Home | Storia | Arte e letteratura | Foto | Ceramica | Moda | Info | Mappa
STORIA E LEGGENDA
HOTELS E RISTORANTI
ARTE E LETTERATURA
FOTO
CERAMICA
MODA

GLI ERETICI - DISSIDENTI RELIGIOSI
Testi tratti dal sito: www.eresie.it di Douglas Swannie

ERETICI E DISSIDENTI RELIGIOSI

Alberto di Brandeburgo-Ansbach (1490-1568)

Alberto di Brandeburgo, da non confondere con l'omonimo cardinale cattolico
(1490-1545) di Magdeburgo e Mainz e noto avversario di Martin Lutero, nacque
il 16 Maggio 1490 ad Ansbach, capitale della Franconia e residenza dei
Margravi di Brandeburgo-Ansbach.
Il nonno di A. era il principe elettore Alberto Achille di Brandeburgo e
poiché A. non era il primogenito, quindi escluso dal titolo di margravio,
egli fu avviato alla carriera ecclesiastica, entrando successivamente
nell'ordine dei Cavalieri Teutonici.
Nel 1511 A. fu eletto Grande Maestro dell'ordine stesso e l'anno successivo,
il 22 Novembre 1512, egli si trasferì nella sede dell'ordine a Köningsberg,
in Prussia.
A quel tempo le fortune dell'ordine dei cavalieri Teutonici erano in netto
declino, dopo il glorioso periodo durato circa due secoli (dal 1283) nel
quale essi avevano dominato la regione ed erano stati per anni una spina nel
fianco delle varie nazioni slave limitrofe (Polonia, Russia etc.).
Già nel 1466 (2° pace di Thorn), l'ordine aveva dovuto cedere la Prussia
occidentale alla Polonia ed accettare che la parte orientale diventasse
feudo del re di Polonia Casimiro IV (1447-1492). Inoltre i Teutonici avevano
perso buona parte del loro potere politico e sofferto per la evidente
incompatibilità tra vita militare e monastico, alla quale anche il Papa
Adriano VI (1522-1523) aveva richiamato l'ordine ed il suo Grande Maestro,
per l'appunto A.
Questi era reduce da una disastrosa quanto inconcludente guerra contro la
Polonia, durata fino al 1521, nel vano tentativo di rendere la Prussia
indipendente, ma alla fine della quale dovette accettare una tregua di
quattro anni.
Nel 1522-23 A. partecipò alla Dieta imperiale di Norimberga nell'inutile
tentativo di cercare protezione contro il re di Polonia, ma fu in quella
occasione che egli sentì, per la prima volta, i sermoni dei predicatori
luterani, in particolare di Andreas Osiander. Approfondì il suo interesse
per la Riforma in un successivo colloquio a Berlino con Martin Lutero e
Philipp Melantone, che lo esortarono a secolarizzare l'ordine e a prendere
moglie. Lo stesso consiglio fu dato ad A. dal fratello Georg, Margravio di
Brandeburgo.
Il processo di riforma nella Prussia fu comunque accelerato dall'abile
cancelliere e principale consigliere di A., il vescovo Georg von Polenz
(1478-1550), che, convertitosi al luteranesimo, emanò ordini per il clero
prussiano per l'uso della lingua locale nelle funzioni religiose e per lo
studio dei testi di Lutero. Nel Giugno 1525 Polenz rinunciò ai suoi poteri
secolari e si sposò, imitato, esattamente un anno dopo, da A.
Nello stesso 1525, A. sciolse l'ordine teutonico e trasformò la proprietà
dei cavalieri in un ducato ereditario per la sua dinastia, con il consenso
del re di Polonia, che il 10 Aprile lo nominò Duca di Prussia e feudatario
della corona polacca.
Il 6 Luglio A. introdusse ufficialmente la Riforma luterana in Prussia, con
i relativi cambiamenti: abolizione dei digiuni, riduzione dei giorni da
santificare, trasformazione dei conventi in ospedali e liturgia in lingua
locale. A. inoltre fondò l'università di Königsberg nel 1544, attirando i
migliori studiosi locali (prussiani, polacchi, lituani) dell'epoca, come
Andreas Osiander.
Tuttavia la vita privata di A. fu molto dolorosa per il Duca a causa della
morte di 6 dei suoi 7 figli e della prima moglie.
A. morì il 20 Marzo 1568  ed a lui successe il figlio Alberto Federico, che
morì senza figli maschi nel 1618: a quel punto il ducato passò al ramo
principale dei Brandeburgo.
-----
Catari o albigesi (XII - XIII - XIV secolo)



I catari furono la grande alternativa religiosa alla Chiesa Cattolica
d'Occidente nel XII e XIII secolo.
Nei loro confronti la reazione della Chiesa fu fortissima e probabilmente
proporzionata alla paura che questa setta potesse mettere in crisi l'intera
istituzione cristiana.
Non si trattava infatti di singoli eretici da punire, ma di un fenomeno di
vasta portata, a cui l'Europa occidentale medioevale non era abituata, e che
ricordava i grandi movimenti religiosi eterodossi che avevano afflitto
l'Impero Romano d'Oriente, come ad esempio i pauliciani. E' difficile
altrimenti da spiegare la creazione di un potentissimo mezzo di repressione,
come l'Inquisizione, la fondazione di un ordine religioso, i domenicani,
preposti a confutare le dottrine c. e l'organizzazione di una crociata, con
relativa licenza di massacro, di cristiani contro altri cristiani.
Tuttavia bisogna anche tener conto che, in quel momento, lo stesso potere di
uno stato sovrano, come la Francia, già dilaniata dalla guerra dei Cent'anni
con l'Inghilterra, avrebbe potuto essere messo in discussione da questa
setta (o meglio dal suo alleato laico, il potente conte di Tolosa): essa
quindi fu schiacciata dall'azione combinata di Stato e Chiesa.


La storia
A) I predecessori
Su questo punto, i commentatori e gli storici si dividono in due gruppi:
Coloro i quali vedono nei catari una continuità del grande filone dualista,
dai gnostici a Novaziano ai manichei ai già menzionati pauliciani ai
bogomili, e
Coloro che, pur non negando qualche similitudine con le sette dualiste
precedenti, sono convinti della originalità del pensiero cataro, sviluppato
come reazione alla corruzione dilagante nella Chiesa. Del resto anche le
attività di predicatori itineranti all'inizio del XII secolo, come Pietro di
Bruis, Enrico di Losanna, Tanchelmo di Brabante, Eon de l'Etoile, furono il
segno di quel malessere, diffuso soprattutto a livello delle classe più
deboli della popolazione, e che poté creare un substrato ideale per lo
sviluppo di popolarità del catarismo.


B) L'inizio e i precursori
Già dal 1018, i cronisti Ademaro di Chabannes e Rodolfo il Glabro riferirono
di "manichei" diffusi nella Francia meridionale, citando gli episodi di
Leutard, i canonici di Santa Croce di Orléans, gli eretici di Arras. Simili
episodi si segnalarono anche in altre nazioni, come ad esempio Gerardo di
Monforte in Italia.
Nel 1143, Evervino di Steinfeld scrisse a San Bernardo di Chiaravalle
(1090-1153) per informare sulla presenza nella Renania, a Colonia, di
eretici, anche donne, organizzati in uditori e eletti, che accettavano solo
il Padre Nostro come preghiera e si rifiutavano di frequentare le chiese e
ricevere i sacramenti, eccetto una particolare forma di comunione. Gli
eretici furono bruciati e Evervino si stupì che salissero serenamente, o
addirittura con gioia, sul rogo. Di simili fatti narrò anche Ecberto di
Schonau.
Pochi mesi dopo, lo stesso Bernardo accorse nella Francia meridionale, su
invito del legato pontificio cardinale Alberico di Ostia, con lo scopo di
intervenire contro le predicazioni di Enrico di Losanna a Tolosa, salvo poi
rendersi conto dell'elevata diffusione del c. nella zona.
Ogni tentativo del Santo di convertire gli albigesi (come li chiamò dal nome
della città di Albi) non ebbe successo e tre anni dopo, nel 1148, il
concilio di Tours li condannò, stabilendo che, se scoperti, essi dovessero
essere imprigionati e i loro beni confiscati.
Tuttavia queste disposizioni non sembra che avessero avuto particolare
effetto, anzi proprio in Francia meridionale, nella Linguadoca e in
Provenza, i c. si consolidarono maggiormente.
Questa regione, a ridosso dei Pirenei, nota anche come Occitania, era stata
parte dell'ex regno dei Visigoti durante l'alto Medioevo, si era sviluppata
come cuscinetto tra il regno dei Franchi a Nord e gli Arabi a sud ed era,
dal punto di vista politico, linguistico, culturale e della tolleranza,
profondamente diverso dal resto dell'odierna Francia. Infatti gli occitani
parlavano la lingua d'oc, e non l'oil come nel resto della Francia, avevano
sviluppato la lirica dei trovatori (alcuni dei quali, come Guglielmo
Figueira, furono c.), tolleravano gli ebrei e i pensatori eterodossi
cristiani.
Vent'anni dopo la missione di San Bernardo, nel 1165 a Lombez fu tenuto un
pubblico contraddittorio tra teologi cattolici e c., con a capo un tale
Oliviero, che si risolse in un nulla di fatto.
Fu in quel periodo che i cattolici iniziarono a chiamarli catari, sulla cui
etimologia gli autori dell'epoca hanno concepito due teorie: più
probabilmente dal greco Kàtharoi cioè puri, o più folcloristicamente dal
latino medioevale catus, gatto, un classico travestimento di Lucifero, al
quale gli eretici, durante i loro riti (secondo i loro detrattori),
baciavano le terga! Furono anche denominati pubblicani o pobliciani o
populiciani, in collegamento ad un'altra eresia medioevale dualista, il
paulicianesimo. Un ulteriore nome fu "bulgari", dal paese originario della
setta dei bogomili o "manichei" per un collegamento con l'eresia di Mani o
impropriamente "ariani" (o arriani) per una connessione con le tesi
cristologiche di Ario. Dal mestiere abitualmente svolti da molti dei
credenti furono anche chiamati tixerand, dal antico francese per tessitori,
mentre grande confusione fanno ancora alcuni autori anglosassoni, che si
ostinano a chiamarli patarini, confondendoli con il noto movimento
riformista, e non certo dualista, della Pataria del XI secolo.
Invece i c. chiamarono se stessi sempre e semplicemente boni homini o boni
christiani.


Nel 1167, essi tennero il loro concilio a Saint-Félix de Caraman (o de
Lauragais), vicino a Tolosa, al quale parteciparono il vescovo bogomila
Niceta (impropriamente definito il "papa cataro"), e i vescovi della Chiesa
di Francia, Robert d'Espernon e di Italia, Marco di Lombardia, oltre a
Siccardo Cellarerius di Albi e Bernard Catalanus di Carcassonne, in
rappresentanza delle altre realtà c. francesi. La presenza di Niceta servì
ad avvallare la tesi che il bogomilismo di tipo assoluto, tipico della
Chiesa di Dragovitza, in Bosnia, aveva influenzato in maniera decisiva la
dottrina c. se non fin dall'inizio, almeno da questo momento in avanti.
Inoltre, il movimento nella Francia meridionale fu ristrutturato in quattro
chiese: Agen, Tolosa, Albi e Carcassonne.


