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STORIA DELLE ERESIE - FAMIGLIA SOZZINI
Testi tratti dal sito: www.eresie.it di Douglas Swannie

PERSONAGGI ERETICI NELLA STORIA DELLA CHIESA - SOZZINI


Marpeck, Pilgram (ca. 1495-1556)



La vita
Pilgram Marpeck, nato nel 1495 ca. a Rattenberg, in Tirolo, da un'importante
famiglia del luogo, frequentò le scuole locali, diventando un valente
ingegnere minerario e, come imprenditore, si occupò del trasporto del rame
dalle miniere di Kitzbühel.
Nel 1525 M.divenne anche giudice delle miniere stesse, ma tre anni dopo, nel
Gennaio 1528, fu rimosso dall'incarico e in Aprile espulso dalla cittadina
con la moglie Anna e la famiglia. La decisione era probabilmente derivata
dalla benevolenza da lui mostrata come magistrato nei confronti dei minatori
anabattisti, nonostante la campagna di repressione del 1527-1528 lanciata da
Ferdinando d'Asburgo(1503-1564, futuro imperatore 1553-1564): del resto lo
stesso M. era stato convertito alla nuova dottrina dai predicatori Leonhard
Schiemer e Hans Schlaffer, ambedue decapitati all'inizio del 1528.
M. si recò quindi dapprima ad Augsburg (Augusta), e successivamente (Ottobre
1528) a Strasburgo, dove divenne un membro attivo della comunità
anabattista, ma anche una persona molto apprezzata per le sue doti
professionali.
Infatti M. svolse la professione di ingegnere dapprima a Steintal vicino a
Schirmeck, nell'Alsazia occidentale, poi a Strasburgo stessa, dove costruì
un sistema di opere fluviali, permettendo l'agevole trasporto del legname ed
un più razionale sfruttamento di questa fonte di ricchezza per la città.
Furono proprio questi meriti che crearono una certa iniziale tolleranza per
le attività religiose di M., tuttavia col passare dei mesi egli divenne
sempre più polemico e critico nei confronti delle autorità religiose della
città, ed in particolare del loro capo Martin Butzer (Bucero).
Un primo scontro si ebbe alla fine del 1531, quando Bucero fece arrestare M.
con l'accusa di opporsi al battesimo dei bambini, ma i buoni offici del più
tollerante riformatore Wolfgang Capito (1478-1541) permisero il suo
rilascio. Poco dopo fu M. stesso ad attaccare Bucero e a chiedere un
dibattito pubblico, rifiutato dalle autorità cittadine a favore di una
discussione privata svolta il 9 Dicembre 1531 davanti ai membri del
Consiglio.
La posizione di M., riassunta nel suo scritto Confessione di fede, fu
condannata dal Consiglio, che gli intimò di cambiare i suoi principi
religiosi o di lasciare la città. M. preferì la seconda versione e con la
famiglia se ne andò da Strasburgo nel Gennaio 1532, non senza aver tentato
di convincere inutilmente le autorità di cessare le persecuzioni nei
confronti degli anabattisti.
Tra il 1532 ed il 1544 M. vagò predicando nel cantone Grigioni, in Tirolo ed
in Moravia e solo alla fine del 1544 egli si stabilì definitivamente ad
Ausgburg (Augusta), dove dal Maggio 1545 venne impiegato dalle autorità
cittadine come ingegnere.
M. morì tranquillamente nel suo letto (cosa rara ai tempi per un
anabattista!) ad Augusta nel Dicembre 1556.


Il pensiero religioso
Il pensiero di M. fu fedele alla linea evangelica e missionaria
dell'anabattismo, ispirandosi all'opera di Hans Hut, e prendendo le distanze
sia dal millenarismo rivoluzionario di Melchior Hoffmann, la cui forma più
estrema sfociò nell'episodio di Münster del 1535, che dallo spiritualismo
esasperato di Caspar von Schwenckfeld.
Il valore dato da M. dal sacramento del battesimo era quello di un nuovo
patto o di un'accettazione del fedele nella comunità dei cristiani, previo
riconoscimento dei propri peccati.
Per quanto riguarda il ruolo pubblico dei cristiani, la polemica fu
scatenata anche dal sesto articolo di Schleitheim, scritto nel 1527 da
Michael Sattler, che era contrario al coinvolgimento dei cristiani in ruoli
ufficiali, come giudici o militari.
M. pensava invece che i veri cristiani potevano svolgere mansioni pubbliche
a patto di non agire in contraddizione con la legge dell'amore, altrimenti,
in caso di conflitto, essi dovevano preferire di comportarsi secondo le
leggi del Regno di Dio.


Kuhlmann, Quirinus (1651-1689) e Gesueliti



Premessa
Alla morte di Jacob Boehme, i suoi seguaci, detti behmenisti, si diffusero
ovviamente in Germania, dove l'eredità spirituale di Boehme fu raccolta da
Abraham von Franckenberg (1593-1652) e dal discepolo di questi, il luterano
Johannes Schleffer (1624-1677), convinto quest'ultimo che il misticismo di
Boehme potesse abbattere le barriere esistenti tra le varie confessioni
religiose. Perseguitato dalle autorità luterane, Schleffer negli ultimi anni
si convertì al Cattolicesimo e scrisse alcune opere con lo pseudonimo di
Angelo Silesio.
Il discepolo più noto di Schleffer fu Quirinus Kuhlmann.


La vita
Il poeta mistico Quirinus Kuhlmann nacque a Breslavia il 25 febbraio 1651 da
una famiglia luterana. Dopo aver studiato presso il locale ginnasio, K.
scrisse tra il 1668 ed il 1670 svariati libri di poesie.
Nel 1670 K. fu inviato a Jena per studiare giurisprudenza all'università, e
qui ricevette attestati di stima nei suoi confronti, anche per la sua
originalissima maniera di concepire la poesia: infatti la sua Himmlische
Liebes-küsse (Baci d'amore divino) del 1671 fu una forma eccentrica di
sonetto, ottenuto utilizzando un automa meccanico, in cui le parole
intercambiabili tra loro generavano una serie di combinazioni esprimibile da
un numero a 117 cifre!
Nonostante la fama, K. decise di abbandonare l'ateneo tedesco per recarsi
nel 1673 in Olanda all'università di Leida. Qui conobbe Schleffer, che lo
introdusse alle opere di Boehme e questo fu l'ispirazione per uno dei suoi
lavori più famosi, il Neubegeisterten Böhme (i nuovi entusiasti di Boehme),
che lo rese popolare nell'ambiente dei mistici cristiani.
Nello stesso periodo, K. scrisse un'apologia dei Rosacroce, affermando che i
contenuti della Fama Fraternitas (il testo base rosacrociano) erano in
accordo con la Bibbia, e che la Sesta Era, ancora da venire, sarebbe stato
chiamata l'Era Rosacrociana. K. desiderava accelerare l'avvento di questa
nuova era e per questo fondò una confraternita denominata dei Gesueliti.
Tra il 1674 ed il 1677 K. visse, in giro per l'Europa, ad Amsterdam,
Groningen, Lubecca, Amburgo, in Inghilterra ed in Francia. Fermamente
convinto, come il suo maestro, che l'insegnamento potesse unire le
confessioni religiose, K. si recò in Medio Oriente per cercare di convertire
alla Cristianità, ovviamente senza successo, il Sultano turco [probabilmente
Maometto IV (1648-1687), o suo fratello Solimano III (1687-1691)].
Ma il passo fatale lo fece poco dopo in Russia: K. fu invitato a Mosca
nell'aprile 1689 dai circoli behmenisti, fondati dal mercante tedesco Konrad
Nordemann (m. 1689) e dal pittore Otto Henin (m. 1689). Qui K. non fece
troppo mistero sui suoi sogni millenaristici (la Russia doveva essere il
luogo dove realizzare l'Era Rosacrociana) e inviò diversi petizione al
reggente e futuro zar Pietro I, detto il Grande [come reggente di Ivan V:
1682-1696, come zar (poi imperatore): 1696-1725].
Ma le idee millenaristiche di K. e soci richiamarono l'attenzione del
pastore protestante di Mosca Meinecke, che li denunciò alle autorità. Si può
legittimamente supporre che dette idee non piacessero neppure al Patriarca
di Mosca Yakimovich (1674-1690) e alle autorità ecclesiastiche ortodosse,
già alle prese a reprimere tentativi di scissioni interne (nel 1682
l'arciprete dissidente Avvakum era stato bruciato sul rogo).
Quindi nello stesso 1689, K., Nordemann e Henin furono catturati a Mosca e
processati. Henin non resistette alle torture in carcere e si suicidò,
mentre K. e Nordemann furono condannati a morte per eresia. La sentenza fu
eseguita il 4 ottobre 1689: i due furono rinchiusi in una gabbia di legno
assieme a tutti gli scritti di K., considerati eretici, e bruciati vivi sul
rogo.


Curiosità
L'episodio della condanna ed esecuzione di K. fu descritto anche nel romanzo
Pietro I dello scrittore russo Aleksei Nikolaevic Tolstoy (1887-1945).


Agricola (Schnitter o Schneider), Johann (o Johannes) (1494-1566) e
antinomismo (o antinomianismo)



Definizione e storia dell'antinomismo o antinomianismo
L'antinomismo è la convinzione dell'inutilità della legge morale,
solitamente, ma non solamente, derivata da motivi filosofici o teologici.
Questo atteggiamento era già presente all'inizio del Cristianesimo nella
dottrina di varie sette gnostiche, come i Carpocraziani o i Cainiti, che
sostenevano di non essere più soggetti alla legge, basandosi su
un'interpretazione (del tutto soggettiva) della Lettera di San Paolo ai
Romani, per esempio nei seguenti brani:
Perché non dovremmo fare il male affinché venga il bene, come alcuni - la
cui condanna è ben giusta - ci calunniano, dicendo che noi lo affermiamo?
(3,8)
Ora invece, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di
Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti. (3,21)
Dalla Riforma in avanti, le idee antinomiane comparvero abbastanza
sistematicamente nel mondo protestante: nel XVI secolo furono espresse in
Germania da Johann Agricola, nel XVII secolo dai Ranters in Inghilterra e da
Anne Hutchinson nelle colonie inglesi in America, nel XVIII secolo dal conte
Zizendorf, nel XIX secolo da John Nelson Darby e dai fratelli di Plymouth.


Johann Agricola
Johann (o Johannes) Agricola, da non confondere con l'omonimo alchimista
(1589-1643), nacque nel 1492 in Eisleben, una cittadina nella Turingia, nove
anni dopo il suo illustre concittadino, Martin Lutero. Il suo nome
originario era Schnitter, o Schneider, e spesso venne soprannominato
Magister Islebius.
Compì i suoi studi a Wittenberg, dove, una volta laureato, insegnò e dove
aderì alla Riforma luterana e nel 1525 A. si trasferì a Francoforte per
diffondere il protestantesimo, ma, dopo poco, ritornò ad Eisleben per
insegnare alla scuola di Sant'Andrea fino al 1536. In quell'anno, infatti,
fu richiamato dall'università di Wittenberg con l'offerta di una docenza.
Tuttavia, poco dopo il suo arrivo, scoppiò la controversia antinomiana: A.
forzò il pensiero luterano della giustificazione sola fide, per arrivare
alla conclusione che, se le buone opere non portavano alla salvezza, allora
neanche le cattive opere la facevano perdere.
Egli fu per questo attaccato duramente da Lutero nel suo trattato Contro gli
antinomiani, dove quest'ultimo affermò che la legge dava all'uomo la
coscienza del peccato e che la paura della legge era necessaria per la
conservazione della moralità.
Sotto la continua pressione di Lutero stesso, A. fu costretto a ricusare le
proprie idee nel 1540 davanti al Principe elettore di Brandeburgo,
Gioacchino II (1535-1571), da cui A. era stato nominato predicatore di
corte.
A. morì a Berlino nel 1566.


Curiosità
Il grande poeta inglese del periodo vittoriano, Robert Browning (1812-1889),
scrisse nel 1836 un poema, sotto forma di monologo drammatico, dal titolo
Johannes Agricola in Meditation, in cui il poeta si immagina le
fantasticherie di A., che si crede al sicuro dagli strali divini, qualsiasi
cattiveria compia, come in questo passaggio:


....io ho la garanzia divina, che potrei mischiare
in una tazza, ogni orrendo peccato
per bere tutto il veleno mescolato;
certo che la mia natura velocemente
convertirebbe il sorso in letizia fiorente.


Ulimann, Wolfgang (m. 1528)



Wolfgang Ulimann, il cui vero cognome era Schorant, nacque a San Gallo, in
Svizzera, da una delle più importanti famiglie della città. Da giovane, U.
era entrato nel monastero premonstratense [l'ordine monastico fondato nel
1120 da San Norberto (1080-1134) nella valle di Prémontré, in Francia] di
San Lucio a Chur (Coira) nel cantone Grigioni, ma nel Novembre 1524,
abbandonò il monastero per dedicarsi alla predicazione riformista presso la
casa della gilda dei tessitori.
Tuttavia, grazie al predicatore anabattista Hans Höchrutiner, U. si accostò
poco dopo alle dottrine del gruppo di Conrad Grebel. Nel Febbraio 1525,
saputo che Grebel era a Sciaffusa, U. andò a trovarlo e ne fu convertito
alla causa: U. fu il primo anabattista a ricevere il battesimo mediante
totale immersione nelle acque del Reno. Infatti fino a quel momento gli
anabattisti celebravano, versando semplicemente un mestolo di acqua sulla
testa.
U. fu molto attivo nel proselitismo anabattista nel cantone San Gallo e per
questo entrò in conflitto con l'umanista riformista Joachim von Watt, detto
Vadiano (1484-1551), cognato di Grebel, ma fedele seguace di Ulrich Zwingli.
Lo stesso Grebel nell'Aprile 1525 si recò a San Gallo per dare manforte: i
risultati furono eccellenti e ben 500 persone furono rapidamente
riconvertiti.
Meno proficuo fu il tentativo di Grebel di convincere il cognato ad essere
meno severo con il movimento anabattista. La reazione infatti della Riforma,
guidata da Vadiano stesso fu molto dura: dapprima furono espulsi gli
anabattisti forestieri, poi a quelli nativi fu ordinato a rendere conto del
proprio operato davanti al consiglio cittadino.
U. presentò un memorandum in cui egli espose i seguenti punti:
Il battesimo dei bambini era in contrasto con le Scritture.
Inoltre era in contrasto con l'insegnamento di Gesù, che aveva ordinato di
battezzare quelli che credevano.
Nei primi secoli della Chiesa, fino a San Cipriano e Tertulliano, il
battesimo degli adulti era la pratica normale, e solo successivamente era
stato sostituito da quello degli infanti.


Nel Maggio 1525, Zwingli pubblicò il suo opuscolo dottrinale Vom Tauff,
Widertauff und Kindertauff (Del battesimo, contro-battesimo e battesimo dei
bambini): nonostante la massima diffusione data allo scritto da parte delle
autorità riformiste di San Gallo, gli anabattisti locali rigettarono le tesi
di Zwingli, preferendo il testo del noto teologo anabattista Balthasar
Hübmaier, Von dem Christenlichen Tauff der glaübigen (Del battesimo
cristiano dei credenti), pubblicato poco dopo in risposta allo scritto di
Zwingli.
Nel Giugno 1525 le autorità cittadine organizzarono una disputa pubblica tra
riformatori, guidati da Vadiano e anabattisti, guidati da U.: il risultato
fu, come sempre, identico a quello ottenuto da simili confronti in quegli
anni. Infatti il Consiglio non volle, e del resto non poteva, accettare le
tesi troppo estremiste degli anabattisti e quindi il 5 Giugno emanò tutta
una serie di misure repressive, che portarono all'involuzione e successiva
estinzione del movimento anabattista a San Gallo.
U. stesso, che non volle uniformarsi alle disposizioni, fu esiliato il 17
Giugno, riaccettato dopo la promessa di uniformarsi alle misure emanate, e
successivamente imprigionato per aver disatteso all'impegno.
Uscito di prigione, U. si trasferì nel 1526 nel cantone Grigioni, dove per
un pelo sfuggì ad un arresto in massa di anabattisti a Fläsch, vicino a
Coira. U. andò quindi nel cantone Appenzell, ma fu catturato nel 1528 a
Waldsee, in Tubinga (Germania meridionale), mentre accompagnava un gruppo di
anabattisti di Appenzell in Moravia e, non avendo ritrattato, fu messo a
morte mediante decapitazione (altri testi riportano che fu arso sul rogo).


