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PERSONAGGI ERETICI NELLA STORIA DELLA CHIESA
Testi tratti dal sito: www.eresie.it di Douglas Swannie

GLI ERETICI - STORIA DELLA CHIESA

Farinata degli Uberti (m. 1264)



Farinata, soprannome di Manente degli Uberti, fu un famoso condottiero
ghibellino di Firenze vissuto nella prima ½ del XIII secolo.
Aderente alla Chiesa catara di Firenze, egli rappresentò la sintesi di
quella alleanza politica e di convenienza, che spesso si realizzò in quel
periodo tra catari e ghibellini.
Nel 1239, F. fu eletto a capo della fazione ghibellina di Firenze, la quale
riuscì a cacciare i guelfi dalla città nel 1248. Tuttavia al rientro di
questi ultimi, F. andò in esilio a Siena, da dove organizzò l'esercito
ghibellino con l'apporto delle truppe di Manfredi (1232-1266), figlio del
defunto imperatore Federico II (1212-1250).
Con questo esercito, F. affrontò e sconfisse i guelfi nella battaglia di
Montaperti del 4 settembre 1260, ma successivamente fu lui stesso ad opporsi
con successo alla distruzione di Firenze da parte delle truppe ghibelline.
F. morì nel 1264, ma 19 anni dopo, nel 1283 egli fu accusato postumo di
eresia e il suo corpo e quello della moglie Maria Adeletta  furono riesumati
e i resti dispersi, mentre i beni dei figli Lapo, Federico e Maghinardo
furono confiscati e loro stessi mandati in esilio.
F. fu citato da Dante nell'Inferno nel gironi degli eretici, nel canto VI,
79, ma soprattutto nel canto X,31 e seguenti:
Ed el mi disse: "Volgiti! Che fai?
Vedi là Farinata che s'è dritto:
da la cintola in sù tutto 'l vedrai".



Ubertino da Casale (1259-c.1330)



Ubertino nacque a Casale Monferrato nel 1259 ed entrò in un convento
francescano in provincia di Genova nel 1273.
Dopo gli studi a Parigi, nel 1287 U. si stabilì in Toscana, nel convento di
Santa Croce a Firenze, dove divenne discepolo di Pietro di Giovanni (Pierre
Jean) Olivi. Intraprese quindi la carriera di predicatore e ben presto venne
considerato il punto di riferimento dei francescani spirituali della
Toscana, i più accaniti nel condannare, senza mezzi termini, papi, come
Gregorio IX (1227-1241) o Niccolò III (1277-1280), che avevano permesso
qualsiasi forma di ammorbidimento della dura Regola francescana.
Tuttavia Papa Benedetto IX (1303-1304), non gradendo le critiche ai suoi
predecessori convocò U. e gli intimò di ritirarsi nel convento di La Verna
(vicino a Perugia), proibendogli ulteriori attività di predicatore. Ma
perfino nel convento egli si mise nei guai scrivendo nel 1305 la sua opera
principale, Arbor vitae crucifixae Jesu Christi, dove egli difese gli ideali
di povertà degli spirituali, e a causa della quale fu scomunicato.
Nel 1310, per intercessione del teologo spagnolo Arnaldo di Villanova (o di
Villanueva) presso il re di Napoli Carlo II d'Angiò (o forse suo figlio
Roberto) U. fu convocato ad Avignone da Papa Clemente V (1305-1314) per
discutere la possibilità di una rappacificazione tra le due anime dei
francescani, i conventuali, rappresentati dal generale dell'ordine,
Gundisalvo di Valleboa e gli spirituali, rappresentati dai capi, Raymond
Gaufredi, Guy de Mirepoix, Bartolomeo Sicardi e U. stesso. Durante
l'incontro U. non fece altro che riaffermare con forza il suo convincimento
che i frati minori dovessero seguire alla lettera la Regola ed il Testamento
di San Francesco. Fu posto quindi sotto la custodia del cardinale Giacomo
Colonna fino al 1317, quando gli fu ordinato da parte del nuovo Papa
Giovanni XXII (1316-1334), in un incontro ad Avignone a cui partecipò anche
Bernard Délicieux, di ritirarsi nel convento di Gembloux, vicino a Liegi in
Belgio.
Peggio andò ad altri 25 spirituali, che furono torturati da parte
dell'Inquisizione e quattro di essi, che non riconobbero l'autorità papale
sul movimento, furono bruciati sul rogo nel 1318.
Nel 1322, U. fu nuovamente convocato dal Papa ad Avignone per esprimere il
suo parere sul litigio in atto tra Domenicani e Francescani sulla povertà di
Gesù Cristo e degli apostoli. U. se la cavò con una diplomatica risposta,
che soddisfò l'irascibile papa: egli affermò che Gesù e gli apostoli erano
poveri in termini di proprietà personali, ma che avevano potuto far uso di
beni e denari per ogni necessità.
Tuttavia questo compromesso provocò la convocazione del Capitolo Generale
dei Francescani da parte del generale Michele da Cesena, fino a quel momento
allineato su posizioni moderate. Il Capitolo dichiarò solennemente
l'assoluta povertà di Gesù Cristo e degli apostoli, provocando la reazione
di Giovanni XXII, che scomunicò questa affermazione nel 1323.
Avendo fatto una dichiarazione gradita al papa, si poteva pensare che U.
fosse al sicuro da ogni attacco: eppure, solo tre anni dopo l'episodio di
Avignone, nel 1325, egli fu nuovamente scomunicato per aver difeso il
pensiero del suo maestro Pietro di Giovanni Olivi. Tuttavia egli intuì in
anticipo l'ennesima condanna e fuggì da Avignone, per aggregarsi alla corte
dell'imperatore Ludovico il Bavaro, accompagnandolo, assieme a Giovanni di
Jandun, Michele da Cesena, Guglielmo di Occam e Marsilio di Padova, nel suo
viaggio a Roma nel 1328.
Morì verso il 1330, assasinato secondo la versione dei fraticelli, eredi
degli spirituali, che lo venerarono come un santo.


Ubertino da Casale fu ricordato da Umberto Eco nel romanzo "Il Nome della
Rosa" e da Dante nel dodicesimo canto del Paradiso (XII, 121-126):


Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio
nostro volume, ancora troveria carta
u' leggerebbe "l' mi son quel ch'ì' soglio"


ma non fia da Casal né d'Acquasparta
là onde vegnon tali a la scrittura,
ch'uno la fugge e altro la coarta.



Brenz, Johannes (1499-1570) e ubiquitari



Johannes Brenz nacque a Weil der Stadt, vicino a Stoccarda il 24 Giugno
1499. Da giovane B. subì l'influenza di Erasmo da Rotterdam, ma
successivamente, mentre frequentava nel 1518 l'università di Heidelberg, B.
si accostò alla dottrina luterana e al pensiero di Ecolampadio, suo
professore alla stessa università.
Divenuto teologo e sacerdote, B. fu nominato predicatore della chiesa di San
Michele a Schwäbisch Hall (una città a NE di Stoccarda), ma smise di servire
messa nel 1523 e si dedicò allo studio approfondito delle Sacre Scritture.
Nel 1525 B. ebbe l'occasione di svolgere un ruolo importante durante la
controversia contro gli zwingliani sulla reale presenza di Cristo
nell'Eucaristia: egli si schierò decisamente a favore della dottrina
luterana della sostanziale presenza del corpo e sangue di Cristo nel pane e
vino.
I teologi luterani dell'epoca, in opposizione al dogma cattolico della
transustanziazione (durante l'Eucaristia, il pane e vino mantengono solo
l'apparenza e non la sostanza, in quanto trasformati nel corpo e sangue di
Cristo), avevano elaborato la dottrina della consustanziazione (il pane e
vino rimangono tali anche in sostanza): B. fece di più, affermando, nel suo
Sygramma Suevicum, la presenza di Cristo non solo nell'Eucaristia, ma in
ogni luogo e per questo motivo i suoi seguaci furono definiti Ubiquitari.
Pare che impegnato nella confutazione del pensiero di Zwingli, B. si fosse
dedicato ad un curioso ragionamento matematico-dottrinale: egli calcolò la
distanza tra il cielo e la terra, arrivando alla misura di 16.338.562 miglia
terrestri tedesche (ca. 26 milioni di Km.) ed affermò quindi che, misurando
la velocità di ascesa in cielo di Cristo dal Monte degli Ulivi, il corpo di
Cristo non poteva ancora essere arrivato in cielo nel 16° secolo!
L'impegno luterano di B. comunque non si limitò a queste controversie
matematico-teologiche, estendendosi anche all'organizzazione e alle
istituzioni della neonata Chiesa riformata.
Infatti, durante la guerra smalcaldica del 1546-47, B. cercò protezione
presso il duca Ulrich di Württemberg, diventato nel 1534 luterano: per il
duca B. completò la diffusione della Riforma in tutto il ducato e creò un
modello di organizzazione della Chiesa luterana locale, ammirato in tutta la
Germania. Durante questo periodo turbolento, B. operò sotto lo pseudonimo
del balivo Huldreich Engster.
Nel 1553 B. fu nominato prevosto della Stiftskircke a Stoccarda, dove morì
l'11 Settembre 1570.



Spinola, Publio Francesco (m. 1567)



Umanista milanese, insegnante e poeta in latino, grande ammiratore e amico
di Aonio Paleario, al cui viaggio a Milano nel 1556, Publio Francesco
Spinola contribuì in notevole misura.
Come lo stesso Paleario, anche S. si fece mettere sotto la protezione del
cardinale Cristoforo Madruzzo (1512-1578), referente imperiale a Milano
negli anni 1556-1557 e protettore di altri dissidenti religiosi come Andrea
Ghetti da Volterra, Jacopo Aconcio, Bartolomeo Spadafora, Ortensio Lando e
Filippo Valentini da Modena.
Tuttavia, poco dopo, nel 1560, S. ebbe noie con l'Inquisizione e dovette
lasciare Milano per Brescia, dove trovò rifugio presso le famiglie Ugoni e
Martinengo, profondamente influenzate dalla Riforma, e dove rimase per un
anno come insegnante di latino nelle scuole pubbliche locali.
Fece amicizia anche con Giovanni Andrea Ugoni, al quale donò un libro dello
storico tedesco e annalista della Riforma, Johannes Sleidano (1506-1556), ma
che, in seguito, lo tradì, facendo il suo nome all'Inquisizione, quando
Ugoni venne processato nel 1564 a Venezia.
Nel 1561-62 S. si trasferì a Venezia per diventare precettore dei figli del
nobile veneziano Lunardo di Antonio Mocenigo.
Ma nel luglio 1564, in seguito alle rivelazioni dell'Ugoni, come già detto,
S. fu incarcerato a Venezia stessa con l'accusa di luteranesimo, sebbene, da
alcune testimonianze, pare che il suo pensiero sull'Eucaristia fosse più
allineato alle dottrine espresse da Zwingli.
Mentre era in carcere, S. continuò a fare propaganda religiosa per la
Riforma, ma la denuncia di alcuni suoi compagni di cella probabilmente
accelerò la condanna a morte eseguita per annegamento nella laguna veneta,
più precisamente nel Canale Orfano, il 31 gennaio 1567.



Ulfilas il Goto (ca. 311-383)



Apostolo dei Goti, fu catturato in giovane età e portato come schiavo a
Costantinopoli.
Qui, conobbe il vescovo Eusebio di Nicomedia, che lo convertì al
cristianesimo ariano.
Successivamente, U. fu liberato e ritornò presso il suo popolo, sostenendo
una intensa attività di missionariato e traducendo, tra l'altro, la Bibbia
in gotico, il che aumentò il suo prestigio. Per l'occasione U. inventò
l'alfabeto gotico, una miscela di lettere greche, latine e rune germaniche.
Grazie alla sua attività, i Goti si convertirono in massa all'arianesimo e
occorse diversi secoli di attività missionaria del cattolicesimo niceno per
riconvertirli.


Ulimann, Wolfgang (m. 1528)



Wolfgang Ulimann, il cui vero cognome era Schorant, nacque a San Gallo, in
Svizzera, da una delle più importanti famiglie della città. Da giovane, U.
era entrato nel monastero premonstratense [l'ordine monastico fondato nel
1120 da San Norberto (1080-1134) nella valle di Prémontré, in Francia] di
San Lucio a Chur (Coira) nel cantone Grigioni, ma nel Novembre 1524,
abbandonò il monastero per dedicarsi alla predicazione riformista presso la
casa della gilda dei tessitori.
Tuttavia, grazie al predicatore anabattista Hans Höchrutiner, U. si accostò
poco dopo alle dottrine del gruppo di Conrad Grebel. Nel Febbraio 1525,
saputo che Grebel era a Sciaffusa, U. andò a trovarlo e ne fu convertito
alla causa: U. fu il primo anabattista a ricevere il battesimo mediante
totale immersione nelle acque del Reno. Infatti fino a quel momento gli
anabattisti celebravano, versando semplicemente un mestolo di acqua sulla
testa.
U. fu molto attivo nel proselitismo anabattista nel cantone San Gallo e per
questo entrò in conflitto con l'umanista riformista Joachim von Watt, detto
Vadiano (1484-1551), cognato di Grebel, ma fedele seguace di Ulrich Zwingli.
Lo stesso Grebel nell'Aprile 1525 si recò a San Gallo per dare manforte: i
risultati furono eccellenti e ben 500 persone furono rapidamente
riconvertiti.
Meno proficuo fu il tentativo di Grebel di convincere il cognato ad essere
meno severo con il movimento anabattista. La reazione infatti della Riforma,
guidata da Vadiano stesso fu molto dura: dapprima furono espulsi gli
anabattisti forestieri, poi a quelli nativi fu ordinato a rendere conto del
proprio operato davanti al consiglio cittadino.
U. presentò un memorandum in cui egli espose i seguenti punti:
Il battesimo dei bambini era in contrasto con le Scritture.
Inoltre era in contrasto con l'insegnamento di Gesù, che aveva ordinato di
battezzare quelli che credevano.
Nei primi secoli della Chiesa, fino a San Cipriano e Tertulliano, il
battesimo degli adulti era la pratica normale, e solo successivamente era
stato sostituito da quello degli infanti.


