la blasfemia), creata
in realtà contro la setta dei Ranters. Nel 1654 un secondo periodo di
carcere fu loro comminato per aver maledetto un reverendo, che
effettivamente morì dopo poco. Dopo la morte di Reeve, Muggleton fu
imprigionato una terza volta nel 1676, sempre per blasfemia.
Nel 1658 morì quindi John Reeve e Muggleton ebbe i suoi problemi nel
mantenere la leadership del movimento contro i presunti eredi spirituali di
Reeve, tra cui l'ex ranter Laurence Clarkson (1615-1667).
Muggleton diede una svolta moderata alla setta, ammorbidendo i toni
millenaristi e sviluppando una sua dottrina, basata su una presunta
indifferenza di Dio per il suo creato, il che rendeva superfluo e inutile,
atti come la preghiera, l'adorazione, il martirio etc.
Altri punti della dottrina muggletoniana, che pareva più una filosofia della
ragione che un vero pensiero religioso, furono l'unitarianismo o
anti-trinitarianismo (Gesù era un uomo come altri) la negazione dell'aldilà
e la mortalità dell'anima, il paradiso o l'inferno in terra, l'estrema
informalità delle cerimonie religiose e la tolleranza verso altre sette
religiose.
Questa moderazione e tolleranza mise al sicuro Muggleton e i suoi seguaci
contro possibili persecuzioni, specialmente dopo la restaurazione del re
Carlo II nel 1660.
Muggleton morì nel 1698 e la sua setta continuò a fiorire soprattutto nelle
campagne e città industriali del centro-sud Inghilterra e si esaurì
solamente alla metà del XX secolo, quando morì l'ultimo membro ufficiale del
movimento.


Matthys (o Matthijsz o Mathussen o Mathis), Jan (m.1534) e la dittatura di
Münster



Jan Matthys
Jan Matthys, un fornaio di Haarlem (Olanda) di cui non si sa niente prima
della sua conversione, venne avviato all'anabattismo da Melchior Hofmann nel
1532, durante un viaggio di quest'ultimo in Olanda.
Precedentemente, nel dicembre 1530, a causa dell'arresto ed esecuzione di
Jan Trijpmacher e altri nove anabattisti, Hofmann aveva prudentemente
ordinato agli adepti un arresto temporaneo (Stillstand) di tutte le attività
religiose per due anni, ma M., appena convertito, si mise in luce
contestando da subito l'ordine di sospensione.
Del resto, il fornaio di Haarlem, privo di cultura, era molto fanatico e
intransigente, di temperamento rozzo e collerico, e tutto compreso nel suo
ruolo di novello profeta apocalittico.
Si recò dapprima ad Amsterdam con la giovane amante (e futura moglie)
Divara, figlia di un birraio ed ex religiosa, e spodestò il predicatore
anabattista Cornelis Polderman, precedentemente riconosciuto come nuovo
Enoch, il profeta citato dall'Apocalisse: M. fece delle incredibili
sceneggiate di collera finché i radicali olandesi della capitale non
riconobbero e accettarono solo lui come capo e profeta.
M. sviluppò quindi il movimento anabattista nel vasto territorio che andava
dall'Olanda fino a Colonia, risalendo la valle del Reno, e inviò a tutti i
fedeli un messaggio fortemente apocalittico, simile a quello di Hofmann (nel
frattempo arrestato a Strasburgo nel maggio 1533), ma con un forte rilievo
dato allo sterminio di tutti gli empi e alla propria figura di profeta di
Dio.
Trascorso poco tempo, gli anabattisti si scordarono dell'infelice Hofmann e
seguirono senza riserve l'esaltato M., che già dal novembre 1533, si poteva
considerare l'unico profeta dell'imminente parusia (la nuova venuta di
Cristo), da lui prevista per la Pasqua del 1534.


M. a Münster
Il 23 febbraio 1534 una circostanza fortunata inviò un segno del destino
atteso da M.: gli anabattisti, durante le elezioni, riuscirono a conquistare
il consiglio comunale di Münster, capitale della Westphalia ed
immediatamente M. vi si trasferì, dichiarando che quella era la Nuova
Gerusalemme dove attendere il ritorno di Cristo. Fu dichiarato borgomastro
Bernhard Knipperdolling, e si misero in luce altri predicatori come il sarto
Jan Bockelson (Giovanni da Leida) e l'ex pastore luterano Bernhard Rothmann.