Schwenckfeld von Ossig, Caspar (1489-1561) e schwenckfeldiani



La vita
Caspar Schwenckfeld nacque a Ossig (Osiek), nella regione tedesca (ora
polacca) della Slesia nel 1489, da una famiglia nobile di devoti cattolici.
Dopo aver studiato a Lübben (Lubin), Liegnitz (Legnica) e Colonia, S. si
iscrisse all'università di Francoforte sull'Oder nel 1507.
Avviato alla carriera diplomatica, S. agì da consigliere per diversi nobili
dell'epoca: nel 1511-1515 per il duca Karl I di Münsterberg-Oels
(1476-1536), nel 1515-1518 per il duca Georg I di Brieg (1481-1521, duca dal
1495) ed infine nel 1518-1523 per il Duca Friedrich II di Liegnitz
(1480-1547).
Tuttavia fu proprio durante questo ultimo periodo che vari episodi
cambiarono radicalmente la sua vita: nel 1518 S. ebbe una "visita del
 Divino", secondo le sue parole (notare che i suoi primi anni di vita non
erano stati particolarmente dediti alla religione), nel 1519 morì suo padre
e conseguentemente S. divenne co-erede, con il fratello Hans, della tenuta
di famiglia, ma soprattutto nello stesso periodo egli divenne
progressivamente sordo e ebbe ovviamente delle crescenti difficoltà nella
sua carriera diplomatica.
A questo punto S. si dedicò allo studio approfondito delle Sacre Scritture,
dei primi scritti della Chiesa e delle lingue ebraica e greca e un viaggio
nel 1521 a Wittenberg per incontrare i riformatori Melantone e Carlostadio
(Lutero, in quel periodo, era rifugiato nella rocca di Wartburg) lo convinse
ad aderire al luteranesimo e nell'anno successivo riuscì a convertire anche
il duca Friedrich II di Liegnitz.
Tuttavia nel 1523, a causa della sordità, S. dovette definitivamente
abbandonare il suo incarico di consigliere del Duca. Si dedicò quindi, a
tempo pieno, alle questioni religiose dell'epoca, entrando, tuttavia, ben
presto in rotta di collisione con Lutero.
Infatti nel 1524 inviò una nota di ammonimento ai predicatori della Slesia
contro i problemi che potevano sorgere dalla teologia luterana e nel 1525 S.
rielaborò il proprio pensiero sulla Cena del Signore nelle Dodici tesi sui
Sacramenti, inviandone una copia scritta a Lutero: questi non solo respinse
le teorie di S., ma prese ad attaccarlo chiamandolo La terza testa della
detestabile setta sacramentaria.
Per tutta riposta S. dichiarò l'intenzione suo e dei suoi seguaci di non
accostarsi all'Eucaristia finché non si fossero sistemati le divergenze a
riguardo. La protesta, denominata Stillstand, iniziò nel 1526. Nel frattempo
S. entrò in discussione con gli anabattisti, domandandosi lui stesso
sull'utilità del battesimo infantile, ma, nel contempo, rifiutando quello
per adulti.
Tuttavia la pressione dei luterani e l'incauta pubblicazione di due suoi
scritti in Svizzera, che provocò la reazione del re d'Ungheria e Boemia, e
futuro imperatore, Ferdinando I (1526-1564), costrinsero S. all'esilio nel
1529 a Strasburgo, dove arrivò il 18 Maggio.
A Strasburgo, centro dell'azione riformatrice di Martin Bucero (Butzer), S.
fu ospite del predicatore Wolfgang Capito (1478-1541), ma ben presto (1530),
egli si mise in luce, polemizzando con Bucero per la posizione assunto da
quest'ultimo di mediazione nella diatriba sull'Eucaristia tra Zwingli e
Lutero.
La sua presa di posizione gli costò una convocazione davanti al Sinodo della
città, alla quale S. si sottrasse intraprendendo, per propagandare le
proprie idee, lunghi viaggi  per la Germania, soprattutto ad Ulm, dove si
recò a vivere soprattutto, dal 1534, quando fu definitivamente espulso da
Strasburgo. Eppure questo uomo, perenne bastian contrario del
protestantesimo, non ebbe neanche allora vita facile, non volendo scendere
mai a compromessi con l'ortodossia luterana: rifiutò ostinatamente,
scrivendone contro, gli articoli della Formula di Concordia: per questo fu
espulso anche da Ulm nel 1539.
Nel 1540 S. fu formalmente condannato dal sinodo di teologi luterani riuniti
a Smalcalda. Da qui iniziò un duro periodo di persecuzione che lo portò a
vivere spesso all'addiaccio, spostandosi solo di notte o sotto le tempeste:
ciò nonostante S. trovò il tempo di scrivere nel 1541 la sua opera più
famosa La grande confessione sulla gloria di Cristo, vergata nella
biblioteca del monastero benedettino di Kempten, nella Baviera meridionale,
vicino al quale (forse a Wengen) visse per un anno.
Finalmente, nel 1542 egli poté godere di un periodo di relativa
tranquillità, ospite nel castello di Georg Ludwig von Freyberg, situato a
Justingen (vicino ad Ulm), ma soprattutto sotto la potente protezione di
Filippo, langravio di Assia (1504-1567). In questi anni, pur tallonato dai
suoi nemici, tra cui Johannes Brenz, che minacciarono di farlo impiccare o
di mandarlo al rogo, S. proseguì nella sua instancabile opera di
evangelizzazione attraverso tutta la Germania meridionale. Il periodo d'oro
per S. terminò, tuttavia, con la fine della guerra smacaldica nel 1546 e la
prigionia di Filippo d'Assia: S. dovette riparare nel 1547, sotto mentite
spoglie, nel convento francescano di Esslingen. E tuttavia anche in quel
momento S. non desistette dall'attaccare il Cattolicesimo per la Messa ed il
Protestantesimo per la sua commistione stato-chiesa: venne quindi accusato
dai predicatori di Augsburg (Augusta) e fatto ricercato nel 1553 dal Duca di
Württemberg e nel 1556 dalle autorità del Palatinato,
Nuovamente, per sfuggire all'arresto, S. si diede alla macchia o fu ospite
di amici compiacenti, come la famiglia Streicher di Ulm, presso i quali il
10 Dicembre 1561 S. morì, ammalato e stremato dalle persecuzioni.
Perfino dopo la morte, il luogo della sua sepoltura fu tenuto nascosto: si
racconta che fu sepolto nella cantina della casa degli Streicher ad Ulm.


La dottrina
La cristologia schwenckfeldiana, di tipo spiritualista, era fortemente
intrisa di monofisismo: per lui la natura umana e divina di Cristo erano
fusi in una sola Persona divina. Gesù era stato gradualmente divinizzato
durante il suo soggiorno terreno e ritornato in cielo, venne glorificato
alla destra del Padre. La Sua stessa carne era stata glorificata o
deificata, perdendo le caratteristiche umane.
Quindi, poiché Gesù era in contatto solo spirituale con l'uomo, S. credeva
che nell'Eucaristia il Corpo ed il Sangue di Cristo non potevano essere
presenti sotto le specie del pane e del vino. Riprendendo la prima lettera
ai Corinzi di San Paolo (11:27 e s.): Perciò, chiunque mangerà il pane o
berrà il calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue
del Signore. Ognuno dunque esamini prima se stesso e così mangi di quel pane
e beva di quel calice, perché chi ne mangia e beve, mangia e beve la sua
condanna, se non discerne il corpo del Signore, S. affermò che chiunque si
avvicinava al sacramento dell'Eucaristia, senza discernere, cioè comprendere
che la Chiesa non era quella organizzazione che tutti riconoscevano, bensì
il Corpo universale di Cristo, disprezzava il Cristo glorificato. In questo
S. era all'antitesi degli anabattisti, che ponevano l'accento sulla storica
figura di Gesù di Nazareth.
Da ciò se ne deduce che un Cristo spirituale rendeva superfluo la Chiesa, i
sacramenti, i dogmi: l'esperienza religiosa dell'uomo doveva essere tutta
spirituale.
Il sogno dunque di S. era di liberare il Cristianesimo da ogni dogma e per
lui non era neppure necessaria un'organizzazione formale della Chiesa.


Le opere
S. scrisse centinaia di libri, opuscoli, manoscritti, lettere a persone
famose, la maggior parte dei quali non è mai stata pubblicata, per
l'ostracismo posto in essere dal luteranesimo.
Il suo più famoso lavoro comunque resta La Grande Confessioni sulla Gloria
di Cristo.


Gli schwenckfeldiani
Dopo la morte del loro capostipite nel 1561, gli schwenckfeldiani
minacciarono di estinguersi varie volte, poiché non si conformarono né alla
Confessione di Augusta del 1530, né alla Formula di Concordia del 1577. Per
questo vennero senza pietà perseguitati sia dai cattolici che dai luterani.
Se scovati durante le loro cerimonie in case private, essi venivano mandati
come  schiavi sulle galee o obbligati ad arruolarsi come soldati nelle
guerre contro i Turchi.
Nel XVII secolo la setta stava proprio per estinguersi, e nel 1726, a causa
di un'ennesima inchiesta del Gesuiti, gli s. decisero di emigrare in
America: solo alcuni decisero di aderire, sebbene per poco tempo, ai
Fratelli moravi del conte Nikolaus Ludwig von Zizendorf.
Nel 1734, dunque, un gruppo di s. partì per la Pennsylvania, dove fondarono
le loro prime colonie vicine a Philadelphia e dove nel 1782 fu fondata la
Chiesa Schwenckfeldiana.
Tuttavia la permanenza americana ammorbidì di molto i toni delle dottrina s.
e nel 1895, la Società dei Schwenckfelder decise di diventare una
denominazione congregazionalista protestante, accettando il battesimo degli
adulti e la Cena del Signore, terminando di fatto la Stillstand, durata ben
370 anni.
Oggigiorno la Chiesa Schwenckfeldiana (Schwenckfelder Church) è una delle
più piccole confessioni protestanti del mondo, raggiungendo il numero di
appena 3.000 fedeli, organizzati in 5 chiese, tutte in Pennsylvania, ed è
ancora autonoma, avendo respinto, negli anni '60, una proposta di adesione
alla neonata (1957) United Church of Christ, fondata con l'intento,
parzialmente fallito, di fondere le diverse denominazioni congregazionaliste
con la Chiesa Evangelica Riformata.

Scoto Eriugena (o Erigena), Giovanni (ca. 815- ca. 877)



Scoto Eriugena, filosofo, teologo e linguista, nacque in Irlanda nel 815
ca., entrò da giovane in un monastero e nel 847 si trasferì in Francia.
Qui divenne maestro della scuola palatina a Laon durante il regno di Carlo
il Calvo (843-877), re dei Franchi occidentali, che lo incaricò di tradurre
le opere di Dionigi lo Pseudo-Aeropagita, teologo mistico di ispirazione
neoplatonica del VI secolo.
S. era una delle persone più istruite del suo tempo, essendo fluente in
Greco e Latino e avendo un'ottima conoscenza dei classici.
Nel 849 fu convocato da Incmaro vescovo di Reims il sinodo di Quiercy sur
l'Oise per condannare le dottrine di Gotescalco (Gottschalk) di Fulda,
monaco dell'abbazia di Orbais (nella diocesi di Soissons), il quale aveva
dato particolare rilievo alla teoria della doppia predestinazione di
Sant'Agostino. Gotescalco, riprendendo gli scritti di Agostino, era convinto
che alcuni uomini sarebbero destinati alla salvezza ed altri alla
dannazione, non per i loro meriti o colpe, ma per volontà divina e che
quindi Cristo fosse venuto sulla terra solo per annunciare che non tutti gli
uomini erano destinati alla perdizione.
Incmaro e Pardulo di Laon convinsero allora S. a scrivere nel 851 una
confutazione delle tesi di Gotescalco, ma l'opera che ne uscì, il De
praedestinatione, esagerò in senso opposto: poiché Dio era eterno, la
predestinazione o la previsione erano la stessa cosa: Dio predestinava alla
dannazione, perché prevedeva i peccati, e predestinava alla salvezza perché
prevedeva i meriti. Inoltre la dannazione e l'inferno non esistevano, perciò
tutti potevano salvarsi: una variante dell'apocatastasi, dottrina già
condannata dal Concilio di Costantinopoli del 543.
Per questo, S. fu accusato di pelagianesimo da parte di Prudenzio, vescovo
di Troyes.
Nel 865-870 S. scrisse l'altra sua opera destinata a divenire famosa, il De
divisione naturae, dove, secondo il filosofo, il mondo spazio-temporale era
diviso, con un certo ordine razionale, in quattro parti:
Ciò che crea e non è creato, cioè Dio all'inizio del mondo
Ciò che crea ed è creato, cioè il mondo delle idee
Ciò che non crea ed è creato, cioè il mondo dei sensi
Ciò che non crea e non è creato, cioè Dio alla fine dei tempi.
Il tutto era basato sul desiderio di Dio di manifestarsi attraverso
l'esistenza degli esseri. Questi tuttavia, dopo essere stati creati, avevano
come loro principale desiderio il ritorno ad una unione definitiva con Dio,
punto finale di ogni sviluppo.
S. intervenne anche nella diatriba sorta tra Pascasio Radberto e Ratramno
sulla Eucarestia, dichiarando che la trasformazione del pane e del vino nel
Corpo e nel Sangue di Cristo durante la messa era da intendersi in senso
simbolico: dopo tutto il Corpo di Cristo veniva mangiato con la mente e non
certo con i denti!
Questo continuo ricorrere alla razionalità e le varie dottrine di S. erano
sufficienti per incriminare chiunque (per es. le varie tesi di Gotescalco
gli avevano procurato pubbliche fustigazioni), ma finché rimase al potere il
grande protettore di S., cioè il re Carlo il Calvo, non gli accadde nulla di
male.
Alla morte di Carlo nel 877, S. si rifugiò prudentemente in Inghilterra,
presso la corte di Alfredo il Grande (871-899), re del Wessex (l'Inghilterra
sudoccidentale), dove, si racconta, fu ucciso (addirittura a colpi di penne,
usate come pugnali!) nello stesso 877 dai monaci dell'abbazia di Malmesbury
(vicino a Bath), inferociti per i suoi scritti, a loro dire, eretici.
Circa 350 dopo la sua morte, nel 1225  al Concilio di Sens, convocato da
Papa Onorio III (1216-1227), per condannare i seguaci di Amaury di Béne, un
filosofo francese della fine del XII secolo, grande ammiratore di S., il De
divisione naturae fu bruciato e S. stesso fu condannato postumo.



Seekers (o waiters o ariani legantini) (XVII secolo)



I seekers furono una setta protestante inglese del XVII secolo, fondata dai
tre fratelli Legate, Walter, Thomas e Bartolomew, separatisti inglesi attivi
a Londra tra il 1590 ed il 1612, dal cui cognome la setta prese il nome
anche di ariani legatini.
Come altre sette dell'epoca, i Legate ed i loro seguaci rigettavano
qualsiasi forma di rituale e di religione organizzata, respingendo sia la
Chiesa Cattolica che quella Anglicana come corrotte e considerando se stessi
come i nuovi apostoli di Dio, gli unici che potevano rifondare una vera e
valida Chiesa. In attesa di questo evento, i seekers decisero che avrebbero
aspettato in silenzio, da cui anche il nome di waiters (coloro che
aspettano) ed in effetti le loro riunioni consistevano principalmente in
momenti di silenzio e contemplazione.
I fratelli Legate non vissero a lungo nel loro movimento: Walter morì
annegato, Thomas finì i suoi giorni in prigione a Newgate, mentre Barthomew
fu bruciato sul rogo, assieme all'anabattista Edward Wightman, l'11 aprile
1612 a Litchfield. Fu l'ultimo rogo pubblico per eresia in Inghilterra.
La setta continuò, dopo la morte dei suoi fondatori, per un centinaio di
anni, fino all'inizio del XVIII secolo, venendo man mano riassorbita dal
movimento dei quaccheri, che avevano alcune convinzioni in comune con i s.,
diversi dei quali decisero, per l'appunto, di confluire nella setta fondata
da George Fox.


Della Sega (o Sega), Francesco (1528-1565)



Francesco Della Sega (o Sega), soprannominato Fraosto, nacque a Rovigo nel
1528 (altre fonti citano il 1532) da una famiglia benestante e ricevette
anche una buona educazione, frequentando la facoltà di legge all'università
di Padova. Nel suo memoriale per l'Inquisizione, raccontò che a Padova venne
convertito in seguito all'anabattismo da un calzolaio e ribattezzato a
Porcia, in provincia di Pordenone.
Lasciò gli studi per fare il mestiere di sarto e questa decisione, oltre a
quella religiosa, fece sì che il padre lo scacciasse di casa. In seguito
partecipò, nel 1546, ai Collegia Vicentina, primo incontro di anabattisti e
antitrinitariani veneti.
Nel 1557, in seguito ai processi nel Veneto contro gli anabattisti
(scaturiti dalle confessioni di Pietro Manelfi) D. fuggì con Giulio
Gherlandi e Niccolò Buccella in Moravia, entrando in una comunità hutterita
a Pausram, vicino all'odierna cittadina di Strachotin.
Nel 1561 fu eletto ministro di culto hutterita e nell'anno successivo
ritornò a Rovigo per ritirare la sua eredità e per fare proselitismo, ma il
27 agosto 1562 fu catturato a Capodistria, insieme a Antonio Rizzetto e al
Buccella, mentre stava facendo ritorno in Moravia, e fu rinchiuso nel
carcere veneziano di San Giovanni Battista in Bragora.
Subì un lungo processo, ma riuscì nel frattempo ad inviare diverse lettere
ai suoi confratelli in Moravia.
Scrisse ai giudici durante il suo processo un memoriale, dal titolo Lettera
alli magnifici e clarissimi signori e iudici sopra le cose della fede e
conscienza, e fu anche torturato per farlo abiurare, ed in seguito
condannato alla pena capitale.
All'inizio del febbraio 1565 egli fu visitato dal capitano del carcere,
Chiaromonte, che cercò di fare un ultimo tentativo per indurlo ad abiurare:
un suo momentaneo tentennamento di fronte agli inquisitori, al contrario del
confratello Rizzetto, gli permise una sospensione temporanea dell'esecuzione
capitale, ma, ritornando poi nella convinzione della propria fede, D. fu
giustiziato per annegamento nel Canale dell'Orfano (nella laguna veneta) il
26 febbraio 1565.


Segalelli (o Segarelli o Sagarelli o Cicarelli), Gherardo (o Gherardino) (m.
1300) e apostolici



La vita
Gherardo Segalelli nacque a Segalara, vicino a Ozzano Taro (Parma) nel 1240
circa. Era un uomo di bassa estrazione sociale: nel 1260, l'anno delle
flagellazioni di massa, che lo lasciarono profondamente colpito, S. chiese
di essere ammesso al convento dei Frati Minori di Parma, ma ne fu respinto.
Decise allora di seguire autonomamente una propria strada di povertà
francescana: vendette i suoi averi, donando il ricavato ai poveri e si
lasciò crescere barba e capelli e si vestì con una tunica grezza, un
mantello bianco e dei sandali.
A questo punto, egli iniziò una vita di rinunce ad ogni possesso e di
predicazione del messaggio evangelico. Ebbe un notevole successo
particolarmente tra la popolazione più umile, non solo a Parma, ma in tutta
l'Emilia Romagna e oltre, e i suoi seguaci, i fratres et sorores apostolicae
vitae o semplicemente apostolici o "minimi" (come definivano sé stessi per
distinguersi dai Minori), diventarono molto più popolari degli stessi
predicatori francescani.
Tutto ciò allarmò la Chiesa ufficiale e il Papa, Gregorio X (1271-1276),
stabilì, nel 1274 al II Concilio di Lione, la proibizione di fondare nuovi
movimenti religiosi mendicanti e l'obbligo per quelli esistenti di confluire
in organizzazioni ufficialmente approvate dal clero.
Poiché gli apostolici non si adeguarono a queste direttive, furono
condannati per due volte: nel 1286 con la bolla papale Olim felicis
recordationis  e nel 1287 con il Concilio di Würzburg, ambedue voluti da
Papa Onorio IV (1285-1287), preoccupato per il diffondersi della setta. In
seguito a questa ultima condanna S. fu imprigionato a Parma, ma fu
successivamente rilasciato dal vescovo parmense Obizzo Sanvitali, segreto
ammiratore di S. e degli apostolici. Secondo il cronista d'epoca Fra
Salimbene de Adam, questo perché il vescovo si divertiva con S. come se egli
fosse stato il suo sciocco giullare di palazzo, ma questa versione dei fatti
è sicuramente una forzatura propagandistica, visto l'atteggiamento
estremamente ostile e prevenuto che Salimbene ebbe nel descrivere il
movimento degli apostolici.
Anche il successore di Onorio IV, Papa Niccolò IV (1288-1292) rinnovò nel
1290 la condanna della setta, ma solo nel 1294 il S. fu nuovamente messo in
prigione, da cui comunque riuscì a fuggire poco dopo.
Tuttavia, sei anni dopo, con a Roma un Papa, Bonifacio VIII (1294-1303), non
certo tenero con i predicatori "irregolari" e senza la protezione di Obizzo
diventato nel frattempo vescovo di Ravenna, S. fu catturato, processato
dall'inquisitore Manfredo da Parma e bruciato sul rogo a Parma il 18 Luglio
1300.


La dottrina
A dir la verità, il movimento degli apostolici non aveva una vera e propria
dottrina: essi non predicavano una nuova interpretazione del Vangelo come i
valdesi, non contestavano il clero corrotto come i patarini, non erano
eretici dualisti come i catari.
Il loro principale riferimento evangelico era il brano degli Atti degli
Apostoli (2,44-45): E tutti quelli che avevano creduto stavano insieme e
avevano tutto in comune. Vendevano poi le proprietà e i beni e ne
distribuivano il ricavato a tutti, secondo che ognuno ne aveva bisogno.
Gli apostolici conducevano quindi una vita semplice fatta di digiuni e
preghiere, spesso lavorando per guadagnare il cibo, altrimenti vivendo di
carità, e predicando con frequenti richiami al pentimento. Infatti il loro
motto era Penitentiam agite (fate penitenza), corrotto poi in Penitençagite!
Essi non avevano neppure un vero capo perché S. si rifiutò sempre di
rivestire questo ruolo nel movimento, permettendo così anche l'avvento di
nuovi capi auto-proclamatisi, come Matteo di Ancona e Guido Putagio, che
portarono scompiglio e divisioni interne al movimento.
Quello che scandalizzò però la Chiesa era, per una società cattolica
abbastanza angosciata e ossessionata dal peccato del sesso, che il movimento
degli apostolici fosse formato sia da donne che da uomini, i quali non
davano alcun valore alla castità (come i Fratelli del Libero Spirito), che
la cerimonia di accettazione di nuovi seguaci (donne e uomini) prevedesse
che si spogliassero nudi in pubblico (ma lo aveva fatto anche San
Francesco!), perché essi dovevano seguire nudi il Cristo nudo. E, a parte il
non aver ottemperato alle disposizioni del II Concilio di Lione in tema di
nuovi movimenti religiosi, fu solo sulla base di accuse, spesso fantasiose,
di fornicazione, oscenità, sodomia e quant'altro che gli apostolici furono
perseguitati.