Nel Maggio 1525, Zwingli pubblicò il suo opuscolo dottrinale Vom Tauff,
Widertauff und Kindertauff (Del battesimo, contro-battesimo e battesimo dei
bambini): nonostante la massima diffusione data allo scritto da parte delle
autorità riformiste di San Gallo, gli anabattisti locali rigettarono le tesi
di Zwingli, preferendo il testo del noto teologo anabattista Balthasar
Hübmaier, Von dem Christenlichen Tauff der glaübigen (Del battesimo
cristiano dei credenti), pubblicato poco dopo in risposta allo scritto di
Zwingli.
Nel Giugno 1525 le autorità cittadine organizzarono una disputa pubblica tra
riformatori, guidati da Vadiano e anabattisti, guidati da U.: il risultato
fu, come sempre, identico a quello ottenuto da simili confronti in quegli
anni. Infatti il Consiglio non volle, e del resto non poteva, accettare le
tesi troppo estremiste degli anabattisti e quindi il 5 Giugno emanò tutta
una serie di misure repressive, che portarono all'involuzione e successiva
estinzione del movimento anabattista a San Gallo.
U. stesso, che non volle uniformarsi alle disposizioni, fu esiliato il 17
Giugno, riaccettato dopo la promessa di uniformarsi alle misure emanate, e
successivamente imprigionato per aver disatteso all'impegno.
Uscito di prigione, U. si trasferì nel 1526 nel cantone Grigioni, dove per
un pelo sfuggì ad un arresto in massa di anabattisti a Fläsch, vicino a
Coira. U. andò quindi nel cantone Appenzell, ma fu catturato nel 1528 a
Waldsee, in Tubinga (Germania meridionale), mentre accompagnava un gruppo di
anabattisti di Appenzell in Moravia e, non avendo ritrattato, fu messo a
morte mediante decapitazione (altri testi riportano che fu arso sul rogo).


Umiliati (dalla fine del XII secolo)



Il movimento spontaneo degli Umiliati nacque alla fine del XII secolo ad
opera di tessitori e lavoratori della lana lombardi, uomini e donne, che
espressero il desiderio di vivere come una comunità laica, praticando la
penitenza, la continenza e aiutando i poveri.
Alcuni autori anglosassoni fanno invece risalire la fondazione del movimento
degli U. al giurista piacentino Ugo Speroni, stravolgendo così l'origine
popolare di questa setta.
Avendo chiesto il riconoscimento del loro movimento a Papa Alessandro III
(1159-1181), gli U. furono accettati ma con la proibizione di predicare.
Tuttavia si diffusero alcune dottrine eretiche ritenute pericolose dalla
Chiesa, come il rifiuto dei sacramenti, portate da elementi catari, patarini
e arnaldisti infiltrati nel movimento. Questo ed il contemporaneo non
rispetto del divieto di predicare convinsero Papa Lucio III (1181-1185) a
scomunicare gli U. con la bolla Ad abolendam nel 1184 durante il Concilio di
Verona.
Successivamente gli U. si divisero tra:
Quelli che mantennero un atteggiamento eterodosso, scegliendo di confluire
nel movimento valdese e
Chi, invece, cercò con successo una approvazione ufficiale dalla Chiesa
cattolica, previo atto di obbedienza.
Questi ultimi, con a capo Giacomo Rusca (diventato poi Fra' Giacomo di
Rondineto) e Lanfranco di Lodi (o di Viboldone), vennero riconosciuti nel
1199 da Papa Innocenzo III (1198-1216) come regolare Ordine, le cui comunità
prosperarono, nei secoli successivi, nella produzione di tessuti.
Queste comunità seguirono le regole Benedettine e durarono fino al 1571,
anno in cui l'Ordine, ormai in declino, fu soppresso.


Unitarianismo (o unitarismo o antitrinitarismo) (XVI - XVII secolo)



Termine teologico per indicare la fede nell'unicità di Dio e nella
contemporanea negazione del dogma della Trinità. Ne consegue anche la
negazione della divinità di Cristo.
L'unitarianismo è stato, a parte l'anabattismo, la terza grande alternativa
nella galassia protestante, oltre al luteranesimo e allo
zwinglianismo/calvinismo.


La storia
La dottrina dell'unitarianismo viene fatta tradizionalmente risalire agli
inizi del Cristianesimo, ed in particolare agli eretici del periodo intorno
al Concilio di Nicene (325), come Ario (infatti gli unitariani furono
proprio chiamati ariani dai loro detrattori), Paolo di Samosata, Noeto di
Smirne, Prassea e Sabellio. Nel medioevo il concetto antitrinitario non
scomparì del tutto, ma rimase nella filosofia di Abelardo e Roscellino.
Venendo al periodo rinascimentale, i primi studiosi ad aver espresso
concetti antitrinitari furono nel 1527 Martin Borrhaus (nome umanistico:
Cellarius) (1499-1564), amico di Martin Lutero, e il predicatore anabattista
Ludwig Haetzer (1500-1529), ma fu soprattutto la pubblicazione a Hagenau, in
Alsazia, nel 1531, del famoso libro De trinitatis erroribus (Gli errori
sulla Trinità) del medico spagnolo Miguel Servet (Michele Serveto) a gettare
nello scompiglio i più famosi pensatori protestanti dell'epoca, da Lutero
("un libro abominevolmente malvagio") a Melantone, Ecolampadio, Bucero.
Quest'ultimo tuonò dal proprio pulpito che l'autore avrebbe meritato di
essere squartato! E proprio in seguito alla pubblicazione di questo libro
tutti i riformatori dell'epoca decisero di rinforzare l'importanza
dottrinale della Santa Trinità. Dopo una vita tribolata da continue
persecuzioni, Serveto finì i suoi giorni, messo al rogo a Ginevra nel 1553
da un altro dei pensatori riformisti, che più lo detestavano, Giovanni
Calvino.
Ma la morte di Serveto fece levare moltissime voci di protesta, tra cui
quelle dei protestanti italiani Giovanni Valentino Gentile, Matteo Gribaldi
Mofa, Giorgio Biandrata e Giovanni Paolo Alciati della Motta, i quali furono
costretti ad emigrare da Ginevra, portando, pur con sfumature diverse, i
germi della dottrina antitrinitaria soprattutto dal 1560 nell'Europa
orientale, cioè in Polonia, Moravia e Transilvania.


Antitrinitari in Polonia
Qui le dottrine antitrinitarie non erano totalmente sconosciute, tant'è vero
che già nel 1538 una anziana donna di 80 anni, Caterina Weygel (o Vogel),
era stata bruciata sul rogo a Cracovia per una sospetta eresia
antitrinitaria. Ma sotto il regno di Sigismondo II Augusto (1543-1572) si
crearono le premesse per lo sviluppo delle idee antitrinitarie in Polonia.
L'antesignano fu Petrus Gonesius (Piotr Z Goniazde), che aveva studiato a
Padova nel 1552-54 con Gribaldi Mofa e da lui era stato convertito.
Già nel secondo sinodo della Chiesa Riformata Polacca (fondata da Jan Laski)
del 1556, Gonesius espresse forti concetti antitrinitari, ma fu solo con
l'arrivo di Giorgio Biandrata e di Lelio Sozzini nel 1558 che la corrente
unitariana trovò dei veri leader e formò una comunità, soprattutto di esuli
italiani, a Piñczòw vicino a Cracovia.
Tuttavia, poco dopo, ci fu per loro un durissimo colpo quando i cattolici,
rappresentati dal nunzio apostolico cardinale Giovanni Francesco Commendone
(1523-1584), convinsero il re Sigismondo II Augusto ad emettere nell'agosto
1564 l'editto di Parczów, che stabiliva l'espulsione di tutti gli stranieri
non cattolici.
Agli antitrinitari italiani, compreso il famoso ex vicario generale dei
Cappuccini, Bernardino Ochino appena giunto in Polonia, non restò che
emigrare in Moravia o in Transilvania.


L'esilio in Moravia
Il margraviato di Moravia, pur facendo parte dei possedimenti assurgici,
godeva di una ampia autonomia, anche in campo religioso. Un esempio pratico
fu l'accoglienza positiva riservata per le comunità di anabattisti, guidati
da Balthasar Hübmaier e Jakob Hutter, perseguitati senza pietà in tutto il
resto dell'Europa.
Austerlitz (Slavkov in ceco), in particolare, fu una città dove fecero capo
diverse correnti religiose dissidenti, compresi gli antitrinitari: nel 1564,
scacciati dalla Polonia in seguito all'editto di Parczów, un gruppo di
antitrinitari italiani, comprendente Niccolò Paruta (che formò in seguito
delle comunità denominate seminaria veritas), Gentile, Alciati della Motta,
Ochino, si recò nella città morava. Furono seguiti nei successivi anni da
altri dissidenti come Marcello Squarcialupi, Andrea Dudith-Sbardellati e
Niccolò Buccella, che man mano, con il miglioramento della situazione
polacca, decisero di rientrare in Polonia.


Ripresa delle attività in Polonia
Già dopo la dieta di Piotrków della Chiesa Riformata Polacca del 1564 che
decretò l'esclusione degli antitrinitari, ci fu una separazione tra una
ecclesia major calvinista ed una ecclesia minor di fede antitrinitaria.
Gli antitrinitari, in quel periodo, si erano frazionati in quattro correnti,
qui riassunti dal nome dei capi-scuola:
Stanislao Farnowski (Farnovius, m.1615): come Gonesio, i suoi seguaci
pensavano che Cristo era pre-esistito alla creazione del mondo e quindi era
giusto adorarlo, ma non adottavano la stessa venerazione per lo Spirito
Santo.  Erano inoltre contrari al battesimo degli infanti. Nel 1568 il
gruppo di Farnowski si separò dalla chiesa unitariana polacca,
concentrandosi in una zona a cavallo del confine con l'Ungheria. La
secessione durò circa 50 anni e, dopo la morte del loro leader, i suoi
seguaci vennero riassorbiti dagli unitari o dai calvinisti.
Martin Czechowic: egli era un ariano molto radicale: Cristo era un uomo come
gli altri, ma essendo nato senza peccato, fu divinizzato e era giusto
adorarlo. Prendendo, come Gonesio, dagli anabattisti, Czechowic si opponeva
al battesimo dei bambini, all'uso delle armi, al coinvolgimento in incarichi
pubblici e alla proprietà privata.
Grzegorz Pawel: il gruppo di Cracovia di Pawel negava sia la pre-esistenza
di Cristo, sia la necessità di adorarlo. Come Gonesio e Czechowic, Pawel
aveva convinzioni anabattiste e in più era un millenarista.
Szymon Budny: per Budny Cristo era un uomo ed era idolatria adorarlo. Venne
scomunicato nonostante il suo vasto seguito in Lituania.
Un punto di svolta fondamentale per l'ecclesia minor fu l'arrivo in Polonia
nel 1579 di Fausto Sozzini, nipote di Lelio, che divenne ben presto la guida
di tutti gli antitrinitariani locali.
Socini pose la sua residenza a Cracovia, sebbene il centro di riferimento
per l'unitarismo polacco fosse la vicina cittadina di Raków, dove era stato
fondato un seminario di studi antitrinitari nel 1569 e dove, tra il 1603 ed
il 1605, sarebbe stato redatto il catechismo ufficiale della setta.
Nello stesso periodo Socini entrò nella polemica tra gli adoranti (al cui
pensiero lui aderiva) e i non-adoranti, come Ferenc Dàvid, Giacomo
Paleologo, Jànos Sommer e Andrea Dudith Sbardellati. (vedi capitolo
"Antitrinitari in Transilvania").
Socini, con il suo De Jesu Christi filii Dei natura sive essentia, attaccò i
non-adoranti come giudaizzanti, che volevano, tra l'altro, santificare il
sabato, secondo un uso sabbatariano, che si sarebbe poi diffuso in
Inghilterra, portatovi proprio dagli unitariani profughi dalla Polonia.
Il pensiero di Socini, fortemente razionale, accettava un solo Dio, mentre
Gesù Cristo era semplicemente un uomo crocefisso, il cui compito era di
rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così la salvezza,
seguendo il Suo esempio. Per lui la Sacra Scrittura, redatta da uomini, non
era indenne da errori, e l'uomo doveva basarsi sulla propria etica per
osservare i comandamenti e non era quindi necessaria la grazia divina. Egli,
inoltre, negava l'esistenza dell'inferno, il peccato originale, la necessità
dei sacramenti, la predestinazione.
Un bel programma in un secolo caratterizzato dal fanatismo religioso degli
opposti estremismi!
Nel 1588 Socini riuscì nell'impresa di unire tutte le fazioni unitariane al
sinodo di Brest (in suo onore, da quel momento gli unitariani si
denominarono sociniani), ma negli anni successivi dovette fronteggiare la
reazione, anche di piazza, dei cattolici: nel 1591 il suo punto d'incontro a
Cracovia fu devastato dalla folla e nel 1598 Socini stesso fu malmenato,
scampando per poco ad un linciaggio.
Egli morì nel 1604 e sulla sua tomba vennero scritte queste significative
parole: Crolli la superba Babilonia: Lutero ne distrusse i tetti, Calvino le
mura, Socini le fondamenta.
Pochi anni dopo, nel 1610, la potente organizzazione gesuita sbarcò in
Polonia decretando il rapido declino degli unitariani in Polonia: nel 1611
fu bruciato sul rogo a Varsavia l'unitariano Jan Tyskiewicz, un agiato
cittadino di Bielsk, e nel 1638 i sociniani furono espulsi da Raków e ne fu
chiuso il seminario.
Il colpo finale per l'unitarismo in Polonia fu il bando di espulsione per
tutti gli unitariani polacchi, deciso nel 1658 e diventato esecutivo il 10
luglio 1660, che li costrinse o ad uniformarsi o ad emigrare in altri paesi
europei (in Olanda, dove la maggior parte si trasferì aderendo alla Chiesa
Arminiana dei rimostranti, in Germania, e in Transilvania, dove però essi
non aderirono alla Chiesa Unitariana Transilvana, ma formarono una chiesa
autonoma a Kolozsvàr estinguendosi nel 1793).
L'ultima sacca di resistenza unitariana in Polonia si estinse nel 1811 e
solo nel 1921 furono riaccettate le congregazioni unitariane nella nazione
rinata dopo secoli di dominazione straniera. Ma la successiva occupazione
nazista nel 1939 e l'instaurazione del comunismo ha fatto sì che
l'unitarianismo polacco potesse incominciare a muovere nuovamente qualche
timido passo solamente dopo la caduta del muro di Berlino, negli anni '90
del XX secolo.
L'attuale Chiesa unitariana in Polonia comprende solo qualche centinaio di
fedeli.