C) La reazione dei cattolici
Il periodo tra il 1178 ed il 1194 vide il fallimento di diversi tentativi di
avvicinamento tra cattolici e c. in Linguadoca, mentre nel 1194 divenne
conte di Tolosa, Raimondo VI (1194-1222), che era favorevole ai c. e sul cui
territorio poterono svilupparsi indisturbate le diocesi c. di Agen e Tolosa.
Tuttavia anche quelle di Albi e Carcassonne non correvano particolari
rischi, in quanto comunque in territorio amico, essendo sotto il controllo
del visconte Raimond-Roger Trencavel, nipote di Raimondo VI.
La svolta si ebbe nel 1198 con la salita al trono pontificio di Papa
Innocenzo III (1198-1216), ideatore di una vera e propria campagna contro i
c.
Dapprima egli inviò nel 1207-1208 famosi predicatori come (San) Domenico di
Guzman (n. 1170- m.1221) e Diego d'Azevedo, vescovo di Osma, per cercare di
convertire i c., ma i dibattiti pubblici, come già precedentemente quelli
del 1165, non approdarono ad alcun risultato, anzi i teologi c., come
Guilhabert de Castres, ne uscirono a testa alta.
Allora Innocenzo passò alle vie di fatto e bandì una crociata contro gli
albigesi, prendendo come pretesto l'assassinio (in realtà a sfondo politico
e non certo dogmatico), a Saint-Gilles nel 1208, del legato papale e monaco
cistercense Pietro di Castelnau, al quale forse non era estraneo lo stesso
Raimondo VI, scomunicato dal legato stesso nel 1207.
Alla Crociata parteciparono vari nobili della Francia settentrionale, come
il Duca di Borgogna ed il Conte di Nevers, ed avventurieri di pochi
scrupoli, attratti sia dall'indulgenza dai peccati, che, molto più
materialmente, dalle possibilità di saccheggio o addirittura di divenire
padroni delle città della Linguadoca. L'esercito crociato contava un totale
di 20.000 cavalieri e oltre 200.000 soldati e servi al seguito.
Il 22 luglio 1209 la prima città ad essere posta sotto assedio, Béziers fu
espugnata dai crociati, e il legato papale Arnaud Amaury, abate di Citeaux,
interrogato su come si potesse distinguere gli abitanti cattolici da quelli
c., pronunciò la famigerata e tremenda frase: "Uccideteli tutti, Dio saprà
riconoscere i suoi". Furono massacrate 20.000 persone e Amaury ricevette le
congratulazioni dal Papa in persona!
Stessa sorte toccò a Carcassonne, dove fu imprigionato e morì in carcere il
visconte Raimond-Roger di Trencavel.
Dal 1210 i crociati, con a capo Simon IV de Montfort, conquistarono una
impressionante serie di città o cittadine c. : Agen, Albi, Birou, Bram,
Cahusac, Cassés, Castres, Fanjeaux, Gaillac, Lavaur, Limoux, Lombez, Minerve
(qui 140 catari si gettarono spontaneamente nelle fiamme), Mirepoix,
Moissac, Montégut, Montferrand, Montrèal, Pamiers, Penne, Puivert, Saint
Antonin, Saint Marcel, Saverdun, Termes, furono tutte espugnate secondo un
crudele copione ben collaudato: seguivano mutilazione di nasi, occhi,
orecchie e ovviamente l'onnipresente rogo dove bruciare gli eretici.
Un episodio per tutti fu la conquista di Lavaur nel 1211 con il rogo di ben
400 c. e l'uccisione di Giraude di Lavaur, una nobile c., sorella del
comandante della guarnigione, molto timorata di Dio e amata da tutti i suoi
concittadini, anche cattolici. Giraude fu gettata in un pozzo e lapidata a
morte dai crociati.
Ogni signore locale di queste città lottò per la sua sopravvivenza, anche se
questa significava passare per faydit, colui che era eretico o proteggeva
gli eretici ed i suoi terreni venivano dati in ricompensa ai crociati.
Nel 1212 intervenne nella crociata, prendendo le difese dei tolosani, anche
il re d'Aragona, Pietro I (1177-1213), cognato di Raimondo, poiché molte
delle terre in questione almeno formalmente facevano parte del suo regno.
Fra gli Aragonesi ed i crociati la lite degenerò in guerra, ma all'assalto
di Muret, con i crociati, tanto per cambiare, nel ruolo di assediati, Pietro
fu ucciso.
Il boccone più difficile per i crociati si rivelò l'assedio della capitale
Tolosa del 1217-1218, dove Simon de Montfort venne ucciso da una pietra
lanciata da una donna. Prese allora il comando della crociata l'inetto
figlio di Simon, Amaury VI de Montfort, con scarso successo.
La situazione politica comunque stava già cambiando tutta a favore del re di
Francia, sia nel 1215, quando il futuro re di Francia Luigi VIII il Leone
(1223-1226) era intervenuto personalmente nelle operazioni militari, che nel
1224 quando lo stesso, diventato sovrano obbligò Amaury di fare dono di
tutte le terre conquistate alla corona di Francia.
Oltretutto l'incapacità di Amaury permise ai c. ed ai conti di Tolosa di
serrare le fila, prima della parte finale della guerra voluta da Papa Onorio
III (1216-1227) e condotta da Luigi VIII in persona, e, per questo,
denominata Crociata reale (1226-1228).
Alla fine nel 1229, Raimondo VII di Tolosa (1222-1249) spossato da una
guerra, che aveva totalmente stravolto il Mezzogiorno della Francia, accettò
una pace, mediata da Bianca di Castiglia, madre del nuovo re minorenne Luigi
IX (1226-1270), e ratificata con il trattato di Meaux. Raimondo conservò
parte delle sue terre, cedendo il resto alla Francia, dovette dichiarare la
sua fedeltà al re, ma soprattutto negare ogni appoggio ai boni homini.


D) La fine
A questo punto ai militari subentrarono gli inquisitori domenicani e
francescani, la cui attività era stata ufficializzata nel 1233 dal Papa
Gregorio IX (1227-1241) come Inquisitio heretice pravitatis.
Gli inquisitori, odiati dalla popolazione locale, imperversarono sul
territorio per circa 100 anni (1233-1325), in realtà facendo uccidere meno
persone di quanto si è portati a credere (solitamente solo i c. "perfetti",
che si rifiutavano di abiurare), ma utilizzando metodi di tortura e
pressione psicologica di una sottile efferatezza.
L'odio per gli inquisitori si concretizzò ad Avignonnet nel 1242, dove due
di essi (Arnauad Guilhelm de Montpellier e Étienne de Narbonne) e il loro
seguito furono massacrati.
Questo fu il pretesto per scatenare un ultimo colpo di grazia ai catari
asserragliati nella fortezza di Montségur il cui assedio nel 1243-1244 fu
l'atto finale della guerra contro i c.
Montségur era infatti diventata, dal 1232, l'ultimo baluardo della
resistenza c., voluta da Guilhabert de Castrés.
Nel maggio del 1243 la fortezza, difesa da Raimond de Péreille e dal
perfetto Bernard Marty, fu posta sotto assedio da parte delle truppe del
siniscalco di Carcassonne, Hugues de Arcis, ma solo nel marzo del 1244, gli
assedianti espugnarono la roccaforte. Immediatamente furono eretti i
tristemente noti roghi, sui quali Bernard Marty e 225 c. furono bruciati.


E) Il movimento in Italia
L'Italia settentrionale e centrale, assieme alla Francia meridionale, fu
l'area geografica dove si sviluppò maggiormente il c.: secondo l'ex cataro
Raniero Sacconi, erano circa 2.500 alla ½ del XIII secolo, anche se questo
dato si riferiva solo ai cosiddetti "perfetti". Si suppone quindi che il
movimento includendo credenti e simpatizzanti, fosse molto diffuso.
Il primo vescovo di tutti i c. italiani fu, come si è detto, Marco di
Lombardia e il suo successore fu Giovanni Giudeo, ma in seguito il movimento
si frazionò in sei chiese locali;
Chiesa di Desenzano (sul Lago di Garda) l'unica che praticava un dualismo di
tipo assoluto e i cui adepti si chiamavano albanensi, dal nome del primo
vescovo Albano. Altri vescovi degni di nota furono Belesinanza e soprattutto
il massimo teologo c. Giovanni di Lugio.
Chiesa di Concorrezzo (vicino a Monza), la maggiore in Italia e i cui membri
si chiamavano garattisti, dal nome del loro primo vescovo Garatto. Seguirono
Nazario e Desiderio, ma con l'abiura dell'ultimo vescovo, Daniele da
Giussano, la chiesa si estinse.
Chiesa di Bagnolo San Vito (vicino a Mantova), i cui fedeli venivano
chiamati bagnolensi o coloianni, dal nome in greco del loro primo vescovo
Giovanni il Bello. Si estinse con l'abiura degli ultimi due vescovi,
Albertino e Lorenzo da Brescia. A questa chiesa appartenne segretamente
anche Armanno Pungilupo, morto nel 1269 e proposto per la canonizzazione in
quanto ritenuto in vita persona di notevole rettitudine e santità e fatto
oggetto, dopo morto, di venerazione e pellegrinaggi. Purtroppo un'inchiesta,
voluta da Papa Bonifacio VIII rivelò che Pungilupo era, per l'appunto, un c.
e quindi fu condannato postumo.
Chiesa di Vicenza o della Marca di Treviso, fondata dal primo vescovo,
Nicola da Vicenza, seguito da Pietro Gallo, noto per la confutazione delle
sue dottrine da parte di S. Pietro Martire da Verona ,che, secondo una
leggenda, fu un cataro pentito, diventato poi un inquisitore domenicano.
Chiesa di Firenze, fondata da Pietro (Lombardo) di Firenze e di cui si
ricorda il famoso condottiero ghibellino Farinata degli Uberti, cantato
nell'Inferno di Dante.
Chiesa di Spoleto e Orvieto, fondata da Girardo di San Marzano e proseguita
da due donne, Milita di Marte Meato e Giuditta di Firenze. La chiesa si
estinse con l'abiura dell'ultimo vescovo, Geremia.
Le ultime cinque praticavano un dualismo di tipo moderato, di origine
bulgara (Concorrezzo) o dalla Sclavonia (le altre quattro).
Il c. in Italia seguì un destino diverso rispetto alle chiese sorelle in
Francia, e ciò era dovuto all'appoggio che spesso le fazioni ghibelline, in
chiave antipapale, accordavano loro. Il tutto perdurò fino alla battaglia di
Benevento del 1266, quando la sconfitta del partito ghibellino e
l'affermarsi di quello guelfo degli Angioini, fece mancare i potenti
appoggi, goduti dai c. fino a quel momento.
Iniziò il declino ed anche in Italia venne il momento della resa dei conti
finale: una "Montségur" locale, cioè l'espugnazione nel 1276 della rocca di
Sirmione, dove si erano asserragliati i vescovi delle chiese di Desenzano e
Bagnolo San Vito e numerosi perfetti italiani e occitani. Tutti furono
arrestati e portati a Verona, dove 174 perfetti furono bruciati sul rogo nel
1278.


F) Il revival cataro
Infine, verso la fine del XIII secolo, si ebbe in Francia un nuovo rifiorire
delle dottrine c., portate dai fratelli Guglielmo e Pietro Authier, da
Amelio de Perles e da Pradas Tavernier, che si erano formati presso i c.
lombardi ed erano quindi tornati per predicare in Francia: Pietro fu
catturato e bruciato nel 1310 per ordine del famoso inquisitore Bernardo
Gui.
Ufficialmente l'ultimo c. fu Guglielmo Belibasta, tradito dal c. rinnegato
Arnaldo Sicre e bruciato nel 1321 per ordine dell'inquisitore Jacques
Fournier, che sarebbe poi diventato Papa Benedetto XII (1334-1342).
Da quella data il c. cessò di esistere, almeno esteriormente, mentre
probabilmente proseguì in forma segreta e limitata a pochi adepti.


La dottrina
I c. erano dei dualisti cristiani, che accettavano il Nuovo Testamento, e in
questo si distinsero dai manichei, con i quali venivano spesso accomunati
dai cattolici. Essi credevano nell'esistenza di due principi contrapposti,
il Bene ed il Male, impersonificati rispettivamente dal Dio santo e giusto,
descritto nel Nuovo Testamento, e dal Dio nemico o Satana.
Come si è detto, il c. si divideva in due filoni: quello assoluto e quello
moderato.
Per i dualisti assoluti, i due Dei erano sempre esistiti in una eterna lotta
ed avevano creato i loro due mondi, quello dello spirito e contrapposto
quello imperfetto della materia, il mondo nel quale viviamo noi.
Per i dualisti moderati, Satana non era un dio, ma un angelo ribelle caduto,
che aveva comunque creato il mondo materiale.
Alcuni degli angeli (circa un terzo), cioè gli spiriti, furono lusingati ad
unirsi a Satana, che li intrappolò successivamente nei corpi umani,
impedendo loro di ritornare dal Dio giusto.
L'anelito continuo, quindi, dello spirito, dalla sua dolorosa prigionia nel
corpo dell'uomo, era quello di poter tornare un giorno da Dio Padre, cosa
che i c. cercavano di fare attraverso il Consolament, durante la loro vita,
perché altrimenti sarebbero stati costretti a subire una continua
metempsicosi (passaggio dello spirito da un corpo all'altro, anche animale),
fino a potersi riunire di nuovo con Dio.
La figura di Cristo, solo apparentemente, coincideva con la dottrina
cattolica. In realtà non era affatto così: i c. credevano che Cristo fosse
un angelo di Dio, chiamato Giovanni, secondo Belibasta, che era sceso sulla
terra sotto forma di puro spirito. Quindi anche i c. aderivano al concetto
docetista della mera apparenza della nascita, sofferenza e morte di Cristo
sulla terra.
Automaticamente venivano a cadere due simboli cristiani, legati alla vita
terrena di Cristo: la croce, che i c. negavano, se non odiavano, e la
transustanziazione, la trasformazione cioè, del pane e vino in corpo e
sangue di Cristo durante l'eucaristia, che i c. respingevano con orrore.