Gli apostolici dopo la morte del fondatore
La setta degli apostolici fu duramente perseguitata come il suo fondatore:
già nel 1294 furono bruciati i primi quattro apostolici e nei processi del
1299 si cercò di reprimere nel sangue questo movimento che tanto
scandalizzava la Chiesa.
Tuttavia da quel momento di grande difficoltà per gli apostolici uscì quel
leader, Fra Dolcino da Novara, che fece fare un salto di qualità al
movimento e tenne in scacco per sette anni le forze avversarie messe in
campo durante una vera e propria crociata, indetta dal Papa Clemente V
(1305-1314).
Morto Dolcino nel 1307, si registrarono ancora apparizioni episodiche degli
apostolici nel 1315 in Spagna, nel 1318 ed infine un'ultima citazione nel
Concilio di Narbona del 1374.


Erastus (o Lüber o Lieber o Liebler), Thomas (1524-1588) e Erastianismo



La vita
Thomas Lüber (nome umanistico Erastus) nacque il 7 settembre 1524 a Baden,
nel cantone Aargau in Svizzera, da una povera famiglia di artigiani.
Nel 1540 E. fu mandato, a spese di uno sconosciuto mecenate, a studiare
teologia a Basilea, ma a causa di una epidemia di peste nel 1544, egli
decise di trasferirsi a studiare filosofia e medicina a Bologna, dove si
laureò in medicina nel 1552, e successivamente a Padova.
Nel 1555 E. fu assunto, da parte di Guglielmo IV, Conte di Henneberg
(1478-1559), come medico di corte, ruolo che dal 1558 ricoprì, oltre a
quello di professore di medicina all'università di Heidelberg, anche presso
il principe elettore del Palatinato, Otto Heinrich (regnante: 1556-1559).
Nel 1559, alla morte di Otto Heinrich, il successore Frederick III Palatino,
detto il Pio (regnante: 1559-1576) nominò E. membro del Consiglio della
Corona, Rettore dell'università e membro del Concistoro della Chiesa.
Tuttavia Frederick fu anche il primo principe tedesco ad accettare il
calvinismo nel 1563, nonostante la strenua resistenza di E., che invece
parteggiava per una riforma di tipo zwingliano. E. difese senza successo la
dottrina della Cena del Signore di Zwingli nelle conferenze di Heidelberg
(la capitale del Palatinato) del 1560 e Maulbronn del 1564, ma fu perfino
scomunicato in quella di Heidelberg, sebbene la scomunica venne revocata
l'anno successivo. Egli difese inoltre le sue idee per iscritto nel 1565,
rispondendo al teologo luterano di Strasburgo Johann Marbach (1521-1581).
Nel 1570 Frederick III Palatino, con l'aiuto del teologo calvinista Caspar
Olevianus (1536-1587), introdusse il calvinismo, nella sua forma
presbiteriana, come religione di stato.
La neonata chiesa, come uno dei suoi primi atti ufficiali, scomunicò E.
accusandolo di un presunto socinianesimo sulla base di lettere scambiate con
antitrinitariani transilvani e lo perdonò solo nel 1575, dopo una
dichiarazione di E. di adesione alla dottrina della Trinità.
Tuttavia la sua posizione rimase scomoda e vista sempre con molto sospetto e
quindi nel 1580 egli decise di ritornare a Basilea, dove nel 1583 venne
nominato professore di etica all'università. Non poté, purtroppo occupare
molto questo ruolo, poiché morì nello stesso 1583, il 31 dicembre.


Erastianismo
La dottrina, che prende il nome da E., si denomina erastianismo e derivò da
discussioni di E. con i teologi calvinisti sull'opportunità che fosse lo
stato, come voleva E., e non la chiesa, secondo i calvinisti, a punire i
peccatori e gli eretici. Per E. una chiesa in una nazione cristiana non
aveva nessun potere di repressione, distinta da quello dello stato: la
chiesa poteva solamente censurare o ammonire coloro che deviavano dalla
retta via.
L'opera principale di E., denominato La nullità delle censure della Chiesa,
apparve postumo a Londra nella versione tedesca nel 1589 e nella traduzione
inglese nel 1659, influenzando in maniera decisiva le teorie di alcuni
parlamentari inglesi, come John Selden (1584-1654) e Bulstrode Whitelocke
(1605-1675), favorevoli alla supremazia dello stato sulla chiesa.
L'erastianismo ebbe inoltre un ruolo importante nello sviluppo del
gallicanesimo in Francia.


Seleuciani (o Ermeoniti o Prolinianiti) (III - IV secolo)



I seguaci di questa setta gnostica, attiva in Galizia nel III - IV secolo e
fondata da Seleuco, con i discepoli Ermia e Proclino, praticavano un
dualismo estremo. Tutte le notizie che abbiamo su questa setta vengono da
Filastrio (Liber Dicersarum Hacreseon).


La dottrina
I seleuciani accettavano che Dio fosse incorporeo, ma erano convinti che la
materia fosse eterna quanto Dio: entrambi, secondo loro, erano generatori
del Male, una posizione molto radicale nel panorama gnostico.
Nella loro dottrina, il leitmotiv ricorrente era il fuoco:
Gli uomini erano stati creati non da Dio, ma dagli angeli da componenti
materiali, il fuoco e l'aria.
Cristo non sedeva alla destra del Padre perché aveva lasciato il Suo corpo
nel sole (fuoco).
I s. rifiutavano il battesimo perché il Vangelo di Matteo (3,11), riferendo
le parole di S. Giovanni Battista, citava testualmente Colui che viene dopo
di me .. vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
Il mondo attuale era l'inferno.


Questa setta ebbe molti punti in comune e probabilmente fu la fonte di
ispirazione di un'altra setta quasi identica, quella degli Ermeoniti o
Prolinianiti, fondata da un certo Ermogene.


Chemnitz, Martin (1522-1586)

La vita
Il famoso teologo luterano Martin Chemnitz nacque il 9 Novembre 1522 a
Treuenbrietzen, nel Brandeburgo, tra Berlino e Wittenberg. Il padre, un
mercante di stoffe, inviò il giovane e dotato figlio alla scuola di Latino a
Wittenberg, ma successivamente C. dovette poi abbandonare gli studi per
aiutare la famiglia.
Tra il 1539 ed il 1542, C. riprese i suoi studi a Magdeburgo e poi,
dedicandosi alla matematica e all'astrologia, a Francoforte sull'Oder e, dal
1545, nuovamente a Wittenberg, per studiare con Philipp Melantone, che lo
convertì al luteranesimo.
Nel 1547, a causa della guerra smacaldica, nella quale il principe elettore
di Brunswick, Heinrich il Giovane (1514-1568) si era schierato con i
cattolici, C. decise di trasferirsi presso il Duca (protestante) di Prussia,
Alberto di Brandeburgo-Ansbach a Köningsberg, e qui diresse la locale scuola
e poté continuare i suoi studi di astrologia.
Dal 1550, C. fu nominato dal duca bibliotecario della biblioteca di
Köningsberg, dove ebbe la possibilità di studiare i testi dei Padri della
Chiesa. Se ne appassionò a tal punto che si dedicò con passione allo studio
della teologia, laureandosi magister a Rostock.
Nell'Aprile 1553, C. si trasferì a Wittenberg per insegnare alla facoltà di
filosofia: qui diventò collega del suo ex maestro Melantone, i cui Loci
communes  furono il tema delle lezioni tenute da C. tenne proprio in
quell'anno. Già l'anno dopo, tuttavia, C. veniva chiamato a Braunschweig
(Brunswick) come predicatore della chiesa di Sant'Egidio ed aiutante del
coordinatore delle Chiese luterane, Joachim Mörlin (1514-1571), che lo
nominò sovrintendente a Königsberg, carica mantenuta da C. fino al 1567.
In questo periodo, dal 1565 fino al 1573, C. scrisse e pubblicò la sua opera
più famosa, l'Examen concilii Tridentini, un'impietosa analisi critica del
Concilio di Trento, che aveva appena chiusi i battenti due anni prima, dopo
un interminabile lavoro durato tre sessioni, dal 1545 al 1547, dal 1551 al
1552 e dal 1562 al 1563.
Nel 1568 C., assieme a Jakob Andreä (1528-1590), cancelliere all'università
di Tübingen e noto come il Lutero del Württemberg (oltre ad essere
successivamente ricordato anche come il nonno di Johann Valentin Andreä,
presunto fondatore del movimento dei Rosacroce), fu incaricato dal nuovo
principe Julius di Brunswick (1568-1589) di diffondere il luteranesimo a
Braunschweig e presiedette nel 1576 anche alla fondazione dell'università di
Helmstedt (dove insegnò nel 1589 Giordano Bruno).
Nel 1577 C., assieme al già citato Andreä e a Nikolaus Selnecker
(1532-1592), fu tra i teologi che redassero la Formula di Concordia, un atto
di fede luterana pubblicato successivamente a Dresda nel 1580. La Formula
riconosce le tre più antiche professioni di fede (degli apostoli, niceno e
di Sant'Atanasio) e fa parte dei testi fondamentali del luteranesimo,
assieme alla Confessio Augustana del 1530, l'Apologia sulla precedente,
scritta da Melantone, i Catechismi maggiore e minore di Lutero, gli Articuli
Smalcaldici, sempre di Lutero.
C. si ritirò nel 1584 e morì l'8 Aprile 1586 a Braunschweig.


Le opere e la dottrina
C. fu un scrittore molto prolifico e letto ai suoi tempi. Tra i suoi lavori
principali, a parte la partecipazione alla stesura della Formula di
Concordia, si ricordano:
Repetitio sanae doctrinae de vera praesentia corporis et sanguinis in coena
(1561), nel quale difese la dottrina luterana della presenza reale del Corpo
e Sangue di Cristo durante l'Eucaristia.
La già citata Examen concilii Tridentini (1565-1573), opera fondamentale del
luteranesimo. In essa C. rifiutò la motivazione cattolica che il testo della
Bibbia era oscuro e incerto e che quindi necessitava della tradizione e
della re-interpretazione della Chiesa cattolica. Per C. la Bibbia era
scriptura divinitus inspirata (Scrittura ispirata dal Divino): quello che
Gesù aveva detto ai suoi discepoli era stato successivamente dettato
letteralmente a loro dal Spirito Santo.
De duabus natirus in Christo (1570), un brillante e devoto trattato sulla
Cristologia.
Loci theologici (pubblicato postumo nel 1591), un commentario sui Loci
communes di Melantone.


Acacio di Cesarea (m. ca. 366)



Acacio diventò vescovo di Cesarea (in Palestina) nel 340.
Il periodo storico, in cui egli operò, fu contraddistinto dalle lotte
interne al movimento ariano, sviluppate in seguito alla morte della guida
carismatica, Eusebio di Nicomedia (m. ca. 341) e sintetizzate dalle varie
posizioni assunte, durante i vari sinodi, tenuti tra il 357 ed il 359 a
Sirmio (nella ex Iugoslavia) indetti dall'imperatore Costanzo (337-361,
figlio di Costantino), proprio per cercare di venire a capo delle dispute
teologiche.
Rispetto alla natura di Cristo, le formulazioni presentate risultarono
addirittura quattro:


Homooùsios (identico, nella sostanza, a Dio, cioè consustanziale), secondo
il Credo di Nicea, difeso strenuamente e quasi isolatamente (Athanasius
contra mundum: Atanasio contro il mondo) da Atanasio di Alessandria.
Homoioùsios (simile, nella sostanza, a Dio), propugnato da  Basilio di
Ancyra.
Anòmoios (dissimile da Dio), secondo il credo ariano più canonico, e difeso
da  Aezio di Antiochia o di Celesiria,  Eunomio di Cizico e  Ursacio di
Singiduno.
Homoios (simile a Dio), una formula di semiarianesimo, propugnata, per
l'appunto, da Acacio di Cesarea. I seguaci di Acacio si chiamarono omeisti.


In questa ultima definizione, la più vaga, si parlava di una generica
similitudine tra Padre e Figlio, senza precisare il rapporto sul piano della
sostanza.
L'imperatore Costanzo dapprima (358) aderì alla dottrina dell'homoioùsios di
Basilio, ma successivamente, dopo il sinodo del 359, cercò di imporre la
versione homoios di A. come ufficiale e convocò i vescovi occidentali a
Rimini e quelli orientali a Selucia per ratificare la formula acaciana.
Contemporaneamente fece deporre e relegare a Berea in Tracia Papa Liberio
(352-366). Al suo posto fu eletto l'antipapa, di ispirazione ariana, Felice
(355-365). Papa Liberio poté rientrare ad occupare la sua sede, solo dopo
aver firmato un documento molto vicino alle tesi ariane.
Questo momento storico del Cristianesimo fu ben descritto da S.Girolamo
nella frase: "Il mondo, gemendo, stupì di trovarsi ariano".
Il concilio di Seleucia, nel 359, al quale partecipò A., oltre a 150/160
vescovi orientali, mostrò tutta la ben nota divisione nel partito ariano, e
fu aggiornato dall'imperatore stesso a Costantinopoli, l'anno successivo,
dove fu imposta la formula del homoios.
Ma nel 361, morì l'imperatore Costanzo e la situazione politica divenne poco
chiara: l'ascesa di Giuliano l'Apostata (361-363), paradossalmente, permise
agli ortodossi niceni di serrare le fila.
Nel concilio di Lampsaco del 364, indetto da Valentiniano I (364-375), le
tesi ariane vennero rigettate e i vescovi più in vista vennero condannati,
compreso A.
A. morì, secondo alcuni autori, nel 366.


(San) Giovanni Cassiano (ca. 360-ca. 435) e semipelagianismo e massiliani



La vita
Giovanni Cassiano nacque in Provenza ca. nel 360 da famiglia molto
benestante e ricevette in gioventù un'ottima educazione.
Ancora giovane, decise con un suo amico, tale Germano, di visitare i luoghi
sacri in Palestina, soggiornando lungamente in Betlemme. Tuttavia a colpire
profondamente C. fu soprattutto una visita ai più famosi eremi del deserto
egiziano, dove conobbe e divenne probabilmente discepolo di Evagrio Pontico,
il grande ispiratore del monachesimo orientale.
Dall'Egitto, C. si trasferì a Costantinopoli, dove diventò allievo di San
Giovanni Crisostomo, patriarca della città, il quale lo nominò diacono e
tesoriere della cattedrale.
Tuttavia, nel 403, Crisostomo fu condannato all'esilio ad Antiochia e poi
nel Ponto, dal sinodo di Ad Quercum, cioè la Quercia, sobborgo di
Costantinopoli, in seguito ai loschi maneggi del suo acerrimo avversario,
Teofilo, patriarca di Alessandria.
Per perorare la causa di Crisostomo, C. fu inviato presso Papa Innocenzo I
(401-417) a Roma, dove fu successivamente ordinato sacerdote.
Nel 415, C. fondò a Marsiglia due monasteri, uno per uomini, intitolato a
San Vittore, e l'altro per donne, sull'esempio di quelli egiziani, ed in
Provenza visse per il resto della sua vita, scrivendo i suoi due libri, De
institutis coenobiorum e Collationes, rispettivamente un trattato di regole
monastiche ed una serie di conversazioni di C. con eremiti egiziani.
C. morì nel 435 ca.
Benché non sia stato mai canonizzato dalla Chiesa Cattolica, tale lo
considerarono due papi: San Gregorio Magno (590-604) e Urbano V (1362-1370),
quest'ultimo ex abate di San Vittore di Marsiglia.
Inoltre venne nominato santo dalla Chiesa Greca e a Marsiglia viene
celebrato la sua festa il 23 Luglio.


La dottrina del semipelagianismo
C. venne considerato il fondatore dell'eresia (condannata, per la verità, in
maniera definitiva quasi 100 anni dopo la sua morte) conosciuta come
semipelagianismo, tentativo ingegnoso di mediare le posizioni del
Pelagianismo e quelle espresse da Sant'Agostino.
Se i pelagiani affermavano che, con la propria volontà (liberum arbitrium) e
per mezzo di preghiere ed opere buone, l'uomo poteva, senza l'intervento
della Grazia divina, evitare il peccato e giungere alla salvezza eterna, ed
gli agostiniani affermavano che, al contrario, senza l'intervento della
Grazia divina, l'uomo non poteva salvarsi; C. predicò che l'uomo non poteva
salvarsi senza la Grazia divina, tuttavia doveva decidere di vivere in
maniera virtuosa, prima che Dio concedesse la Sua Grazia.
In questa maniera, secondo C., sia la volontà dell'uomo che la Grazia divina
erano importanti per la salvezza, tuttavia la predestinazione eterna era più
legata alla volontà umana, fondamentale per l'ottenimento successivo della
Grazia.


Il semipelagianismo e i massiliani
Le dottrine di Giovanni Cassiano furono propagandate dai monaci di San
Vittore in Marsiglia, che dal nome latino della città furono denominati
massiliani.
Essi, partendo da una iniziale posizione neutrale verso Sant'Agostino,
diventarono man mano suoi avversari. Agostino impiegò gli ultimi anni della
sua vita per confutare le loro tesi, tuttavia, nel 430, durante l'assedio di
Ippona da parte dei Vandali, egli morì. La lotta contro i massiliani fu
ereditata dal suo discepolo Prospero di Aquitania senza particolare fortuna,
visto che per tutto il V secolo, il semipelagianismo rimase la dottrina più
diffusa in tutta la Gallia.
Di questo periodo l'esponente più autorevole fu Fausto, vescovo di Riez.
Nel VI secolo, tuttavia, una nuova confutazione fu elaborata da San
Fulgenzio, vescovo di Ruspe (in Nord Africa), il "novello Sant'Agostino",
che, esiliato in Sardegna dal re ariano dei Vandali, Trasmundo,  scrisse una
confutazione delle tesi di Fausto, accelerando la fine della dottrina
semipelagianista.
Questa era difesa all'epoca da Cesario, vescovo di Arles, il quale fu
attaccato dapprima nel sinodo di Valence del 528, ma soprattutto nel secondo
sinodo di Orange del 529.
Quest'ultima congregazione condannò il semipelagianismo, oltre al
pelagianismo, come eresia e le sue conclusioni furono ratificate nel 530 da
Papa Bonifacio II (530-532).