Furono prese misure radicali, come l'espulsione, anche con la violenza, di
tutti i cattolici e luterani (a fatica Knipperdolling e Bockelson riuscirono
a convincere M. dell'assurdità di massacrarli tutti, come invece il profeta
pretendeva!) e confisca dei loro beni, ribattesimo di coloro che era rimasti
in città, abolizione della proprietà privata, incluso il denaro, falò di
tutti i libri della città eccetto la Bibbia.
M. proclamò la Nuova Sion in terra ed invitò tutti gli anabattisti ad
accorrere a Münster: nonostante che l'ex vescovo, Franz von Waldeck
(vescovo: 1532-1534, m. 1553), oramai cingesse d'assedio la città con le sue
truppe (per la verità non molto numerose): circa 2.500 fedeli risposero
all'appello, tra cui i due fratelli ed ex preti Bernhard ed Hinrich
Krechting, che avrebbero assunto in seguito incarichi ufficiali nel governo
della città.
All'interno della città i capi si spartirono i compiti: M. assunse il
comando della dittatura teocratica, Bockelson il governatorato, Rothmann si
occupò della propaganda e Knipperdolling della difesa. I metodi di M. furono
rapidi e non ammettevano discussioni: quando un fabbro, tale Hubert Ruecher,
osò criticare la gestione di M., fu arrestato e sommariamente ucciso in
pubblico da M. in persona.
Il giorno di Pasqua, 4 aprile 1534, giorno previsto per la fine del mondo,
M. guidò una folle sortita con soli 20 compagni contro le truppe del vescovo
e cercò perfino di arringare i soldati per passare dalla parte degli
assediati, ma fu ucciso da un ufficiale con un colpo di spada al petto.
Successivamente le truppe cattoliche sfogarono la loro rabbia, riducendo in
mille pezzi il corpo senza vita del profeta anabattista.
Come mai M. si decise a questo passo, un vero e proprio suicidio deliberato?
Probabilmente ciò era derivato dalla consapevolezza che nessun aiuto sarebbe
giunto dall'esterno e che l'esperimento di Münster fosse destinato a
fallire. O forse M. era così invasato da pensare che il Padreterno
desiderasse un suo sacrificio per dare luogo alla parusia?


Il regno di Münster
Caduto il profeta M., si poteva ipotizzare che l'intero pazzesco complesso
da lui architettato sarebbe crollato ed invece se ne approfittò Jan
Bockelson per prendere il potere. Ancora più fanatico e sanguinario di M.
stesso, Bockelson fu investito del titolo di profeta di Sion in seguito ad
un quanto mai "opportuno" sogno di Knipperdolling, nel quale Dio in persona
gli aveva comunicato che il nuovo profeta sarebbe stato proprio.l'ex sarto
di Leida.
Questi non rinunciò ad una sceneggiata di fanatismo, pochi giorni dopo,
sotto forma di delirio mistico, nel quale comunicò che il governo della
città sarebbe stato gestito da un consiglio di dodici anziani, che sarebbero
state varate delle nuove leggi molto severe, che ogni insubordinazione
sarebbe stata punita con la morte.
Ma fu soprattutto la pazzesca pretesa, dal luglio 1534, di introdurre la
poligamia obbligatoria, idea che ricordava gli Adamiti e i Fratelli del
Libero Spirito, a minare l'unità degli assediati. Bockelson stesso sposò 15
mogli, tutte giovani e belle, tra cui la vedova di M., Divara, mentre
Rothmann si accontentò di 9 mogli e via di seguito.
La disposizione, imposta con la forza, incontrò una crescente resistenza:
una congiura fu repressa nel sangue e tutte le donne che rifiutavano il
matrimonio forzato venivano orribilmente torturate ed uccise.
In Settembre nuova puntata della farsa di Bockelson: un suo fedelissimo, ex
orefice di Warendorf, raccontò di aver sognato che Dio gli comunicava la
designazione di Bockelson come novello Re Davide del regno della Nuova
Gerusalemme.
L'ex sarto si schermì giusto il necessario per salvare la faccia e poi
dichiarò di accettare, minacciando di morte coloro che si fossero opposti.