I riti e la liturgia
I c. rifiutarono la maggior parte dei riti e delle liturgie cristiane per
utilizzare le proprie, che erano:
Innanzitutto il Consolament, una forma di rito complesso con imposizione
delle mani, fatto ad adulti, che riuniva in sé il valore dei sacramenti
cristiani del battesimo, della comunione, della ordinazione e della estrema
unzione. Con questa cerimonia, il c. da semplice fedele diventava un
"perfetto". Molti credenti aspettavano di essere in fin di vita per chiedere
il Consolament e preferivano a quel punto lasciarsi morire per digiuno, per
non rischiare di essere esposti alle possibilità di peccato. Questa pratica
si chiamò endura e diventò popolare nel periodo del tardo c., quando la
scarsità di "perfetti" poteva rendere impossibile una seconda cerimonia di
Consolament, se fosse stata necessaria.
Il Melhorament, un'elaborata forma di saluto tra c.
L'Aparelhament, una confessione pubblica dei propri peccati.
La Caretas, un bacio rituale di pace.
La recita del Padre Nostro, in pratica, unica (eccetto alcune invocazioni
minori) preghiera accettata dal c., con alcune significative correzioni del
testo: il riferimento al "pane soprasostanziale" al posto del "pane
quotidiano", inteso non come cibo materiale ma come insegnamenti di Cristo,
e l'aggiunta in fondo alla preghiera della postilla "perché Tuo è il regno,
la potenza e la gloria nei secoli dei secoli. Amen". I perfetti avevano
l'obbligo di recitarlo più volte al giorno, solitamente in serie da sei
(sezena), da otto (sembla) o sedici (dobla).


Come vivevano e come erano organizzati
Dal punto di vista alimentare, i perfetti c. erano vegetariani, abolendo
dalla loro dieta carne, uova, latte e derivati, ma curiosamente non il pesce
e i crostacei, e praticavano spessissimo il digiuno a pane e acqua, nella
Quaresima, nell'Avvento, dopo la Pentecoste e tre giorni alla settimana o
come penitenza per peccati di lieve entità.
Non potevano mentire ed erano inoltre casti, condannando il matrimonio e
l'unione sessuale, che portava alla procreazione, come atto tipico del mondo
materiale creato da Satana e che perpetrava continuamente la catena delle
reincarnazioni, proprio quello che i c. cercavano di spezzare.
Infine essi erano tenuti al precetto di non uccidere, il che li mise spesso
in forte crisi quando si trattava di difendersi durante la crociate e le
successive campagne di persecuzioni dell'Inquisizione. Questi precetti,
tuttavia, non si applicarono ai semplici fedeli e simpatizzanti, che
poterono invece prendere le armi per difendere la propria causa.


Per quanto concerne l'organizzazione, il capo della comunità o della chiesa
assumeva il titolo di vescovo, secondo i cronisti cattolici dell'epoca,
mentre il perfetto, destinato a succedergli veniva denominato "figlio
maggiore" e quello destinato a succedere a sua volta "figlio minore". Pare
invece improprio il titolo di "papa" cataro, attribuito a Niceta.


I testi
A parte il Nuovo Testamento, i c. avevano prodotto una copiosa letteratura,
per la maggior parte andata distrutta durante le persecuzioni. Ci sono
giunti:
Il Liber de duobus principiis, scritto da Giovanni di Lugio, vescovo della
chiesa di Desenzano e maggiore teologo c.
La Interrogatio Iohannis, un apocrifo bogomilo portato in Italia da Nazario,
vescovo della chiesa di Concorrezzo, che si ispirava alla Genesi e agli
apocrifi della Bibbia.
Un altro apocrifo bogomilo, la Visione di Isaia, tradotto in provenzale da
Pietro Authier.
Varie versioni dei rituali c., sia quello utilizzato dai francesi,
denominato occitano, che quello usato dagli italiani, chiamato latino.
Gli atti del concilio di Saint Felix de Caraman, trascritti in un testo,
denominato Carta di Niceta, scritto tra il 1223 ed il 1226, di cui ci sono
giunte delle copie del XVII secolo.
-----
Alciati della Motta, Giovanni Paolo (ca.1515-1573)



Giovanni Paolo Alciati della Motta, medico e nobile piemontese (nacque a
Savigliano, in provincia di Cuneo, nel 1515 circa) e amico fraterno di
Giorgio Biandrata, fu tra i partecipanti nel 1550 al concilio di Venezia,
dove si riunirono i principali anabattisti e antitrinitariani italiani.
Probabilmente questa non fu la prima riunione riformata, alla quale A. aveva
partecipato, poiché si ipotizza la sua presenza ai Collegia Vicentina del
1546, le riunioni antitrinitarie, che la tradizione dice ispirate da Lelio
Sozzini.
Si racconta che A. avesse intrapreso, tra l'altro, la carriera militare, ma
che successivamente fosse fuggito esule in Svizzera, dapprima nel Cantone
Grigioni con Biandrata e Camillo Renato e dove mantenne un rapporto
epistolare con Aonio Paleario, ed in seguito a Ginevra.
Nonostante ricevesse la cittadinanza ginevrina nel 1555, A., assieme al
calabrese Giovanni Valentino Gentile e al Biandrata, entrò in viva polemica
nel 1558 con Calvino, contestando la sua autorità, soprattutto dopo la
condanna al rogo di Michele Serveto. La sua polemica contro il riformatore
ginevrino si approfondì nel dibattito teologico sulla Santa Trinità: con una
notevole irruenza (e mancanza di tatto) A. affermò che Calvino adorasse
nella Trinità tre demoni, peggiori degli idoli adorati dal Cattolicesimo!
Inoltre egli era convinto, diversamente dagli altri due riformati italiani
asserragliati su posizioni triteiste, che Gesù Cristo non fosse preesistito
alla nascita di Maria, come avrebbe precisato in una successiva lettera a
Gregor Pauli.
Calvino decise quindi di testare la "tenuta" ideologica della riottosa
comunità italiana in esilio a Ginevra, facendola convocare il 18 maggio
1558, alla sua presenza, davanti al concistoro della Chiesa italiana per
approvare la confessione di fede, redatta da Calvino stesso e dal pastore
Lattanzio Ragnoni (1509-1559).  Sette riformati italiani, tra cui A. (che si
lasciò andare alle solite violente intemperanze verbali), Biandrata e
Silvestro Teglio [un altro seguace di Biandrata e traduttore in latino del
principe di Niccolò Machiavelli (1469-1527)] non accettarono e furono
espulsi da Ginevra "per essersi sollevati contro la Santa Riformazione".
A. dapprima si rifugiò a Chiavenna, raggiungendo, assieme a Gentile, l'amico
Biandrata nel 1562 in Polonia, a Pinczòw, dove si stava formando un gruppo
di antitrinitari italiani, tra cui un altro suo amico, Prospero Provana.
Ma il gruppo venne poi disperso due anni dopo, nell'agosto 1564, in seguito
all'editto di Parczòw, emanato dal re Sigismondo II Iagellone, detto Augusto
(re di Polonia: 1548-1572), sotto la pressione del nunzio apostolico di
Cracovia, cardinale Giovanni Francesco Commendone (1523-1584).
A. riparò allora in Moravia, presso Niccolò Paruta, ad Austerlitz, dove
tornò dopo un viaggio in Transilvania per visitare Biandrata.
Infine, grazie al progressivo miglioramento della situazione degli
antitrinitariani in Polonia, egli poté ritornare dapprima a Cracovia ed
infine a Danzica, dove morì nel 1573.
-----
Elcasaiti (o Elcesaiti o Elkasaiti) (1/2 1°secolo)



La setta giudeo-cristiana degli elcasaiti, a carattere magico-astrologico,
sorse intorno all'anno 100 in Giordania e fu fondata da tale Elkesai (alcuni
autori propendono per la grafia Elchasaí o Elkessaîoi o Elkesaïtaí) di
origine persiana.
Gli E. avevano un loro libro sacro, il Libro di Elkesai, che, come mormoni
ante-litteram, essi credevano fosse stato consegnato ad Elkesai da un
angelo. Questo angelo era alto 154 chilometri e largo 27, si proclamava
Figlio di Dio ed era accompagnato da sua sorella (sic!), lo Spirito Santo.
Tutto ciò fu riportato da Alcibiade di Apamea (Siria), un elcasaita, che
diffuse la setta a Roma, portandovi il libro in questione durante il
pontificato di S. Callisto (217-222).
Essi credevano in un Dio creatore e avevano un concetto docetico della
persona di Gesù, cioè l'umanità e le sofferenze di Gesù Cristo erano più
apparenti che reali.
Inoltre essi rifiutavano gli scritti di San Paolo e vaste parti dell'Antico
Testamento ed erano convinti che il battesimo potesse essere praticato
svariate volte come rito purificatore.
La setta sopravvisse fino alla fine del IV° secolo.
Il famoso fondatore del manicheismo, il nobile persiano Mani fu
probabilmente in gioventù un elcasaita.
-----
Renato, Camillo (o Paolo Ricci o Lisia Fileno o Fileno Lunardi)
(ca.1500-1575)



La vita
Paolo Ricci, meglio conosciuto come Camillo Renato, nacque nel 1500 ca. in
Sicilia, probabilmente a Palermo, ma si hanno poche notizie sulla prima
parte della sua vita: si sa comunque che diventò frate minorita. Va
precisato inoltre che, a parte la regione d'origine ed una certa
misteriosità sulla prima parte della sua vita, R., contrariamente alle
convinzioni di alcuni autori, non ha nulla in comune con il corregionale
Giorgio Rioli (detto Giorgio Siculo).
In seguito R. frequentò i circoli evangelici di Juan de Valdès a Napoli e
visse a Venezia, mentre dalla fine degli anni '30 del XVI secolo egli pose
il suo campo d'azione nell'Emilia, nel triangolo compreso fra Bologna,
Modena e Ferrara. A Bologna, probabilmente sotto lo pseudonimo dello
studente di diritto Fileno Lunardi, R. poté approfondire i suoi studi del
pensiero di Erasmo da Rotterdam, insieme agli agostiniani Giulio Della
Rovere, Ortensio Lando e Ambrogio Cavalli, e all'umanista abruzzese Giovanni
Angelo Odoni. Abitò inoltre a Modena, dove l'Accademia del Grillenzoni fece
da centro di diffusione delle sue idee. R. infatti già iniziava ad esprimere
alcune sue tipiche idee radicali, come l'opposizione del culto dei santi e
della Madonna, e la negazione del valore dei sacramenti.
Inoltre, tra i primi in Italia ad interessarsi all'anabattismo e
all'antitrinitarismo, R. aveva letto i testi di Miguel Serveto e sembra che
avesse, intorno al 1550, convertito all'anabattismo il misterioso Tiziano,
pare un ex frate friulano e poi mercante ed uno dei più attivi propagatori
dell'anabattismo.
Quando finalmente si decise a convertirsi alla dottrina riformata (seppur
con una serie di importanti distinguo), R. decise di cambiare il proprio
nome in Camillo Renato, proprio per sottolineare la sua "rinascita".
Ma, con l'avanzare del suo radicalismo religioso, aumentarono anche i guai
giudiziari: nel 1540 a Modena, sotto lo pseudonimo di Lisia Fileno, aveva
dovuto fare una pubblica ritrattazione delle sue idee e nel 1542 R. fu
arrestato a Ferrara per eresia. Per sua fortuna, Renata di Francia
intercesse per farlo uscire da prigione: libero, R. prese immediatamente la
via dell'esilio per la Valtellina, insieme a Celio Secondo Curione.
In Valtellina, ai tempi parte del territorio elvetico del Cantone Grigioni,
R. divenne dapprima tutore dei figli di Raffaele Pallavicini a Caspano,
vicino a Morbegno, poi, nel 1545 fu maestro di scuola nella vicina Traona e
infine visse a Vicosoprano, in Val Bregaglia.
Nel 1546 fece un viaggio a Vicenza per partecipare ai Collegia Vicentina,
dove si riunirono i principali anabattisti e antitrinitariani veneti
dell'epoca.
Ritornato in Valtellina, nel 1547 R. si trasferì a Chiavenna, il centro più
importante per la Riforma nei cantoni svizzeri di lingua italiana, dove
conobbe Lelio Sozzini, ma qui, dopo un breve periodo iniziale di simpatia
reciproca, egli entrò in rotta di collisione con il pastore riformato
Agostino Mainardi, che, nell'esercizio delle sue funzioni, si sentì in
dovere di contestare le pericolose idee protocristiane e anabattiste, che R.
propagandava presso la popolazione delle vallate valtellinesi. Infatti nel
1548, come reazione all'avanzata delle idee troppo estremiste del pensatore
siciliano, Mainardi, eccessivamente rigoroso, cercò di obbligare tutti i
fedeli della Chiesa riformata di Chiavenna di giurare fedeltà ad una
Confessione di Fede, che egli si era fatto approvare dalle autorità
religiose di Coira, Zurigo e Basilea. L'azione gli alienò l'amicizia con
Francesco Negri da Bassano, con il quale aveva avuto dei buoni rapporti fino
a quel momento e che provocatoriamente si rifiutò di far battezzare il suo
neonato se prima Mainardi non avesse firmato una Confessione di Fede redatta
da Negri stesso, e con Francesco Stancaro, che accusò Mainardi di troppa
ortodossia, e troppo poco dialogo, in questa diatriba sorta sull'opportunità
dei sacramenti.
La lunga e amara controversia sulla Cena del Signore con Mainardi, ebbe un
amaro epilogo per R. (magnus haereticus, secondo Mainardi): essendosi
rifiutato di cessare di propagare le sue dottrine egli fu scomunicato il 6
luglio 1550.
Del resto, anche in una lettera scritta un mese dopo (il 3 agosto 1550) da
Altieri d'Aquila a Heinrich Bullinger (curiosamente anche lo stesso R. aveva
una vasta corrispondenza con il riformatore svizzero) l'ex diplomatico
definì R. anabaptistarum patronus, cioè protettore degli anabattisti.
A R. non rimase che ritirarsi in un punto non meglio precisato della
Valtellina, dopo aver polemicamente pubblicato un elenco di 125 errori,
scandali, contraddizioni vari di Mainardi dal 1545 in poi.
Di R. non si sentì più parlare eccetto che nel 1554, quando, indignato per
l'esecuzione sul rogo di Michele Serveto, R. scrisse a proposito un lungo
poema, De injusto Serveti incendio e lo inviò a Calvino in persona.
In vecchiaia, da una testimonianza del 1560, pare fosse diventato cieco e
morì nel 1575, sempre in Valtellina.