Sabbatarianismo e semisabbatarianismo (XVII secolo)



Origini
L'usanza di considerare il sabato come giorno santo di riposo, tipica degli
ebrei, quando veniva applicata da cristiani era detta Sabbatarianismo, e fu
usuale per i primi cristiani fino al Concilio di Laodicea del 384, dove ai
fedeli venne ordinato, pena la scomunica per i dissidenti, di santificare la
domenica come giorno di riposo.
In questa pratica dei cristiani bisogna distinguere tra sabbatariani e
semisabbatariani: i primi infatti credevano che il sabato era il giorno
prescelto (il settimo giorno della Genesi), dove l'uomo, come aveva fatto
Dio, doveva rigorosamente astenersi da qualsiasi lavoro manuale, mentre i
secondi pensavano che questa funzione la poteva svolgere anche il giorno di
domenica.
Anche dopo il 384, questa abitudine non scomparve del tutto rimanendo in
alcune particolari situazioni, come per esempio nella chiesa celtica
irlandese del VI secolo, dove vennero riconosciuti come festività da
santificare sia il sabato che la domenica e la Chiesa copta d'Etiopia, che
tuttora santifica il sabato.
Nel XIII secolo il grande filosofo e teologo Alberto Magno (ca.1193-1280)
suggerì la separazione tra il comandamento morale di rispettare il settimo
giorno di riposo dopo sei di lavoro e il simbolo dello specifico giorno di
sabato, applicabile solo alla religione giudaica.
Ed arriviamo al XVI secolo, quando gli unitariani in Europa orientale
adottarono il s., che riprese vigore spandendosi per tutta l'Europa della
Riforma, nonostante le feroci critiche sia di Lutero che di Calvino,


Il sabbatarianismo in Inghilterra (XVII secolo)
Attraverso i suddetti unitariani ed alcuni anabattisti olandesi, il s. si
diffuse in Inghilterra durante il regno di Elisabetta I (1558-1603), e fu
pubblicato nel 1595 il trattato del reverendo dissidente Nicholas Bound, dal
titolo True doctrine of the Sabbath (la vera dottrina del Sabato).
La controversia riprese con vigore durante il regno di Giacomo I
(1603-1625), il quale fece pubblicare The Book of Sports (il libro degli
sport) nel 1618, che stabiliva le attività ricreative (tra cui il tiro con
l'arco e la danza) permesse di domenica: il libro venne ripubblicato da
Carlo I (1625-1649) nel 1633. Il s. si diffuse durante questo periodo grazie
all'operato di John Traske e di Theophilus Brabourne.


John Traske (ca. 1585-1636)
John Traske, un ex maestro di scuola di East Coker, vicino a Yeovil (nel
Somerset), fu ordinato nel 1611 ed aderì alle idee s. già prima della sua
ordinazione. Dopo aver scontato un periodo di prigione nel 1615 per aver
pubblicato scritti sul s., egli fondò a Londra nel 1617 una congregazione
s., che successivamente fu denominata traskita dal suo nome.
I traskiti credevano nel rispetto letterale del 4° comandamento e
praticavano anche alcune abitudini dietetiche ebraiche, ma ben presto furono
perseguitati e il loro stesso capo dovette soffrire nuovamente nel 1618 per
un processo ed una successiva severa condanna, che gli fu condonata solo in
seguito ad una sua totale abiura.
Negli anni successivi, tra il 1620 ed il 1630, pare che Traske si limitasse
a predicare il calvinismo nelle contee inglesi del Devon e del Dorset,
mentre è poco chiaro se avesse proseguito nelle sue convinzioni
sabbatariane.
E' certo comunque che dopo pochi anni dal suo rientro a Londra, fu arrestato
su ordine dell'Alta Corte di Commissione nel 1636 e imprigionato per
reiterazione delle convinzioni sabbatariane, benché egli negasse ogni suo
coinvolgimento. Rilasciato in quanto già gravemente malato, Traske morì
nello stesso 1636.
In realtà a prendere il comando della setta era stata la moglie di Traske,
Dorothy, che non aveva affatto abiurato al contrario del marito: fu
arrestata e imprigionata fino alla sua morte, avvenuta nel 1645.


Theophilus Brabourne (1590-1662)
Theophilus Brabourne, un prete anglicano di Norwich, ordinato nel 1621, non
iniziò, al contrario di Traske, una sua setta, ma cercò di incorporare le
usanze ebraiche concernenti il Sabbath nelle pratiche della Chiesa
d'Inghilterra.
Egli pubblicò diversi lavori sull'argomento e nel 1634 fu inquisito sulle
sue convinzioni, ma riuscì ad arrivare ad un accordo con le autorità
ecclesiastiche anglicane, a fronte di una sua esplicita dichiarazione di
ortodossia religiosa e gli fu quindi permesso di ritornare a predicare in
Norwich nel 1635. Nel 1648, dopo aver ricevuto una cospicua eredità,
Brabourne lasciò il sacerdozio per dedicarsi a tempo pieno ai suoi studi.
Brabourne morì nel 1662 e nei suoi ultimi lavori, dimostrò di aver oramai
modificato le sue prime idee sul sabbatarianismo.


Altre tendenze sabbatariane e semisabbatariane
Nel XVII secolo il semisabbatarianismo ebbe un certo successo presso i
Puritani, che imposero la rigorosa osservanza del giorno di riposo di
Domenica con atti parlamentari durante la repubblica, o Commonwealth
(1649-1660), mentre l'usanza legata al riposo di Sabato fu popolare presso
altri movimenti protestanti inglesi del XVII secolo, come gli indipendenti,
alcuni battisti (sia generali che particolari), che si denominarono Battisti
del Settimo Giorno, ed i quinto-monarchisti.
Soprattutto con questi ultimi, i s. ebbero dei stretti contatti, risultati
poi molto imbarazzanti dopo la fallita insurrezione, organizzata dal capo
quinto-monarchista Thomas Venner nel gennaio 1661. Venner e gli altri capi
della rivolta furono decapitati e le successive repressioni perseguitarono
anche i s.
Il s. riuscì a sopravvivere episodicamente fino al XVIII secolo, mentre la
versione domenicale (o semisabbatariana) ebbe alti e bassi: per esempio nel
1781 l'editto Lord's Day Observance Act (atto di osservanza del giorno del
Signore) proibiva l'apertura di domenica dei posti di divertimento.
Ovviamente oggigiorno c'è a riguardo una tendenza ad un maggiore
permissivismo, sebbene sia significativo che fino a pochi anni fa tutte le
partite di calcio in Inghilterra venivano rigorosamente giocate di sabato.


Sozzini (o Sozini, Sozzino, Socino, Socini o Socinus), Lelio (o Laelius)
Francesco Maria (1525-1562)



La famiglia Sozzini
Lelio Francesco Maria Sozzini (il cui cognome è riportato secondo svariate
grafie come Sozini, Sozzino, Socino o Socini, nonché nella forma latinizzata
completa Laelius Socinus) nacque a Siena il 25 marzo 1525, sesto dei sette
figli del giureconsulto e professore universitario Mariano Sozzini
(1482-1556), detto il giovane per distinguerlo dal più noto e omonimo nonno
(1401-1467), e della moglie fiorentina Camilla Salvetti (m. 1554).
Il primogenito dei due coniugi fu Alessandro Sozzini il giovane (1509-1541),
padre, a sua volta dell'altro famoso riformatore della famiglia, Fausto
Sozzini, mentre degno di nota furono anche altri quattro fratelli di Lelio,
tutti di fede antitrinitaria:
Cornelio: eretico processato dapprima a Bologna nel 1558 assieme al fratello
Celso, e poi a Siena nel 1560, assieme al fratello Dario, per aver messo in
dubbio l'autorità del pontefice e la validità del sacramento
dell'Eucaristia: fu liberato per interessamento del Duca Cosimo I de' Medici
(1537-1574).
Dario: incarcerato a Siena per gli stessi motivi di Cornelio (vedi sopra).
Dopo la liberazione, si recò con il fratello Camillo in Valtellina, ma,
accusati di antitrinitarismo, essi ne vennero espulsi nel 1563 per ordine di
Johann Heinrich Bullinger, riparando in seguito a Costanza. Alcuni autori
ipotizzano che, da questo momento, la figura di Dario Sozzini (da Siena)
coincida con quella di un certo Dario Senese, un antitrinitario attivo in
Moravia e Transilvania negli anni '70 del XVI secolo.
Celso (m. 1570): professore di diritto a Bologna, trasportò nella città
felsinea l'Accademia senese dei Sizienti nel 1554 e successe come
cattedratico al padre Mariano alla sua morte nel 1556. Fu processato a
Bologna assieme al fratello Cornelio ed abiurò. Morì a Bologna nel 1570.
Camillo: sfuggì alla cattura nel 1560, che coinvolse i fratelli Cornelio e
Dario, emigrando in Svizzera. A Zurigo fu ospite del mercante Antonio Mario
Besozzi (m. 1567): scoperto nel 1565, fu cacciato dalla città e il Besozzi
fu processato. Camillo si recò allora in Valtellina, cercando di stabilire
la propria residenza a Chiavenna, ma ne fu impedito dal pastore riformato,
Scipione Lentulo. Scelse allora di abitare a Piuro, in casa del pastore
riformato Girolamo Turriani (o Turriano), dove conobbe e divenne amico del
commerciante anabattista Niccolò Camulio. Tutto questo gruppo, compreso
Camillo, venne espulso dalla Valtellina nel 1571.


I primi anni
Iniziato agli studi di legge, secondo la tradizione di famiglia,
all'università di Padova, dove la famiglia era emigrata quando egli aveva
cinque anni, S. conobbe e strinse rapporti di amicizia con il collega del
padre Matteo Gribaldi Mofa.
Tuttavia , poco dopo, S. abbandonò i suoi studi giuridici per approfondire
la teologia evangelica: la tradizione lo vuole ispiratore (ma fu, più
probabilmente data la giovane età, un semplice partecipante) dei Collegia
Vicentina del 1546, le riunioni riformate eterodosse, alle quali
parteciparono i principali anabattisti e antitrinitari dell'epoca, tra cui
Paolo Alciati della Motta, Celio Secondo Curione, Francesco Della Sega,
Giovanni Valentino Gentile, Giulio Gherlandi, Matteo Gribaldi Mofa e
Francesco Negri da Bassano.


S. in esilio
Nel 1547 S. lasciò l'Italia, probabilmente perché già nel mirino
dell'Inquisizione come eretico, per recarsi in Valtellina, all'epoca parte
del Cantone svizzero dei Grigioni. Qui, a Chiavenna, egli conobbe e fu
fortemente influenzato da Camillo Renato, ma pur parteggiando per le sue
idee, cercò di mantenersi il più neutrale possibile nella diatriba che
quest'ultimo aveva intrapreso con il pastore locale Agostino Mainardi.
Nell'ottobre dello stesso 1547 egli si trasferì a Basilea, dove conobbe
Sébastien Castellion e Celio Secondo Curione (la presunta amicizia dei due
risalente ai Collegia Vicentina del 1546 non è documentata). Nella città
svizzera, S. si iscrisse all'università, il cui rettore era il cartografo
tedesco ed ex francescano passato (nel 1529) al luteranesimo, Sebastian
Münster (1488-1552).
Qui venne accolto da un collega svizzero del padre, Bonifacio Amerbach
(1495-1562), a sua volta genitore del futuro  riformatore Basilio Amerbach
(1533-1591): S. scrisse una lettera di presentazione per quest'ultimo, il
quale desiderava recarsi in Italia per completare i suoi studi di
giurisprudenza. Studi che evidentemente il nostro non perseguì più di tanto
poiché nel periodo 1548-49 la sua presenza viene segnalata prima a Ginevra,
poi in Francia, a Nérac, presso la corte di Margherita di Angoulême
(1492-1549), moglie di Enrico II di Navarra (re:1516-1555), protettrice di
riformatori come Guillaume Briçonnet, Jacques Le Fèvre d'Étaples e Giovanni
Calvino, e infine in Inghilterra, dove avrebbe conosciuto Pier Martire
Vermigli e Jan Laski.
In seguito S. rientrò a Basilea, dove visse, alternandosi con Zurigo, negli
ambienti universitari, ospite rispettivamente di Sebastian Münster e dello
zurighese Conrad Pellican (Pellicanus) (1478-1556). A Zurigo S. entrò in
contatto con Johann Heinrich Bullinger, che divenne quasi un padre per il
giovane senese e al quale egli espose i suoi primi dubbi religiosi: il
riformatore lo incoraggiò a scrivere a Calvino in persona ed in effetti S.
gli inviò due lettere con vari quesiti sulle pratiche nicodemiche, come la
possibilità di sposare una donna riformata, che non avesse abbandonato le
cerimonie cattoliche, oppure le implicazioni per i riformati nel dover
assistere ad una messa cattolica, se costretti, o su argomenti più
teologicamente impegnativi come il valore del Battesimo o il dogma della
resurrezione della carne. Le risposte ferme, ma aspre, di Calvino,
anticipavano le future battaglie epistolari fra i due.


S. in Germania e Polonia
Nel giugno 1550 S. si recò in Germania, a Wittenberg, per incontrare
Melantone e per iscriversi all'università, dove strinse amicizia con Flacio
Illirico.
Tuttavia, già esattamente un anno dopo (giugno 1551), l'avventuroso senese
partì, su invito del polacco J. Maczynski conosciuto a Wittenberg, per un
primo viaggio in Polonia, passando da Breslavia, e qui fece la conoscenza
del medico imperiale, cripto-calvinista, Johannes Crato von Crafftheim
(1519-1585), corrispondente epistolare di diversi riformati italiani, che
operavano in quelle terre, come Marcello Squarcialupi e Andrea Dudith
Sbardellati.
Da Breslavia S. si recò a Cracovia, conoscendo Francesco Lismanini
(1504-1566), all'epoca confessore cattolico della regina di Polonia, Bona
Sforza, moglie di Sigismondo II Iagellone, detto Augusto (1543-1572), ma in
seguito stretto collaboratore di Giorgio Biandrata.


Le accuse contro S. in Svizzera
S. rientrò, dopo essere passato dalla Moravia, in Svizzera, giusto nel
momento della disputa tra Calvino e Jèrome Bolsec, l'ex carmelitano, passato
alla Riforma e contestatore della dogma calvinista sulla predestinazione,
che decise di ritornare al Cattolicesimo. Agli inviti alla moderazione e
alla tolleranza di S., indirizzati al riformatore ginevrino, questi, in
maniera violenta e minacciosa, rispose a S. di guarire dalla sua curiosità
di questionare continuamente le cose religiose, prima che questo lo portasse
in grossi guai: del resto i crescenti dubbi dello senese sull'utilità dei
Sacramenti e sulla forza redentrice di Cristo iniziavano a mettere in dubbio
perfino i riformatori svizzeri a lui più favorevoli, come Bullinger.
Nella seconda metà del 1553 avvenne il famoso processo a carico di Michele
Serveto, conclusosi con il rogo, il 27 ottobre, del medico antitrinitario
spagnolo. Questo episodio fu l'occasione per i dissidenti della Riforma,
principalmente italiani, di far sentire la loro voce di protesta: infatti vi
furono prese di posizione molto polemiche da parte di Gentile, Gribaldi Mofa
e Curione, che dovettero emigrare successivamente da quella che a loro era
sembrata la città della tolleranza religiosa. Anche Castellion intervenne,
scrivendo, sotto lo pseudonimo di Martin Bellius, il suo libro più famoso,
De haereticis, an sint persequendi (Gli eretici devono essere perseguiti?),
un appassionato appello alla tolleranza ed alla libertà religiosa, alla cui
stesura pare avesse collaborato anche S., benché nel periodo 1552-53, quando
avvenne la tragedia di Serveto, egli si trovasse in Italia (nella natia
Siena dove iniziò alle sue idee religiose il nipote Fausto, a Bologna per
visitare il padre Mariano, e a Padova presso l'amico Gribaldi Mofa).
A questo punto fioccarono, sempre più fitte, accuse e segnalazioni a
Bullinger di eterodossia a carico di S.: il medico bergamasco Guglielmo
Gratarolo (1516-1568) segnalò che S. era in accordo con i difensori di
Serveto, il pastore Celso Massimiliano Martinengo, predicatore della Chiesa
Italiana a Ginevra, denunciò l'aperta critica di S. verso il dogma della
Trinità, e perfino Pier Paolo Vergerio scrisse da Tubinga per segnalare il
rafforzamento delle idee antitrinitarie di S. nei Grigioni, confermato in
loco anche da Giulio Della Rovere.
Bullinger fu quindi costretto ad insistere che S. scrivesse una confessione
di fede ortodossa: dopo qualche tentennamento il senese compilò un'ambigua
dichiarazione, senza una vera e propria confessione di fede. Egli dichiarò
di onorare i tre principali credi cristiani occidentali (Cattolicesimo,
Calvinismo e Luteranesimo), di seguire la Scrittura canonica e il Simbolo
apostolico, di voler abbandonare le discussioni e le inutili dispute per
poter "riposare nella stessa verità di Dio". Bullinger si limitò ad
introdurre delle correzioni nella suddetta dichiarazione e ad avvertire il
suo protetto di non propagandare le sue dottrine e i suoi dubbi. E S.
mantenne per un certo periodo la promessa, assumendo un atteggiamento
nicodemico in terra protestante: in questo tempo, l'unico suo intervento fu
quando egli fece delle osservazioni al proprio protettore a proposito dei
Commentaria dell'umanista antitrinitario Martin Borrhaus (nome umanistico:
Cellarius) (1499-1564).


Gli ultimi anni
Ma, nel 1554 morì sua madre, Camilla Salvetti, seguita dal padre nel 1556,
e, oltre ai lutti di famiglia, egli soffrì anche per la fine della sua
indipendenza economica a causa del sequestro da parte dell'Inquisizione dei
suoi beni di famiglia, in quanto condannato come eretico in contumacia. S.
decise quindi di intraprendere un nuovo viaggio in Polonia, probabilmente
per cercare un ambiente più tollerante alle sue idee eterodosse, rispetto
alla Svizzera, ed un protettore, che potesse garantirgli un salvacondotto
per un viaggio in Italia alla ricerca di come recuperare almeno parte del
patrimonio di famiglia.
Fu proprio Calvino che gli scrisse una lettera di raccomandazione per il
principe polacco Nicola Radziwill e il riformatore Jan Laski. S. si recò
dunque, passando dapprima dalla Germania, in Polonia nell'autunno 1558, dove
incontrò il medico Giorgio  Biandrata: l'azione degli antitrinitari polacchi
come Pietro Gonesio e Grzegorz Pawel fu rinforzata dall'arrivo dei due
riformatori italiani, i quali (soprattutto il Biandrata) aiutarono a formare
una comunità, soprattutto di esuli loro connazionali, a Pinczòw vicino a
Cracovia.
Dopo esser stato ricevuto benevolmente dal principe Radziwill e dal re
Sigismondo II Augusto, nella primavera del 1559, carico di raccomandazioni e
salvacondotti regali, S. partì per l'Italia, passando attraverso Vienna,
dove l'accolse il futuro imperatore Massimiliano II (1564-1578),
simpatizzante per la causa riformista, che gli fornì un ulteriore
salvacondotto per l'Italia.
Ma nonostante tutti le potenti presentazioni e raccomandazioni, S., giunto a
Venezia, non riuscì, neppure con l'aiuto del doge Girolamo Priuli
(1559-1567), a far dissequestrare i suoi beni, confiscati dall'Inquisizione.
Oltretutto i suoi fratelli Cornelio e Dario sarebbero stati da lì a poco
arrestati per le loro idee religiose eterodosse.
Deluso, S. rientrò nel 1560 a Zurigo, da cui non si mosse più e dove
ricevette varie volte la visita del nipote Fausto. A Zurigo S. dimorò presso
la casa di un tessitore di seta di nome Hans Wyss e vi morì il 14 maggio
1562, a soli 37 anni.