Antitrinitari in Transilvania
Nel 1562 Giorgio Biandrata si recò in Transilvania, a Gyulafehérvár (Alba
Julia), dove fece la conoscenza e divenne amico di Ferenc Dàvid, vescovo
della Chiesa Riformata di Transilvania e cappellano personale del principe
Giovanni II Sigismondo Zapolya (1541-1571). Biandrata fece leggere a Dàvid
una copia della famosa Christianismi restitutio (La restaurazione del
Cristianesimo) di Miguel Serveto, convertendolo all'antitrinitarismo.
Il successivo sinodo nazionale a Gyulafehérvár del 1566 risultò un trionfo
per gli antitrinitari, sottolineato dalla pubblicazione del libro di Dàvid
De vera et falsa unius Dei, Filii et Spiritus Sanctii cognitione (Della
falsa e vera conoscenza dell'unità di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo),
nel quale il riformatore transilvano ridicolizzava la dottrina della Trinità
e perorava la causa della tolleranza religiosa per tutte le fedi.
Questo discorso venne poi ripreso durante la Dieta di Torda nel gennaio
1568, dove  Giovanni II Sigismondo Zapolya riconobbe la piena libertà a
tutte le confessioni religiose: fu la prima dichiarazione, al mondo, di
tolleranza religiosa mai pronunciata da un regnante. Oltre a questo, il re
aderì apertamente all'unitarismo con molti nobili della corte e Dàvid
divenne il capo della Chiesa Unitariana di Transilvania.
Nel 1570 Dàvid entrò in contatto, e ne fu influenzato, con lo studioso
italo-greco Giacomo Paleologo e il suo discepolo locale, il rettore del
ginnasio di Kolozsvár, János Sommer (1540-1574). Paleologo polemizzava con
un altro famoso antitrinitario, Fausto Socini, a riguardo della figura di
Gesù Cristo, che, per il Socini, era un vero uomo crocefisso, il cui compito
era di rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così la
salvezza, seguendo il Suo esempio. Il Paleologo, invece, negava il ruolo di
guida del Cristo, per i fedeli verso la salvezza, e rifiutava,
conseguentemente, ogni forma di adorazione di Gesù Cristo. Per questo, il
Paleologo e i suoi seguaci, tra cui si associò anche Dàvid, vennero
denominati antitrinitari non-adoranti in contrapposizione al pensiero
sociniano di tipo adorante. Alla corrente non-adorante aderì anche l'ex
vescovo cattolico e ambasciatore (di madre italiana) Andrea
Dudith-Sbardellati.
Purtroppo il momento magico per Dàvid finì solo tre anni dopo, nel 1571 con
la morte, a soli 31 anni, di Giovanni II Sigismondo e la salita al trono del
cattolico Stefano I Báthory (1571-1586), che tolse a Dàvid l'incarico di
cappellano personale del re e gli impedì di pubblicare altri scritti. Nel
1579 i suoi nemici riuscirono a farlo arrestare e imprigionare nella
fortezza di Déva dove, a causa del clima rigido e del fisico debilitato,
Dàvid  morì nel novembre dello stesso anno.
La Chiesa Unitariana di Transilvania, fondata da Dàvid, pur attraverso mille
traversie, spietate persecuzioni da parte degli Asburgo cattolici e feroci
pogrom da parte di fanatici ortodossi rumeni, esiste ancora oggi formata da
125 chiese, sebbene divisa dal 1949 in un troncone in Ungheria (25.000
fedeli, web-site: http://www.extra.hu/mue) ed uno di etnia ungherese in
Transilvania/Romania (circa 80.000 fedeli).


Sociniani in Inghilterra
Attraverso l'Olanda, che accolse molti esuli sociniani, l'antitrinitarismo
giunse in Inghilterra, dove il principale esponente fu John Biddle, preside
del liceo di Gloucester, che pubblicò, nel 1647, il primo trattato
dell'unitarismo inglese, Twelve arguments against the Deity of the Holy
Spirit (dodici ragioni contro la divinità dello Spirito Santo) a uso privato
per pochi amici, uno dei quali lo tradì, facendolo rinchiudere in carcere
nel 1645 per ordine dei magistrati di Gloucester.
Nel 1646 Biddle fu convocato a Londra per essere giudicato da una
commissione di teologi, ma, nell'attesa della sentenza, fu confinato in
prigione a Westminster dove rimase per vari motivi per i successivi 5 anni.
Infatti, imprudentemente, nel 1647, Biddle fece pubblicare le sue Dodici
ragioni, suscitando un putiferio: a gran voce venne chiesta la sua condanna
a morte, prevista anche dalla recentemente approvata (nel 1648) legge
Ordinance for punishing heresies and blasphemies (ordinanza per punire
eresie e blasfemie), ma nel 1652, grazie alla Act of Oblivion (legge di
oblio), egli poté finalmente uscire di prigione.
Una volta libero, Biddle fondò una piccola congregazione sociniana a Londra,
traducendo testi base dei sociniani (o unitariani) polacchi, come il
Catechismo di Racow (in Polonia), la prima dichiarazione dei principi
sociniani, ma soprattutto pubblicò nel 1654 la sua opera più celebre, il
Twofold Catechism (Catechismo doppio), dove in 24 capitoli egli bandì tutte
le espressioni e dottrine non originarie delle Scritture, come
transustanziazione, peccato originale, Dio fatto uomo, Madre di Dio etc.
Insomma non ci fu un solo punto della teologia dell'epoca che non fosse
rimesso in discussione da lui, sebbene utilizzasse l'astuta tecnica delle
domande aperte, senza mai precisare la propria fede.
Nonostante ciò, per ordine del parlamento, le copie del suo libro furono
bruciate sul rogo e lui stesso imprigionato nel carcere di Newgate, ma, per
l'ennesima evoluzione della turbolenta situazione politica inglese (era
stato sciolto il parlamento), fu liberato.
Biddle continuò per tutta la vita a professare attivamente le proprie idee e
per questo venne più volte condannato al confino e al carcere fino alla sua
morte avvenuta nel 1662.
Il principale esponente dell'unitarismo inglese dopo Biddle fu Thomas Emlyn
(1663-1741), che fondò una congregazione unitariana a Londra nel 1705, ma va
anche citata l'attività del teologo neo-ariano Samuel Clarke con il suo
trattato Scripture Doctrine of the Trinity (Scrittura dottrina sulla
Trinità), del 1712.
In seguito si affermò Joseph Priestley (1733-1804), che divise il suo tempo
tra la chimica (individuò, tra l'altro, la molecola dell'ossigeno) e le
predicazioni unitariane, e Theophilus Lindsey che nel 1774 fondò la prima
chiesa ufficiale di ispirazione sociniana a Londra.
Nel 1791 un gruppo di teppisti distrusse sia la casa che il laboratorio di
Priestley, che qualche anno dopo prese la decisione di emigrare in America,
dove fondò una chiesa unitariana in Pennsylvania.
Nel frattempo, in Inghilterra si era formata nel 1825 la British and Foreign
Unitarian Association, che dovette lottare contro le leggi britanniche
varate per proibire agli unitariani di accettare lasciti donati dai
puritani, cosa che verrà aggiustata soltanto con una nuova legge nel 1844.
Nel 1840 avvenne una grave scissione nel movimento: i "cristiani liberi" di
James Martineau, convinti in una fede più intuitiva e meno "razionale", si
separarono fino al 1928, anno in cui le due anime dell'unitarismo inglese si
rifusero nella attuale General Assembly of Unitarian and Free Christian
Churches (sito: http://www.unitarian.org.uk/)


Unitariani in America
Come già detto, Joseph Priestley fu uno dei predicatori che aiutò la
diffusione dell'unitarismo negli Stati Uniti, dove la dottrina però si
sviluppò abbastanza lentamente: prendendo spunto dalle prediche in
Inghilterra di Priestley, due chiese di Boston, la West Church del pastore
Jonathan Mayhew (1720-1766) e la First Church del pastore Charles Chauncy
(1705-1787) divennero unitariane.
Nel 1825 si formò la American Unitarian Association, ma, come per la crisi
degli unitariani inglesi del 1840, anche il pensiero unitariano americano fu
fortemente scosso dalle idee di William Ellery Channing, che inserì elementi
pietisti e filantropici. Lo scontro tre le due anime, mistica-pietistica da
una parte e razionale dall'altra, avrebbe caratterizzato la storia degli
unitariani americani negli anni seguenti: per esempio, nel 1865 la
conferenza nazionale unitariana adottò una piattaforma programmatica
nettamente cristiana, provocando il distacco della minoranza razionalista
che fondò la Free Religious Association (associazione religiosa libera).


L'unitarianismo odierno
Venendo ai giorni nostri, nel 1961 avvenne la svolta con la fusione degli
unitariani statunitensi con il movimento dell'universalismo, fondato dall'ex
pastore metodista John Murray, che credeva nella salvezza di tutti gli
uomini e negava la dannazione eterna.
La fusione diede luogo alla American Unitarian Universalist Association, poi
solo Unitarian Universalist Association, che conta oggi 502.000 aderenti. Il
sito web è http://www.uua.org/
Nonostante la diffusione relativamente bassa dell'unitarismo/universalismo,
ben 5 presidenti degli Stati Uniti hanno professato una fede unitariana e/o
universalista: Thomas Jefferson (che gli unitariani danno come loro seguace,
anche se una sua adesione ufficiale non c'è mai stata), John Adams, John
Quincy Adams, Millard Fillmore  William Howard Taft.
L'associazione, nella quale la corrente razionalista ha oramai preso il
sopravvento, è un movimento basato su congregazioni autogestite senza una
comune formula religiosa ufficiale, retaggio della sua travagliata storia e
dell'apporto di idee molto diversificate e perfino contrastanti: si nota un
interesse più nella libera ricerca della verità.
Infatti, da una statistica risulta che solo il 3% degli aderenti considera
Dio come un essere soprannaturale e il 40% come simbolo dell'amore o di
altri processi naturali. Inoltre 90% non crede nella immortalità dell'anima
e 64% ammette di non pregare mai o di farlo raramente.
In compenso, gli unitariani universalisti si sono sempre schierati in
battaglie civili contro la pena di morte, a favore del divorzio, l'aborto,
l'eutanasia, per il controllo delle nascite, per la riforma carceraria, per
l'educazione sessuale nelle scuole.
L'associazione mantiene contatti con simili organizzazioni in Inghilterra,
Irlanda, Filippine, Ungheria, Francia e Cecoslovacchia e fa parte della
International Association for (Liberal Christianity) and Religious Freedom
(IARF), che afferma di rappresentare 1.500.000 aderenti in 25 paesi.