Il pensiero
Il punto essenziale del pensiero mistico spirituale di R., espresso nel suo
Trattato del Battesimo e della Santa Cena, scritta in italiano (cosa rara
all'epoca), era la vera rinascita spirituale del credente, che si sentiva
unito in spirito e carità con gli altri fedeli in un unico corpo mistico.
Il tutto rendeva per R. ovviamente superfluo ogni sacramento e
manifestazione esteriore e utilitaristica della religione cristiana. Da ciò
quindi derivava il principale motivo del contendere con Mainardi: l'idea di
considerare la Cena del Signore come una semplice memoria della morte di
Cristo e, similmente, il Battesimo come una mera affermazione della fede
individuale di ogni credente.
D'altra parte, questa poca importanza attribuita, o addirittura rifiuto del
Battesimo (vedi anche lo scritto Adversus baptismum del 1548) mette in serio
dubbio una supposta appartenenza di R. al movimento anabattista.
Inoltre per R., le anime, dopo la morte, non godevano subito della vita
ultraterrena, ma stavano in uno stato di sonno fino al giorno del Giudizio
Universale, un concetto che accosta curiosamente R. ad un papa medioevale
molto criticato: Giovanni XXII! Questi aveva infatti incautamente dichiarato
nel 1331 che le anime dei morti in grazia di Dio avrebbero goduto della
"visione beatifica" non subito dopo la morte, come affermava la tradizione,
ma solo alla resurrezione dei morti e che, nell'attesa, essi avrebbero
dormito godendo del conforto di Cristo "sotto l'altare". L'affermazione del
papa fu condannata dai teologi dell'Università di Parigi nel 1333.


I seguaci
R. influenzò diversi pensatori e riformati dell'epoca, di cui si possono
citare, a parte l'ebraista Francesco Stancaro, sopra menzionato: il
bolognese Ulisse Aldrovandi (1522-1605), coinvolto nel 1549-50 in un
processo per eresia, proprio come presunto seguace di R.; il pastore di
Casaccia (in Val Bregaglia, nell'attuale cantone Grigioni) e scrittore
Bartolomeo Silvio di Cremona; il medico Pietro Bresciani di Casalmaggiore.
-----
Hamilton, Patrick (ca. 1504-1528)



Patrick Hamilton, nato nel 1504 ca. da una antica famiglia scozzese, era
pronipote del re di Scozia, Giacomo II (1449-1460). Diventò un canonico
cattolico e fu nominato abate dell'abbazia premonstratense di Ferne (Fearn),
nelle Highlands scozzesi, ma studiando successivamente a Parigi con il noto
teologo John Major (Joannes Majoris) (1496-1550), a Marburg, ma soprattutto
a Wittenberg, dove conobbe Martin Lutero e Phillip Melantone, egli venne a
contatto con le idee riformiste e ne rimase profondamente influenzato.
Dopo il suo rientro in Scozia, H. iniziò la predicazione luterana, attirando
l'attenzione del cardinale e legato pontificio David Beaton (ca. 1494-1546),
arcivescovo di Saint Andrews, che nel gennaio 1528 lo invitò ad un dibattito
pubblico con il teologo Alexander Alesius (1500-1565) per confutare i suoi
convincimenti religiosi.
Non solo H. non cambiò idea, ma riuscì anche a convertire Alesius, il quale
diventò in seguito un famoso teologo luterano. Beaton, noto anche per la
condanna, qualche anno dopo, di un altro riformatore scozzese, George
Wishart, dopo un mese di apparente calma, fece arrestare H. in febbraio con
l'accusa di eresia.
H. fu condannato al rogo, a Saint Andrews, il 29 febbraio 1528: purtroppo la
fine non fu né rapida né misericordiosa. Infatti gli inquisitori scozzesi
non erano particolarmente esperti in roghi e aggiunsero troppe poche fascine
di legna (viene facile una macabra allusione alla proverbiale parsimonia
degli scozzesi!): il risultato fu che il fuoco si spense quando il
condannato era oramai gravemente ustionato ma ancora vivo! Finalmente un
nuovo fuoco fu acceso ed il povero H. poté rendere l'anima a Dio dopo ben
sei ore di agonia.


In memoria di H. e di altri quattro martiri della Riforma in Scozia [il già
menzionato George Wishart; l'hussita boemo Pavel Kravaø (anglicizzato in
Paul Craw), arso sul rogo nel 1433; il monaco benedettino Henry Forrest,
strozzato nel 1533 per aver difeso le idee di H.; l'ottantenne pastore
luterano Walter Myln, ultimo martire prima della Riforma in scozia e arso
sul rogo nel 1558], nel 1842 fu eretto nel parco cittadino della città di
St. Andrews un monumento, denominato appunto "dei martiri".
-----
Beghine e begardi (o bizocchi o pinzocheri o beghini) (dal XIII secolo)



Il fenomeno medioevale delle beghine vide, per la prima volta, le donne
prendere l'iniziativa in un importante movimento religioso.


L'etimologia
L'etimologia del nome beghina è oscura: l'ipotesi più probabile è che derivi
dalla parola fiamminga medioevale beghen, che significa pregare. Altri lo
collegano:
al francese begard (mendicare),
al sassone (e inglese) beg (chiedere l'elemosina),
a San Bega (o Begga), patrono di Nivelles, in Brabante (Belgio) dove fu
fondata una delle prime comunità,
al prete (o frate) fiammingo Lambert le Bègue (cioè il Balbuziente),
fondatore a Liegi nel 1170 di una comunità per vedove e orfani dei crociati,
a un supposto collegamento con gli (al)bigesi (o catari),
al colore beige del vestito portato dagli aderenti al movimento.


L'origine
Nel XII secolo, particolarmente in Francia, Germania e nei Paesi Bassi, vi
era un numero elevato di donne sole, di estrazione sociale medio-bassa, che
non potevano maritarsi per penuria di uomini decimati da crociate o guerre
locali e non venivano, d'altra parte, accettate dai pochi conventi femminili
esistenti all'epoca, più interessati a domande provenienti da fanciulle
ricche e nobili.
L'unica alternativa per queste donne era di vivere da sole nelle periferie
delle città, pregando e occupandosi di lavori manuali o di insegnamento.
Con l'andare del tempo molte di esse, chiamate beghine (vedi sopra per
l'etimologia), unirono le loro dimore, l'una vicino all'altra, e da questo
nacquero le prime comunità, denominate beghinaggi, il primo dei quali
comparve nel 1170 circa a Liegi (o forse a Nivelles) in Brabante (Belgio) su
iniziativa del prete Lambert le Bègue.
Le b. non erano delle suore, non prendevano infatti i voti e potevano
ritornare alla vita normale in qualsiasi momento: vivevano in castità e
spesso dedite alla carità, un po' come delle converse, cioè delle suore
laiche.
Inoltre non chiedevano l'elemosina (da cui si capisce che è errata
l'etimologia da beg o begard), ma mantenevano le loro proprietà originarie,
se ne avevano, oppure, se necessario, lavoravano, per esempio filando la
lana o tessendo.
La prima donna ad essere identificata come b. fu la mistica Maria di
Oignies, che influenzò il cardinale Jacques di Vitry (1160-1240), protettore
del movimento, di cui Vitry ottenne il riconoscimento, purtroppo solo a
parole, da Papa Onorio III (1216-1227) nel 1216.
Con l'andare del tempo i beginaggi divennero delle vere e proprie comunità,
orientate alla cura dei malati e all'aiuto di donne sole, non accettate dai
conventi.
Ci furono beginaggi, forti anche di migliaia di b. (come a Ghent), in tutte
le città e paesi del Belgio e dell'Olanda, dove, nonostante le vicissitudini
storiche (furono per esempio aboliti durante la Rivoluzione Francese),
esistono oggigiorno, dopo ben sette secoli, ancora 11 comunità in Belgio e 2
in Olanda.


I begardi
Ci fu anche una forma maschile di b., che ebbe minore diffusione rispetto
alla controparte femminile e fu denominata (con un connotato negativo in
senso eretico) begardi.
In Italia vennero denominati anche bizzocchi o pinzocheri o beghini e
condussero spesso una vita da predicatori erranti (molto diffusa nel
Medioevo) e furono molto impegnati nel denunciare il nicolaismo e la
corruzione del clero, propendendo per una vita apostolica e povera, come
quella di Gesù e dei primi Apostoli.
Su questi punti in comune si allearono spesso con i Francescani spirituali
nel combattere il comune nemico Papa Giovanni XXII (1316-1334), che contro
di loro scatenò il famoso (o meglio famigerato) inquisitore Bernardo Gui
(1261-1331).


La condanna
Benché le b. non dessero alcun segno di eresia (per i begardi il discorso è
più complesso), esse vennero dapprima condannate allo scioglimento delle
loro comunità dal IV Concilio Laterano (1215), ma successivamente accettate
verbalmente da Onorio III nel 1216 ed approvate da Papa Gregorio IX
(1227-1241) nella sua bolla Gloriam virginalem del 1233, il che non impedì,
tuttavia, il rogo della prima b. condannata come eretica, una tale Aleydis.
Nonostante l'approvazione papale, negli anni successivi seguì una raffica di
condanne, a loro carico, ai sinodi di Fritzlar (1259) e Mainz (1261),
concilio di Lione (1274), sinodi di Eichstätt (1282) e Béziers (1299), ed
infine al Concilio di Vienne (1311-12), dove vennero condannate come
eretiche, sebbene venisse precisato nel contempo che non c'era nulla di male
in comunità formate da donne penitenti anche senza che esse avessero preso i
voti.
Nel 1310 fu bruciata sul rogo Marguerite La Porète, una b. con simpatie
verso i Fratelli del Libero Spirito ed autrice del libro Le miroir des
simples âmes (lo specchio delle anime semplici), attribuito per anni a Santa
Margherita d'Ungheria.
Il solito Giovanni XXII perseguitò con furore beghine e begardi, come si è
detto, mediante Bernardo Gui, benché il Papa stesso cercasse di distinguere
tra forme eretiche e forme ortodosse del movimento.
Pur tuttavia, l'elenco dei processi e relativi roghi di b. durante questo
periodo, soprattutto in Francia meridionale, è impressionante: a Marsiglia
(il beghino Pierre Trancavel e sua figlia Andreina), Narbona, Carcassonne,
Béziers e Tolosa si giustiziarono senza pietà i b.
Alcuni episodi denotarono l'accanimento degli inquisitori, come a Lodève,
dove fu bruciata la b. Esclarmonda Durban, e, quando il fratello cercò di
raccoglierne le reliquie, fu giustiziato anche lui. O a Mirepoix, dove si
dovettero costruire delle nuove carceri tanti che erano gli "eretici" (b.,
spirituali, catari) in attesa di essere interrogati dall'Inquisizione. O nel
1325 a Carcassonne dove 82 b. vennero processati semplicemente per
manifestazioni di devozione sulla tomba del capo degli spirituali francesi,
Pietro di Giovanni Olivi.