Le opere
S. pubblicò molto poco nella sua vita e quasi tutti i suoi appunti e
carteggi passarono al nipote Fausto, che, avvisato della morte dello zio da
parte di Antonio Mario Besozzi, si precipitò a Zurigo per raccogliere gli
scritti di Lelio, che poi usò per meditare e sviluppare la dottrina del
pensiero sociniano.
Solo due brevi trattati De Sacramentis e De resurrectione corporum furono
dati alle stampe, oltre ad un commentario sul primo capitolo del Vangelo di
San Giovanni, pubblicato nel capitolo 11 del libro II del trattato di
Biandrata e Ferenc Dàvid De vera et falsa unius Dei, Filii et Spiritus
Sanctii cognitione (Della falsa e vera conoscenza dell'unità di Dio Padre,
Figlio e Spirito Santo), la cui attribuzione alla penna di S. si deve allo
storico Delio Cantimori.


La dottrina
Il pensiero di S. risentì degli influssi dell'umanesimo filologico di
Lorenzo Valla, dell'esegesi del Nuovo Testamento di Erasmo, delle tesi
antitrinitarie di Michele Serveto (senza la sua concezione metafisica),
della spiritualità di Juan de Valdés e della polemica sui sacramenti di
Camillo Renato. Tuttavia fu un suo pensiero originale il desiderio di
richiedere continuamente risposte razionali a domande teologiche: questa
posizione non lasciava spazi per i dogmi, le Sacre Scritture erano viste
come un'autentica testimonianza e non un pretesto per l'invenzione di
ulteriori dogmi. Il ruolo della volontà e dell'intelletto umano veniva
elevato ai massimi livelli: l'uomo poteva controllare le sue decisioni
morali, partendo da una base razionale. Su queste premesse, la "vera" Chiesa
perdeva il suo supernaturalismo e diventava una società di credenti,
idealmente collegata alla Chiesa dei primordi o Chiesa primitiva.
L'altro punto fondamentale del pensiero di S. era la negazione della
divinità di Gesù: Cristo non era la seconda persona (o ipostasi) della
Trinità, ma solamente un uomo, sebbene con caratteristiche divine. Inoltre
la Sua umanità era identificata con la sofferenza, l'umiltà, la povertà del
mondo degli oppressi, che Egli voleva salvare, e non con il mondo dei ricchi
e potenti, un concetto radicale di ispirazione anabattista, che sarebbe
stato in seguito rielaborato dal nipote e da Biandrata.


Browne, Robert (ca. 1550-1633) e Congregazionalisti o Indipendenti o
Separatisti o Brownisti



Brownisti o indipendenti o congregazionalisti
Il termine di Brownisti, dal nome del fondatore della setta Robert Browne,
fu comunemente usato per identificare gli Indipendenti o Separatisti della
Chiesa Anglicana prima del 1620. I seguaci di Browne furono denominati anche
congregazionalisti, in quanto credevano nella indipendenza ed autonomia di
ciascuna congregazione di fedeli e ciò in contrasto con le due altre anime
del protestantesimo inglese:
Gli episcopali, la linea principale della Chiesa Anglicana, convinti della
necessità di preservare le figure dei vescovi ed arcivescovi, e
I presbiteriani, principale filone del puritanesimo inglese, che
prediligevano una amministrazione della Chiesa basata su un governo centrale
di presbiteri, cioè gli anziani, sia chierici che laici, simile a quello
sviluppato dai presbiteriani in Scozia, sotto la guida di Andrew Melville.


La vita
Robert Browne nacque a Tolethorpe Hall, vicino a Stamford, nella contea
inglese del Lincolnshire, nel 1550 circa, da una antica e benestante
famiglia e compì i suoi studi universitari a Cambridge dal 1570 al 1573,
ottenendo un baccalaureato in arti nel 1572 presso il Corpus Christi
College.
A Cambridge B. fece amicizia con il più anziano compagno d'università Robert
Harrison (m. 1585) ed ambedue rimasero profondamente influenzati dagli
scritti, di ispirazione calvinista, del teologo puritano Thomas Cartwright,
sospeso dal proprio incarico, pochi anni prima, a causa delle sue idee
anti-episcopali, dal vice-cancelliere dell'università, John Whitgift (ca.
1530-1604), futuro arcivescovo di Canterbury.
Dopo il baccalaureato, B. ritornò al Tolethorpe Hall, dove diventò il
preside della locale scuola, ma in seguito si mise nei guai per aver
predicato senza permesso in alcune chiese di Cambridge e di Londra e fu
imprigionato. In seguito venne scarcerato grazie alle sue conoscenze
altolocate: infatti il Lord Gran Tesoriere, William Cecil, Barone di
Burghley (1520-1598) era un suo parente e negli anni successivi dovette
intervenire spesso per tirare B. fuori dai guai.
Nel 1580 B. decise di trasferirsi a Norwich, dove, insieme a Harrison,
divenuto nel frattempo Direttore dell'Ospedale Maggiore Saint Giles di
Norwich, fondò nel 1581 la prima congregazione religiosa indipendente.
Questo atto fu criticato da Edmund Freake (m. 1591), vescovo di Norwich, che
li fece imprigionare con l'accusa di predicare senza una licenza. Nuovamente
fatti liberare da Lord Burghley, B. e Harrison decisero di trasferire la
comunità in Olanda, a Middleburg, nella regione dello Zealand.
Qui B. diede alle stampe nel 1582 i suoi due e più famosi trattati
(soprattutto il primo): A Treatise of Reformation without Tarrying for Anie
(Un trattato di Riforma senza aspettare alcuno), nel quale ribadiva il
diritto della Chiesa di operare le opportune riforme senza attendere il
permesso delle autorità civili, e A Booke which sheweth the life and manners
of all True Christians (Un libro che mostri la vita e i modi di tutti i veri
cristiani), che enunciava la teoria dell'indipendenza delle congregazioni
religiose. Nel 1583 copie delle opere di B. iniziarono a circolare in
Inghilterra, scatenando una violenta reazione. Fu infatti emanato un
proclama contro gli scritti di B. e contro coloro che li diffondessero: due
seguaci della congregazione di Norwich, John Copping e Elias Thacker
pagarono con la loro vita sulla forca la sfida alle autorità.
Tuttavia anche nella congregazione di Middleburg si evidenziarono dei
problemi: infatti a causa di reciproche accuse alle rispettive mogli, si
ruppe l'amicizia con Harrison e B. decise di trasferirsi via mare in Scozia
con i propri seguaci nel gennaio 1584. Rimasto solo, Harrison continuò a
gestire la comunità fino alla sua morte avvenuta circa due anni dopo, nel
1585.
Ma neanche in Scozia B. ebbe vita facile: la sua presenza a Edimburgo,
Dundee e Saint Andrews venne ben presto segnalata alle autorità religiose
presbiteriane e fu quindi imprigionato. Stanco e deluso da questa esperienza
di soli pochi mesi, dopo il rilascio decise di ritornare in Inghilterra
nell'estate del 1584, ponendo la sua residenza a Stamford, vicino al suo
paese natale. Nuovamente fu accusato di scrivere e pubblicare fuori legge e
fu inquisito ed arrestato diverse volte, ma sempre liberato per
intercessione di Lord Burghley.
Tuttavia nel 1586 successe il fatto più grave: a cause delle sue ennesime
prediche senza licenza, B. fu convocato davanti al vescovo Howard di
Peterborough, ma non essendosi presentato, fu scomunicato.
Probabilmente questo drastico provvedimento nei suoi confronti gli fece
capire la necessità di trovare un compromesso con la Chiesa Anglicana.
Quindi, con la solita intermediazione di Lord Burgley, B. abiurò le sue
precedenti dottrine nel novembre 1586. Ristabilito il suo ruolo
nell'establishment anglicano, B. fu nominato preside del liceo Saint Olaves
di Southwark, ruolo che occupò fino al 1591 con una credibile aderenza ai
principi della chiesa ufficiale, sebbene proprio vicino a Southwark fu
scoperta nell'ottobre 1587 una congregazione brownista, organizzata dal
reverendo John Greenwood, che, arrestato, rimase in prigione per sei anni e
nel 1593 venne impiccato.
Tuttavia B. aveva ormai sviluppato delle idee diverse da quelle della sua
gioventù e contro Greenwood e il suo confratello Henry Barrow, scrisse nel
1587-88 il polemico Reproofe of certaine schismalical persons and their
doctrine touching the hearing and preaching of the word of God (Riprova di
certe persone scismatiche e delle loro dottrina riguardante l'ascolto e la
predica della parola di Dio).
Nel 1591 B. fu ordinato e gli fu offerto il beneficio della parrocchia di
Achurch cum Thorpe a Stamford, parte dei possedimenti dell'onnipresente Lord
Burghley. Qui B. rimase fino alla sua morte avvenuta nel 1633, all'età di 83
anni.
Anche l'episodio che condusse alla sua morte fu piuttosto significativo
della perenne sfida da lui lanciata contro l'autorità costituita: litigò
infatti con un gendarme, volarono parole grosse ed anche qualche pugno, e
l'anziano fondatore del Congregazionalismo si trovò rinchiuso nel carcere di
Northampton, dove morì appunto nell'ottobre 1633.


Sergio (Tichico) (m. 835) (pauliciano)



Sergio, nato da una famiglia cristiana, fu convertito, nel 798 ca., al
paulicianesimo da un amico, che lo convinse a leggere la Bibbia per conto
suo, cosa ai tempi proibita e riservata solo ai preti. Prese, quindi, il
nome di Tichico (tutti i pauliciani avevano soprannomi, che ricordavano
compagni o amici di San Paolo).
Egli fu il riformatore del movimento pauliciano, che alla fine del VIII
secolo, aveva perso mordente e nuovi adepti. S. fece uno scisma all'interno
della setta, creando la corrente dei Sergiti, in opposizione ai Baaniti,
seguaci del precedente capo pauliciano Baanes, successivamente quasi
totalmente sterminati.
Sotto la guida di S., il movimento si espanse nella Cilicia ed in Asia
Minore.
Era il periodo in cui gli imperatori bizantini della dinastia isuarica, come
Niceforo I Logoteta (802-811) tolleravano la presenza di questa setta,
quando i suoi adepti prestavano servizio militare per l'impero nelle zone di
confine con gli Arabi.
Ma i successivi imperatori, della dinastia amoriana, ripresero le
persecuzioni, causando la ribellione dei pauliciani, che si allearono con i
mussulmani stessi.
S., che era un convinto pacifista, tentò inutilmente di far desistere i suoi
compagni e fu ucciso nel 835 durante le persecuzioni.


Sergio di Costantinopoli (m. ca. 638) e monotelitismo (o monotelismo)



Sergio diventò patriarca di Costantinopoli nel 610: nel 622 accadde un
episodio che ebbe un notevole effetto sulla sua futura memoria: l'imperatore
Eraclio (610-641) diede udienza ad un monofisita, della corrente degli
Acefali, di nome Paolo, il quale dibatté con l'imperatore per perorare la
dottrina, in cui credeva.
Eraclio, nella contestazione dei punti teologici di Paolo, incorse nell'uso
delle parole: unica "operazione" (enérgheia), a proposito delle attività di
Cristo. Qualche anno più tardi, nel 626, Eraclio chiese a Ciro, a quel tempo
vescovo di Phasis, conforto sull'ortodossia delle parole da lui usate.
Non avendo ricevuto una risposta soddisfacente, Eraclio scrisse direttamente
a S., di cui l'imperatore aveva massima stima.
S. rispose facendo riferimento a una lettera di un suo predecessore, Menas,
approvata dal Papa Vigilio (537-555), in cui si citava una volontà (thélema)
di Cristo, il quale compiva opere divine ed umane mediante un'unica
operazione (enérgheia).
Non è mai stato accertato se questo documento fosse autentico: è stato
ipotizzato che fosse stato redatto, assieme ad altri documenti di supporto,
dal Pseudo-Dionigi l'Aeropagita, un teologo mistico del VI secolo, che
veniva spesso confuso con Dionigi l'Aeropagita, un greco convertito da San
Paolo ad Atene.
Dall'unico thélema deriva il termine, data a questa dottrina, di monotelismo
(o monotelitismo) e dall'unica enérgheia deriva il termine di monoenergismo.
La dottrina, rielaborata da S., permise a Ciro, diventato, nel frattempo,
nel 631, vescovo di Alessandria, di riconciliare temporaneamente i cattolici
e i monofisiti dell'Egitto, ma fu contestata da San Sofronio, vescovo di
Gerusalemme.
Allora S. si decise, nel 634, a scrivere a Papa Onorio (625-638) lasciando
cadere, per prudenza, la questione dell'unica o due (umana e divina, come
chiedeva Sofronio) operazioni e concentrandosi sull'unica volontà di Cristo,
da cui il nome di monotelitismo (o monotelismo).
Papa Onorio, imprudentemente, la approvò, senza troppo sottoporla al vaglio
dei teologi, e S. la incluse in un editto intitolato Ékthesis (Esposizione).
Tuttavia, dopo la morte di Papa Onorio e di S. stesso nel 638 e quella
dell'imperatore Eraclio nel 641, i teologi cattolici, con a capo Papa
Giovanni IV (640-642), smentirono questa dottrina, tornando alla dottrina
più canonica delle due volontà, divina e umana, di Cristo.
Il dibattito su energia e volontà, comunque, continuò ad infiammare gli
animi dei cristiani, a tal punto che l'imperatore Costante II (641-668)
dovette emanare, nel 648, l'editto Typos per frenare le polemiche.
Ma sulla cattedra di Pietro sedeva un energico Papa (San) Martino I
(649-655), il quale convocò, nel 649, un sinodo in Laterano, dove condannò
gli editti Ékthesis e Typos, scomunicò S. e ribadì l'esistenza in Cristo
delle due volontà.
Costante reagì molto male ai pronunciamenti di Martino: lo fece arrestare
nel 653 dall'esarca Teodoro Calliope e portare in catene a Costantinopoli.
Qui Martino fu imprigionato in attesa di essere condannato a morte, ma poi,
grazie all'intercessione del patriarca monotelita di Costantinopoli, Paolo,
la sentenza fu dall'imperatore trasformato in esilio a Cherson, in Crimea,
dove il povero Martino morì per stenti nel 655.
Ciononostante, l'ortodossia si era oramai pronunciata su questa dottrina e
nel 680 al VI Concilio Ecumenico a Costantinopoli, presieduto
dall'imperatore Costantino IV  Pogonato (668-685) e voluto da Papa Agatone
(678-681), il monotelismo ed il monoenergismo vennero definitivamente
condannati.
In questo Concilio la scomunica venne estesa anche a Papa Onorio, colpevole
di aver avallato la dottrina di S.
Successivamente Papa Leone II (682-683) nel 683 corresse il tiro, cambiando
la condanna di Onorio da eresia in negligenza pastorale.
Comunque la condanna a Onorio rimase ed il fatto che un Papa potesse cadere
in errore fu utilizzato durante la Riforma del XVI secolo dai protestanti,
che contestavano, a quel tempo, l'infallibilità papale.


Servetus (Serveto o Servet), Miguel (Michele) (1511-1553)



La gioventù e i primi dubbi religiosi
Miguel Servet y Reves (Michele Serveto) nacque nel 1511 a Tudela, in Navarra
(Spagna). Suo padre era un notaio e trasferì la famiglia, per motivi di
lavoro, a Villanueva de Sixena, in Aragona, mentre Miguel era ancora
giovane. La famiglia di origine era quindi abbastanza agiata e rigorosamente
cattolica, tant'è che in un primo momento S. era stato destinato al
sacerdozio. Non si conosce perché ciò non avvenne, ma si sa che S. ebbe una
solida cultura umanistica, sviluppando una buona conoscenza di latino,
greco, ebraico, filosofia e matematica.
Nel 1528, all'età di diciassette anni, S. fu mandato dal padre a studiare
legge all'università di Tolosa, in Francia, a cui si applicò di malavoglia e
infatti dopo appena un anno di università, abbandonò gli studi per entrare
al servizio di Juan de Quintana (m. 1534), un francescano confessore
personale dell'imperatore Carlo V (1519-1556) e con lui partecipò alla Dieta
di Augsburg (Augusta) del 1530. Qui entrò in contatto con Melantone e gli
altri riformatori presenti alla Dieta, la cui dottrina lo interessò a tal
punto che abbandonò Quintana nell'autunno del 1530 per recarsi a Basilea, da
Ecolampadio.
Il giovane spagnolo travolse il riformatore svizzero con tali e tanti dubbi,
soprattutto sulla Trinità, da fargli perdere la pazienza. Tentò allora di
farsi ricevere da Erasmo da Rotterdam, che allora abitava a Basilea, ma,
ricevuto un diniego, si recò a Strasburgo per discutere con i riformatori
Bucero e Wolfgang Capito (1478-1541) Tuttavia questi ultimi erano stati
messi sul preavviso da Zwingli sulle opinioni potenzialmente eretiche di S.
e quindi furono cortesi, ma formalmente freddi, con lo spagnolo.
Non essendo riuscito a stabilire una forma di dialogo con i riformatori, S.
decise di pubblicare direttamente le proprie idee in un libello, De
trinitatis erroribus (Gli errori sulla Trinità), edito a Hagenau, in
Alsazia, nel 1531. Il libro riportava il nocciolo del pensiero di S.: la
natura di Dio non era divisibile e le tre persone, un vero ostacolo per la
conversione di ebrei e mussulmani alla Cristianità, non erano che tre suoi
aspetti, un concetto, per la verità, non molto originale e già espresso dai
modalisti del III secolo: Noeto di Smirne, Prassea e soprattutto Sabellio.
Inoltre S. era convinto della falsità della doppia natura di Cristo (il
figlio umano di Dio e divino solo per grazia di Dio stesso), e del battesimo
degli adulti, cavallo di battaglia degli anabattisti, e considerava la Cena
del Signore una cerimonia puramente spirituale.
Il libro ebbe una certa diffusione e gettò nello scompiglio i pensatori
protestanti, da Lutero ("un libro abominevolmente malvagio") a Melantone,
Ecolampadio, Bucero. Quest'ultimo tuonò dal proprio pulpito che l'autore
avrebbe meritato di essere squartato! E proprio in seguito alla
pubblicazione di questo libretto tutti i riformatori dell'epoca decisero di
rinforzare l'importanza dottrinale della Santa Trinità.
La vendita fu proibita a Basilea e Strasburgo e in tutto l'impero,
soprattutto quando con costernazione Quintana si rese conto che l'autore era
il suo giovane ex sottoposto. L'azione repressiva sul libro fu tale che
quando 20 anni dopo S. fu processato a Ginevra, non se ne riuscì a trovare
neanche una copia.
Messo sotto pesante pressione da parte dei riformatori svizzeri, S. pubblicò
l'anno seguente una parziale ritrattazione sotto il titolo di Dialoghi sulla
Trinità: tuttavia la ritrattazione era puramente di facciata e gli argomenti
esposti rinforzarono il suo precedente pensiero.