Si fece quindi sfarzosamente incoronare, con la sua regina Divara al suo
fianco, circondato da dignitari e guardie del corpo: un bello smacco per la
sincera umiltà e povertà dei primi anabattisti!
Tra ottobre e dicembre 1534 Rothmann scrisse e pubblicò due opuscoli
cercando di sostenere la causa degli assediati, ma i dissidi interni tra gli
immigrati, favoriti da Bockelson, e gli abitanti originari di Münster,
portarono a nuove esecuzioni capitali, a causa dei quali lo stesso
Knipperdolling si ribellò, guidando una congiura per rovesciare il "re":
scoperto fu imprigionato, ma almeno conservò la vita (per il momento) grazie
alla "generosità" di Bockelson.
Oramai le follie sanguinarie di Bockelson erano all'ordine del giorno: una
volta convocò un banchetto per tutti, dove decapitò di persona un mercenario
del vescovo von Waldeck, da poco catturato, e poco dopo, come se nulla
fosse, celebrò la Cena del Signore!
Tuttavia la pazienza del vescovo e dei principi tedeschi della zona era agli
sgoccioli, e dal gennaio 1535 l'assedio divenne rigorosissimo: nulla poteva
passare, neanche i viveri che precedentemente riuscivano a filtrare
attraverso le maglie dell'assedio. La fame avanzò rapidamente e quando finì
il cibo, gli abitanti si misero a mangiare di tutto: cani, gatti, topi,
erbe, scarpe bollite e quant'altro.
Una profezia di Bockelson che a Pasqua sarebbero stati liberati si rivelò la
solita bufala ed in seguito allo scoramento generale, il re dovette lasciar
partire un gruppo di circa 500 persone che desideravano andarsene.
Sfortunatamente gli ordini del vescovo erano di non lasciar uscire nessuno e
quindi la maggior parte degli esuli furono uccisi dai mercenari vescovili.
Era il preludio dell'espugnazione della città avvenuta il 24 giugno 1535
grazie al tradimento di un cittadino di Münster, che apri le porte della
città durante un violento temporale. Le truppe del vescovo poterono quindi
entrare, procedendo ad un massacro sistematico dei difensori, nonostante la
strenua lotta organizzata da Bernhard Krechting.
Furono catturati Bockelson, Knipperdolling e Bernhard Krechting, mentre di
Rothmann non si seppe mai più niente e il solo dei capi a sfuggire fu
Hinrich Krechting, che finì i suoi giorni come ministro calvinista in
Olanda.
I tre prigionieri furono interrogati e torturati per farli invano abiurare.
Infine il 22 gennaio 1536 i tre furono portati sulla piazza del mercato per
essere giustiziati: furono loro strappati pezzi di carne con tenaglie
roventi fino all'agonia, e successivamente finiti a colpi di pugnale. I
cadaveri furono poi appesi in gabbie di ferro sul campanile della chiesa di
san Lamberto.


Arquer, Sigismondo (1530-1571)



L'umanista Sigismondo Arquer nacque a Cagliari nel 1530 da una famiglia
borghese: il padre era il giureconsulto Giovanni Antonio Arquer, consigliere
capo della città e braccio destro del viceré Antonio de Cardona (dal 1478
tutta la Sardegna era diventata una provincia spagnola), ed in continua
lotta con le fazioni anti-spagnole della nobiltà sarda, che erano riuscite
perfino a farlo imprigionare nel 1543.
Sigismondo si laureò in diritto a Pisa nel 1547 e in teologia a Siena l'anno
dopo. Nel 1548 egli intraprese un viaggio per perorare la causa di suo padre
alla corte di Bruxelles, ma si fermò per 5 mesi nel Cantone Grigioni, dove,
nel 1549, conobbe gli esuli religiosi italiani Pier Paolo Vergerio, Giulio
della Rovere e Camillo Renato.
In Svizzera A. venne accolto dal riformatore Conrad Pellican (Pellicanus)
(1478-1556) a Zurigo e da Bonifacio Amerbach (1495-1562) a Basilea, dove fu
inoltre ospite di Celio Secondo Curione e dove scrisse la Sardiniae brevis
historia et descriptio, pubblicata a Basilea stessa nel 1550 come capitolo
del celebre compendio di geografia dello cartografo tedesco ed ex
francescano passato (nel 1529) al luteranesimo, Sebastian Münster
(1488-1552), dal titolo Cosmographia universalis, opera comunque messa
all'Indice per le polemiche, contenute nel testo, contro il clero cattolico
e l'Inquisizione e per le convinzioni religiose dell'autore.