Biddle, John (1615-1662) e unitarismo inglese



John Biddle nacque nel 1615 a Wotton-under-Edge, nella contea inglese del
Gloucestershire, da un negoziante di stoffe di lana. Già da piccolo B.
dimostrò notevolissime capacità mnemoniche ed una intelligenza fuori
dall'ordinario: alla giovane età di 15 anni aveva pubblicato un'antologia di
traduzioni di testi classici in inglese!
Quindi fu logico che B. andasse all'università, iniziando a frequentare,
dall'età di 17 anni, la Magdalene Hall, ad Oxford, dove ottenne il
baccalaureato nel 1638.
In seguito egli rimase come "tutor" ad Oxford e nel 1641, ottenuto la laurea
a 26 anni, divenne preside del liceo Crypt, annesso alla cattedrale di
Gloucester, dove alternò l'insegnamento del catechismo agli studi
approfonditi della Bibbia. Grazie alla sua incredibile memoria, B. riuscì ad
imparare a memoria tutto il Nuovo Testamento in inglese e buona parte della
versione in greco. Ma non fu solo un esercizio mnemonico: i suoi studi gli
avevano fatto sorgere i primi dubbi dottrinali e i teologi suoi
contemporanei dipendevano troppo il proprio giudizio dagli scritti dei Padri
della Chiesa per dare risposte certe alle sue domande.
In particolare B. sollevò dubbi sulla santità dello Spirito Santo e scrisse
a riguardo il trattato, il primo dell'unitarismo o socinianismo inglese,
pubblicato solo nel 1647: Twelve arguments against the Deity of the Holy
Spirit (dodici ragioni contro la divinità dello Spirito Santo) a uso privato
per pochi amici. Benché B. disse di non essere stato ispirato dalle opere di
Fausto Sozzini, bisogna ricordare che comunque già nel 1614 circolava in
Inghilterra il Catechismo di Racow [fatto bruciare pubblicamente da Giacomo
I (1603-1625)] e nel 1615 era stata inaugurata la Chiesa degli Stranieri, di
ispirazione unitariana.
Purtroppo uno degli amici destinatari dello scritto lo tradì e B. si trovò
nel 1645 rinchiuso in carcere per ordine dei magistrati di Gloucester.
La disavventura non diminuì comunque il suo senso di combattività nel
difendere le sue idee. Infatti, nello stesso periodo, B. vinse, per
abbandono dell'avversario, frustrato e disgustato, il dibattito pubblico con
il famoso arcivescovo irlandese di Armagh, James Ussher (1581-1656),
l'ideatore della cronologia della Bibbia.
Nel 1646 B. fu convocato a Londra per essere giudicato da una commissione di
teologi, ma, nell'attesa della sentenza, fu confinato in prigione a
Westminster dove rimase per vari motivi per i successivi 5 anni.
Infatti, imprudentemente, nel 1647, B. fece pubblicare le sue Dodici
ragioni, suscitando un putiferio: a gran voce venne chiesta la sua condanna
a morte, prevista anche dalla recentemente approvata (nel 1648) legge
Ordinance for punishing heresies and blasphemies (ordinanza per punire
eresie e blasfemie).
Tuttavia il preside di Gloucester poté sfruttare a suo vantaggio il mutato
clima politico [Carlo I (1625-1649) era stato decapitato nel 1649 e Oliver
Cromwell (1599-1658) aveva proclamato la repubblica] e nel 1652, grazie alla
Act of Oblivion (legge di oblio), B. finalmente uscì di prigione.
Ma una volta libero B., non certo un campione di prudenza, si mise
pericolosamente in vista fondando una piccola congregazione sociniana a
Londra, traducendo testi base dei sociniani (o unitariani) polacchi, come il
Catechismo di Racow (in Polonia), la prima dichiarazione dei principi
sociniani, ma soprattutto pubblicò nel 1654 la sua opera più celebre, il
Twofold Catechism (Catechismo doppio), dove in 24 capitoli egli bandì tutte
le espressioni e dottrine non originarie delle Scritture, come
transustanziazione, peccato originale, Dio fatto uomo, Madre di Dio etc.
Insomma non ci fu un solo punto della teologia dell'epoca che non fosse
rimesso in discussione da lui, sebbene utilizzasse l'astuta tecnica delle
domande aperte, senza mai precisare la propria fede.
Nonostante ciò, per ordine del parlamento, le copie del suo libro furono
bruciate sul rogo e lui stesso imprigionato nel carcere di Newgate, ma, per
l'ennesima evoluzione della turbolenta situazione politica inglese (era
stato sciolto il parlamento), fu liberato.
Libertà illusoria, purtroppo: un mese dopo B. venne arrestato grazie alla
vecchia legge del 1648 contro le eresie e blasfemie e condannato a morte:
Cromwell in persona riuscì a far trasformare la sentenza in un confino, come
si direbbe oggigiorno, nelle isole Scilly, al largo della Cornovaglia, dove
rimase segregato fino al 1658.
Finalmente liberato nel 1658, B. riuscì a mantenersi fuori dai guai con la
giustizia fino al giugno 1662, quando l'Act of Uniformity, voluta dal re
Carlo II (1649-1685) per stroncare il clero e le sette dissidenti, portò al
suo arresto per aver organizzato a casa sua delle lezioni non autorizzate di
esegesi biblica. Poiché non si riuscirono a trovare capi d'accusa teologici
sufficientemente validi, B. fu condannato ad una forte multa di £100
dell'epoca, somma che egli non poteva assolutamente pagare, e quindi fu
tenuto in prigione.
Ma, oramai minato nel fisico, B. fu rilasciato poco dopo e il 22 settembre
1662 morì nel suo letto all'età di 47 anni.
L'unitarismo inglese dovette, forzatamente, darsi alla clandestinità per più
di cent'anni, fino al 1770 circa, quando Theophilus Lindsey fondò una chiesa
ufficiale di ispirazione sociniana a Londra.


Luca di Praga (1460-1528), i Fratelli Boemi (Unitas fratrum) ed i Fratelli
Moravi



Il periodo storico
I Fratelli Boemi si inserirono nel periodo storico scaturito in Boemia in
seguito all'approvazione delle Compactata di Basilea, una serie di deroghe
dottrinali, che riproducevano i Quattro Articoli di Praga (concepiti nel
1420 da Jakoubek di Stribo): esse furono concesse agli hussiti dal Concilio
di Basilea (1431-1439) e quindi ratificate nel 1436 dalla Dieta di Iglau
(Jihlava) in Moravia, dove i cattolici e gli hussiti avevano accettato
reciprocamente le Compactata e l'obbedienza al Concilio.
Ma questo compromesso non fu accettato dalla fazione radicale dei taboriti e
si giunse ad una guerra civile tra i moderati utraquisti (momentaneamente
alleati con i cattolici) e i Taboriti stessi, conclusasi con la sconfitta di
questi ultimi nella battaglia di Lipau (o Lipany) del 30 Maggio 1434, dove
fu ucciso anche il loro capo Andreas Prokop.
Due anni dopo, nel 1436, alla Dieta di Iglau (Jihlava) in Moravia, i
cattolici e gli hussiti accettarono reciprocamente le Compactata e
l'obbedienza al Concilio. Fu formata una Chiesa Cattolica boema indipendente
con a capo l'arcivescovo Jan Rokyzana.
Tuttavia l'accordo non portò la sperata pace in Boemia, dove continuarono
nuove lotte interne culminate nel 1448, quando il governatore di Praga,
Giorgio Podiebrad reagì con forza ai tentativi dei cattolici di riprendersi
i beni confiscati durante le guerre hussite e di rievangelizzare la regione
con una attività martellante dei predicatori francescani agli ordini del
Vicario generale, San Giovanni Capistrano (1386-1456).
Podiebrad venne nominato reggente nel 1452 e divenne re di Boemia dal 1458
al 1470, sostenendo attivamente il rito utraquista.


La fondazione dell'Unitas fratrum
Nel 1457 alcuni utraquisti ed i superstiti taboriti si staccarono dalla
Chiesa hussita, formando un movimento separato, denominato Unitas Fratrum
(unità dei fratelli) o Fratelli Boemi, il cui fondatore fu un certo Gregorio
(secondo altri autori, Giorgio), nipote del predicatore utraquista Rokyzana,
ma di cui ebbe parte fondamentale il predicatore Petr Chelcický (1390-1460).
Il movimento ebbe un immediato successo ed aumentarono i suoi adepti fino al
numero di qualche migliaio, ma la sua rapida crescita fu bloccata nel 1461
dall'arresto di Gregorio e di altri attivisti per ordine del re Giorgio
Podiebrad, sempre vigile contro possibili riprese del defunto movimento
taborita.
Infatti, benché rifiutassero la violenza tipica dei taboriti, sviluppando
invece altre caratteristiche, come l'abolizione di ogni grado e gerarchia,
del giuramento, del servizio militare per favorire una vita basata sulla
povertà evangelica, i Fratelli Boemi accettarono alcuni punti tipici dei
radicali hussiti in tema di Eucarestia e Sacramenti.
Per continuare la loro opera essi si rifugiarono a Reichnau, sul lago di
Costanza, dove nel 1467, i F. si fusero con i valdesi boemi nel 1467,
diventando l'Unione dei fratelli boemi-moravi, e dando luogo alla
consacrazione di diversi preti (che dovevano essere celibi e non potevano
avere alcun possesso) e di un vescovo, Mattia di Kunwald.
L'Unione era basata su una severa moralità, sulla quale vigilava un comitato
di anziani, che potevano espellere coloro che si erano macchiati di qualche
peccato o colpa.
Comunque le persecuzioni nei loro confronti da parte di re Giorgio
continuarono fino alla sua morte nel 1471.


Luca di Praga
Luca nacque intorno al 1460 ed divenne baccelliere all'Università di Praga,
affermandosi successivamente come teologo molto preparato.
Dal 1480 circa, Luca fu nominato capo e vescovo dei F. riorganizzandoli come
una vera chiesa: in questo dovette vincere l'opposizione interna
rappresentata dall'ala più conservativa dei Radicali.
Nel frattempo, la Boemia era finita sotto il dominio della dinastia polacca
degli Jagelloni: era infatti diventato re di Boemia (e dal 1490 anche di
Ungheria) Ladislao II (1471-1516), figlio di Casimiro IV di Polonia
(1444-1492).
Ladislao fu alquanto tollerante con i F. e questa cosa permise una loro
rapida espansione (circa 100.000 seguaci), nonostante la persecuzione voluta
da Papa Alessandro VI (1492-1503): fu un vero peccato tuttavia che essi non
sapessero meglio coltivare i rapporti con il re. Infatti nel 1507 quando il
sovrano li invitò ad una conferenza con gli utraquisti a Praga, essi, per
tutta risposta, inviarono degli illetterati maleducati. Questo sgarbo mandò
in bestia il re Ladislao, che iniziò a perseguitare i F. ad iniziare
dall'Editto di San Giacomo del 1508.
Nel 1528 morì il vescovo Luca, che si era sempre posto in maniera
equidistante dai vari pensieri riformatori dell'epoca, come i luterani e gli
zwingliani.
Ne prese l'eredità spirituale Giovanni di Augusta, il quale tentò una
fusione con i luterani nel 1542, ma questa naufragò per una visione troppo
severa della morale dei F., non condivisa da Martin Lutero.
Tuttavia i F. furono lealmente al fianco dei luterani nella lega di
Smalcalda e patirono anche loro le conseguenze della sconfitta nella
battaglia di Muhlberg del 1547 e dovettero accettare o l'esilio in Polonia e
Prussia o di fondersi almeno formalmente con gli utraquisti.
Un periodo di relativa pace si ebbe sotto Massimiliano II d'Asburgo
(1564-1576), che rifiutò le decisioni del Concilio di Trento (1545-1563) per
mantenersi in una posizione neutrale: ne approfittarono i F. per stendere la
Confessio bohemica, l'atto di fede dei F., un documento teologicamente
ancora in una posizione intermedia tra luterani e calvinisti.
Durante il regno dell'imperatore Rodolfo II (1576-1612) fu stillata una
lettera di garanzia delle libertà religiose ai boemi, mentre durante il
regno del successore, il fratello Mattia (1612-1619), avvenne l'episodio
scatenante la Guerra dei Trent'anni: una ulteriore defenestrazione di Praga
degli incaricati cattolici dell'Imperatore.
Ma non erano più i bei tempi di Zizka o Prokop: la guerra vide la secca
sconfitta dei Boemi nella battaglia alla Montagna Bianca del 1620 da parte
delle truppe dell'imperatore Ferdinando II (1619-1637), il quale forzò i F.
a diventare cattolici o ad emigrare: molti scelsero di rifugiarsi in
Ungheria o in Polonia settentrionale, tra cui l'illustre filosofo e pedagogo
Jan Amos Komenski (Comenio) .
Altri F. boemi sopravvissero in clandestinità in Moravia, emigrando
successivamente in Germania, dove intorno al 1730 il conte Nikolaus Ludwig
von Zizendorf (1700-1760) fondò il movimento dei Fratelli Moravi, unendo le
caratteristiche dei F. con quelle del Pietismo di origine luterana.
Oggigiorno la Chiesa Morava, anche grazie ad una intensa opera di
missionariato nelle Americhe, conta nel mondo circa 300.000 fedeli.

Ursacio di Singiduno (attivo 335-371)



Vescovo di Singiduno (l'odierna Belgrado), U. rappresentò, con Valente di
Mursia, uno degli esponenti di punta dell'arianesimo anti-niceno.
Dal 351 ebbe una certa influenza sulle decisioni dell'imperatore Costanzo II
(337-361, figlio di Costantino), ascendente che crebbe quando Costanzo
divenne padrone di tutto l'impero romano in seguito alla sconfitta di
Magnenzio (350-353).
Durante i vari concili di Sirmio, tenuti tra il 357 ed il 359, U. si schierò
con le posizioni di Aezio di Celesiria.
Non se ne hanno più notizie dopo il 371.