La dottrina
La stragrande maggioranza delle b. e dei begardi era cattolica ortodossa, e
tutt'altro che eretica, tuttavia fu la vicinanza e la frequentazione dei
Francescani spirituali e dei Fratelli del libero spirito (delle cui dottrine
venne accusata Margherita la Porète), che permise agli inquirenti di fare di
tutte le erbe un fascio e processare anche gli aderenti al movimento b.,
soprattutto i begardi.
Giovanni XXII cercò di distinguere in b. buoni e cattivi, tracciando una
linea immaginaria tra i "cattivi", che stavano in Italia e in Francia
meridionale (Provenza e Linguadoca) e i "buoni" che stavano in Germania,
Paesi Bassi e Francia settentrionale, ma questa classificazione era alquanto
semplicistica.
Oltretutto, durante il periodo di persecuzioni, era sufficiente che il b., a
cui venisse ordinato di ritirarsi in clausura in un ordine religioso
"approvato", si opponesse alla questa decisione per essere automaticamente
considerato eretico.
Infine il linguaggio, volutamente provocatorio, di alcuni scritti, come
quelli di Margherita la Porète fu strumentalmente interpretato dagli
inquisitori come dichiarazioni di antinomismo.
-----
Algerio (o Algeri), Pomponio (1531-1556)



Pomponio Algerio (o Algeri) nacque a Nola nel 1531 e studiò all'Università
di Padova diritto civile con il professor Matteo Gribaldi Mofa: ma, a causa
della fuga di quest'ultimo a Ginevra nel 1552, l'Inquisizione mise sotto
indagine i suoi allievi per sospette simpatie protestanti.
In particolare A. fu arrestato nel maggio 1555 e interrogato ripetutamente
per accertare l'ortodossia della sua fede. Pur non citando direttamente
Lutero e Calvino, egli fece comunque riferimento alla loro dottrina (sola
fide, negazione del culto dei santi e del purgatorio, della
transustanziazione durante l'Eucaristia, dell'autorità della chiesa di
Roma).
I giudici di Padova non vollero condannare immediatamente il giovane, ma lo
tennero in carcere con la speranza di farlo abiurare, tuttavia egli rimase
saldo nella sua fede e ciò venne testimoniato da una lettera che egli riuscì
a far pervenire, il 21 luglio 1555, dal carcere ai suoi confratelli.
L'Inquisizione romana tuttavia riuscì nel suo intento di fare estradare l'A.
a Roma, dove dal aprile al giugno 1556, si concluse il suo processo con un
terribile epilogo finale: la condanna ad essere bruciato vivo a fuoco lento
in una caldaia piena di olio, pece e trementina.
La relativa sentenza venne eseguita in Piazza Navona il 19 agosto dello
stesso anno.
-----
Algerio (o Algeri), Pomponio (1531-1556)



Pomponio Algerio (o Algeri) nacque a Nola nel 1531 e studiò all'Università
di Padova diritto civile con il professor Matteo Gribaldi Mofa: ma, a causa
della fuga di quest'ultimo a Ginevra nel 1552, l'Inquisizione mise sotto
indagine i suoi allievi per sospette simpatie protestanti.
In particolare A. fu arrestato nel maggio 1555 e interrogato ripetutamente
per accertare l'ortodossia della sua fede. Pur non citando direttamente
Lutero e Calvino, egli fece comunque riferimento alla loro dottrina (sola
fide, negazione del culto dei santi e del purgatorio, della
transustanziazione durante l'Eucaristia, dell'autorità della chiesa di
Roma).
I giudici di Padova non vollero condannare immediatamente il giovane, ma lo
tennero in carcere con la speranza di farlo abiurare, tuttavia egli rimase
saldo nella sua fede e ciò venne testimoniato da una lettera che egli riuscì
a far pervenire, il 21 luglio 1555, dal carcere ai suoi confratelli.
L'Inquisizione romana tuttavia riuscì nel suo intento di fare estradare l'A.
a Roma, dove dal aprile al giugno 1556, si concluse il suo processo con un
terribile epilogo finale: la condanna ad essere bruciato vivo a fuoco lento
in una caldaia piena di olio, pece e trementina.
La relativa sentenza venne eseguita in Piazza Navona il 19 agosto dello
stesso anno.
-----
Amaury (Amalrico) di Bène (o Bennes) (m. ca. 1207) e amalriciani



La vita ed il movimento amalriciano
Amaury di Bène, filosofo e teologo francese, insegnò all'Università di
Parigi alla fine del XII secolo. Si sa molto poco della sua vita, se non che
nel 1205, A. fu scomunicato da Papa Innocenzo III (1198-1216) e costretto ad

una pubblica abiura per le sue idee eterodosse.
Tuttavia, solo dopo la morte (forse per avvelenamento) di A. nel 1207 ca.,
le idee dei suoi seguaci, detti amalriciani, vennero perseguitate più
sistematicamente da parte della Chiesa. Alcuni autori tendono a far
coincidere questo gruppo di eretici con un movimento di più vaste
proporzioni, denominato Fratelli del Libero Spirito, fondato nella seconda
metà del XII secolo e che prendeva ispirazione dagli scritti di Gioacchino
da Fiore. Gli amalriciani e i Fratelli del Libero Spirito probabilmente
influenzarono, a loro volta, il movimento dei Begardi e delle Beghine.
I fondatori del movimento amalriciano erano A. stesso e un certo Guglielmo
Alifax. Quest'ultimo fu arrestato nel 1210 assieme a 13 altri prelati, in
seguito alla denuncia di una spia, tale Mastro Rodolfo, mandata dal vescovo
di Parigi, Odo Sully (noto, fra l'altro, per aver proibito il gioco degli
scacchi al clero nel 1208). I sospettati furono processati durante un sinodo
a Parigi, durante il quale 3 di essi abiurarono, mentre gli altri, compreso
Guglielmo, furono bruciati sul rogo.
Stessa fine fecero gli scritti di A., mentre la sua salma fu riesumata e i
resti vennero dispersi.
Nel 1215 al IV Concilio Lateranense, le teorie degli amalriciani furono
definitivamente condannate come eretiche.


La dottrina
A., come anche Davide di Dinant, insegnava un credo di tipo panteistico e
neoplatonico, che prendeva ispirazione direttamente da Giovanni Scoto
Eriugena: in particolare essi credevano che Dio fosse compreso in tutte le
cose: Egli era, cioè, l'essenza di tutto ciò che esisteva.
Nel 1225  al Concilio di Sens, convocato da Papa Onorio III (1216-1227),
l'ennesima condanna degli amalriciani coinvolse gli scritti di Scoto
Eriugena: in particolare il suo libro, il De divisione naturae fu bruciato e
Scoto stesso condannato postumo, ben 300 anni dopo la sua morte.
Gli amalriciani mischiarono poi le teorie di Gioacchino da Fiore con quelle
del loro caposcuola, proclamando che l'era dello Spirito Santo, profetizzata
dal mistico calabrese, era già iniziata e che quindi, poiché Dio era
compreso in ogni cosa, una volta raggiunta la conoscenza di Dio e diventati
un tutt'uno con Lui, non era più possibile peccare.
Conseguentemente non era neanche necessario seguire precetti morali o
ecclesiastici di qualsiasi tipo. Fu facile, quindi, ai loro avversari
cattolici di accusare gli amalriciani di perversioni sessuali sfrenate e
crimini di ogni genere, sicuri che esistesse più neppure il concetto di
peccato.
-----
Amaury (Amalrico) di Bène (o Bennes) (m. ca. 1207) e amalriciani



La vita ed il movimento amalriciano
Amaury di Bène, filosofo e teologo francese, insegnò all'Università di
Parigi alla fine del XII secolo. Si sa molto poco della sua vita, se non che
nel 1205, A. fu scomunicato da Papa Innocenzo III (1198-1216) e costretto ad
una pubblica abiura per le sue idee eterodosse.
Tuttavia, solo dopo la morte (forse per avvelenamento) di A. nel 1207 ca.,
le idee dei suoi seguaci, detti amalriciani, vennero perseguitate più
sistematicamente da parte della Chiesa. Alcuni autori tendono a far
coincidere questo gruppo di eretici con un movimento di più vaste
proporzioni, denominato Fratelli del Libero Spirito, fondato nella seconda
metà del XII secolo e che prendeva ispirazione dagli scritti di Gioacchino
da Fiore. Gli amalriciani e i Fratelli del Libero Spirito probabilmente
influenzarono, a loro volta, il movimento dei Begardi e delle Beghine.
I fondatori del movimento amalriciano erano A. stesso e un certo Guglielmo
Alifax. Quest'ultimo fu arrestato nel 1210 assieme a 13 altri prelati, in
seguito alla denuncia di una spia, tale Mastro Rodolfo, mandata dal vescovo
di Parigi, Odo Sully (noto, fra l'altro, per aver proibito il gioco degli
scacchi al clero nel 1208). I sospettati furono processati durante un sinodo
a Parigi, durante il quale 3 di essi abiurarono, mentre gli altri, compreso
Guglielmo, furono bruciati sul rogo.
Stessa fine fecero gli scritti di A., mentre la sua salma fu riesumata e i
resti vennero dispersi.
Nel 1215 al IV Concilio Lateranense, le teorie degli amalriciani furono
definitivamente condannate come eretiche.


La dottrina
A., come anche Davide di Dinant, insegnava un credo di tipo panteistico e
neoplatonico, che prendeva ispirazione direttamente da Giovanni Scoto
Eriugena: in particolare essi credevano che Dio fosse compreso in tutte le
cose: Egli era, cioè, l'essenza di tutto ciò che esisteva.
Nel 1225  al Concilio di Sens, convocato da Papa Onorio III (1216-1227),
l'ennesima condanna degli amalriciani coinvolse gli scritti di Scoto
Eriugena: in particolare il suo libro, il De divisione naturae fu bruciato e
Scoto stesso condannato postumo, ben 300 anni dopo la sua morte.
Gli amalriciani mischiarono poi le teorie di Gioacchino da Fiore con quelle
del loro caposcuola, proclamando che l'era dello Spirito Santo, profetizzata
dal mistico calabrese, era già iniziata e che quindi, poiché Dio era
compreso in ogni cosa, una volta raggiunta la conoscenza di Dio e diventati
un tutt'uno con Lui, non era più possibile peccare.
Conseguentemente non era neanche necessario seguire precetti morali o
ecclesiastici di qualsiasi tipo. Fu facile, quindi, ai loro avversari
cattolici di accusare gli amalriciani di perversioni sessuali sfrenate e
crimini di ogni genere, sicuri che esistesse più neppure il concetto di
peccato.
-----
Altieri d'Aquila, Baldassarre (ca. 1500-ca. 1550)