Serveto medico
La reazione al secondo libro fu ancora più severa e S., isolato, senza soldi
ed in pericolo di essere accusato di eresia, letteralmente scomparve,
emigrando a Parigi dove risedette sotto lo pseudonimo di Michel de
Villeneuve (Michael Villanovanus) e studiando matematica all'università per
due anni con ottimi risultati che gli permisero di insegnare lui stesso
all'ateneo.
A questo periodo risalì il suo primo incontro con Calvino, che S. sfidò in
un dibattito pubblico per poi non comparire forse per paura di rivelare la
sua vera identità.
Si mise a fare anche il correttore di bozze a Lione e nel correggere lavori
di medicina, si appassionò così tanto da ritornare a Parigi e iscriversi
alla facoltà di medicina, dove studiò per quattro anni con Andrea Vesalio
(1514-1564) fino alla laurea e dove scoprì l'importanza della circolazione
polmonare del sangue.
Tuttavia non fu data al tempo particolare importanza a questa sua scoperta,
perché in quel periodo S. fu più apprezzato per le sue lezioni sulla
geografia e astrologia. Soprattutto per quest'ultimo argomento S. si lasciò
andare a pesanti considerazioni sui suoi colleghi medici che trascuravano
questa antica scienza, ma le sue osservazioni gli costarono un'accusa di
divinazione (una imputazione eretica) presso la Corte Suprema, che gli
intimò di cessare le sue lezioni sull'argomento.


Serveto a Vienne
S. aveva comunque già abbandonato Parigi per recarsi nel 1540 a Vienne (nel
Delfinato) invitato dall'arcivescovo, che lo conosceva fino dai tempi
parigini e che lo volle come medico personale. Nonostante S. avrebbe potuto
trascorrere una tranquilla vita di provincia, egli si mise pericolosamente
al centro dell'attenzione scrivendo un'analisi critica di testi dell'antico
Testamento (i Salmi e i Profeti), dove contestò l'interpretazione corrente
che alcune frasi del testo potessero profetizzare la venuta del Cristo.
Queste sue note furono successivamente iscritte nel famigerato Index
librorum prohibitorum del 1557.
La capacità di S. di mettersi nei guai per discussioni su argomenti
religiosi stava saltando fuori ancora una volta!
S. inoltre si mise in contatto con Calvino per discutere con lui di
argomenti dottrinali, ma la corrispondenza degenerò ben presto in rissa
verbale, dalla quale il riformatore ginevrino si chiamò fuori non
rispondendo più alle provocazioni, richieste e sollecitazioni, sotto forma
di trenta lettere non risposte, del medico spagnolo. Anzi Calvino fece di
più: informò l'amico Farel in Neuchatel che se S. si fosse mai recato a
Ginevra, Calvino avrebbe fatto di tutto acciocché egli non lasciasse vivo la
città!


Il fatidico 1553
All'inizio del 1553 S. fece pubblicare con immense difficoltà (solo Frellon,
uno stampatore amico di Basilea, accettò di stampare il libro a Vienne in
forma anonima) la sua opera principale Christianismi restitutio (La
restaurazione del Cristianesimo), basato sui due libri precedenti e sulle
trenta lettere scritte a Calvino, che profetizzava la fine del regno
dell'Anticristo (il Papa) per il 1585 e attaccava senza pietà il dogma della
Trinità.
Ma fu fatale per S. un errore dello stampatore Frellon: questi infatti mandò
incautamente una copia del libro a Calvino in persona! Il riformatore
ginevrino, che, attraverso un tale Guillaume Trie, un rifugiato protestante
di Lione, a sua volta in corrispondenza con un parente cattolico, avvertì
l'arcivescovo di Lione, il cardinale François de Tournon (1550-1562),
della presenza a Vienne del noto eretico Michele Serveto, sotto le mentite
spoglie del medico Michel de Villeneuve.
Calvino aiutò perfino l'inquisitore domenicano Ory inviando prove
documentali della colpevolezza di S., che venne arrestato ma che riuscì ad
evadere non senza aver corrotto le guardie. S. venne quindi condannato per
il momento in contumacia al rogo della sua effige con tutti i suoi libri.
Egli era ancora libero, però senza un posto dove andare: dopo aver
girovagato senza meta per quattro mesi alla fine si decise di emigrare a
Napoli, probabilmente dopo aver sentito dei circoli riformatori fondati dal
suo concittadino Juan de Valdés. Ritenne che la via più sicura per lui fosse
attraverso la Svizzera e poi l'Italia settentrionale e quindi sabato 13
agosto 1553 arrivò a Ginevra per prendere un traghetto domenicale attraverso
l'omonimo lago. Purtroppo per lui alla domenica in Ginevra tutti dovevano
andare per legge alla funzione religiosa: fu immediatamente riconosciuto in
una chiesa ed arrestato.


Il processo e l'esecuzione
Calvino aveva finalmente l'occasione d'oro per sbarazzarsi di un pericoloso
dissidente, che, libero, avrebbe potuto, tra l'altro, essere utile
all'agguerrita opposizione interna rappresentata dal partito dei libertini o
guglielmini, molto critico con la sua gestione teocratica della città.
La legge stabiliva che l'accusato e l'accusatore dovessero essere ambedue
messi in prigione in attesa della sentenza, ma Calvino bypassò questa norma,
mandando in galera il suo segretario, Nicolas de la Fontaine, al suo posto.
Ma poiché il processo si stava rivelando il pretesto per una vera lotta tra
calvinisti e libertini, dopo poco Calvino stesso scese direttamente in
campo. Il processo si rivelò una battaglia persa in partenza per S., contro
il quale Calvino usò ogni mezzo, coinvolgendo nel giudizio finale le chiese
riformate di Zurigo, Berna, Basilea e Sciaffusa.
L'epilogo fu la condanna al rogo di S. e dei suoi libri, che fu eseguita il
27 ottobre 1553 nel rione di Champel. S. morì con dignità sul rogo, avendo
rifiutato anche l'estremo tentativo di Farel di salvargli la vita in
extremis, se avesse ammesso per iscritto i suoi errori.


Le conseguenze
L'anno successivo Calvino sostenne il diritto di uccidere gli eretici in un
suo trattato, dal titolo Defensio ortodoxae fidei, ma fu lungamente
criticato ed attaccato per questa sua decisione ed anche la sua difesa
scritta da Theodore de Béze non servì a risollevare la sua immagine.
La morte di S. infatti fece levare moltissime voci di protesta, tra cui
quelle degli antitrinitariani italiani Giovanni Valentino Gentile, Matteo
Gribaldi Mofa e Celio Secondo Curione, che dovettero emigrare
successivamente da quella che a loro era sembrata la città della tolleranza
religiosa. Anche l'umanista Sébastien Castellion intervenne, scrivendo,
sotto lo pseudonimo di Martin Bellius, il suo libro più famoso, De
haereticis, an sint persequendi (Gli eretici devono essere perseguiti?), un
appassionato appello alla tolleranza ed alla libertà religiosa.
Finalmente nel 1900 la città di Ginevra fece erigere in Place Champel (il
luogo dell'esecuzione) un monumento di espiazione alla memoria del medico
Miguel Servetus.


Seziani (o sethiani) (II secolo)



I seziani furono i seguaci di una corrente (di cui si ignora il nome del
caposcuola) di pensiero gnostico, che attribuiva il ruolo di Salvatore a
Seth, il terzo figlio di Adamo, dopo Caino ed Abele.


Le opere
Si tendono a far risalire alla gnosi seziana diversi dei testi scoperti a
Nag Hammadi nel 1945, e in particolare Le tre stele di Seth, L'ipostasi
degli arconti, Il Vangelo apocrifo di Giovanni ed Il Vangelo degli Egiziani.


La dottrina
I s., come molti altri gnostici, credevano che il mondo non fosse stato
creato da Dio, ma dagli eoni o angeli (entità incorporee), formanti tutti
insieme il Pleroma. L'ultima degli eoni, Sophia (la Saggezza) o Madre
Divina, aveva generato sette figli, Ildabaot, Iao, Sabaoth, Adonai, Elohim,
Astaphain e Horaios: essi avevano creato l'uomo a loro immagine e
somiglianza.
Dopo che Adamo era caduto nel peccato e Caino aveva ucciso Abele, la Madre
Divina aveva deciso di mandare Seth come Salvatore dotato della scintilla
spirituale divina, la cui missione era di liberare l'elemento spirituale
degli uomini, intrappolato nel mondo materiale.
Cristo era l'ultimo discendente di Seth, o forse Seth stesso, tornato per
portare la conoscenza (gnosi) della salvezza, contenuta in un libro segreto
e insegnata solo agli iniziati.
Infine i s. avevano rielaborato una originale forma di docetismo, cioè
rifiutavano la dottrina che Cristo fosse stato crocefisso e che fosse
risorto in senso materiale, in quanto la natura di Cristo, apparsa
successivamente ai discepoli, era in realtà puro spirito.


Rioli, Giorgio (Siculo, Giorgio) (ca. 1517-1551) e i georgiani



La vita
Né con la Chiesa Cattolica, né con i Protestanti: Giorgio Rioli  iniziò
questa sua scomoda avventura di dissidente isolato, nascendo nel 1517 circa
a San Pietro Clarenza, sulle pendici dell'Etna, in provincia di Catania.
Della prima parte della vita di quest'uomo, più universalmente noto come
Giorgio Siculo (che, contrariamente alle convinzioni di alcuni autori, non
ha nulla a che fare con il corregionale Camillo Renato), non si conosce
praticamente nulla fino alla sua ammissione nel monastero benedettino di San
Niccolò l'Arena di Catania il 24 febbraio 1534, dove conobbe e diventò amico
del confratello Benedetto Fontanini da Mantova, l'autore dell'arcinoto
Beneficio di Christo, residente nel monastero di Catania tra il 1537 ed il
1543.
R. fu un uomo indubbiamente carismatico, ma di scarsa cultura: scriveva in
dialetto siciliano e, per poter rendere i propri testi più leggibili,
necessitò spesso di traduzioni in italiano o in latino fornite da parte dei
confratelli, o il sopramenzionato Benedetto Fontanini o Luciano degli
Ottoni, abate di Santa Maria di Pomposa e uno dei suoi più convinti seguaci.
Alla fine del 1546 egli cercò di intervenire nei lavori del Concilio di
Trento (1545-1563), inviando il suo De iustificatione ad Ottoni, poi
cercando di farsi ricevere direttamente dal cardinale Reginald Pole, per
presentare le sue dottrine profetiche ed apocalittiche.
Poco dopo, nel 1548 esplose il caso di Francesco Spiera, l'avvocato di
Cittadella, che aveva dovuto abiurare dal suo credo luterano, ma che, in
seguito, ne era morto per il rimorso. R., dopo il tentativo di intervento al
concilio di Trento, era comunque rimasto in zona, e più precisamente a Riva
di Trento, dove dedicò ai fedeli della cittadina una predica quaresimale sul
caso Spiera, da cui venne tratta la sua opera più nota, l'Epistola di
Georgio Siculo (.).
Ma, solo qualche mese dopo, nel settembre 1550, mentre stava predicando
contro i luterani a Ferrara, fu arrestato con l'accusa di eresia. Da una
parte non poteva certo contare sull'appoggio dei evangelisti e riformatori,
i quali, come Giulio Della Rovere o Celio Secondo Curione o perfino lo
stesso Calvino, lo avevano (o lo avrebbero) attaccato duramente nei loro
scritti, dall'altra il cardinale Ercole Gonzaga (1505-1563) aveva coinvolto
il cugino duca Ercole II d'Este (1534-1559) per poter punire esemplarmente
il monaco benedettino e reprimere il più possibile la setta dei seguaci del
"Don Georgio impio heretico", come R. stesso venne definito da un
inquisitore. Perfino l'Inquisizione romana si interessò a lui e ne chiese
inutilmente l'estradizione, ma il duca di Ferrara si assicurò che il
processo si svolgesse sotto la sua giurisdizione.
Durante il processo R. dichiarò la sua decisione di abiurare, e quindi fu
ordinato che dovesse farlo pubblicamente il 30 marzo 1551 nella chiesa di
San Domenico a Ferrara, davanti all'Inquisitore fra' Michele Ghisleri da
Alessandria (il futuro Pio V: papa dal 1566 al 1572) e ad Ercole II d'Este,
ma sorprendentemente, considerando che egli era stato uno strenuo difensore
dell'atteggiamento nicodemitico, R. si rifiutò.
A quel punto, il suo destino era segnato: riportato in carcere, R. vi fu
strangolato due mesi dopo, la sera del 23 maggio 1551.


Le opere
Detto del De iustificatione del 1546, il libro di R. che ebbe la maggior
diffusione, ma che sollevò anche un grande scalpore, fu l'Epistola di
Georgio Siculo servo fidele di Iesu Christo alli cittadini di Riva di Trento
contra il mendatio di Francesco Spiera et falsa dottrina de' protestanti,
stampata nel 1550 a Bologna. Benché all'apparenza sembri un testo cattolico
tutto proteso contro la dottrina calvinista della predestinazione e di
quella luterana della giustificazione per sola fede, il testo anelava
invece, similmente alla "terza via cristiana", e cioè al pensiero
anabattista e antitrinitario (quest'ultimo secondo la dottrina di Miguel
Serveto), alla palingenesi o apocatàstasi, la salvezza per tutta l'umanità,
grazie all'opera redentrice del Vangelo trasmesso da Cristo morto in croce e
per mezzo della Grazia di Dio.
Poco dopo, nello stesso anno, comparve il suo Espositione.nel nono decimo et
undecimo capo della Epistola di San Paolo alli Romani, con un suo commento
sulla lettera paolina più discussa dai luterani.
Gli altri suoi pensieri, noti in forma orale durante la sua vita, furono
pubblicati postumi in un libro, latinizzato da Luciano degli Ottoni, con il
titolo di Libro maggiore o Libro grande o Libro della verità christiana et
dottrina apostolica.


La dottrina
Profetico, mistico e apocalittico, R. raccontava ai suoi seguaci che Cristo
gli era apparso in persona per comunicargli che tutti i sacramenti erano
completamente inutili (anche il Battesimo, ed in questo si differenziava
dagli anabattisti) e che l'unica cosa che poteva rimettere i peccati era la
fede nel Signore.
R. inoltre negava l'autorità papale, la gerarchia ecclesiastica, il culto
della Vergine e dei santi, il valore meritorio delle opere, la messa, le
indulgenze, la presenza reale nell'Eucaristia, ma esaltava la ragione e la
dignità della natura umana.
Indipendente e critico delle correnti principali del protestantesimo, R.
favoriva una religiosità semplificata e spirituale: per lui, era preferibile
mantenere una certa indifferenza di fronte alle professioni di fede e anzi
perfino accettare esteriormente una confessione religiosa, soprattutto
quella cattolica, anche se non vi si credeva. Da qui le pesanti accuse di
nicodemismo lanciate da Calvino.


I seguaci
Le idee di R. ebbero un certo seguito negli anni successivi ed influenzarono
diversi dissidenti e seguaci, denominati georgiani, come:
Il già citato Luciano degli Ottoni, che dovette dimettersi dall'incarico di
abate di Pomposa e fu processato nel 1552, ma che morì alla fine dello
stesso anno.
Il medico e poeta di Argenta Francesco Severi, che fu decapitato e arso a
Ferrara nel 1570,
Il prete e letterato ferrarese Nascimbene Nascimbeni (m. dopo 1578), che
abiurò per opportunità nel 1551 e nel 1560, ma che nel 1570 si presentò
spontaneamente agli Inquisitori, permettendo di riaprire il procedimento
decisivo a carico dei seguaci di S.  oramai vent'anni dopo la morte del loro
capostipite.
Francesco Pucci, curiosamente considerato l'erede del pensiero di R., pur
non avendolo mai conosciuto.


Severo di Antiochia (ca. 465 - 538) e monoergetismo



La vita
Severo, patriarca monofisita di Antiochia, nacque nel 465 ca.  a Sozopolis
nella Pisidia (una regione a sud ovest della odierna Turchia) da una
famiglia in vista (suo padre era un senatore) della città.
Da giovane ebbe una educazione laica: fu inviato a studiare retorica ad
Alessandria, nella quale arte si distinse particolarmente e nel 486, S.
iniziò gli studi di legge a Beritus (in Libano) assieme all'amico Zaccaria
Scolastico, suo biografo.
Solo poco dopo, nel 488 a Tripoli, S. decise a farsi battezzare ed
intraprese la vita monastica a Maïuma (l'attuale Gaza) e sottoponendosi a
digiuni e veglie. Zaccaria riporta che non fece più un bagno per tutta la
sua vita, considerandolo una peccaminosa abitudine.
Successivamente, sempre a Gaza, fece costruire a sue spese un monastero per
asceti.
Intorno al 508, S. si recò con un gruppo di monaci a Costantinopoli,
aderendo al Henoticon, il documento di compromesso tra cattolici e
monofisiti, messo a punto dall'imperatore Zenone (474-475 e 476-491) nel
482, e particolarmente voluto dal successivo imperatore Anastasio (491-518):
Quest'ultimo favorì S., diventato suo consigliere, facendolo nominare
patriarca di Antiochia nel 512. Qui S. continuò nelle sue rigorosissime
abitudini ascetiche, facendo distruggere i bagni del palazzo vescovile e
licenziando i cuochi.
Tuttavia, la nomina nel 518 ad imperatore del cattolico Giustino (518-527)
portò alla destituzione di S., che fuggì in esilio ad Alessandria, dove si
impegnò in una polemica contro gli aftartodocetisti di Giuliano di
Alicarnasso.
Durante il regno dell'imperatore Giustiniano (527-565), S. poté, come altri
monofisiti, confidare nella protezione dell'imperatrice Teodora, e nel 532
venne reinstallato nella sua sede vescovile, ma un sinodo del 536 a
Costantinopoli, presieduto da Papa San Agapito (535-536), segnò il momento
più basso per il monofisismo: vennero deposti vari vescovi monofisiti, tra
cui S. e molti suoi seguaci, denominati severiani, tra cui Teodosio di
Alessandria.
Quest'ultimo ful'artefice della nomina, nel 542, a vescovo di Edessa di
Giacomo Baradeo, l'uomo che guidò la riscossa dei monofisiti in tutto il
Medioriente.
S., dopo la deposizione, ritornò alla sua vita di eremita in Egitto, dove
morì l'8 Febbraio 538.


La dottrina
S. fu un monofisita alquanto atipico: rifiutò infatti la corrente di
pensiero di Eutiche, considerandola eretica. Egli fu fondatore della
corrente monofisita dei severiani (o fartatolatri o corrutticoli, come
vennero chiamati ironicamente dai loro avversari aftartodocetisti) che
propugnava il monoergetismo, sostenendo che in Cristo, durante
l'incarnazione, si fossero combinato le due nature, umana e divina, per
ottenere un'unica ipostasi.
In realtà, l'eterodossia di S. non fu molto elevata, casomai egli fu più uno
scismatico, che, però, rifiutò ostinatamente di accettare i dogmi del
Concilio di Calcedonia.


Seziani (o sethiani) (II secolo)



I seziani furono i seguaci di una corrente (di cui si ignora il nome del
caposcuola) di pensiero gnostico, che attribuiva il ruolo di Salvatore a
Seth, il terzo figlio di Adamo, dopo Caino ed Abele.


Le opere
Si tendono a far risalire alla gnosi seziana diversi dei testi scoperti a
Nag Hammadi nel 1945, e in particolare Le tre stele di Seth, L'ipostasi
degli arconti, Il Vangelo apocrifo di Giovanni ed Il Vangelo degli Egiziani.