In seguito, dal 1551 al 1555, A. risedette in Spagna e, durante questo
periodo, fu nominato avvocato fiscale della Sardegna da parte del re Filippo
II (1556-1598), che lo ammirava per la sua profonda cultura come umanista e
poeta, oltre che valente uomo di legge.
Tuttavia, rientrato nel 1555 a Cagliari, A. fu vittima, come suo padre
qualche anno prima, di una congiura politica, ordita da un gruppo di nobili
sardi, capeggiati da Salvatore Aymerich: dapprima i suoi nemici tentarono di
avvelenarlo nel 1556, poi, nello stesso anno, lo fecero imprigionare e
sottoporre ad un processo per motivi politici, ma A. riuscì a fuggire e a
far trasferire il processo a Madrid, dove fu scagionato, anche per
intervento diretto del re: rientrò in patria nel 1558.
A questo punto, pur di screditarlo, i suoi nemici non esitarono ad accusarlo
di eresia religiosa, ma, ironia della sorte, nonostante i contatti avuti con
diversi riformatori e con le loro idee, l'umanista sardo era rimasto
profondamente cattolico.
Purtroppo l'essere associati al nome dell'eresiarca Sebastian Münster, gli
costò l'accusa di luteranesimo, da cui, comunque, egli venne nuovamente
prosciolto nel 1560 dall'arcivescovo e inquisitore in persona, Antonio
Parragues de Castillejo.
Eppure, in seguito, A. si dovette trasferirsi in Spagna per sottrarsi a
queste continue persecuzioni ed anche qui l'Inquisizione (e forse anche lo
stesso Parragues) continuò a considerarlo una persona sospetta fino a farlo
arrestare nel 1563 con una nuova accusa di luteranesimo sulla base di una
serie di otto lettere scambiate con l'erasminiano spagnolo (ed ex alcade di
Sassari) Gaspar de Centelles, in cui A., tra l'altro, esaltava la lettura e
lo studio diretto delle Sacre Scritture contro le interpretazioni della
Tradizione.
Egli subì quindi un processo lunghissimo (sette anni) e fu sottoposto a
varie torture fino alla sentenza finale del 22 dicembre 1570, dove A. fu
condannato ad essere arso vivo sul rogo.
La condanna venne eseguita a Toledo solo sei mesi dopo, il 4 giugno 1571, e,
sebbene fosse già lambito dalle fiamme, A. decise di proclamare
pubblicamente la sua fede, e fu per questo colpito ripetutamente con
l'alabarda da parte di un soldato per farlo tacere.



Müntzer (o Münzer), Thomas  (ca. 1490-1525) e Rivolta dei Contadini



La vita
Thomas Müntzer nacque nel 1490 ca. a Stolberg, nella regione dei monti Harz,
da una famiglia benestante e studiò a Lipsia ed a Francoforte. Diventato un
canonico regolare agostiniano, si pose seriamente il problema della crisi
della Chiesa e nel 1519 aderì alla Riforma.
Conobbe Martin Lutero, con il quale rimase in contatto epistolare, così come
con gli altri principali riformatori, durante l'anno in cui fu nominato
padre confessore del convento di Beuditz. L'incarico gli lasciò ampio tempo
per approfondire i suoi studi su Sant'Agostino e sui mistici come Enrico
Suso (1295-1366) e Johannes Tauler.
Nel Maggio 1520, raccomandato da Lutero, M. fu chiamato a Zwickau per
sostituire il precedente pastore della Chiesa di Santa Maria, Johannes
Egranus.
Il paese di Zwickau era, nel XVI secolo, una ricca centro della Sassonia,
vicino al confine con la Boemia, ed aveva basato il suo sviluppo sulle
attività minerarie dell'argento. Questo orientamento dell'economia locale
aveva, tuttavia, portato in rovina la precedente fiorente industria tessile,
generando una vasta disoccupazione tra i lavoratori tessili.