Baldassarre Altieri d'Aquila, nato, per l'appunto, all'Aquila nel 1500
circa, ricoprì, negli anni '40 del XVI secolo, il ruolo di segretario
dell'ambasciatore inglese a Venezia sir Edmond Harwel.
Dopo essersi convertito alla Riforma, il 26 novembre 1542 A. decise di
scrivere una lettera a Martin Lutero, a nome dei fratelli di Venezia,
Treviso e Vicenza per informare il riformatore tedesco sulla diffusione
della Riforma in Italia e delle difficoltà organizzative dei primi gruppi
evangelici, e per chiedere un intervento dei principi protestanti della Lega
di Smalcalda presso il senato della Serenissima a favore dei prigionieri
veneziani detenuti per motivi religiosi, soprattutto Baldo Lupetino.
Questa fu comunque solo la prima di una lunga serie di lettere inviate
dall'attivo aquilano a famosi personaggi del mondo della Riforma, come
Martin Butzer e Johann Heinrich Bullinger, a favore dei confratelli
perseguitati in Italia. Per esempio, poco dopo la lettera a Lutero, A. inviò
una lettera di ringraziamento alle autorità di Ginevra per aver accolto gli
esuli religiosi italiani.
Per quanto riguarda la sua corrispondenza con Lutero, nonostante una lettera
di incoraggiamento di quest'ultimo, A. dovette sollecitarlo nuovamente a
influenzare un intervento diplomatico a favore di Lupetino e degli altri
reclusi. Questa volta Lutero gli rispose, comunicando di aver incaricato
Mattia Flacio Illirico di tentare di salvare Lupetino, zio materno dello
stesso Flacio.
Nell'estate 1543 Flacio si mosse da Wittenberg per venire in soccorso dello
zio, munito di un appello alla clemenza (per Baldo Lupetino, uomo dotato di
singolare pietà e dottrina), indirizzato al doge Pietro Lando (1539-1545),
da parte del principe elettore di Sassonia, Giovanni Federico (1532-1547) e
dei principi luterani della Lega Smalcaldica. Tuttavia gli sforzi di Flacio
per liberare Lupetino furono inutili: nell'agosto 1543 il riformatore
istriano fu multato di cinquecento ducati e condannato all'ergastolo e, dopo
quasi 14 anni di detenzione, il 17 settembre 1556, fu condannato a morte per
annegamento dal governo delle Serenissima.
Gli sforzi di A. furono comunque apprezzate da parte di Giovanni Federico di
Sassonia e del langravio Filippo d'Assia (1504-1567), che lo presero al loro
servizio, e nella dieta di Spira (febbraio 1544) egli fu ufficialmente
nominato rappresentante dei principi protestanti.
Tuttavia, dopo la sconfitta dei protestanti della lega Smalcaldica nella
battaglia di Muhlberg il 24 aprile 1547, A. ritenne saggio emigrare in
Valtellina, dove conobbe il pastore Agostino Mainardi: questi gli diede una
lettera di presentazione per il governo della città di Zurigo, dal quale
governo A. nel 1548 tentò inutilmente di farsi nominare ambasciatore della
città stessa presso la repubblica di Venezia.
Con un simile esito negativo fu il suo tentativo, attraverso
l'intermediazione di Pietro Carnesecchi, di entrare al servizio di Cosimo I
de Medici (duca di Firenze: 1537-1569 e granduca di Toscana: 1569-1574).
A. morì a Bergamo (o, secondo altri, a Ferrara) nel o dopo l'agosto del
1550, ma alcuni fonti affermano che egli finì i suoi giorni invece nelle
carceri dell'Inquisizione nel 1548, fatto improbabile in quanto una sua
lettera a Bullinger del 3 agosto 1550 (nella quale, tra l'altro, definì
Camillo Renato anabaptistarum patronus, cioè protettore degli anabattisti),
sposta, come minimo, la data della sua morte dopo l'agosto 1550.
-----
Illuminati (Alumbrados) (XVI secolo)



Per illuminati si intendono entusiasti religiosi, anche molto diversi tra
loro, che affermano di comunicare ad un più alto livello spirituale, cioè
direttamente con Dio.
Questo termine è ricorso almeno cinque volte nella storia del pensiero umano
in riferimento a:
Il gruppo spagnolo degli Alumbrados, di cui qui si tratta.
I Rosacroce (XVII secolo).
Un movimento francese, presente nel sud del paese a partire dal 1722, affine
a quello dei profeti francesi ugonotti.
Una società segreta pseudo-massonica, di ispirazione utopistica e
rivoluzionaria, fondata nel 1778 dall'ex gesuita e professore di diritto
canonico all'università di Ingolstadt, Adam Weishaupt. La setta ebbe un
notevole successo all'epoca (vi aderì anche Goethe), ma fu sciolta, sotto
l'accusa di ordire un complotto eversivo, per ordine del governo bavarese
nel 1785.
Un altro nome degli aderenti alla corrente mistica massonica dei Martinisti,
fondata dal nobile Louis Claude de Saint Martin (1743-1803) come variante di
una precedente società massonica, istituita da Jacques de la Case Martinez
de Pasqually (n.1727), le cui idee vanno sotto il nome di martinesismo.


Gli Alumbrados
Intorno al 1492, si manifestò in Spagna un gruppo spontaneo, di probabile
origine gnostica, denominato degli Alumbrados (illuminati in spagnolo), che,
secondo alcuni autori, si era formato da non meglio precisate influenze
provenienti dall'Italia. Secondo una leggenda, il gruppo era stato formato,
all'inizio del XIV secolo, da templari in fuga dalle persecuzioni del re
francese Filippo il Bello (1285-1314).
Il movimento era formato da uomini, ma soprattutto da donne, che mostravano
la loro "illuminazione dello Spirito Santo" mediante fenomeni di trance,
estasi, visioni mistiche e levitazioni ed era intriso di un forte
antinomismo: le leggi del Cristianesimo non erano più valide per chi aveva
ottenuto il perfetto stato di grazia attraverso le illuminazioni.
Un movimento quindi molto pericoloso sorto nel momento sbagliato in un
paese, la Spagna, ancora alla ricerca di una sua stabilità nazionale, dopo
la conquista del regno di Granada nel 1492. Infatti la successiva espulsione
o conversione forzata degli arabi e la vasta popolazione ebrea, sempre
accusata di pratiche cripto-giudaiche, anche dopo la sua conversione al
Cristianesimo, anche essa obbligata, pena l'esilio, creavano uno stato
permanente di tensioni ed allarmismi esagerati nei confronti di qualsiasi
fenomeno eterodosso.
Il primo leader riconosciuto del gruppo fu una donna di Salamanca, nota come
La Beata de Piedrahita, la quale affermava di colloquiare direttamente con
Dio e la Madonna, e per questo nel 1511 fu messo sotto inchiesta da parte
dell'Inquisizione spagnola, ma non fu condannata, pare, grazie alle
protezioni in alto loco.
Anche i futuri santi Giovanni d'Avila (1500-1569) e Ignazio da Loyola (ca.
1491-1556), quest'ultimo durante i suoi studi nel 1527 all'università di
Salamanca, furono ammoniti per le loro simpatie verso gli a.
Il caso più noto fu quello del 1529 a Toledo, dove un gruppo di aderenti,
con a capo una tale Isabel de la Cruz, fu condannato alla fustigazione e
alla prigione ed in seguito molte persone in Spagna, soprattutto a Cordoba,
vennero giustiziate con l'accusa (spesso generica) di essere degli aderenti
al movimento. Per esempio, nel 1546 venne processata a Cordoba una suora
dell'ordine delle Povere Clarisse, di nome Magdalena de la Cruz, che se la
cavò dall'accusa di eresia con una solenne e pubblica abiura.
Un altro predicatore a. fu Pedro Ruiz de Alcaraz, che esponendo le sue
dottrine ad Escalona, nel palazzo del marchese di Villena, influenzò in
maniera decisiva il pensiero di un giovane Juan de Valdés.
Tuttavia, nonostante l'azione spietata dell'Inquisizione, il movimento non
fu totalmente estirpato e in seguito alcune sue idee confluirono nel
pensiero quietista sviluppato nel 1675 da Miguel de Molinos.
Il movimento ebbe anche un'effimera vita in Francia, soprattutto dal 1623 in
Piccardia, dove si fuse nel 1634 con il gruppo dei Guérinets del curato di
Saint-George de Roye, Pierce Guérin, ma l'avventura terminò con la
soppressione ordinata nel 1635.
-----
Cocceius (Coch o Koch o Koken), Johannes (1603-1669)



La vita
Il teologo calvinista Johannes Cocceius (nome umanistico di Johannes Coch o
Koch o Koken) nacque il 9 agosto (o forse il 30 luglio) 1603 a Brema, in
Germania. Il padre, Timann Coch, era segretario comunale e allevò il figlio
in un clima severo tipico da famiglia riformata (Brema era una delle poche
città tedesche non a maggioranza luterana).
C. venne avviato allo studio della teologia, ma mostrò anche una notevole
attitudine per le lingue, imparando il greco, l'ebraico, il caldeo e l'arabo
(per esercitarsi su quest'ultima lingua, C. lesse tutto il Corano).
Nel 1625 C. si recò ad Amburgo per approfondire i suoi studi di greco e di
dottrina rabbinica, ma nel 1629, disgustato della vita licenziosa degli
universitari tedeschi, decise di andare in Olanda, all'università di
Franeker, per studiare con il teologo calvinista inglese William Ames
(1576-1633) e con l'orientalista Sixtinus Amana, che lo esortò a pubblicare
studi sul Talmud.
L'anno successivo (1630) C. divenne professore di filologia biblica al
Gymnasium illustre di Brema, dove insegnò per sei anni, ma nel 1636 egli
ritornò a Franeker, per accettare l'incarico di docente di lingua ebraica e,
grazie ai suoi commentari sulla figura dell'Anticristo e sulla lettera di
San Paolo agli Efesini, di teologia dal 1643 al 1650.
C. è noto in questo periodo per la feroce polemica sviluppata con il teologo
calvinista ortodosso Gisbertus Voetius, non solo perché C. aveva preso le
difese del famosissimo Cartesio (René Descartes, 1596-1650), residente in
Olanda dal 1629 e difensore della tolleranza religiosa e dei diritti
dell'uomo, ma soprattutto perché aveva osato criticare Voetius e i suoi
seguaci di essere troppo scolastici.
La polemica tra Voetius e C. continuò per tutta la loro vita, influenzando
pesantemente la vita accademica olandese dell'epoca: si arrivò a tal punto
che nei vari atenei il numero di voetiani e di cocceiani veniva
rigorosamente mantenuto uguale pur di non favorire nessuna fazione.
Nel 1650, dopo la morte del titolare Friedrich  Spanheim (1600-1649), C.
accettò il ruolo di professore di teologia all'università di Leida e
mantenne questa posizione fino alla morte avvenuta il 14 novembre 1669 per
un attacco febbrile.


Il pensiero
Il punto centrale del pensiero di C., espresso nelle opere Summa doctrinae
de Foedere et Testamento Dei (1648) e Summa teologiae ex sacris Scripturis
repetita (1662), era il Patto biblico della Legge stipulato tra Dio e l'uomo
prima della Caduta.
Esso fu sostituito in seguito con il Patto della Grazia, per onorare il
quale era necessaria la Venuta di Cristo ed infatti, il Vecchio Testamento
era pieno, secondo C., di riferimenti a Cristo.
Inoltre, dall'alto della sua immensa cultura biblica, C. aveva scritto
un'esegesi biblica, più personale e pratica delle interminabili
elucubrazioni mentali dei teologi "sistematici" della scuola di Voetius, e
che tenesse conto del vero (secondo lui) significato del testo sacro. Le
Sacre Scritture infatti venivano man mano elaborate dai vari sconosciuti
redattori di allora per i popoli loro contemporanei sulla base del loro
livello di comprensione del messaggio divino (una sorta di rivelazione
progressiva).
Tuttavia nella disamina di C. il messaggio del Nuovo Testamento diventava
decisamente diverso dal Vecchio Testamento ed alcune cose del Vecchio, come
ad esempio l'osservanza del giorno di riposo (Sabbath), non erano
considerate più valide e proprio quest'ultima osservazione fu il casus belli
per lo scatenamento della polemica con Voetius.
-----
Amaury (Amalrico) di Bène (o Bennes) (m. ca. 1207) e amalriciani



La vita ed il movimento amalriciano
Amaury di Bène, filosofo e teologo francese, insegnò all'Università di
Parigi alla fine del XII secolo. Si sa molto poco della sua vita, se non che
nel 1205, A. fu scomunicato da Papa Innocenzo III (1198-1216) e costretto ad
una pubblica abiura per le sue idee eterodosse.
Tuttavia, solo dopo la morte (forse per avvelenamento) di A. nel 1207 ca.,
le idee dei suoi seguaci, detti amalriciani, vennero perseguitate più
sistematicamente da parte della Chiesa. Alcuni autori tendono a far
coincidere questo gruppo di eretici con un movimento di più vaste
proporzioni, denominato Fratelli del Libero Spirito, fondato nella seconda
metà del XII secolo e che prendeva ispirazione dagli scritti di Gioacchino
da Fiore. Gli amalriciani e i Fratelli del Libero Spirito probabilmente
influenzarono, a loro volta, il movimento dei Begardi e delle Beghine.
I fondatori del movimento amalriciano erano A. stesso e un certo Guglielmo
Alifax. Quest'ultimo fu arrestato nel 1210 assieme a 13 altri prelati, in
seguito alla denuncia di una spia, tale Mastro Rodolfo, mandata dal vescovo
di Parigi, Odo Sully (noto, fra l'altro, per aver proibito il gioco degli
scacchi al clero nel 1208). I sospettati furono processati durante un sinodo
a Parigi, durante il quale 3 di essi abiurarono, mentre gli altri, compreso
Guglielmo, furono bruciati sul rogo.
Stessa fine fecero gli scritti di A., mentre la sua salma fu riesumata e i
resti vennero dispersi.
Nel 1215 al IV Concilio Lateranense, le teorie degli amalriciani furono
definitivamente condannate come eretiche.