La dottrina
I s., come molti altri gnostici, credevano che il mondo non fosse stato
creato da Dio, ma dagli eoni o angeli (entità incorporee), formanti tutti
insieme il Pleroma. L'ultima degli eoni, Sophia (la Saggezza) o Madre
Divina, aveva generato sette figli, Ildabaot, Iao, Sabaoth, Adonai, Elohim,
Astaphain e Horaios: essi avevano creato l'uomo a loro immagine e
somiglianza.
Dopo che Adamo era caduto nel peccato e Caino aveva ucciso Abele, la Madre
Divina aveva deciso di mandare Seth come Salvatore dotato della scintilla
spirituale divina, la cui missione era di liberare l'elemento spirituale
degli uomini, intrappolato nel mondo materiale.
Cristo era l'ultimo discendente di Seth, o forse Seth stesso, tornato per
portare la conoscenza (gnosi) della salvezza, contenuta in un libro segreto
e insegnata solo agli iniziati.
Infine i s. avevano rielaborato una originale forma di docetismo, cioè
rifiutavano la dottrina che Cristo fosse stato crocefisso e che fosse
risorto in senso materiale, in quanto la natura di Cristo, apparsa
successivamente ai discepoli, era in realtà puro spirito.


Rioli, Giorgio (Siculo, Giorgio) (ca. 1517-1551) e i georgiani



La vita
Né con la Chiesa Cattolica, né con i Protestanti: Giorgio Rioli  iniziò
questa sua scomoda avventura di dissidente isolato, nascendo nel 1517 circa
a San Pietro Clarenza, sulle pendici dell'Etna, in provincia di Catania.
Della prima parte della vita di quest'uomo, più universalmente noto come
Giorgio Siculo (che, contrariamente alle convinzioni di alcuni autori, non
ha nulla a che fare con il corregionale Camillo Renato), non si conosce
praticamente nulla fino alla sua ammissione nel monastero benedettino di San
Niccolò l'Arena di Catania il 24 febbraio 1534, dove conobbe e diventò amico
del confratello Benedetto Fontanini da Mantova, l'autore dell'arcinoto
Beneficio di Christo, residente nel monastero di Catania tra il 1537 ed il
1543.
R. fu un uomo indubbiamente carismatico, ma di scarsa cultura: scriveva in
dialetto siciliano e, per poter rendere i propri testi più leggibili,
necessitò spesso di traduzioni in italiano o in latino fornite da parte dei
confratelli, o il sopramenzionato Benedetto Fontanini o Luciano degli
Ottoni, abate di Santa Maria di Pomposa e uno dei suoi più convinti seguaci.
Alla fine del 1546 egli cercò di intervenire nei lavori del Concilio di
Trento (1545-1563), inviando il suo De iustificatione ad Ottoni, poi
cercando di farsi ricevere direttamente dal cardinale Reginald Pole, per
presentare le sue dottrine profetiche ed apocalittiche.
Poco dopo, nel 1548 esplose il caso di Francesco Spiera, l'avvocato di
Cittadella, che aveva dovuto abiurare dal suo credo luterano, ma che, in
seguito, ne era morto per il rimorso. R., dopo il tentativo di intervento al
concilio di Trento, era comunque rimasto in zona, e più precisamente a Riva
di Trento, dove dedicò ai fedeli della cittadina una predica quaresimale sul
caso Spiera, da cui venne tratta la sua opera più nota, l'Epistola di
Georgio Siculo (.).
Ma, solo qualche mese dopo, nel settembre 1550, mentre stava predicando
contro i luterani a Ferrara, fu arrestato con l'accusa di eresia. Da una
parte non poteva certo contare sull'appoggio dei evangelisti e riformatori,
i quali, come Giulio Della Rovere o Celio Secondo Curione o perfino lo
stesso Calvino, lo avevano (o lo avrebbero) attaccato duramente nei loro
scritti, dall'altra il cardinale Ercole Gonzaga (1505-1563) aveva coinvolto
il cugino duca Ercole II d'Este (1534-1559) per poter punire esemplarmente
il monaco benedettino e reprimere il più possibile la setta dei seguaci del
"Don Georgio impio heretico", come R. stesso venne definito da un
inquisitore. Perfino l'Inquisizione romana si interessò a lui e ne chiese
inutilmente l'estradizione, ma il duca di Ferrara si assicurò che il
processo si svolgesse sotto la sua giurisdizione.
Durante il processo R. dichiarò la sua decisione di abiurare, e quindi fu
ordinato che dovesse farlo pubblicamente il 30 marzo 1551 nella chiesa di
San Domenico a Ferrara, davanti all'Inquisitore fra' Michele Ghisleri da
Alessandria (il futuro Pio V: papa dal 1566 al 1572) e ad Ercole II d'Este,
ma sorprendentemente, considerando che egli era stato uno strenuo difensore
dell'atteggiamento nicodemitico, R. si rifiutò.
A quel punto, il suo destino era segnato: riportato in carcere, R. vi fu
strangolato due mesi dopo, la sera del 23 maggio 1551.


Le opere
Detto del De iustificatione del 1546, il libro di R. che ebbe la maggior
diffusione, ma che sollevò anche un grande scalpore, fu l'Epistola di
Georgio Siculo servo fidele di Iesu Christo alli cittadini di Riva di Trento
contra il mendatio di Francesco Spiera et falsa dottrina de' protestanti,
stampata nel 1550 a Bologna. Benché all'apparenza sembri un testo cattolico
tutto proteso contro la dottrina calvinista della predestinazione e di
quella luterana della giustificazione per sola fede, il testo anelava
invece, similmente alla "terza via cristiana", e cioè al pensiero
anabattista e antitrinitario (quest'ultimo secondo la dottrina di Miguel
Serveto), alla palingenesi o apocatàstasi, la salvezza per tutta l'umanità,
grazie all'opera redentrice del Vangelo trasmesso da Cristo morto in croce e
per mezzo della Grazia di Dio.
Poco dopo, nello stesso anno, comparve il suo Espositione.nel nono decimo et
undecimo capo della Epistola di San Paolo alli Romani, con un suo commento
sulla lettera paolina più discussa dai luterani.
Gli altri suoi pensieri, noti in forma orale durante la sua vita, furono
pubblicati postumi in un libro, latinizzato da Luciano degli Ottoni, con il
titolo di Libro maggiore o Libro grande o Libro della verità christiana et
dottrina apostolica.


La dottrina
Profetico, mistico e apocalittico, R. raccontava ai suoi seguaci che Cristo
gli era apparso in persona per comunicargli che tutti i sacramenti erano
completamente inutili (anche il Battesimo, ed in questo si differenziava
dagli anabattisti) e che l'unica cosa che poteva rimettere i peccati era la
fede nel Signore.
R. inoltre negava l'autorità papale, la gerarchia ecclesiastica, il culto
della Vergine e dei santi, il valore meritorio delle opere, la messa, le
indulgenze, la presenza reale nell'Eucaristia, ma esaltava la ragione e la
dignità della natura umana.
Indipendente e critico delle correnti principali del protestantesimo, R.
favoriva una religiosità semplificata e spirituale: per lui, era preferibile
mantenere una certa indifferenza di fronte alle professioni di fede e anzi
perfino accettare esteriormente una confessione religiosa, soprattutto
quella cattolica, anche se non vi si credeva. Da qui le pesanti accuse di
nicodemismo lanciate da Calvino.


I seguaci
Le idee di R. ebbero un certo seguito negli anni successivi ed influenzarono
diversi dissidenti e seguaci, denominati georgiani, come:
Il già citato Luciano degli Ottoni, che dovette dimettersi dall'incarico di
abate di Pomposa e fu processato nel 1552, ma che morì alla fine dello
stesso anno.
Il medico e poeta di Argenta Francesco Severi, che fu decapitato e arso a
Ferrara nel 1570,
Il prete e letterato ferrarese Nascimbene Nascimbeni (m. dopo 1578), che
abiurò per opportunità nel 1551 e nel 1560, ma che nel 1570 si presentò
spontaneamente agli Inquisitori, permettendo di riaprire il procedimento
decisivo a carico dei seguaci di S.  oramai vent'anni dopo la morte del loro
capostipite.
Francesco Pucci, curiosamente considerato l'erede del pensiero di R., pur
non avendolo mai conosciuto.


Sigieri da Brabante (ca. 1235-1282) e averroisti latini



La vita
Sigieri da Brabante, filosofo fiammingo, nacque appunto nella regione del
Brabante nel 1235 ca.
Diventò "Maestro d'arti" e insegnò all'Università di Parigi dal 1266 al
1277, fondando la scuola averroista latina, sostenitrice della filosofia
aristotelica nella forma più aderente alla versione originale e senza
implicazioni teologiche. In tal senso S. fu il grande avversario dei
Scolastici, con a capo San Tommaso d'Aquino (1225-1274), che contro di lui
scrisse il suo De Unitate Intellectus contra Averoistas.
A riguardo, dal 1272 al 1275, S. contestò il rettore dell'Università,
Alberico di Reims, mettendosi a capo della corrente dei dissidenti, ma venne
condannato una prima volta nel 1270, quando il vescovo di Parigi, Etienne
Tempier, lo accusò di 13 proposizioni eretiche, ricavate dai suoi scritti,
ed una seconda volta nel 1277, data dalla quale gli fu impedito di
insegnare.
S. fu inoltre convocato dall'Inquisitore di Francia Simon du Val con
l'accusa di eresia, ma non si presentò, essendo già fuggito, nel frattempo,
dalla Francia in Italia, avendo l'intenzione di appellarsi a Papa Martino IV
(1281-1285), che risiedeva allora ad Orvieto.
Tuttavia, mentre egli attendeva in quella città la sentenza papale, S. fu
pugnalato a morte, nel 1282 ca., da un chierico, che gli faceva abitualmente
da segretario e che, pare, fosse improvvisamente impazzito.


La dottrina e le opere
S. fondò quindi la scuola averroista latina e scrisse nel 1269 le Questiones
in tertium de anima, nelle quali sosteneva il monopsichismo, la tesi, cioè,
di un'unica Anima superindividuale (formato da intelletto agente e
possibile), della quale le anime umane erano semplici manifestazioni.
L'intelletto agente era la facoltà dell'anima di passare dalla conoscenza
potenziale (o intelletto possibile) a quella attiva: solo Dio possedeva
ambedue gli intelletti, mentre gli uomini non avevano alcun intelletto
proprio, ma soltanto una maggiore fantasia, motore necessario per dare
origine al processo conoscitivo.
S. venne accusato dai pensatori cristiani ortodossi in quanto negava così
l'immortalità della anima individuale dotata di intelletto, perchè, secondo
S., solo l'Anima superindividuale era immortale.
Inoltre S. propagandò concetti non coerenti con il Cristianesimo come il
fatto che le implicazioni astrologiche controllavano il destino ciclico
dell'uomo sulla terra e anche quello delle stesse religioni, compresa quella
Cristiana.
Dopo gli attacchi di Etienne Tempier del 1270, S. mitigò il suo pensiero con
i lavori Quaestiones de anima intellectiva e Quaestiones super librum de
causis, in cui avanzò una sua variante della celebre teoria delle due
verità: ciò che era valido in filosofia, non necessariamente doveva esserlo
anche in religione e comunque la religione, cioè la verità rivelata, era in
ogni caso superiore alla filosofia.


Curiosità
Dante collocò S. nel Paradiso nel Canto X al verso 136, facendone fare
l'elogio proprio da quel San Tommaso d'Aquino, suo acerrimo avversario in
vita:


Questi onde a me ritorna il tuo riguardo,
è 'l lume d'uno spirto che 'n pensieri
gravi a morir li parve venir tardo:
essa è la luce eterna di Sigieri,
che, leggendo nel Vico de li Strami,
sillogizzò invidiosi veri.


Renato, Camillo (o Paolo Ricci o Lisia Fileno o Fileno Lunardi)
(ca.1500-1575)



La vita
Paolo Ricci, meglio conosciuto come Camillo Renato, nacque nel 1500 ca. in
Sicilia, probabilmente a Palermo, ma si hanno poche notizie sulla prima
parte della sua vita: si sa comunque che diventò frate minorita. Va
precisato inoltre che, a parte la regione d'origine ed una certa
misteriosità sulla prima parte della sua vita, R., contrariamente alle
convinzioni di alcuni autori, non ha nulla in comune con il corregionale
Giorgio Rioli (detto Giorgio Siculo).
In seguito R. frequentò i circoli evangelici di Juan de Valdès a Napoli e
visse a Venezia, mentre dalla fine degli anni '30 del XVI secolo egli pose
il suo campo d'azione nell'Emilia, nel triangolo compreso fra Bologna,
Modena e Ferrara. A Bologna, probabilmente sotto lo pseudonimo dello
studente di diritto Fileno Lunardi, R. poté approfondire i suoi studi del
pensiero di Erasmo da Rotterdam, insieme agli agostiniani Giulio Della
Rovere, Ortensio Lando e Ambrogio Cavalli, e all'umanista abruzzese Giovanni
Angelo Odoni. Abitò inoltre a Modena, dove l'Accademia del Grillenzoni fece
da centro di diffusione delle sue idee. R. infatti già iniziava ad esprimere
alcune sue tipiche idee radicali, come l'opposizione del culto dei santi e
della Madonna, e la negazione del valore dei sacramenti.
Inoltre, tra i primi in Italia ad interessarsi all'anabattismo e
all'antitrinitarismo, R. aveva letto i testi di Miguel Serveto e sembra che
avesse, intorno al 1550, convertito all'anabattismo il misterioso Tiziano,
pare un ex frate friulano e poi mercante ed uno dei più attivi propagatori
dell'anabattismo.
Quando finalmente si decise a convertirsi alla dottrina riformata (seppur
con una serie di importanti distinguo), R. decise di cambiare il proprio
nome in Camillo Renato, proprio per sottolineare la sua "rinascita".
Ma, con l'avanzare del suo radicalismo religioso, aumentarono anche i guai
giudiziari: nel 1540 a Modena, sotto lo pseudonimo di Lisia Fileno, aveva
dovuto fare una pubblica ritrattazione delle sue idee e nel 1542 R. fu
arrestato a Ferrara per eresia. Per sua fortuna, Renata di Francia
intercesse per farlo uscire da prigione: libero, R. prese immediatamente la
via dell'esilio per la Valtellina, insieme a Celio Secondo Curione.
In Valtellina, ai tempi parte del territorio elvetico del Cantone Grigioni,
R. divenne dapprima tutore dei figli di Raffaele Pallavicini a Caspano,
vicino a Morbegno, poi, nel 1545 fu maestro di scuola nella vicina Traona e
infine visse a Vicosoprano, in Val Bregaglia.
Nel 1546 fece un viaggio a Vicenza per partecipare ai Collegia Vicentina,
dove si riunirono i principali anabattisti e antitrinitariani veneti
dell'epoca.
Ritornato in Valtellina, nel 1547 R. si trasferì a Chiavenna, il centro più
importante per la Riforma nei cantoni svizzeri di lingua italiana, dove
conobbe Lelio Sozzini, ma qui, dopo un breve periodo iniziale di simpatia
reciproca, egli entrò in rotta di collisione con il pastore riformato
Agostino Mainardi, che, nell'esercizio delle sue funzioni, si sentì in
dovere di contestare le pericolose idee protocristiane e anabattiste, che R.
propagandava presso la popolazione delle vallate valtellinesi. Infatti nel
1548, come reazione all'avanzata delle idee troppo estremiste del pensatore
siciliano, Mainardi, eccessivamente rigoroso, cercò di obbligare tutti i
fedeli della Chiesa riformata di Chiavenna di giurare fedeltà ad una
Confessione di Fede, che egli si era fatto approvare dalle autorità
religiose di Coira, Zurigo e Basilea. L'azione gli alienò l'amicizia con
Francesco Negri da Bassano, con il quale aveva avuto dei buoni rapporti fino
a quel momento e che provocatoriamente si rifiutò di far battezzare il suo
neonato se prima Mainardi non avesse firmato una Confessione di Fede redatta
da Negri stesso, e con Francesco Stancaro, che accusò Mainardi di troppa
ortodossia, e troppo poco dialogo, in questa diatriba sorta sull'opportunità
dei sacramenti.
La lunga e amara controversia sulla Cena del Signore con Mainardi, ebbe un
amaro epilogo per R. (magnus haereticus, secondo Mainardi): essendosi
rifiutato di cessare di propagare le sue dottrine egli fu scomunicato il 6
luglio 1550.
Del resto, anche in una lettera scritta un mese dopo (il 3 agosto 1550) da
Altieri d'Aquila a Heinrich Bullinger (curiosamente anche lo stesso R. aveva
una vasta corrispondenza con il riformatore svizzero) l'ex diplomatico
definì R. anabaptistarum patronus, cioè protettore degli anabattisti.
A R. non rimase che ritirarsi in un punto non meglio precisato della
Valtellina, dopo aver polemicamente pubblicato un elenco di 125 errori,
scandali, contraddizioni vari di Mainardi dal 1545 in poi.
Di R. non si sentì più parlare eccetto che nel 1554, quando, indignato per
l'esecuzione sul rogo di Michele Serveto, R. scrisse a proposito un lungo
poema, De injusto Serveti incendio e lo inviò a Calvino in persona.
In vecchiaia, da una testimonianza del 1560, pare fosse diventato cieco e
morì nel 1575, sempre in Valtellina.


Il pensiero
Il punto essenziale del pensiero mistico spirituale di R., espresso nel suo
Trattato del Battesimo e della Santa Cena, scritta in italiano (cosa rara
all'epoca), era la vera rinascita spirituale del credente, che si sentiva
unito in spirito e carità con gli altri fedeli in un unico corpo mistico.
Il tutto rendeva per R. ovviamente superfluo ogni sacramento e
manifestazione esteriore e utilitaristica della religione cristiana. Da ciò
quindi derivava il principale motivo del contendere con Mainardi: l'idea di
considerare la Cena del Signore come una semplice memoria della morte di
Cristo e, similmente, il Battesimo come una mera affermazione della fede
individuale di ogni credente.
D'altra parte, questa poca importanza attribuita, o addirittura rifiuto del
Battesimo (vedi anche lo scritto Adversus baptismum del 1548) mette in serio
dubbio una supposta appartenenza di R. al movimento anabattista.
Inoltre per R., le anime, dopo la morte, non godevano subito della vita
ultraterrena, ma stavano in uno stato di sonno fino al giorno del Giudizio
Universale, un concetto che accosta curiosamente R. ad un papa medioevale
molto criticato: Giovanni XXII! Questi aveva infatti incautamente dichiarato
nel 1331 che le anime dei morti in grazia di Dio avrebbero goduto della
"visione beatifica" non subito dopo la morte, come affermava la tradizione,
ma solo alla resurrezione dei morti e che, nell'attesa, essi avrebbero
dormito godendo del conforto di Cristo "sotto l'altare". L'affermazione del
papa fu condannata dai teologi dell'Università di Parigi nel 1333.


I seguaci
R. influenzò diversi pensatori e riformati dell'epoca, di cui si possono
citare, a parte l'ebraista Francesco Stancaro, sopra menzionato: il
bolognese Ulisse Aldrovandi (1522-1605), coinvolto nel 1549-50 in un
processo per eresia, proprio come presunto seguace di R.; il pastore di
Casaccia (in Val Bregaglia, nell'attuale cantone Grigioni) e scrittore
Bartolomeo Silvio di Cremona; il medico Pietro Bresciani di Casalmaggiore.