Bullinger, Johann Heinrich (1504-1575)



Johann Heinrich Bullinger nacque nel 1504 a Bremgarten, nel cantone di
Argovia, in Svizzera.
Studiò per quattro anni con i monaci certosini ad Emerich (Germania), ma fu
successivamente convertito alla Riforma da Ulrich Zwingli, di cui divenne un
fervente seguace, sposandone la figlia e subentrando a questi nella guida
della Chiesa riformata di Zurigo, dopo la tragica morte di Zwingli durante
la battaglia di Kappel del 1531.
Il suo principale impegno fu quello di evitare il riassorbimento del
pensiero del suo maestro nel più popolare calvinismo, di cui non condivideva
la dottrina della predestinazione (non che lo rifiutasse in toto, ma non
poteva credere che Dio volesse la dannazione dei peccatori), i rapporti
troppo stretti con l'autorità civile, e il concetto di una partecipazione
reale di Cristo nell'Eucaristia.
A proposito di quest'ultimo argomento, nel 1549 B. firmò il Consensus
Tigurinus assieme a Calvino e Farel: nell'accordo non si faceva menzione del
termine substantia, (sebbene il termine presenza reale fosse rimasto nel
testo) un successo comunque per B, che era riuscito a portare Calvino su
posizione più vicine all'interpretazione simbolica dell'Eucaristia, cara a
Zwingli. Tuttavia resta sempre il dubbio che i riformatori ginevrini abbiano
accettato il compromesso dottrinale per un'opportunità politica: quella di
non isolare la loro città dal resto della Svizzera riformata. Nuovamente,
dopo la morte di Calvino, anche il suo successore, il diplomatico Théodore
di Béze, impegnato in una disputa sull'Eucaristia con B., preferì non
insistere sulle sue posizioni per mantenere l'unità della Chiesa riformata.
Nel 1563 B. fu favorevole al Catechismo di Heidelberg (1563): questo testo,
benché scritto dai calvinisti Caspar von der Olewig (Olevianus o Olevian)
(1536-1585) e Zacharias Beer (Ursinus) (1534-1583), non faceva menzione alla
dottrina delle predestinazione e per quanto concerne l'Eucaristia, si
allineava più sulle posizioni zwingliane. Il Catechismo di Heidelberg
influenzò poi il testo della Seconda Confessio Helvetica del 1566, scritto
da B. stesso, in risposta ad una richiesta dell'Elettore-Palatino Federico
III, detto il Pio (1559-1576), che aveva annunciato la sua adesione al
calvinismo nel 1563.
B., saggio e moderato, godeva di grande prestigio all'estero, presso la
Chiesa riformata scozzese di John Knox, in Francia con l'amico filosofo
Pierre de la Ramée (Ramus) (1515-1572), nei Paesi Bassi, dove i suoi scritti
erano molto popolari, e, grazie all'amico John Hooper, negli ambienti
anglicani: quando Pio V (1566-1572) confermò la scomunica di Elisabetta I
d'Inghilterra (1558-1603), fu B. ad aiutare la regina inglese a preparare
un'adeguata risposta. Del resto proprio il riformatore zurighese ospitò
alcuni vescovi riformati inglesi profughi in Svizzera, in occasione delle
persecuzioni durante il regno della sorella cattolica di Elisabetta, Maria
Tudor, detta la Sanguinaria (1553-1558).
L'atteggiamento di B. nei confronti delle frange radicali fu non sempre
costante: da una parte amico dell'antitrinitariano Lelio Sozzini, dall'altra
dapprima ammiratore, ma successivamente avversario del movimento
anabattista, soprattutto dopo le atrocità compiute a Münster.
B. morì a Zurigo nel 1575.



Farel, Guillaume (1489-1565)



Guillaume Farel nacque nel 1489 da una famiglia nobile vicino a Gap (nel
Delfinato, in Francia). Benché i suoi genitori avessero deciso per lui una
carriera militare, F. si iscrisse invece all'università di Parigi, studiando
filosofia, teologia e lingue antiche sotto il noto umanista Jacques Le Fèvre
d'Étaples (o Jacobus Faber Stapulensis), che, in seguito, lo raccomandò come
professore nel Collegio Lemoine, fondato nel XIII secolo dall'omonimo
cardinale (1250-1313).
Nel 1520 Le Fèvre d'Étaples si trasferì a Meaux, chiamato dal vescovo
riformatore Guillaume Briçonnet, che lo nominò vicario generale e nel 1521
lo stesso F. seguì il maestro, prendendo parte al progetto di Le Fèvre e di
Briçonnet di una riforma, dall'interno e pur accettandone la gerarchia,
della Chiesa Cattolica.
F. non fu mai ordinato prete, ma a Meaux gli fu autorizzato a predicare:
tuttavia dopo pochi anni egli dovette lasciare la Francia, a causa delle
persecuzioni a cui fu soggetto Le Fèvre d'Étaples, il quale aveva
incrementato le proprie simpatie verso le dottrine riformiste. Le Fèvre
rimase comunque intoccabile sotto la protezione personale del re di Francia,
Francesco I (Le Fèvre ne era stato il maestro della cugina/cognata Renata,
futura duchessa d'Este e protettrice della causa riformista a Ferrara), ma
F. decise di cambiare aria.
Egli si recò quindi a Basilea, dai riformatori Ecolampadio e Haller, dove
tuttavia la sua accorata predica iconoclasta ed anti-cattolica gli costò
l'espulsione chiesta a gran voce, tra gli altri, da Erasmo da Rotterdam.
Dopo aver operato a Strasburgo, dove conobbe Bucero, e a Montéliard (da cui
venne esiliato nel 1525 dopo aver scaraventato un'immagine di Sant'Antonio
nel fiume!), F. fu assunto come predicatore ad Aigle, nel cantone di Berna
nel 1526, dove, tuttavia, decise prudentemente di agire sotto lo pseudonimo
di Ursinus. Dopo due anni, nel 1528, F. ottenne dalle autorità cantonali il
permesso di predicare ovunque entro i limiti del cantone di Berna, cosa che
fece con il suo abituale stile veemente.
Il permesso venne poi esteso ai cantoni di Vaud e Neuchâtel e fu proprio in
quest'ultima città che nell'ottobre 1530, con la folla, da lui sobillata, in
piena furia iconoclasta, F. proclamò l'adesione alla Riforma di Neuchâtel
stessa.
Nel 1531-1532 F. visitò i Valdesi durante il loro sinodo di Chanforan e il
suo accorato intervento fu fondamentale nella loro decisione di aderire alla
Riforma.
Nell'ottobre 1532, all'età di 43 anni, F. si recò a Ginevra, allora città
indipendente principalmente cattolica e parte del cantone di Berna: il suo
soggiorno fu breve e molto contrastato. Benché iniziasse a predicare solo in
case private, fu ben presto chiamato dal vescovo per essere giudicato: pare
che il giudizio per poco non si trasformò direttamente in un linciaggio. F.
fu addirittura fatto segno di colpi di arma da fuoco e poté mettersi in
salvo attraversando in barca il lago. Stessa sorte lo subì il predicatore
Antoine Froment (1509-1581), inviato poco dopo da F.
Il 28 marzo 1533, in seguito all'intervento militare di Berna, fu garantita
la libertà di culto ai protestanti, e, sebbene nel gennaio 1534 il vescovo
cattolico avesse ancora la forza di proibire le prediche non autorizzate e
di ordinare il rogo delle Bibbie protestanti, il rientro di F. nello stesso
1534 e la sua partecipazione a dibattiti pubblici accelerò l'avanzata delle
idee riformiste, culminata, il 27 agosto 1535, con il decreto di adesione di
Ginevra alla Riforma da parte del Concilio dei Duecento.
E fu in questa situazione che nel luglio 1536 capitò di passaggio a Ginevra,
durante un suo viaggio a Strasburgo, Giovanni Calvino, immediatamente
convinto da F., in maniera fin troppo energica (lo avrebbe maledetto, se non
avesse accettato di restare!), a rimanere ad insegnare teologia.
Nel 1536 i due installarono un governo teocratico regolato dalle Ordinanze,
ma molto poco tollerante, basato sulla censura morale e la scomunica, la cui
severità spinse il consiglio cittadino ad esiliare F. e Calvino nel 1538. F.
si recò a Neuchâtel e Calvino a Strasburgo e quando quest'ultimo fu
richiamato a Ginevra nel 1541, egli volle accanto il suo compagno di fede.
Tuttavia F. non rimase molto a Ginevra: già nel 1542 andò a Metz per
diffondere la Riforma. Si racconta che in questa città F. fosse riuscito,
durante una predica in un cimitero domenicano, a sovrastare con la propria
voce le campane del vicino convento fatte suonare proprio per disturbare la
sua omelia.
Ma l'ambiente ostile e le persecuzioni del duca Antonio di Lorena
(1508-1544) lo obbligarono nel 1544 a tornare a Neuchâtel, dove mantenne, a
distanza, la fraterna amicizia con Calvino, anche durante il discusso
episodio della condanna di Michele Serveto del 1553.
Solamente quando F., nel 1558, alla bella età di 69 anni, decise di sposarsi
con una vedova di Rouen, i rapporti con Calvino si raffreddarono e il
riformatore di Ginevra esortò altri predicatori a "sopportare con pazienza
la follia di questo vecchio scapolo"!
Calvino morì nel 1564 e questo lutto segnò profondamente F., che eppure,
l'anno successivo, il 1565, ebbe ancora l'energia di recarsi a Metz a
predicare con la sua solita verve. Tuttavia lo sforzo gli fu fatale e il 13
settembre 1565 egli morì.
Nel 1876 fu gli dedicato un monumento alla memoria da parte della
popolazione di Neuchâtel.


Utraquisti (o Calixtini o Calinisti o Calicisti) (dal XV secolo)



Gli utraquisti, il cui nome derivò dall'espressione latina, usata per la
Comunione sotto ambedue le forme, sub utraque specie, furono gli aderenti
alla fazione moderata del movimento hussita. Furono denominati anche
calixtini (o calinisti o calicisti ) dal latino calix, il calice contenente
il Sangue di Cristo ed erano principalmente formati da universitari,
aristocratici e borghesi.
Nell'ambito del movimento hussita, essi si contrapposero alla fazione più
radicale dei taboriti, sconfitti dagli u. stessi nella battaglia di Lipau
del 30 Maggio 1434, dove fu ucciso il capo taborita, Andreas Prokop.
Gli u. erano infatti riusciti ad arrivare ad un compromesso con i cattolici
durante Concilio di Basilea (1431-1439), dove si era arrivati alla stesura
delle Compactata, una serie di deroghe dottrinali, che riproducevano i
Quattro Articoli di Praga. La pace religiosa fu raggiunta nel 1436, alla
Dieta di Iglau (Jihlava) in Moravia, dove i cattolici e gli u. accettarono
reciprocamente le Compactata e l'obbedienza al Concilio.
Fu formata una Chiesa Cattolica boema indipendente con a capo l'arcivescovo
Jan Rokyzana.
Tuttavia l'accordo non portò la sperata pace in Boemia, e successivamente al
periodo (1448-1471) caratterizzato dal re Giorgio Podiebrad, gli u.
giocarono un ruolo sempre più marginale nelle vicende della loro nazione.
Nel 1457 dovettero subire lo scisma interno generato dal movimento,
denominato Unitas Fratrum o Fratelli Boemi, collegato all'attività del
riformatore Petr Chelcický (1390-1460) e che divenne gradualmente la fazione
più numerosa dell'eredità hussita.
Gli u., invece, durarono in patria fino al 1620, quando in piena guerra dei
Trent'anni (1618-1648), molti furono costretti a convertirsi al
Cattolicesimo o andare in esilio in Ungheria o in Polonia.
Oggigiorno la Chiesa Hussita Ceca (di ispirazione u.) conta circa 170.000
membri.

Arminio (Arminius o Hermanzoon o Harmansz o Harmensen), Jacob (o Jacobus)
(1569-1609) e Arminianismo



La vita
Jacob Hermanzoon (nome umanistico Jacobus Arminius, meglio conosciuto come
Arminio) nacque il 10 ottobre 1560 a Oudewater, in Olanda meridionale, da un
arrotino, di nome Herman.
Erano tempi bui per i Paesi Bassi, percorsi dalle truppe spagnole del
tristemente noto Fernando Alvarez de Toledo (ca.1507-1582), duca d'Alba,
inviato dal re di Spagna, Filippo II (1556-1598) per reprimere il tentativo
di indipendenza dell'Olanda.
Anche la famiglia di A. venne tragicamente colpita dagli avvenimenti
dell'epoca: A., rimasto orfano di padre nell'anno della sua stessa nascita,
fu adottato da Theodorus Aemilius, un ex prete cattolico, diventato
protestante, che lo mandò a studiare ad Utrecht. Nel 1575, all'età di 15
anni, egli fu notato dal suo concittadino, il matematico Rudolf Snellius
(1546-1613), docente all'università di Marburg (in Germania), che lo portò
con sé per proseguire i suoi studi, ma, appena giunto a Marburg, fu
informato dell'assedio spagnolo di Oudewater: A. rientrò in tutta fretta,
per solo per apprendere la terribile notizia che, dopo l'espugnazione della
sua città natale, i soldati spagnoli avevano massacrarono tutta la sua
famiglia (madre, fratello e sorella).
Completamente solo al mondo, A. trovò, per sua fortuna, degli amici
generosi, che gli pagarono gli studi di teologia all'università di Leida.
Rivelatosi un brillante studente, nel 1582 A. proseguì i suoi studi, pagati
dalla gilda dei mercanti di Amsterdam, a Ginevra sotto la guida del
successore di Giovanni Calvino, Theodore de Béze.
Nel 1586 A.fece un lungo viaggio in Italia, assistendo alle lezioni a Padova
del filosofo umanista Jacopo Zabarella (1533-1589), ma poco dopo si sparse
in Olanda la voce che egli fosse caduto sotto l'influenza dei gesuiti, (San)
Roberto Bellarmino (1542-1621), ex-professore di teologia a Lovanio (tra il
1570 ed il 1576), e Francisco De Suarez (1548-1617). Fu quindi urgentemente
richiamato indietro ad Amsterdam, dove dovette fare una dichiarazione di
ortodossia calvinista e, fugati i dubbi sulla sua fede, venne nominato nel
1588 pastore di una comunità calvinista.
Nel 1589 egli fu direttamente chiamato in causa sia dal professore di
Franeker (nella Frisia occidentale) Martin Lydius per confutare due teologi
infralapsariani di Delft, che dal tribunale ecclesiastico di Amsterdam per
dibattere contro uno studioso laico, Dirk Koornhert, che aveva scritto
contro il supralapsarianismo e contro la dottrina della predestinazione,
chiedendo perfino la revisione della Confessio Belgica, elaborata nel 1561
da Guy de Bray.
A., approfondendo l'argomento, ebbe dei primi dubbi sulla incondizionata
predestinazione di Calvino, e decise di rifiutarlo, sviluppando un concetto
di libero arbitrio, del tutto estraneo al calvinismo.
Questa presa di posizione gli suscitò per anni critiche e pesanti attacchi
dall'establishment calvinista, che si acuirono quando nel 1602 A. successe a
Franz Junius (1545-1602), professore di teologia a Leida, nella cui
università A. fu fatto sistematicamente oggetto degli strali del teologo
supralapsariano Franz Gomar (Gomarius).
Tra il 1608 ed il 1609 egli pubblicò tre difese scritte delle sue dottrine,
ma nell'ottobre 1609, morì di consunzione a soli 49 anni.