La retorica di Müntzer fu forte e radicale, soprattutto quando, dopo il
rientro di Egranus, egli diventò pastore della Chiesa di Santa Caterina
nell'Ottobre dello stesso 1520. Si scagliò spesso con violenza contro i
monaci francescani locali durante le sue prediche, ai quali non mancavano di
assistere l'ex tessitore Nicholas Storch, l'ex studente di Wittemberg Markus
Stübner e un terzo personaggio, che le varie fonti indicano o come Thomas
Drechsel oppure come Markus Thomä.
I tre, denominati "Profeti di Zwickau", fortemente influenzati dalle
dottrine dei Fratelli Boemi con una decisa impronta millenaria -
apocalittica, derivata dagli hussiti taboriti, predicavano l'imminenza
dell'avvento della "Chiesa degli Eletti", ricusavano lo studio della
teologia e consideravano gli uomini istruiti come manipolatori della parola
di Dio.
Per questo erano convinti che era necessario essere totalmente ignoranti,
persino delle prime lettere dell'alfabeto (ABC), da cui il loro altro nome
di abecedariani. Erano infatti convinti che Dio avrebbe illuminato i suoi
eletti e dato loro la conoscenza della verità tramite lo Spirito Santo.
Il tono delle prediche di M. diventò così sovversivo che il 26 Dicembre
1520, eccitata da un suo sermone contro i frati e i preti, la folla uscì
dalla chiesa e quasi lapidò a morte un prelato, che ebbe la sfortuna di
passare proprio in quel momento. Questo ed altri episodi portarono
inevitabilmente all'espulsione di M. da Zwickau, decisa dal consiglio
cittadino il 16 Maggio 1521, nonostante disordini di piazza, fomentati per
solidarietà da Storch.
M. si recò a Praga, dove continuò nelle sue prediche sempre più
apocalittiche, ma non fece granché presa sui praghesi, che si erano già
abituati a sentire simili toni dai taboriti circa cento anni prima. Egli
decise quindi di lasciare la città e vagò un po' senza un incarico fisso,
finché non riuscì a convincere Lutero a raccomandarlo per la posizione di
pastore della chiesa di San Giovanni ad Alstedt, vicino ad Eisleben in
Sassonia, dove iniziò a predicare dalla Pasqua 1523.
Qui, dopo aver sposato l'ex suora Ottilie von Gersen, svolse un'intensa
attività liturgica, riformatrice e politica: officiò la messa in lingua
tedesca, pubblicò un nuovo libro di preghiere contenente liturgie per tutti
i sacramenti, ristrutturò l'organizzazione della chiesa, ma soprattutto
fondò la Lega degli Eletti, una "comunità di santi" senza preti, principi,
nobili o proprietà privata: in questo fu un vero comunista ante-litteram (e
per questo fu considerato un eroe da diversi pensatori o storici marxisti
come Friedrich Engels, Karl Kautsky e Ernst Bloch).
Purtroppo la Lega si distinse in atti di violenza come il saccheggio e
l'incendio di conventi della regione, mentre M. litigò furiosamente con il
nobile locale, il Conte Ernst II di Mansfeld (m. 1532), ed il tutto iniziò a
preoccupare seriamente i principi di Sassonia, Federico III, detto il Saggio
(1486-1525) ed il fratello Giovanni, favorevoli sì alla Riforma, ma in forme
molto più moderate.
Giovanni fu mandato assieme ad altri notabili, su incarico di Federico, ad
investigare sul tono delle prediche di M.: questi tenne, davanti al
principe, il 13 Luglio 1524, un apocalittico sermone, pubblicato poi come
Sermone ai principi di Sassonia sullo spirito della rivolta, sulla guerra
tra il Demonio e la Lega degli Eletti, l'inizio, cioè, di una riforma
definitiva, che, partita da Alstedt, si doveva espandere in tutto il mondo,
massacrando tutti coloro che non fossero stati d'accordo! E lo stesso
trattamento M. promise ai suoi attoniti astanti, se non avessero aderito a
questa crociata.
Ovviamente la relazione di Giovanni di Sassonia al pur tollerante fratello
Federico fu del tutto negativa e quest'ultimo decise di convocare M. a
Weimar per ulteriori spiegazioni.
M., tra le cui doti principali non c'era certo la diplomazia, ribadì le sue
allucinanti tesi davanti al duca e ritornò ad Alstedt, convinto di aver
vinto l'appoggio dei regnanti di Sassonia alla sua causa: invece il duca
fece pressioni sul consiglio cittadino di Alstedt perché egli venisse
espulso dalla città.