Simeone (Tito) (m. 690) (pauliciano)



Simeone fu l'ufficiale imperiale, che, nel 682 ca., su ordine
dell'imperatore Costantino IV Pogonato (668-685), arrestò il capo e
probabile fondatore della setta dei pauliciani, Costantino (Silvano) di
Manamali. S. fece lapidare a morte Costantino, davanti ai suoi stessi
discepoli e dandone l'incarico ad uno di loro, un tale Giusto.
Colpito dalla determinazione degli aderenti alla setta, S. diventò lui
stesso un pauliciano, prendendo il nome di Tito (tutti i pauliciani avevano
soprannomi, che ricordavano compagni o amici di San Paolo).
Nel 690, l'imperatore Giustiniano II Rinotmeta (685-711) organizzò una
campagna militare per reprimere questa setta e in quella occasione S. ed
altri pauliciani furono catturati e bruciati sul rogo.




Negri da Bassano, Francesco (1500-1563)



La vita
Francesco Negri, nato nel 1500 da famiglia nobile a Bassano del Grappa
(provincia di Vicenza), era entrato nell'ordine dei Benedettini con il nome
di Fra' Simeone da Bassano e aveva fatto parte dei monasteri di San
Benedetto di Polirone (o San Benedetto Po) e Santa Giustina di Padova.
Fu influenzato dalla dottrina di Lutero fondata sulle Sacre Scritture, come
comunicò al fratello Girolamo, e successivamente riportato da quest'ultimo
in una lettera del 18 febbraio 1524 inviata al loro padre.
Nella primavera 1525, N. fece la sua scelta di campo: abbandonò il monastero
di Santa Giustina preferendo l'esilio in Germania e a Strasburgo, dove abitò
dal 1529 al 1531 e dove seguì i corsi di teologia di Martin Butzer (Bucero)
e Wolfgang Capito (1478-1541). Per mantenere la famiglia, fece il tessitore:
si era infatti sposato nel frattempo con Cunegonda Fessi, da cui ebbe tre
figli, che lasciò in grande indigenza alla sua morte.
Nonostante l'esilio, N. mantenne comunque contatti con i connazionali: nel
1530 fece un viaggio a Brescia, al convento benedettino di San Faustino
Maggiore, per cercare di convincere l'ex fratello e umanista Vincenzo Maggi
(1498-1564) a passare alla Riforma e, nello stesso periodo, mantenne un
fitto carteggio con il sacerdote Lucio Paolo Rosello (m. 1556): qualche anno
dopo ambedue questi personaggi, abbandonata la tonaca, entrarono nello
stesso gruppo evangelico costituitosi a Venezia.
Nel 1531, dietro una raccomandazione di Wolfgang Capito a Zwingli, N. si
trasferì nel Cantone Grigioni (che dal 1512 comprendeva anche la
Valtellina), e nel 1538 fondò una scuola di latino e greco a Chiavenna,
stabilendosi infine, nel 1555, con la famiglia a Tirano.
N. collaborò con il pastore Agostino Mainardi e con l'ex minorita Paolo
Ricci (noto come Camillo Renato dopo la sua conversione al protestantesimo),
autore delTrattato del Battesimo e della Cena, di cui divenne fraterno
amico. Invece con Mainardi (fra l'altro, acerrimo nemico dottrinale di
Renato), i rapporti rimase sempre tesi a causa della pretesa, nel 1548, del
pastore di obbligare tutti i fedeli della Chiesa riformata di Chiavenna di
giurare fedeltà ad una confessione di fede, redatta dallo stesso Mainardi,
il quale l'aveva fatto approvare dalle autorità religiose di Coira, Zurigo e
Basilea.
In questo periodo nei Grigioni (il più fecondo), N. pubblicò, tra il 1546 ed
il 1550, due edizioni del suo popolarissimo libro, la Tragedia intitolata
Libero arbitrio. Nel 1550 l'ex benedettino intervenne in merito
all'esecuzione capitale del fornaio di Faenza Fanino Fanini, in onore del
quale (e del suo conterraneo Domenico Cabianca da Bassano) scrisse De Fanini
faventini ac Dominici bassanensis morte (..). Nello stesso anno scrisse la
Brevissima somma della dottrina christiana, contro il nicodemismo dell'ex
confratello Giorgio Siculo.
Nel 1546 N. lasciò i Grigioni per partecipare a Vicenza ai Collegia
Vicentina, dove si riunirono i principali anabattisti e antitrinitariani
dell'epoca, tra cui Alciati della Motta, Curione, Della Sega, Gentile,
Gherlandi, Gribaldi Mofa e Lelio Sozzini e nel 1550 prese parte al concilio
anabattista a Venezia.
Nel 1562, dietro invito del figlio Giorgio, pastore riformato, N. si
trasferì in Polonia, a Pinczòw, dove insegnò all'effimera comunità
antitrinitariana italiana [l'ecclesiola italica, secondo le parole di
Francesco Lismanini (m. 1566), collaboratore di Giorgio Biandrata].
Intorno a questo nucleo si raccolse il fior fiore dell'intelligencija
antitrinitariana in Polonia: dal Biandrata stesso ad Alciati, Bernardino
Ochino e Gentile.
Il gruppo venne disperso nell'agosto 1564 in seguito all'editto di Parczòw,
ma N. era già morto l'anno precedente, nell'estate 1563.


Tragedia intitolata Libero arbitrio
Pubblicato per la prima volta nel 1546, ampliato dall'autore e ristampato
nel 1547 a cura di Antonio Brucioli e nel 1550 a cura di Dolfino (o
Rodolfino) Landolfi (lo stampatore degli scritti di Pier Paolo Vergerio e
Giulio Della Rovere), il libro più famoso di N., dal titolo Tragedia
intitolata Libero arbitrio, è una satira graffiante, sotto forma di tragedia
in cinque atti, contro le invenzioni teologiche del papato.
Il libro ebbe un successo fenomenale sia in Italia che all'estero, grazie
alle versioni in francese, latino e inglese, ma fu messa all'Indice nel
1548.
Bersagli della Tragedia intitolata Libero arbitrio furono comunque anche
diversi famosi personaggi dell'evangelismo italiano come i cardinali
Reginald Pole e Giovanni Morone, il vescovo Vittore Soranzo, Alvise Priuli e
Marcantonio Flaminio, tutti ferocemente accusati da N. di nicodemismo.


Simon Mago (I° secolo)



La vita
Non è del tutto chiaro se l'omonimo personaggio, citato negli Atti degli
Apostoli (8, 9-25), sia stato il fondatore di una scuola di pensiero
gnostico. Secondo alcuni autori, il Simon Mago gnostico visse probabilmente
uno o due generazioni più tardi del Simone degli Atti.
Comunque, tradizionalmente si ritiene Simon Mago fosse nato a Gitta vicino a
Samaria (per questo detto anche Simone il Samaritano) e, intorno al 37,
abitasse in quest'ultima città, esercitando la professione di "mago", cioè
praticante di arti magiche e occulte, ma rimanendo incantato dalle prediche
di Filippo, diacono cristiano della città, avesse chiesto ed ottenuto di
essere battezzato.
Volle, inoltre, cercare di comperare con il denaro il potere di imporre le
mani per donare lo Spirito Santo, ma non ottenne altro che incorrere nelle
ire di San Pietro. Da questo primo tentativo di commercio di cose sacre ,
deriva il termine di simonia, che avrebbe avuto un peso molto rilevante
nella diatriba fra i cattolici e Lutero nel XVI secolo.
Altre testimonianze, da prendere col beneficio dell'inventario, derivano da
autori cristiani, come S. Giustino e da testi apocrifi, come gli Atti di San
Pietro o le Pseudo-clementine.
Questi riferirono la presenza di Simon Mago a Roma durante i regni degli
imperatori Claudio e Nerone, dove ottenne fama e gloria, ma dove fu sfidato
ad un confronto pubblico dai Santi Pietro e Paolo, rimettendoci la pelle in
due versioni differenti:
O perché si fece seppellire per risorgere dopo tre giorni, cosa che
sfortunatamente non avvenne, in quanto morì nella tomba,
o perché durante una dimostrazione di levitazione al Foro Romano davanti
all'imperatore Nerone in persona, grazie alle preghiere dei Santi Pietro e
Paolo, precipitò da grande altezza, rimanendo ucciso sul colpo.


La dottrina
Le sue dottrine, forse influenzate dal dualismo del mazdeismo iraniano,
sembrano far parte di un gnosticismo di tipo celestiale, nella quale egli
proclamò se stesso un'emanazione di Dio in grado di manifestarsi come Padre,
come Figlio o come Spirito Santo, ed Elena, una ex prostituta di Tiro e
forse la sua compagna, il primo concetto della sua mente (Ennoia), la madre
di tutti, attraverso la quale la Deità aveva creato gli angeli ed gli eoni.
Ennoia era poi decaduta nel mondo materiale, da lei stessa creato.
Simone insegnava quindi a riconoscerlo come Dio e fondò una setta, detta dei
Simoniani, che proclamò la sua deità, affermando che la sua missione era di
salvare il mondo dal cattivo governo degli angeli, tra cui il Dio
dell'Antico Testamento.
Inoltre, per spiegare la crocefissione di Gesù, S. formulò il concetto
docetico che il Cristo non aveva sofferto sulla croce, poiché l'episodio del
Calvario era solo apparente, proprio come lui (Simone) era Dio in realtà ed
un uomo in apparenza.
Fu inoltre accusato (postumo) di oscenità, a causa di riti sessuali, da
parte degli autori cristiani Ireneo e Epifanio.
Alcuni autori, però, in contro tendenza, non hanno giudicato Simon Mago un
eretico cristiano, in quanto, secondo loro, non era da considerarsi neppure
cristiano, poiché il suo impianto filosofico non presentava sufficienti
connotati cristiani o giudei.


Dante Alighieri ricorda Simon Mago nell'Inferno nel girone degli
fraudolenti, nel canto XIX, 1:


O Simon mago, o miseri seguaci
che le cose di Dio, che di bontate
deon essere spose, e voi rapaci


per oro e per argento avolterate,
or convien che per voi suoni la tromba,
però che ne la terza bolgia state.


Simoni, Simone (1532-1602)



Simone Simoni, filosofo e medico, nacque a Lucca nel 1532 e si laureò a
Padova, città da cui si allontanò nel 1565, per motivi religiosi, emigrando
a Ginevra, dove peraltro egli aveva già soggiornato nel periodo 1559-1561.
Qui diventò professore ordinario alla cattedra di filosofia (e più tardi di
medicina), ma mostrò anche tutta la spigolosità del suo carattere, lo
spirito polemico contro tutto e tutti, e qui, in seguito ad una diatriba con
il filosofo di Tübingen, Jakob Schegk (o Jacobus Schegkius, 1511-1587), si
chiarì il suo credo religioso, di stampo riformatore illuministico.
Precedentemente, l'unico contatto con gli eretici fu la visita in prigione a
Berna di Giovanni Valentino Gentile, incarcerato per le sue idee
antitrinitariane nel 1566.
A Ginevra si delineò quindi il pensiero religioso del S. intriso di valori
morali laici e terreni: la negazione dell'onnipresenza del Cristo, il valore
puramente simbolico dell'Eucaristia e la negazione della sopravvivenza della
natura umana di Gesù. Inoltre, si aggiungeva una sua fiducia incrollabile
nella scienza, come contributo allo sviluppo dell'uomo. La natura e le sue
risorse avevano maggiore rilievo rispetto alla Grazia di Dio, ed in questo
il pensiero di S. assomigliò molto a quello di Giordano Bruno, senza però
arrivare agli eccessi del filosofo nolano.
Tutti questi erano argomenti più che sufficienti  per mettere il S. sotto il
controllo delle preoccupate autorità ginevrine ed il pretesto per la sua
espulsione fu l'attacco spropositato contro Niccolò Balbani, reo, secondo
S., di essersi adeguato allo stile conformista di Ginevra. Le autorità della
città pretesero le scuse pubbliche da parte del S. e successivamente lo
espulsero.
Il S. si trasferì a Parigi, e poi, per mezzo dei buoni uffici di Theodore de
Béze, ad Heidelberg, da dove però fu cacciato nel 1579, dopo aver già subito
un'accusa di arianesimo nel 1575 a Lipsia, alla corte di Augusto I di
Sassonia (1526-1586).
Nuova emigrazione a Praga, nel 1581, dove diventò il medico di corte di
Rodolfo II d'Asburgo (1576-1611): qui circolò la voce, mai confermata, che
si fosse riconvertito al cattolicesimo.
Comunque, il suo spirito inquieto lo portò in Polonia, dove diventò medico
di corte del re Stefano Bàthory (1575-1586) assieme a Niccolò Buccella.
Qui , dopo aver litigato con Marcello Squarcialupi, alla morte del re
polacco nel 1586, il S. non esitò a formulare la gravissima accusa della
responsabilità del Buccella per il decesso.
La polemica tra i due investì anche la sfera religiosa, con reciproche
accuse, ma il nuovo re Sigismondo III Vasa (1587-1632) prosciolse il
Buccella dalle accuse e lo nominò suo medico personale, elevandolo
successivamente ad un titolo nobiliare.
Al Simoni, sconfitto su tutta la linea, non rimase altro che riparare in
Moravia, dove finì i suoi giorni presso il Vescovo di Olomouc.
S. morì a Cracovia nel 1602.


Morato, famiglia (XVI secolo)



Di questa famiglia di umanisti riformati, si ricordano:


1) Morato, Fulvio Pellegrino (ca. 1483-1548)
L'umanista Fulvio Pellegrino Morato nacque a Mantova nel 1483 circa.
Dopo aver sposato Lucrezia Gozzi, egli fu assunto come "lettore" (cioè
professore) all'Accademia di Vicenza per sette anni (1532-1539) dove si fece
notare per la forte propaganda anticlericale, mediante la lettura ai suoi
allievi, tra cui Alessandro Trissino, di testi della Riforma , come la
Christianae religionis institutio di Calvino. Queste attività di M.
richiamarono l'attenzione degli inquisitori di Vicenza sulle cellule
protestanti in città e forzarono M. a trasferirsi a Ferrara, alla corte di
Renata d'Este, nota protettrice di riformatori.
A Ferrara M. divenne professore di letteratura classica e precettore dei
figli di Renata d'Este e fu definitivamente convertito, assieme alla figlia
quindicenne Olimpia, alla Riforma stessa, da Celio Secondo Curione nel 1541.
M. morì nel 1548 a Ferrara.
Curiosamente l'umanista mantovano è più universalmente conosciuto non tanto
per il suo credo religioso, quanto per una serie di originali studi compiuti
nel campo dei colori e del linguaggio dei fiori. Mediante la pubblicazione
del libro Del significato de Colori, a Venezia nel 1535, M. lanciò la moda
di un galateo dei colori, cercando di confermare le sue tesi mediante il
ricorso ai classici, come Omero, Ovidio, Virgilio, Orazio, Boccaccio,
Petrarca.
Nell'appendice dello stesso libro (che avrebbe avuto ben otto edizioni),
egli scrisse un curioso trattato (un divertimento per le signore, come
diceva lui stesso) sul simbolismo e sul linguaggio dei fiori, sotto forma di
dizionario: a determinati fiori corrispondevano specifiche frasi o pensieri.
Comunque la fama di M. è anche dovuta a studi più seri, tra cui apprezzate
edizioni critiche di opere di Dante e Petrarca.


2) Morato, Olimpia Fulvia (1526-1555)
Probabilmente la più famosa umanista donna del Rinascimento fu Olimpia
Fulvia Morato, figlia di Fulvio Pellegrino e Lucrezia Gozzi, nata a Ferrara
nel 1526. Fu educata, fin dalla tenera età, dal padre in lingua e
letteratura latina e greca, rivelandosi inoltre un genio molto precoce in
astronomia, botanica, zoologia e meteorologia.
All'età di 14 anni, Olimpia divenne compagna di studi della principessa Anna
d'Este (1531-1607), figlia di Renata d'Este e cinque anni più giovane di
lei: con la principessa ella fu educata dai precettori, i fratelli Johann e
Kilian Sinapius, originari di Schweinfurt, nella Baviera settentrionale.
L'anno dopo, nel 1541, come già detto, fu convertita, assieme al padre, alla
Riforma da Celio Secondo Curione.
Ma, nel giro di pochi anni, a causa della crescente pressione
dell'Inquisizione e dei Gesuiti sul Duca Ercole II (1543-1559) (questi aveva
perfino confinato la moglie Renata nel palazzo di San Francesco), Olimpia si
trovò in una situazione sempre più difficile resa più penosa dalla morte del
padre nel 1548.
Nell'inverno 1549 Olimpia decise di sposare il medico riformato Andreas
Grundler (ca. 1506-1555), anch'egli di Schweinfurt come i fratelli Sinapius,
e che si era laureato in medicina a Ferrara: una scelta di campo coraggiosa
dell'umanista ferrarese, che lei confermò anche nella primavera 1550,
quando, assieme a Lavinia Franciotti della Rovere Orsini, cercò inutilmente
di intercedere per la liberazione del fornaio di Faenza, Fanino Fanini,
imprigionato come predicatore calvinista e successivamente giustiziato il 22
agosto dello stesso anno.
Le crescenti persecuzioni contro i protestanti italiani convinsero Olimpia
di emigrare in Germania nell'estate 1550 con il marito e con il fratellino
Emilio di 8 anni.
Essi si stabilirono a Schweinfurt, dove Andreas fu nominato medico della
città bavarese e dove Olimpia, incoraggiata da Curione, tradusse i Salmi in
greco e mantenne una fitta corrispondenza con riformatori in tutta Europa.
Nell'aprile 1553, durante la cosiddetta Seconda Guerra dei Margravi
(1552-1555), Schweinfurt fu occupata da Albrecht Alcibiades di
Brandenburg-Kulmbach (margravio: 1551-1554), ma la peste colpì occupanti e
cittadini, e peggio ancora la città fu assediata dalle truppe avversarie di
Weigand von Redwitz (1522-1556) e Melchior Zobel von Guttenberg (1544-1558),
principi-vescovi rispettivamente di Bamberg e di Würzburg. La capitolazione
avvenne nel giugno 1554: la città fu messa a ferro e fuoco e Olimpia, Emilio
e Andreas si salvarono per il rotto della cuffia, sebbene il medico venisse
imprigionato per un breve periodo. Purtroppo essi persero tutti i loro
averi, compresi moltissimi manoscritti della scrittrice.
Vagarono per un mese di città in città e la salute di Olimpia peggiorò
sensibilmente, a causa di frequenti attacchi di malaria. Finalmente, nel
luglio 1554, i conti di Erbach, Georg V (1539-1569) e Valentin II
(1539-1563), offrirono a Grundler un posto di professore in medicina
all'università di Heidelberg e l'umanista Jacobus Mycillus (nome umanistico
di Jacob Moeltzer) invitò Olimpia a dare lezione di greco.
Nell'ultimo anno della sua vita a Heidelberg, Olimpia riuscì a ricostruire a
memoria alcuni suoi poemi distrutti, a riformare una nuova biblioteca con
l'aiuto di Curione e a riprendere i contatti con i più famosi riformatori,
come Pier Paolo Vergerio, a cui chiese di tradurre il Grande Catechismo di
Lutero in italiano, ritenendo che potesse essere di grande utilità "ai
nostri italici, specialmente alla gioventù" (tuttavia Vergerio non poté
esaudire la richiesta).
Ma la sua salute era definitivamente compromessa: il 26 ottobre 1555,
all'età di soli 29 anni, Olimpia morì di tubercolosi, seguita alcune
settimane dopo dal marito e dal fratello, uccisi dalla peste.
L'amico di sempre, Celio Secondo Curione, pubblicò l'opera omnia di Olimpia
nel 1558 (le ristampe aggiornate furono del 1562, 1570 e 1580).