Teologia dell'arminianismo
Nettamente diversa, quindi, dalle altre dottrine calviniste, l'arminianismo
credeva che Dio avesse dato all'uomo la libera scelta di accettarLo o di
rifiutarLo. Quindi dopo la caduta dell'uomo, Dio aveva provveduto per la
salvezza di tutti, ma solo chi credeva avrebbe potuto salvarsi, attraverso i
meriti dell'azione di Cristo e per mezzo della Grazia dello Spirito Santo.
Infatti A. era convinto che:
Sebbene Cristo fosse morto per tutti, solo i credenti potevano ottenere la
remissione dei peccati,
E comunque era necessaria la mediazione della Grazia dello Spirito Santo,
senza la quale non era possibile per l'uomo capire, volere e compiere il
bene.
Quindi tutte le buone azioni dell'uomo dovevano essere riferite alla Grazia,
che però non era irresistibile: era infatti sempre possibile per il credente
perderla.
L'a. introduceva quindi un concetto di libero arbitrio sebbene condizionato:
il teologo luterano del XX secolo Otto Heick infatti la definì con
l'ossimoro condizionalismo assoluto.
La reazione calvinista non si fece attendere e al concilio di Dort
(Dordrecht) del 1618-19 furono elaborati, contro l'a., i seguenti cinque
punti del calvinismo, denominati Canone di Dort (tra parentesi, in italico,
il pensiero degli arminiani):
Depravazione totale: l'uomo caduto in peccato non era assolutamente in grado
di salvarsi. (La natura umana permetteva all'uomo di credere o rigettare
Cristo, quindi egli non poteva essere totalmente depravato)
Elezione non condizionata: la volontà di Dio di salvare gli eletti non
poteva essere condizionata assolutamente dall'uomo. (L'elezione era
condizionata dalla conoscenza di Dio e dal libero arbitrio dell'uomo)
Espiazione limitata: l'espiazione attraverso la morte di Cristo era sì
sufficiente a salvare tutti gli uomini, ma efficace solo per gli eletti.
(L'espiazione era per tutti gli uomini, senza specifiche categorie di
eletti).
Grazia irresistibile: gli eletti non potevano resistere al dono della
grazia, dato dallo Spirito Santo. (L'uomo poteva resistere alla Grazia di
Dio, rifiutando di farsi salvare)
Perseveranza dei santi: coloro che sono stati rigenerati e giustificati
persevereranno nella fede. (Mediante certi comportamenti, perfino il
credente rigenerato e giustificato può essere dannato).


I successori di A.
Non avendo A. formalizzato la sua dottrina, sarebbe toccato ai suoi
successori Simon Bischop (nome umanistico: Episcopius) (1583-1643) e Jan
Uytenbogaert (1577-1644), sviluppare e sistemare le idee, che furono
presentate con forte spirito polemico agli Stati Generali olandesi nel 1610:
per questo la corrente degli arminiani fu detta dei rimostranti.
Al concilio di Dort (novembre 1618- maggio 1619), pur supportato
autorevolmente dall'Avvocato Generale dello Stato Jan (o Johan) Van
Oldenbarnevelt, che avrebbe pagato questa presa di posizione con la propria
testa (fu infatti decapitato il 14 maggio 1619) e dal teologo Ugo Grozio,
l'arminianismo fu condannato senza appello e i rimostranti furono
perseguitati durante il governo dello statolder Maurits (Maurizio)
d'Orange-Nassau (1584-1625): circa 200 predicatori furono espulsi dalla
Chiesa Riformata e 80 dovettero andare in esilio. La situazione perdurò fino
al 1632, anno dal quale i seguaci di A. furono finalmente lasciati in pace,
tuttavia solamente nel 1795 i rimostranti furono riconosciuti come chiesa
indipendente in Olanda.


La Chiesa arminiana dei Rimostranti oggi
Oggigiorno sono 21.500 gli aderenti alla chiesa arminiana, denominata The
Remonstrant Brotherhood (la Fratellanza dei Rimostranti) e aderente dal 1948
al Consiglio mondiale delle Chiese. Il web site http://www.remonstranten.org
è in lingua olandese ma l'introduzione e alcune pagine sono anche in
inglese.
Le dottrine di A. ebbero un effetto duraturo sul pensiero calvinista e
inoltre, esportate in Inghilterra, influenzarono diverse correnti religiose
protestanti, tra cui i pietisti, alcuni battisti, i pentecostali, le chiese
di santità, il movimento di Oxford.
Ma i concetti arminiani di responsabilità morale dell'uomo e del potere
santificante dello Spirito Santo furono soprattutto decisivi nello sviluppo
di una delle dottrine più popolari nel "grande risveglio" protestante del
XVIII secolo: il metodismo di John Wesley.

Grebel, Conrad (ca.1498-1526)



Conrad Grebel, uno dei fondatori del movimento anabattista, nacque nel 1498
ca. da una famiglia patrizia di Zurigo. Il padre, Jakob, un ricco
commerciante di ferro, ricopriva spesso incarichi ufficiali nel consiglio
cittadino.
G. ebbe un'ottima istruzione studiando a Basilea nel 1514 con l'umanista
Heinrich Loriti, detto Glareano (1488-1563), poi per tre anni a Vienna con
l'umanista Joachim von Watt, detto Vadiano (1484-1551). Alla fine dei suoi
studi viennesi, nel 1518, G. si trasferì a Parigi, dove però fu molto
svogliato e non completò nessun corso di laurea: dopo due anni, rientrò a
Zurigo con una buona cultura di base, ma senza un titolo di studio.
Nella sua città natale, G., in perenne contrasto con il padre per motivi
economici, si sposò nel 1522 con una ragazza di umili origini e nello stesso
anno iniziò a frequentare i circoli umanistici che gravitavano intorno a
Zwingli. Questa frequentazione trasformò il giovane, alquanto indifferente
alle problematiche religiose, in un fervente collaboratore del riformista
zurighese.
Tuttavia, già nel Gennaio 1523, G. ed altri, come Felix Mantz, Wilhelm
Reublin, Hans Brötli e Simon Stumpf, cominciarono a contestare la linea
riformista di Zwingli. In particolare la materia del contendere era la
superiorità della Sacra Scrittura, propugnata da G. e compagni, rispetto
all'autorità dello stato, voluto da Zwingli, che lavorava per ottenere il
consenso unanime del corpus christianum, inteso come l'unità dei fedeli.
Il 26-28 Ottobre 1523, durante un dibattito pubblico, organizzato dal
Consiglio cittadino, avvenne lo scontro tra G. e Zwingli, in particolare
quando si toccò il punto delicato dell'opportunità, dei tempi e metodi di
abolizione della Messa: la prudenza di Zwingli, che desiderava il consenso
del Consiglio stesso, non soddisfaceva G. più portato a decisioni radicali
ed immediate. Anche i moti popolari contro la lentezza delle riforme,
scoppiati in Dicembre 1523, non fecero altro che fornire alle autorità
cittadine il pretesto per espellere Simon Stumpf.
Nel 1524 il gruppo di G. cercò di uscire dal proprio isolamento, presentando
a Zwingli un progetto di riforma politica, prontamente respinto, e scrivendo
una lettera a Thomas Müntzer per chiedere un confronto sulle rispettive
posizioni radicali: non risulta che il riformatore tedesco abbia mai
risposto.
Contemporaneamente si sviluppò la polemica sul battesimo degli infanti:
l'impulso di rigettare il battesimo dei bambini, come polemica
anti-clericale contro i riti della "vecchia" Chiesa, venne da episodi
avvenuti, nella primavera-estate 1524, in due villaggi vicino a Zurigo,
Zollikon, dove operava Johannes (Hans) Brötli, e Wytikon, dove era pastore
Wilhelm Reublin.
G. prese spunto da questi episodi per rifiutarsi di far battezzare il suo
bambino, appena nato. La cosa suscitò un grande scalpore: il rifiutare il
battesimo equivaleva a negare al bambino l'appartenenza alle comunità, sia
sociale che cristiana, che a quel tempo coincidevano nel già menzionato
corpus christianum.
Si pervenne quindi ad una disputa pubblica il 10 e 17 Gennaio 1525 tra il
gruppo di G., da poco rinforzato dall'ex sacerdote Jörg Blaurock, e i
riformatori svizzeri nelle persone di Zwingli e Johann Heinrich Bullinger.
Ma il risultato fu scontato: il Consiglio cittadino censurò la posizione del
gruppo di G., ordinando il battesimo immediato di tutti i bambini entro otto
giorni dalla loro nascita.
Il 21 Gennaio 1525, sfidando il divieto delle autorità cittadine, 15
anabattisti si riunirono in casa di Felix Mantz, e presero la decisione di
procedere al proprio ribattesimo, cosa che fecero la notte stessa: fu G. a
battezzare Blaurock, che poi ribattezzò gli altri. In seguito gli
anabattisti si trasferirono a Zollikon, dove fondarono la comunità dei
"Fratelli in Cristo".
La frattura era avvenuta e la reazione dei riformatori ortodossi non si fece
attendere: il Consiglio cittadino fece arrestare ed interrogare a più
riprese, con una severità sempre più crescente, gli anabattisti.
L'episodio più significativo fu la protesta della comunità di Grüningen, un
distretto vicino a Zurigo, dove lo scontento popolare fu fomentato proprio
dai capi anabattisti Blaurock, G, e Mantz, arrestati e inviati a Zurigo. Qui
si tenne il 6-8 Novembre 1525 un'ulteriore disputa tra gli anabattisti e
Zwingli, che, scontento per l'ostinata posizione degli avversari, li fece
condannare dal Consiglio, il 18 Novembre, a rimanere in carcere.
Il 5 e 6 Marzo 1526, dopo quattro mesi di duro carcere, il Consiglio cercò
di fiaccare la resistenza degli arrestati (i tre sopramenzionati più altri
14 compagni) condannandoli al carcere a pane e acqua, finché essi non
avessero ritrattato, ma 15 giorni dopo, approfittando di una clamorosa
distrazione, gli anabattisti riuscirono ad evadere.
G. si diresse da solo a casa di sua sorella, che abitava nel Cantone
Grigioni, a Maienfeld. Giuntovi stanco e malato, morì di peste poco dopo,
probabilmente nel Luglio 1526, all'età di soli 28 anni.



Valdés (poi italianizzato in Valdesso, Valdessio o Val d'Esso), Juan de (ca.
1500-1541)



I primi anni
Il mistico e riformatore Juan de Valdés, figlio del gentiluomo Hernando de
Valdés, corregidor (ufficiale incaricato del governo di una città) di Cuenca
ed esponente di una famiglia di conversos (ebrei spagnoli convertiti),
nacque nel 1500 ca. (altri autori propendono per un improbabile 1509 o 1510)
appunto a Cuenca, in Castiglia (Spagna).
Nel 1524 egli ebbe la possibilità di assistere alle prediche del pensatore
alumbrado Pedro Ruiz de Alcaraz, nel palazzo ad Escalona del marchese di
Villena, e dal 1526 studiò, all'università di Alcalà de Henàres, greco (con
lo studioso Francisco de Vergara), ebraico, latino e letteratura spagnola e
italiana: ad Alcalà conobbe e si appassionò agli scritti di Erasmo da
Rotterdam e di Martin Lutero.