La dottrina
A., come anche Davide di Dinant, insegnava un credo di tipo panteistico e
neoplatonico, che prendeva ispirazione direttamente da Giovanni Scoto
Eriugena: in particolare essi credevano che Dio fosse compreso in tutte le
cose: Egli era, cioè, l'essenza di tutto ciò che esisteva.
Nel 1225  al Concilio di Sens, convocato da Papa Onorio III (1216-1227),
l'ennesima condanna degli amalriciani coinvolse gli scritti di Scoto
Eriugena: in particolare il suo libro, il De divisione naturae fu bruciato e
Scoto stesso condannato postumo, ben 300 anni dopo la sua morte.
Gli amalriciani mischiarono poi le teorie di Gioacchino da Fiore con quelle
del loro caposcuola, proclamando che l'era dello Spirito Santo, profetizzata
dal mistico calabrese, era già iniziata e che quindi, poiché Dio era
compreso in ogni cosa, una volta raggiunta la conoscenza di Dio e diventati
un tutt'uno con Lui, non era più possibile peccare.
Conseguentemente non era neanche necessario seguire precetti morali o
ecclesiastici di qualsiasi tipo. Fu facile, quindi, ai loro avversari
cattolici di accusare gli amalriciani di perversioni sessuali sfrenate e
crimini di ogni genere, sicuri che esistesse più neppure il concetto di
peccato.
-----
Amaury (Amalrico) di Bène (o Bennes) (m. ca. 1207) e amalriciani



La vita ed il movimento amalriciano
Amaury di Bène, filosofo e teologo francese, insegnò all'Università di
Parigi alla fine del XII secolo. Si sa molto poco della sua vita, se non che
nel 1205, A. fu scomunicato da Papa Innocenzo III (1198-1216) e costretto ad
una pubblica abiura per le sue idee eterodosse.
Tuttavia, solo dopo la morte (forse per avvelenamento) di A. nel 1207 ca.,
le idee dei suoi seguaci, detti amalriciani, vennero perseguitate più
sistematicamente da parte della Chiesa. Alcuni autori tendono a far
coincidere questo gruppo di eretici con un movimento di più vaste
proporzioni, denominato Fratelli del Libero Spirito, fondato nella seconda
metà del XII secolo e che prendeva ispirazione dagli scritti di Gioacchino
da Fiore. Gli amalriciani e i Fratelli del Libero Spirito probabilmente
influenzarono, a loro volta, il movimento dei Begardi e delle Beghine.
I fondatori del movimento amalriciano erano A. stesso e un certo Guglielmo
Alifax. Quest'ultimo fu arrestato nel 1210 assieme a 13 altri prelati, in
seguito alla denuncia di una spia, tale Mastro Rodolfo, mandata dal vescovo
di Parigi, Odo Sully (noto, fra l'altro, per aver proibito il gioco degli
scacchi al clero nel 1208). I sospettati furono processati durante un sinodo
a Parigi, durante il quale 3 di essi abiurarono, mentre gli altri, compreso
Guglielmo, furono bruciati sul rogo.
Stessa fine fecero gli scritti di A., mentre la sua salma fu riesumata e i
resti vennero dispersi.
Nel 1215 al IV Concilio Lateranense, le teorie degli amalriciani furono
definitivamente condannate come eretiche.


La dottrina
A., come anche Davide di Dinant, insegnava un credo di tipo panteistico e
neoplatonico, che prendeva ispirazione direttamente da Giovanni Scoto
Eriugena: in particolare essi credevano che Dio fosse compreso in tutte le
cose: Egli era, cioè, l'essenza di tutto ciò che esisteva.
Nel 1225  al Concilio di Sens, convocato da Papa Onorio III (1216-1227),
l'ennesima condanna degli amalriciani coinvolse gli scritti di Scoto
Eriugena: in particolare il suo libro, il De divisione naturae fu bruciato e
Scoto stesso condannato postumo, ben 300 anni dopo la sua morte.
Gli amalriciani mischiarono poi le teorie di Gioacchino da Fiore con quelle
del loro caposcuola, proclamando che l'era dello Spirito Santo, profetizzata
dal mistico calabrese, era già iniziata e che quindi, poiché Dio era
compreso in ogni cosa, una volta raggiunta la conoscenza di Dio e diventati
un tutt'uno con Lui, non era più possibile peccare.
Conseguentemente non era neanche necessario seguire precetti morali o
ecclesiastici di qualsiasi tipo. Fu facile, quindi, ai loro avversari
cattolici di accusare gli amalriciani di perversioni sessuali sfrenate e
crimini di ogni genere, sicuri che esistesse più neppure il concetto di
peccato.
-----
Cavalli, Ambrogio (o Ambrogio da Milano) (ca. 1500-1556)



Predicatore agostiniano milanese (da cui l'altro nome di Ambrogio da
Milano), che come molti suoi confratelli (vedi Agostino Mainardi, Giulio
Della Rovere, Giuliano Brigantino, Andrea Ghetti da Volterra), subì il
fascino delle dottrine luterane.
Già nel 1537, il C. destò i primi sospetti a causa di alcune sue prediche,
ispirate dai suoi studi di approfondimento, compiuti con Ortensio Lando e
Giulio Della Rovere, del pensiero di Erasmo da Rotterdam.
Nel 1540, C., priore del convento agostiniano di S. Marco a Bologna, si
dimise, assieme a Giulio Della Rovere, per contrasti con il padre generale
dell'ordine: venne trasferito a Limassol (Cipro), dove, qualche anno dopo,
nel 1544, venne formalmente messo sotto accusa, a causa di una predica
quaresimale di ispirazione luterana nella chiesa di Santa Sofia a Nicosia:
fu prosciolto in seguito ad abiura pubblica, eseguita il 31 marzo 1545 nella
chiesa veneziana di Santa Maria Formosa .
Nonostante ciò C. si recò, nel periodo 1547-1554, a Ferrara e vi rimase come
elemosiniere e predicatore alla corte della duchessa Renata d'Este, nota
protettrice di riformisti. Ma, quando nel marzo 1554, il duca Ercole II
(1534-1559) chiese la presenza delle figlie alla messa pasquale, la reazione
negativa della moglie, ormai convinta assertrice delle idee calviniste,
scatenò la reazione del duca contro i predicatori riformati e C. pensò bene
di fuggire in Svizzera, nei Grigioni e poi a Ginevra.
Da qui commise l'errore di rientrare in Italia, forse per prendere contatto
con la duchessa Renata su ordine di Calvino, ma venne arrestato
dall'Inquisizione, torturato, processato e condannato. Egli tentò
inutilmente, nei suoi interrogatori dell'ottobre 1555, di convincere
l'Inquisizione dell'ortodossia della sua fede, proponendo anche che, per
estirpare gli eretici dall'Italia, il Papa dovesse far pubblicare una bolla
"che ad ognuno perdoneria liberamente ravedendosi però delli suoi errori".
Venne impiccato e arso sul rogo a Roma il 15 giugno 1556. Dichiarò di morire
"per la Gloria di Dio".
-----
Amelio de Perles (perfetto cataro) (inizio XIV secolo)



Amelio de Perles, un "perfetto" francese, apprese la dottrina catara,
recandosi in Lombardia alla fine del XIII secolo, assieme ai fratelli
Authier e a Pradas Tavernier.
La Lombardia, infatti, era diventata il centro di riferimento per il
catarismo, dopo le violenti repressioni nel sud della Francia degli anni
1209-1244.
A. fece, quindi, parte di quel revival del catarismo dell'inizio del XIV
secolo, moralmente meno rigoroso del movimento ai suoi inizi e
caratterizzato da un maggior impiego dell'endura, il suicidio volontario per
digiuno compiuto spesso quando la scarsità di "perfetti" poteva rendere
impossibile una seconda cerimonia di Consolament, se fosse stata necessaria.
-----
Cocceius (Coch o Koch o Koken), Johannes (1603-1669)



La vita
Il teologo calvinista Johannes Cocceius (nome umanistico di Johannes Coch o
Koch o Koken) nacque il 9 agosto (o forse il 30 luglio) 1603 a Brema, in
Germania. Il padre, Timann Coch, era segretario comunale e allevò il figlio
in un clima severo tipico da famiglia riformata (Brema era una delle poche
città tedesche non a maggioranza luterana).
C. venne avviato allo studio della teologia, ma mostrò anche una notevole
attitudine per le lingue, imparando il greco, l'ebraico, il caldeo e l'arabo
(per esercitarsi su quest'ultima lingua, C. lesse tutto il Corano).
Nel 1625 C. si recò ad Amburgo per approfondire i suoi studi di greco e di
dottrina rabbinica, ma nel 1629, disgustato della vita licenziosa degli
universitari tedeschi, decise di andare in Olanda, all'università di
Franeker, per studiare con il teologo calvinista inglese William Ames
(1576-1633) e con l'orientalista Sixtinus Amana, che lo esortò a pubblicare
studi sul Talmud.
L'anno successivo (1630) C. divenne professore di filologia biblica al
Gymnasium illustre di Brema, dove insegnò per sei anni, ma nel 1636 egli
ritornò a Franeker, per accettare l'incarico di docente di lingua ebraica e,
grazie ai suoi commentari sulla figura dell'Anticristo e sulla lettera di
San Paolo agli Efesini, di teologia dal 1643 al 1650.
C. è noto in questo periodo per la feroce polemica sviluppata con il teologo
calvinista ortodosso Gisbertus Voetius, non solo perché C. aveva preso le
difese del famosissimo Cartesio (René Descartes, 1596-1650), residente in
Olanda dal 1629 e difensore della tolleranza religiosa e dei diritti
dell'uomo, ma soprattutto perché aveva osato criticare Voetius e i suoi
seguaci di essere troppo scolastici.
La polemica tra Voetius e C. continuò per tutta la loro vita, influenzando
pesantemente la vita accademica olandese dell'epoca: si arrivò a tal punto
che nei vari atenei il numero di voetiani e di cocceiani veniva
rigorosamente mantenuto uguale pur di non favorire nessuna fazione.
Nel 1650, dopo la morte del titolare Friedrich  Spanheim (1600-1649), C.
accettò il ruolo di professore di teologia all'università di Leida e
mantenne questa posizione fino alla morte avvenuta il 14 novembre 1669 per
un attacco febbrile.


Il pensiero
Il punto centrale del pensiero di C., espresso nelle opere Summa doctrinae
de Foedere et Testamento Dei (1648) e Summa teologiae ex sacris Scripturis
repetita (1662), era il Patto biblico della Legge stipulato tra Dio e l'uomo
prima della Caduta.
Esso fu sostituito in seguito con il Patto della Grazia, per onorare il
quale era necessaria la Venuta di Cristo ed infatti, il Vecchio Testamento
era pieno, secondo C., di riferimenti a Cristo.
Inoltre, dall'alto della sua immensa cultura biblica, C. aveva scritto
un'esegesi biblica, più personale e pratica delle interminabili
elucubrazioni mentali dei teologi "sistematici" della scuola di Voetius, e
che tenesse conto del vero (secondo lui) significato del testo sacro. Le
Sacre Scritture infatti venivano man mano elaborate dai vari sconosciuti
redattori di allora per i popoli loro contemporanei sulla base del loro
livello di comprensione del messaggio divino (una sorta di rivelazione
progressiva).
Tuttavia nella disamina di C. il messaggio del Nuovo Testamento diventava
decisamente diverso dal Vecchio Testamento ed alcune cose del Vecchio, come
ad esempio l'osservanza del giorno di riposo (Sabbath), non erano
considerate più valide e proprio quest'ultima osservazione fu il casus belli
per lo scatenamento della polemica con Voetius.
-----
Fox (Foxe), George (1624-1691) e quaccheri o Società degli amici o Amici
della Verità o Figli della Luce