Inaspettatamente, senza attendere l'ingiunzione del consiglio, M. lasciò
Alstedt la notte del 7 Agosto 1524, abbandonando moglie, figli e proprietà e
recandosi a Mühlhausen (in Turingia), dal collega Heinrich Pfeiffer, che
stava cercando di imporre una Lega degli Eletti in città: i due ne vennero
successivamente cacciati da un esercito di mercenari, chiamati dai nobili
locali.
Allora essi si recarono allora  a Norimberga, dove M. fece pubblicare da uno
stampatore, probabilmente il futuro anabattista Hans Hut, uno dei suoi più
violenti opuscoli contro Lutero (che chiamò Dottor bugiardo e il Drago),
Apologia ben fondata e risposta alla carne senza spirito che vive mollemente
in Wittenberg. La reazione delle autorità locali fu l'espulsione di M. e
Pfeiffer, l'arresto della stampatore ed il rogo del libello.
M. viaggiò quindi alla ricerca, vana, di nuovi alleati in Svizzera, dove
incontrò il riformatore zwingliano Ecolampadio e l'anabattista pacifista
Hübmaier, ritornando poco dopo a Mühlhausen, dove il partito radicale di
Pfeiffer aveva preso il controllo della città. I due armarono i loro fedeli
ed espulsero gli oppositori.


Guerra dei Contadini
Questo episodio si inserì nella più vasta Guerra (o Rivolta) dei Contadini
del 1525: il ruolo di M. in questo conflitto viene variamente interpretato
dagli storici. Alcuni considerano M. il vero ispiratore della Rivolta o
perlomeno colui il quale aveva dato una giustificazione ed una speranza ai
rivoltosi; altri negano il ruolo primario di M., che pare non avesse capito
totalmente le veri ragioni della Rivolta.
I contadini, infatti, erano più prosaicamente interessati all'abolizione dei
resti del feudalesimo, ad una drastica riduzione delle tasse, alla
legalizzazione di diritti comuni in tema di pascoli, allo sfruttamento dei
boschi, alla liberalizzazione della caccia e della pesca.
Il predicatore di Stolberg, invece, non si impicciava di problemi pratici,
ma, fortemente influenzato dalle idee di Gioacchino da Fiore, era più
concentrato sulle sue fantasticherie millenaristiche e sull'ora
dell'apocalisse. Oramai egli si definiva Thomas Müntzer il martello e aveva
adottato come simbolo una croce rossa con una spada affilata.
Da tutta la Germania allora arrivarono esaltati, disperati, ma anche piccoli
eserciti organizzati, come quello di Nicholas Storch.
All'inizio di Maggio 1525 i rivoltosi arrivarono fino al numero di 10.000
persone e si accamparono intorno a Frankenhausen, una città conquistata
dagli insorti di Mühlhausen, ma il nuovo principe di Sassonia, succeduto nel
frattempo al fratello, era quel Giovanni, detto il Risoluto (1525-1532), che
aveva ascoltato le farneticazioni apocalittiche di M. nel Luglio 1524 e che
ora diede l'incarico di reprimere la rivolta a Filippo, langravio di Hesse,
forte di un esercito di 5.000 soldati, 2.000 cavalieri e vari pezzi di
artiglieria.
All'onor del vero, Filippo cercò di convincere i contadini ad arrendersi
dietro consegna di M., ma quest'ultimo fece una epica arringa, promettendo
di catturare la palle di cannoni con il proprio mantello (sic!) e garantendo
l'incolumità dalle pallottole per i propri seguaci: il resto lo fece un
arcobaleno, simbolo dei rivoltosi, che apparve in cielo, proprio in quel
momento.
I contadini respinsero le condizioni di Filippo, il quale attaccò il 15
Maggio 1525. Fu una carneficina: 5.000 rivoltosi furono immediatamente fatti
a pezzi dai soldati meglio addestrati e successivamente ne furono sgozzati
altri 20.000, in tutta la Germania.
M., nell'ora più tragica, ebbe un momento di panico: piantò tutto per
correre a nascondersi in una soffitta in Frankenhausen, dove lo trovarono i
soldati in un letto con le coperte tirate sopra la testa. Il suo debole
tentativo di dichiararsi estraneo alla vicenda fallì miseramente a causa dei
suoi appunti trovati nella stanza.