Il fratello Alfonso
Juan era il fratello gemello più giovane di Alfonso (ca. 1500-1532):
quest'ultimo, dal 1522 segretario della cancelleria dell'imperatore Carlo V
(1519-1558), fu l'autore di un dialogo pesantemente anti-papale, stampato
nel 1529, il Lactantius, nel quale egli attaccò il papa Clemente VII
(1523-1534) come disturbatore della pace, istigatore della guerra e perfido
ingannatore!
Ma, nonostante che il nunzio papale di Madrid, Baldassarre Castiglione
(1478-1529) in persona avesse portato il caso davanti all'Inquisizione, lo
stato di impopolarità presso la corte imperiale in cui era caduto Clemente
VII dopo il Sacco di Roma del 1527 e la potente protezione dell'imperatore
verso il suo segretario fece sì che nulla potesse accadere al temerario
Alfonso. Comunque la morte prematura, a causa della peste, del gemello di
Juan a Vienna nel 1532 mise a tacere ogni possibile inchiesta delle autorità
religiose.


V. in Italia
Questi appoggi dall'alto furono meno evidenti per Juan, che, dopo aver
scritto nel 1528-29, in forma anonima, il Dialogo de doctrina cristiana, in
cui attaccava la corruzione della Chiesa Romana, sebbene difendesse nel
contempo la legittimità del matrimonio di Enrico VIII d'Inghilterra con
Caterina d'Aragona fu comunque processato per eresia dall'Inquisizione
spagnola una prima volta nel 1529: egli fu quindi costretto a riparare
definitivamente in Italia nell'inverno 1530-31, anche se sotto una copertura
diplomatica, come agente imperiale, per conto di Carlo V, per sfuggire ad un
secondo e più decisivo processo.


Si stabilisce a Napoli
Dopo aver abitato a Roma, dove frequentò il circolo umanistico di Juan Ginés
de Sepulveda, e viaggiato per la penisola italiana, per esempio nel 1533 a
Bologna, al seguito del papa Clemente VII, e poi una prima volta a Napoli,
all'indomani dell'elezione del papa Paolo III (1534-1549), V. si trasferì,
nell'autunno 1535, definitivamente a Napoli e nel rione di Chiaia stabilì la
propria residenza fino alla sua morte nel 1541.
Nella sua casa egli formò un circolo umanistico religioso, che coagulò tutto
il fior fiore dell'intellighenzia riformista dell'epoca in Italia.
Infatti la quantità e qualità di coloro che aderirono ai circoli valdesiani
fu impressionante. Tra gli altri, si annoverano:
nobili come la contessa di Fondi Giulia Gonzaga Colonna (che V. sempre
considerò sua erede spirituale, a cui dedicò la sua opera principale
l'Alfabeto cristiano e a cui affidò tutti i suoi scritti in punto di morte),
il marchese d'Oria Bernardino Bonifacio, la duchessa di Camerino Caterina
Cibo, la marchesa di Pescara Vittoria Colonna, il nobile siciliano
Bartolomeo Spadafora, il marchese di Vico Galeazzo Caracciolo, il cavaliere
Mario Galeota suo fedele collaboratore, la nobile Isabella Bresegna, moglie
del capitano don Garcia Manrique, futuro governatore di Piacenza,
alti prelati come l'arcivescovo di Otranto Pietro Antonio Di Capua, il
vescovo di Bergamo Vittore Soranzo, il vicario generale dell'ordine dei
cappuccini Bernardino Ochino, il vescovo di Cheronissa Giovanni Francesco
Verdura,
religiosi come il domenicano Ludovico Manna, il canonico regolare Pier
Martire Vermigli, il benedettino Benedetto Fontanini da Mantova, il
sacerdote Apollonio Merenda, l'abate Girolamo Busale, il francescano
Giovanni Buzio,
intellettuali come l'umanista Marcantonio Flaminio e il protonotario
apostolico Pietro Carnesecchi.
Inoltre l'impatto delle dottrine di V. fu decisivo sulle idee di altri
pensatori eterodossi, anche se questi non frequentarono direttamente i suoi
circoli di Napoli, come, ad esempio, gli intellettuali Aonio Paleario e Pier
Francesco Riccio, e il cardinale inglese Reginald Pole.
V. morì a Napoli nell'agosto 1541.


La dottrina
Influenzato dallo spiritualismo degli alumbrados, oltre che dalle dottrine
di Erasmo e Lutero, il pensiero di V. ha avuto comunque un suo sviluppo
autonomo.
Come devoto mistico evangelico V. credeva nell'illuminazione dello spirito,
come rivelazione di Dio del fatto che chi si abbandonava alla Sua
misericordia, era da Lui chiamato alla salvezza. Sostanzialmente questa era
una giustificazione sola fide simile al concetto luterano, ma per V., solo
mediante la negazione di se stessi, gli uomini potevano ricevere
l'illuminazione divina e perciò conformarsi all'immagine di Dio, di cui
erano fatti.
La fede era quindi un argomento puramente soggettivo, fondata cioè su un
senso molto individuale della religione, in contrapposizione al magistero
ufficiale della Chiesa e alle sue reinterpretazioni delle Sacre Scritture.
Sebbene tutte le forme esteriori della ritualità ufficiale cristiana fossero
inutili orpelli da combattere, come la pensava del resto anche Erasmo, in
quanto non necessari al cammino interiore verso Dio, tuttavia V. era
favorevole ad uno stretto nicodemismo, come forma di schermo contro le
intolleranze della Chiesa ufficiale. Infatti per il mistico spagnolo i veri
cristiani erano molto pochi e dovevano agire con prudenza e riservatezza in
maniera da non provocare polemiche e condanne.


Le opere
Detto dell'opera composta nel periodo spagnolo (Dialogo de doctrina
christiana), in Italia il lavoro principale di V. fu senz'altro l'Alphabeto
christiano, che insegna la vera via d'acquistare il lume dello Spirito
Santo, o semplicemente Alphabeto christiano, tradotto da Marcantonio
Flaminio e pubblicato postumo a Venezia nel 1545 e che ebbe una notevole
popolarità nel mondo riformato italiano.
Ma V. scrisse una notevole mole di altri lavori tra cui un breve catechismo,
dal titolo Qual maniera si dovrebbe tenere a informare insino della
fanciullezza i figliuoli de Christiani delle cose della religiosa (Roma
1545) e opuscoli divulgativi, come In che maniera il Christiano ha da
studiare nel suo proprio libro, il Modo che si de tenere nell'insegnare et
predicare il principio della religione Christiana, le Dimande et risposte e
le Cento e dieci divine Considerationi.
Altro settore nel quale V. eccelleva era il commento alle Sacre Scritture,
del quale si ricordano Il vangelo secondo San Matteo o i Commentari ai
Salmi.
Infine la produzione letteraria di V. comprese anche lavori non di stretto
argomento religioso, come il trattato linguistico Diálogo de la lengua, un
fondamentale contributo del pensatore castigliano per lo sviluppo dell'uso
della sua lingua come idioma ufficiale della giovane nazione spagnola.


Valdo (c.1140-c.1217) e valdismo



Il fondatore
Le notizie sul fondatore del movimento dei valdesi sono purtroppo scarse.
Perfino sul suo nome, i vari autori si sbizzarriscono in Valdo, Valdes,
Valdesio, Vaux, con la V o la W iniziale, e, dall'inizio del XIV secolo, con
il nome Pietro probabilmente aggiunto postumo dai suoi seguaci, in onore
dell'apostolo Pietro.
V., un ricco mercante di Lione (in Francia), fu vivamente impressionato nel
1175 da un racconto di un menestrello che gli descrisse la vita di
Sant'Alessio (IV secolo) e della moglie: essi, il giorno stesso del loro
matrimonio, decisero di vivere in castità e di donare tutti i loro averi ai
poveri.
A quel punto, V. espresse il desiderio di approfondire la lettura della
Bibbia, tuttavia egli non conosceva il latino. Chiese quindi a due sacerdoti
di tradurgli i Vangeli in francese, ai quali si aggiunsero poi altre parti
della Bibbia.
Leggendo il Vangelo di Matteo, V. fu colpito dal passaggio della predica di
Gesù al giovane ricco: Gli disse Gesù: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi
quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni
e seguimi" (Matteo XIX, 21), e decise nel 1176 di abbandonare la moglie e di
donare tutto i suoi averi, parte al monastero di Fontevrault, dove fece
accogliere le sue due figlie minori, ma la maggior parte ai poveri.
Egli successivamente si circondò di un gruppo di seguaci, i quali, fatto un
voto di povertà, erano diventati predicatori erranti, vestiti solo con un
saio. E' importante precisare che V. non aveva alcuna velleità eterodossa,
tuttavia la solita miopia degli alti prelati dell'epoca, che vedevano dei
potenziali catari in ogni movimento spontaneo, fece sì che a V. fosse
proibita la predicazione da parte del vescovo di Lione.
V. non si scoraggiò e si presentò direttamente dal Papa Alessandro III
(1159-1181), durante il III Concilio Laterano del 1179, per ottenere
l'autorizzazione ecclesiastica alla predica. Tuttavia Alessandro non ebbe la
lungimiranza (o l'opportunismo) di Innocenzo III (1198-1216), che 30 anni
dopo, nel 1209, approvò la scelta praticamente identica di San Francesco
d'Assisi. Alessandro, invece, si limitò ad abbracciare commosso V., salvo
poi ordinargli di ubbidire al vescovo di Lione, e stesso trattamento ebbe il
lionese nel 1181 da Papa Lucio III (1181-1185). Quest'ultimo, anzi, gli fece
giurare ubbidienza al suo vescovo.
Tuttavia V. non ebbe la pazienza di accettare obtorto collo, come Francesco,
gli ordini della Chiesa, e continuò la predicazione con i suoi seguaci,
denominati Poveri di Lione.
Egli fu allora convocato in un sinodo a Lione nel 1180 dal cardinale Enrico
di Marcy, vescovo di Albano, dove V. fece una confessione ortodossa, anzi
denunciando gli errori dei catari.
Tuttavia ciò non gli fu sufficiente e attirò ugualmente nel 1184 su di lui
una scomunica, comminata con la bolla papale Ad abolendam da Lucio III a
Verona. Anche il IV Concilio Laterano del 1215 condannò il movimento di V.
come quello di "eretici impenitenti".
Ma il movimento era ben radicato nel Sud della Francia, in Spagna e nel Nord
dell'Italia, in particolare in Lombardia, dove sia i seguaci di Arnaldo da
Brescia che un gruppo dissidente del movimento degli Umiliati, confluirono
nel movimento valdese, assumendo nel 1205 il nome di Poveri Lombardi. Queste
due anime ben presto provocarono una spaccatura nel movimento: i Poveri di
Lione disdegnavano il matrimonio, il lavoro manuale e la gerarchia interna,
mentre i Lombardi, con a capo Giovanni di Ronco, accettavano tutto ciò,
mentre  erano più severi dei francesi nel rigettare i sacramenti conferiti
da sacerdoti indegni.
V. morì ca. nel 1217 (secondo altri autori nel 1207) con l'amarezza di non
essere riuscito a mediare le divergenze dei due gruppi, che neppure una
riunione organizzata a Bergamo nel 1218 poté appianare.


Il movimento valdese
Dopo la morte del fondatore, il movimento continuò, nonostante le
persecuzioni, la sua espansione, oltre che in Spagna, Francia meridionale e
Italia settentrionale, anche in Italia meridionale (Puglia, ma soprattutto
Calabria, dove però i v. vennero tutti massacrati nel 1561) in Germania
(Strasburgo e Baviera), Austria e Boemia, dove i v. vennero assorbiti dagli
hussiti nel XVI secolo.
In Spagna i v. furono perseguitati per ordine del re Alfonso II di Aragona,
detto il casto (1152-1196). Successivamente furono fatti dei seri tentativi
da parte del teologo spagnolo valdese Durand de Huesca (o Durando d'Osca),
di far accettare i v. come ortodossi da parte della Chiesa. A riguardo,
Durando fondò nel 1208 il movimento dei Poveri Cattolici, accettato da Papa
Innocenzo III.
In Francia, la reazione cattolica contro il movimento v. avvenne soprattutto
dopo il 1208, l'inizio della crociata contro i catari (che i cattolici
spesso confondevano con i v.), e già dal 1214 alcuni v. furono bruciati sul
rogo a Maurillac.
Tuttavia i v. continuarono ad espandersi nel Delfinato e nella Savoia e né
l'Inquisizione né l'azione di predicatori cattolici come San Vincenzo Ferrer
(1350-1419) riuscirono a sradicarli dal loro territorio.
Nel 1478 il re Luigi XI (1461-1483) li protesse perfino con una ordinanza,
tuttavia pochi anni dopo, nel 1488, Papa Innocenzo VIII (1484-1492) ordinò
una crociata per cacciarli dalle valli alpine francesi verso la Svizzera.
Dall'altra parte delle montagne, nelle valli piemontesi Chisone, San
Martino, Pragelato, Perosa, Pellice, Luserna e Angrogna, il movimento fu
perseguitato a lungo sulla base delle solite accuse infamanti di adorare
Lucifero e di praticare il sacrificio rituale dei bambini durante orge
notturne (il tutto alimentato anche da un libro dell'epoca dal titolo
Errores haereticorum Waldensium).
La persecuzione durò per tutto il XIV secolo, con una punta intorno al 1370
quando 170 adepti furono condannati al rogo, ma il v. riuscì ugualmente a
svilupparsi fino al XVI secolo.
Nel 1530 due "barba" (predicatori itineranti) valdesi, Giorgio Morel e
Pietro Masson, vennero inviati presso i riformisti svizzeri Bucero e Farel
per confrontarsi sulle rispettive dottrine, e dopo il rientro di Morel
(Masson venne arrestato e ucciso a Digione), nel 1532 a Chanforan, in valle
d'Angrogna, i v. decisero di aderire alla riforma di ispirazione calvinista.
Questa decisione venne aiutata da una fortunata circostanza: nel 1536
l'invasione (durata 20 anni) delle valli piemontesi da parte dell'esercito
francese rinforzato da diversi reparti mercenari luterani.
Tuttavia nel 1559, i duchi di Savoia, cattolici, ripresero il controllo
della regione ed iniziò una lunga storia di persecuzione dei v. che portò
fino alle stragi del 1655 (Pasque Piemontesi), delle quali si indignò
perfino il famoso poeta inglese John Milton e all'editto di Vittorio Amedeo
II di Savoia del 1686, il quale decretò l'espulsione o la conversione
forzata dei protestanti piemontesi. Nonostante una iniziale resistenza
armata, i v. decisero successivamente di emigrare in Svizzera, dalla quale
però il pastore Henri Arnaud ed il comandante (ex contadino) Giosuè
Gianavello (Javanel) organizzarono il rientro nelle valli piemontesi nel
1689 ("Glorioso Rimpatrio").
Nel secoli successivi i Savoia cercarono inutilmente di scacciare i v. sia
mediante azioni militari che con campagne di proselitismo organizzate dai
gesuiti, ma alla fine, nel 1848, ai v. vennero concessi i diritti civili e
politici previsti nello statuto di Carlo Alberto e per loro finì il lungo
periodo di "ghettizzazione".