La vita
George Fox (o Foxe), il fondatore del movimento dei quaccheri, nacque a
Drayton-in-the-Clay (oggigiorno Fenny Drayton), nella contea inglese del
Leicestershire, nel luglio 1624 da una famiglia puritana di tessitori. In un
primo momento i genitori avevano deciso una carriera di pastore religioso
per il figlio, ma questi, che dimostrò precocemente una notevole repulsione
per il "clero mercenario", fu poi avviato all'apprendistato come calzolaio.
Un giorno, nel 1643, F., ormai diventato un giovane di 19 anni, (fin troppo)
serio e onesto, fu scioccato dalla proposta di una bevuta in compagnia,
fatta da due amici puritani: abbandonò quindi la casa paterna senza un soldo
in tasca e con la sola compagnia di una Bibbia, per iniziare una ricerca
mistica per la sua illuminazione spirituale. Dapprima, come un vero seeker,
egli vagò cercando di chiarire i suoi dubbi e confrontandosi con gli
insegnamenti della Chiesa Anglicana e delle innumerevoli sette,
prevalentemente di dottrina calvinista, che costellavano la galassia
protestante inglese dell'epoca. Ma non ebbe le risposte cercate, in quanto
il calvinismo predicava che solo gli eletti erano predestinati alla salvezza
eterna, il che, secondo la sua forma antinomiana più estrema, implicava che
il comportamento morale era irrilevante a questo scopo e F. non poteva certo
accettare una separazione tra religione e moralità: per lui bisognava
moralmente impegnarsi per ottenere la sconfitta del peccato.
Nel 1646 F. ebbe una illuminazione: la pace non deriva dalla lettura delle
Sacre Scritture, ma da una luce interna, una scintilla divina che ogni uomo
porta in sé (Dio è in ogni uomo) e che deve sviluppare ed espandere. Questo
pensiero portò anche al convincimento dell'inutilità di una struttura
ecclesiastica formale e di un clero educato all'uopo.
Dal 1647 F. iniziò a predicare nel centro-nord dell'Inghilterra e ben presto
fu perseguitato: imprigionato a Nottingham, messo alla gogna e quasi
lapidato a Mansfield, imprigionato per sei mesi con l'accusa di blasfemia a
Derby. Proprio in quest'ultima città il giudice Gervase Bennet chiamò
spregiativamente F. e i suoi seguaci con l'appellativo, diventato poi molto
diffuso, di quaccheri, dall'inglese to quaker = tremare, in quanto essi
tremavano in presenza dello Spirito di Dio.
F. e i suoi preferirono chiamarsi invece Gente di Dio o Amici della Verità o
Figli della Luce. In seguito la denominazione ufficiale della setta sarebbe
diventata Società degli Amici.
Tra il 1649 ed il 1675 F. fu imprigionato per ben otto volte, ma questo non
gli impedì di diffondere rapidamente le sue dottrine, soprattutto nel
nordovest dell'Inghilterra, nelle contee del Lancashire, West Yorkshire e
Cumberland. Qui nel 1652 F. vinse alla sua causa diversi seekers, battisti e
puritani e soprattutto conobbe a Swarthmoor Hall, il primo  protettore (di
una certa influenza) della setta, il giudice puritano Thomas Fell e sua
moglie Margaret (1614-1702). Quest'ultima, alla morte del marito nel 1669,
sarebbe diventata la moglie di F. e una mirabile organizzatrice
dell'amministrazione centrale del movimento. Nella seconda metà degli anni
'50 i quaccheri si diffusero anche a Londra e nel sud del paese fino a
raggiungere la cifra stimata di 60.000 convertiti entro il 1660.
Non contento di agire solo sul territorio inglese, F. allargò l'attività
missionaria al Galles e alla Scozia, mentre suoi adepti predicarono nel
Massachusetts, isole Barbados, Olanda, Germania, Polonia fino alla visita
fatta nientedimeno che al sultano turco da parte della quacchera Mary Fisher
nel 1658.
Sicuramente i mussulmani trattarono meglio i quaccheri di quello che fecero
i loro stessi fratelli cristiani: infatti alcune abitudini dei quaccheri li
misero nei guai, soprattutto il rifiuto di prestare giuramento e di pagare
le decime alla Chiesa (la Casa col Campanile, come la chiamava F.).
Per questo motivo, nel periodo del Commonwealth (1649-1660), solitamente
abbastanza tollerante verso le sette protestanti inglesi grazie
all'intervento personale del Lord Protettore Oliver Cromwell (1599-1658),
proprio i quaccheri furono tra i più perseguitati: si calcola che più di
2.000 fedeli furono imprigionati e 32 morirono per i maltrattamenti subiti.
Eppure, nonostante ciò, l'unica tra le innumerevoli sette protestanti
inglesi del XVII secolo che si consolidò e si espanse, anche dopo la
restaurazione nel 1660 del re Carlo II (1649-1685), fu proprio quella dei
quaccheri, che anzi assorbì una larga fetta delle altre sette dissidenti,
quando queste entrarono in crisi esistenziale. Significativo fu la
conversione al quaccherismo del fondatore della setta dei levellers, John
Lilburne.
Anche i quaccheri dovette subire, come altri, il problema degli estremismi:
il più significativo fu quello di James Nayler, che rappresentò l'ala più
ranter (caratterizzata da eccessi antinomiani) del movimento. Arrestato nel
1656 perché aveva inscenato un'entrata a dorso d'asino in Bristol, simile a
quello di Gesù in Gerusalemme, fu liberato solo nel 1659 e nel 1660 si
riconciliò con F., morendo poi nello stesso anno.
Nel gennaio 1661 il capo della setta dei quinto-monarchisti, il commerciante
in botti Thomas Venner (m.1661), tentò una disperata insurrezione nel
gennaio 1661 contro la restaurazione della monarchia, ma, come era
prevedibile, il colpo fallì e Venner e gli altri capi della rivolta furono
decapitati. Le successive repressioni stroncarono definitivamente il
movimento quinto-monarchista, oltre a perseguitare anche altre sette
accusate di aver partecipato al tentato golpe, come i giacobiti e i
sabbatariani, ma soprattutto i quaccheri, di cui 4.230 furono messi in
prigione.
Negli anni successivi le persecuzioni nei confronti dei quaccheri salirono
continuamente di tono ed anch'essi dovettero subire le conseguenze degli
atti contenuti nel Codice Clarendon (1661-1665), voluto dal Lord
Cancelliere, Edward Hyde, 1° Conte di Clarendon (1609-1674), originariamente
emessi per stroncare il movimento puritano, ma esteso a tutte le sette
cosiddetti non-conformisti, quelle cioè che non avevano voluto conformarsi
all'Uniformity Act, uno degli atti del Codice Clarendon, che erano:
Corporation Act (1661), che escludeva i non-conformisti dai pubblici uffici.
Uniformity Act (1662), che obbligava all'uso del Libro delle Preghiere della
Chiesa Anglicana.
Conventicle Act (1664), che proibiva funzioni religiose non-conformiste.
Five Mile Act (1665), che proibiva ai pastori non-conformisti di avvicinarsi
alle città.
In questo periodo F. venne arrestato nel 1664 a Swarthmoor ed ancora nel
1670 a Londra, dove aveva partecipato deliberatamente ad una riunione
quacchera non autorizzata.
Nonostante ciò, al 1665 risalì l'importante conversione di quel William
Penn, fondatore dello stato della Pennsylvania, rifugio sicuro per i
dissenzienti inglesi in fuga dalla madrepatria.
Finalmente nel 1672 la Declaration of Indulgence (dichiarazione di
indulgenza) permise più libertà di culto ai dissenzienti, compreso i
quaccheri: fu seguita da analoghe dichiarazioni nel 1687 e 1688 promulgate
dal re cattolico Giacomo II (1685-1688), nel tentativo di ottenere
l'appoggio dei non-conformisti contro la Chiesa Anglicana.
Ma, con la Gloriosa Rivoluzione del 1688/9 Giacomo II fu cacciato,
estinguendosi così il dominio in Inghilterra della dinastia Stuart. Salì
infatti al potere, con il titolo di Guglielmo III (1689-1702), il principe
olandese Guglielmo d'Orange, genero di Giacomo II e lontano discendente di
Enrico VIII.
Nel 1689 fu emanata la Toleration Act (atto di tolleranza) del 1689, voluto
dal nuovo re, e che garantì la libertà di culto religioso a tutti i
non-conformisti, eccetto i cattolici e gli unitariani. Poco dopo fu concesso
ai quaccheri l'esenzione al giuramento, sostituito con una dichiarazione
semplice di conferma.
Al momento della morte di F. il 13 gennaio 1691, i quaccheri nelle Isole
Britanniche erano circa 50.000.


Dottrina e comportamento
Come già detto, dalla illuminazione avuta nel 1646 F. si convinse che la
pace non derivasse dalla lettura delle Sacre Scritture, ma da una luce
interna, una scintilla divina che ogni uomo portava in sé (Dio è in ogni
uomo) e che egli doveva sviluppare ed espandere.
Nel contempo, però, F. credeva nella presenza del male nell'Uomo e nella
necessità di combatterlo il più possibile.
Ma il quaccherismo non era solo un credo, ma anche una maniera di vita,
basata sulle parole chiave Verità e Sincerità, che rifiutava il lusso per
favorire la semplicità nel vestiario, nei comportamenti e nel modo di
parlare. Per esempio, in questa ultima situazione i quaccheri dell'epoca,
rivolgendosi a qualcuno, usavano la forma thee, equivalente al familiare tu
in italiano, rispetto al più formale you, equivalente all'italiano voi.
Inoltre i quaccheri furono tra i primi ad applicare la parità dei sessi,
razze, nazioni o classi sociali.
Le riunioni di culto tuttora si svolgono regolarmente, uno o due volte alla
settimana, senza un programma predefinito, in quanto le riunioni servono a
far sentire ai presenti la presenza di Dio come giuda spirituale. Certe
volte, specie negli ultimi anni, può essere impiegato un ministro del culto.


La storia della setta dopo la morte di Fox
Già ad iniziare dal 1660, i quaccheri iniziarono ad emigrare nelle colonie
americane. Nel 1674 alcuni di essi acquistarono terreni nel New Jersey, ma
fu soprattutto William Penn che diede loro una grande opportunità nella sua
colonia, denominata Pennsylvania: qui entro il 1684 si stabilirono circa
7.000 Amici della Verità. In seguito i quaccheri cercarono di stabilirsi
anche in altre colonie americane, incontrando in alcuni casi, come nel Rhode
Island, un ambiente favorevole, ma non nel Massachusetts dove vennero
perseguitati.
Dal 1690 si fece largo nel movimento una fase cosiddetta quietistica, cioè
di maggiore introspezione e limitata attività pubblica. Tuttavia le rigide
regole interne, come ad esempio il divieto di matrimonio, pena l'espulsione
dal movimento, con persone non quacchere o senza il consenso dei genitori,
portarono ad una involuzione del numero dei fedeli tali da minacciare nel
XVIII secolo l'estinzione del movimento stesso.
Per loro fortuna, l'impatto delle idee metodiste di John Wesley ebbe un
effetto di risveglio anche sul movimento quacchero.
All'inizio del XIX secolo, nel 1827, si acuirono le diversità interne
nell'ambito del movimento e dal filone principale (ortodosso) si separarono
tre gruppi:
Coloro che seguivano le idee di Elias Hicks, denominati quindi hicksiti:
essi contestavano l'autenticità e autorità divina della Bibbia e della
figura storica di Gesù Cristo, preferendo di concentrarsi di più sul
concetto della luce interna.
I seguaci di Joseph John Gurney, i gurneyiti, più portati all'evangelismo.
Il gruppo più piccolo, i wilburiti, facevano riferimento a John Wilbur ed
erano legati alla rigida tradizione quacchera del XVII secolo.


La Società degli Amici oggigiorno
Oggigiorno la Società degli Amici conta circa 200.000 (secondo altre
statistiche 300.000) nel mondo, con circa 109.000 in Stati Uniti, dove il
gruppo più numeroso è la Society of Friends (Friends United Meeting) (il
gruppo ortodosso con 65.000 membri e 519 chiese).
Le altre denominazioni sono riunite in:
Friends General Conference (hicksita, 26.000 fedeli), 
Evangelical Friends Alliance (gurneyita 25.000 membri) 
Religious Society of Friends (Conservative) (wilburiti circa 2.000).
Gli altri paesi includono l'Inghilterra (18.000 fedeli) e la zona
dell'Africa orientale (Kenya, Madagascar, etc. per un totale di 45.000).
I quaccheri rifiutano di giurare, sono stati attivi nel movimento per
l'abolizione della schiavitù (fin dal 1688) e per i diritti degli indiani
d'America, nella lotta contro l'alcolismo e la pena di morte e sono
filantropi.
Un altro punto importante è l'obiezione di coscienza: nel 1917 è stato
formato il American Friends Service Committee, un comitato quacchero per fornire opportunità di
servizio civile ai loro giovani fedeli obiettori di coscienza, che ha
ricevuto, assieme al britannico The Friends Service Council, il Premio Nobel
per la Pace nel 1947.
Infine, nonostante la limitata diffusione della Società degli Amici, ben due
presidenti degli Stati Uniti, Herbert Hoover e Richard Nixon, erano
quaccheri.