Egli fu quindi consegnato a Filippo di Hesse, che lo inviò dal suo mortale
nemico, il Conte di Mansfeld: questi lo fece torturare tutta la notte ed il
giorno dopo M. firmò una piena confessione.
Il 24 Maggio 1525, l'esercito catturò Mühlhausen e il 26 Maggio M., Pfeiffer
ed altri furono decapitati in piazza. Prima della sua morte, M. ritrattò le
sue convinzioni e fece la comunione, ma non riuscì nemmeno a ricordarsi il
testo del Credo Niceno.


Così morì Thomas Müntzer, il "profeta guerriero", tanto osannato come
proto-comunista [la Repubblica democratica tedesca (Germania dell'Est) fece
perfino ritrarre la sua immagine sulle proprie banconote da 5 Marchi] quanto
condannato senza appello sia dai cattolici, che dai luterani, che dagli
anabattisti pacifisti.
Martin Lutero, che disse di lui Chiunque abbia visto Müntzer può dire di
aver visto il diavolo incarnato nella sua furia più feroce, si prese la sua
vendetta postuma, acquistando una collezione di sue lettere autografe, che
pubblicò con un commentario molto critico sotto il titolo di Una storia
terribile e il Giudizio di Dio su Thomas Müntzer.


Helwys (o Elwes o Helwisse o Helwas) Thomas (ca. 1550- ca.1616) e la Chiesa
Battista Generale



Le notizie su Thomas Helwys (il cognome viene riferito anche come Elwes,
Helwisse o Helwas) sono molto scarse: egli nacque da una famiglia di
proprietari terreni (il padre si chiamava William Helwys) a Broxtowe Hall,
nella contea inglese del Nottinghamshire, nel 1550 circa, e ricevette una
buona educazione al collegio Gray's Inn, a Londra.
Non sono note altre informazioni fino al 1606, quando H. decise di aderire
ad una congregazione separatista, fondata da John Smyth e John Robinson,
nella valle del fiume Trent, alla confluenza delle contee del Lincolnshire,
Yorkshire e Nottinghamshire. Facevano parte del gruppo William Brewster,
Richard Clifton, Hugh Bromhead, e William Bradford (1590-1657). Quest'ultimo
sarebbe in seguito diventato il governatore della colonia dei Padri
Pellegrini a Plymouth nel Massachusetts.
A causa di divergenze interne (contrariamente a Robinson, Smyth voleva
tagliare ogni forma di amicizia con i puritani rimasti nell'ambito della
Chiesa Anglicana), il gruppo si spezzò in due tronconi, anche per motivi
geografici: H., Clifton e Bromhead rimasero con Smythe a Gainsborough (nella
contea del Lincolnshire), mentre gli altri, che vivevano vicino a Scrooby
(nella contea del Nottinghamshire), scelsero Robinson come loro capo.
Comunque ambedue i gruppi decisero di emigrare in Olanda nel 1608, Robinson
a Leida e Smyth ad Amsterdam.
Ad Amsterdam Smyth rincontrò il suo ex collega d'università Francis Johnson
(1562-1618), che aveva fondato una chiesa separatista in esilio, dopo aver
scontato quattro anni di prigione, fino al 1596, per aver stabilito
precedentemente una simile chiesa a Londra.
Smyth litigò ben presto con Johnson per una serie di ragioni, ma soprattutto
a causa del rifiuto di Smyth verso il battesimo dei bambini, un punto
piuttosto originale per una chiesa protestante inglese. Ciò era inizialmente
derivato dal rifiuto di tutto quello che veniva celebrato dalla Chiesa
Anglicana, incluso il battesimo infantile e poi, secondo Smyth, era
fondamentale credere per poter essere battezzati, una condizione
evidentemente impossibile per bambini neonati. Ma questa presa di posizione,
a quel tempo, suscitò scalpore perché faceva immediatamente venire alla
mente gli anabattisti e le atrocità della dittatura di Münster del 1534-36,
che avevano provocato tanti lutti e dolori in molte famiglie olandesi.
Comunque Smyth, H. e i loro seguaci decisero ugualmente di fondare una
seconda chiesa congregazionalista o separatista in Olanda nel 1609 e di
ribattezzarsi: dapprima Smyth battezzò se stesso, poi battezzò H. e gli
altri. Questo gesto di se-battesimo, come fu chiamato l'auto-battesimo di
Smyth, fu aspramente criticato da Clifton, alle cui obiezioni Smyth rispose
cercando l'adesione ad uno dei rami più importanti dell'anabattismo
mennonita olandese: quello dei waterlanders di Hans De Ries.
Tuttavia questa subitanea decisione fu contestata da H., il quale, non
volendo assimilare in toto la dottrina dei mennoniti, abbandonò la chiesa di
S., fondandone una nuova, sempre di tipo congregazionalista, denominata
successivamente Chiesa dei Battisti Generali, che scomunicò Smyth e tagliò
ogni relazione con lui entro il 1611.
Nello stesso anno H. espose le proprie idee nella sua Declaration of Faith
(dichiarazione di fede), accettando il convincimento di tipo calvinista che
i credenti fossero predestinati alla salvezza, ma respinse, d'altra parte,
che i peccatori fossero destinati alla dannazione: Dio avrebbe salvato
chiunque avesse accettato la Grazia da Lui donata agli uomini per essere da
loro, secondo il libero arbitrio, recepita o respinta.
Questa tesi non era farina del sacco di H., bensì proveniva dalle dottrine
del noto teologo calvinista Jakob Hermanzoon, detto Arminio, pubblicate nel
1610, ed in seguito condannate nel sinodo calvinista di Dort del 1618-19.
Inoltre, contrariamente a Smyth, H. accettò il dogma del peccato originale,
pur mantenendo la pratica del battesimo degli adulti (per immersione).
Infine H. prese le distanze dai mennoniti, respingendo la loro idea che i
cristiani non dovessero mai giurare o ricoprire ruoli nella magistratura.
L'anno successivo, H. decise, con un atto molto coraggioso (secondo H. era
meglio perdere la vita per Cristo nel proprio paese che fuggire per le
persecuzioni), di far rientrare in Inghilterra il proprio gruppo nel 1612 e
stabilirsi, nel vecchio ospedale di Spitafield, un quartiere nella parte
orientale di Londra.
Nel 1612 H. pubblicò il suo scritto A short declaration of the Mistery of
Iniquity (una breve dichiarazione sul mistero dell'iniquità), mandandone una
copia al re Giacomo I (1567-1625) in persona.
In questo scritto H. attaccò temerariamente la monarchia, che non doveva
imporre leggi in spregio delle coscienze dei sudditi, poiché, come lui
stesso scrisse, Il re è un uomo mortale, e non Dio, e perciò non ha alcun
potere di fare leggi e ordinanze per le anime mortali dei suoi sudditi e
imporre dei capi spirituali sopra di essi.
Il credo di H. prevedeva la massima tolleranza, anche per eretici, turchi,
ebrei o chiunque altro, ma il re Giacomo I non era dello stesso avviso e
fece perseguitare la chiesa di H.
Lo stesso fondatore venne imprigionato nel 1613, assieme all'altro leader
John Murton (1585-ca.1626), nel carcere di Newgate, dove morì probabilmente
entro il 1616.


Benché oggigiorno gli studiosi di storia delle religioni propendono per una
presenza di battisti sul territorio inglesi anche prima della Chiesa dei
Battisti Generali di H., quest'ultima, nondimeno, viene accettata come la
prima organizzazione battista operante in Inghilterra.
Negli anni successivi la morte di H., i suoi seguaci, denominati, come
detto, battisti generali, si distingueranno, per il rifiuto di compromessi
con la Chiesa Anglicana, dal movimento dei battisti particolari [nato da una
scissione della congregazione Jacob-Lathrop-Jessey fondata nel 1616 da Henry
Jacob (1553-1624)] che invece cercarono di mantenere qualche forma di
contatto con l'establishment anglicano.
Il futuro fu meno roseo per i battisti generali, che declinarono man mano
venendo entro il XVIII e XIX secolo riassorbiti dai metodisti o dagli
unitariani (quest'ultima fusione avvenne nel 1815), mentre dai battisti
particolari discendono le chiese battiste attualmente esistenti, molto
diffuse soprattutto in Stati Uniti.