I valdesi oggi
Oggigiorno i v. sono valutabili in ca. 50.000 membri, divisi tra Italia
(29.000 aderenti soprattutto nelle tradizionali valli piemontesi), Francia
meridionale, Germania (dove si sono fusi con i luterani nel 1823),
Argentina, Uruguay e Stati Uniti (dove alcuni di loro si sono fusi con la
Chiesa Presbiteriana negli anni '70).
In Italia hanno fondato nel 1855 a Torre Pellice una scuola, in seguito
facoltà, di teologia, spostata poi a Firenze nel 1860 ed infine a Roma nel
1922. Inoltre sono stati fondati diversi ospedali valdesi (Torino, Genova),
una Casa Editrice (Claudiana, in onore di Claudio di Torino) ed il centro
ecumenico di Agape. Il sito della Editrice Claudiana è
http://www.claudiana.it
Dal 1979, i v. italiani formano un'unica chiesa evangelica con i metodisti,
denominata Unione delle chiese valdesi e metodiste. Il sito Internet è:
http://www.chiesavaldese.org


La dottrina
Come si è detto precedentemente, all'inizio non si notarono elementi
eterodossi nella predicazione di V.
La sua fedeltà al Vangelo ed il desiderio di un ritorno alle origini
apostoliche della Chiesa come reazione alla dilagante corruzione
ecclesiastica erano caratteristiche di molti altri movimenti cristiani
medioevali sia tra quelli perseguitati (arnaldisti, petrobrusiani,
enriciani) che tra quelli accettati (patarini, francescani).
Tuttavia la stessa persecuzione nei loro confronti portò i v. ad accostarsi
a dottrine di altri eretici del tempo (soprattutto catari) come il rifiuto
del purgatorio, dei pellegrinaggi, del ricorso all'intercessione dei santi,
della venerazione delle reliquie. Molte di queste idee comunque erano già
stati espressi nel IX secolo dal vescovo Claudio di Torino, che i v.
considerano come un loro precursore.
Inoltre, come i catari, i v. recitavano preferibilmente il Padre Nostro, si
erano divisi in perfetti (i predicatori itineranti poveri e casti,
denominati "barba") e uditori e utilizzavano un battesimo per imposizione
delle mani, sebbene, dal punto di vista teologico, i v. rimasero
profondamente cristiani, riconoscendo la deità del Figlio, senza tentazioni
dualiste come i catari.
Successivamente, nel 1655, come si è già detto, la Chiesa Valdese aderì alla
Riforma, conformandosi ad una dottrina di ispirazione calvinista,
riconoscendo solo due sacramenti: il Battesimo e la Cena del Signore. Infine
le singole congregazioni sono oggigiorno gestite da un consiglio presieduto
dal pastore locale.


Valentino (prima del 135 - ca. 165)



La vita
Valentino fu un famoso teologo gnostico, grande avversario della neonata
Chiesa Cristiana e fondatore della setta dei Valentiniani.
Nacque a Cartagine, ma si trasferì da giovane ad Alessandria d'Egitto, dove
studiò con un tale Teodas, che proclamava di essere stato allievo degli
Apostoli e dai quali aveva appreso gli insegnamenti segreti di Cristo.
Ad Alessandria, V. insegnò, ma successivamente si spostò a Roma, dove operò
come diacono. Ad un certo punto, pare che la sua popolarità fosse così
elevata da essere stato addiritura in lizza per diventare Vescovo di Roma
(in altre parole, un potenziale Papa gnostico!), ma successivamente, secondo
Tertulliano, amareggiato per la mancata elezione, intraprese con decisione
la strada gnostica a tal punto che fu scomunicato nel 143, sotto il papato
di Pio I (140-155).
Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Cipro, dove morì probabilmente
nel 165 (o, secondo altri autori, nel 180).


La dottrina
La sua dottrina, una complessa fusione sincretica tra neoplatonismo,
religioni giudaica e cristiana, gnosi dei sethiani ed encratismo, partiva da
un Eone maschile (Autopator {auto-padre} o Abisso) ed uno femminile
(Silenzio), dalla cui unione nacquero Intelletto e Verità, e, via via, a
cascata tutta una serie di eoni, prima otto (Ogdoade) nati dalla fusione di
due Tetradi (quattro eoni), poi dieci (Decade), infine dodici (Dodecade),
che, tutti insieme, concorrevano a formare il Pleroma (pienezza).
Il mondo visibile e gli uomini sarebbero stati creati dall'ostile demiurgo
Achamoth, re del mondo psichico celeste (il cosiddetto settimo cielo o
Ebdomade). Achamoth era stato, a sua volta, generato dall'eone Sophia,
l'ultima della Dodecade, espulsa dal Pleroma.


Gli uomini si dividevano in:
ilici o terreni,
psichici che credevano nel Demiurgo, ma ignoravano l'esistenza di un mondo
spirituale superiore a lui, e
pneumatici o spirituali, che erano dotati, a loro insaputa, della scintilla
divina (pneuma).

Per portare ai pneumatici la conoscenza (gnosi) della loro potenzialità
inespressa, fu inviato sulla terra l'eone Cristo, incarnatosi al momento del
battesimo nell'uomo Gesù, da cui si allontanò al momento della
crocefissione.
Quindi, poiché era apparso, o sembrato, agli uomini che il Cristo fosse
stato crocefisso ed invece ciò era solo un'illusione, questo concetto,
comune a molti gnostici, fu denominato docetismo, dal greco dokéin, cioè
apparire.
Ciò per quanto concerne la salvezza dei pneumatici o spirituali: i psichici
potevano invece, attraverso la fede e le opere, ambire al massimo al regno
psichico celeste  del Demiurgo, mentre, purtroppo, per gli ilici non c'era
speranza di salvezza.


Le opere
Vengono attribuiti a V. molti dei testi ritrovati a Nag Hammadi nel 1945/6,
come il Vangelo della Verità, il Vangelo di Filippo, la lettera a Regino ed
il noto Tractatus tripartitus (Trattato sulle tre nature: spirituale,
terrena e psichica).


I Valentiniani
I seguaci di V., molto attivi, predicavano metodi per liberare il proprio
pneuma, sia attraverso lo studio di testi sacri e gnostici, che mediante
cerimonie, come la "camera nuziale" e la "redenzione", il cui significato
interiore è andato purtroppo perduto.
Tra i principali discepoli di Valentino si ricordano Marco, Eracleone e
Tolomeo e perfino il famoso filosofo e teologo Origene ne fu molto
influenzato.
Tuttavia, entro la fine del III secolo, i seguaci del gnosticismo
valentiniano furono gradualmente riassorbiti dal crescente cattolicesimo
ortodosso oppure confluirono nel  Manicheismo.


Valentini (o Valentino) da Modena, Filippo (m. ca. 1560)



L'umanista Filippo Valentini (o Valentino) nacque a Modena, nipote del
preposito (prevosto) Bonifacio Valentini, tacciato, a sua volta, di
luteranesimo.
V. partecipò attivamente al movimento di Riforma a Modena, entrando a far
parte dell'Accademia modenese, fondata dal medico Giovanni Grillenzoni,
allievo di Pietro Pomponazzi, che riuniva i principali notabili della città,
come, ad esempio, Ludovico Castelvetro, eminente studioso di Dante e
Petrarca, ed il professore universitario Francesco Porto (1511-1581), per
discutere di teologia, ma anche per studiare e commentare le Sacre
Scritture, utilizzando direttamente le fonti originarie, un modus operandi
caro alla Riforma. In particolare V. si distinse per aver letto e commentato
in pubblico il Vangelo di San Matteo, suscitando le ire dei domenicani.
Tale fu la popolarità raggiunta dall'Accademia che il cardinale di Modena,
Giovanni Morone, coadiuvato dal cardinale Gasparo Contarini, costrinse nel
settembre 1542 gli aderenti a firmare un formulario di fede, gli Articuli
orthodoxae professionis, che Castelvetro si rassegnò a sottoscrivere: non
così per il Porto e il V., che preferirono allontanarsi dalla città.
Dopo il suo rientro, V. continuò imperterrito nel professare la sua fede
luterana a tal punto che una breve papale di Paolo III (1534-1549) del
maggio 1545, indirizzata al Duca Ercole II d'Este (1543-1559), sollecitò
l'arresto dell'umanista modenese.
V. ritenne più prudente ritirarsi nella sua tenuta di campagna, ma nel 1548
accettò il titolo di podestà di Trento offertogli dal principe cardinale
Cristoforo Madruzzo (1512-1578, principe di Trento: 1539-1567).
Successivamente rientrò a Modena, dopo aver pagato una cauzione.
Tuttavia V. venne nuovamente indagato nel 1550 e dovette accettare di
abiurare, anche se solamente in sede extragiudiziale, davanti al nuovo
vescovo di Modena, il moderato domenicano cardinale Egidio Foscarari
(1512-1564, vescovo di Modena: 1550-1558 e 1560-1564). Il nome di V. fu
comunque fatto ancora, l'anno successivo, tra coloro che erano rimasti
favorevolmente impressi dalla predicazione eterodossa di Giovanni Francesco
da Bagnacavallo.
Ma oramai i processi contro gli eretici a Modena erano iniziati, e,
nonostante la benigna tolleranza del cardinale Foscarari, nell'estate 1556
V., lo zio Bonifacio, Ludovico Castelvetro ed il libraio Antonio Gadaldino
furono convocati a Roma da parte del tribunale dell'Inquisizione di Papa
Paolo IV (1555-1559).
Nonostante un lungo tergiversare, nel maggio 1557 Gadaldino fu imprigionato,
processato e dovette abiurare nell'ottobre 1559; Bonifacio Valentini si
presentò spontaneamente, fu processato e anch'egli dovette abiurare (non gli
venne neppure risparmiata l'onta di dover portare l'abitello); perfino lo
stesso cardinale Foscarari fu sospettato di eresia da parte
dell'Inquisizione nel 1558 e fu imprigionato su ordine di Paolo IV. Benché
non si poté provare la sua eterodossia, solamente con il papa successivo,
Pio IV (1559-1565), Foscarari fu assolto e poté ritornare al suo precedente
incarico.
A Castelvetro e V. non rimase che la fuga dalla città: soprattutto
quest'ultimo, attivamente ricercato in quanto relapso (avendo già abiurato),
era in serio pericolo di essere giustiziato, se fosse caduto nelle mani
dell'Inquisizione.
Egli decise quindi la via dell'esilio in Valtellina, ma, prima di fuggire,
scrisse una lettera al Duca Ercole II d'Este (1543-1559) per comunicargli la
decisione di andare in esilio e per rimproverargli il fatto di permettere
all'Inquisizione di stracciare i suoi subditi et svergognarli. Questo
ricordava un manoscritto del 1542, in cui V. profeticamente indicava la
difesa dei propri cittadini come compito principale del signore locale.
Tuttavia, considerando che dal 1554 Ercole teneva segregata nel palazzo
ducale (agli arresti domiciliari, si direbbe oggigiorno) la moglie, di fede
riformata, Renata d'Este, non si fatica a credere che l'appello di V. sia
caduto nel vuoto.
Nel 1557, dunque, V. andò in esilio in Valtellina (ai tempi parte del
territorio elvetico del Cantone Grigioni, a maggioranza protestante),
stabilendosi dapprima a Chiavenna e poi a Piuro (dove si sposò), ma non
riuscì mai ad inserirsi nella comunità riformata locale, perché, nel
frattempo, aveva sviluppato idee troppo radicali, di ispirazione ariana e
anabattista.
Censurato a riguardo a Chiavenna, egli visse in solitudine gli ultimi anni
della sua vita, morendo, presumibilmente, verso il 1560.


Valentino (prima del 135 - ca. 165)



La vita
Valentino fu un famoso teologo gnostico, grande avversario della neonata
Chiesa Cristiana e fondatore della setta dei Valentiniani.
Nacque a Cartagine, ma si trasferì da giovane ad Alessandria d'Egitto, dove
studiò con un tale Teodas, che proclamava di essere stato allievo degli
Apostoli e dai quali aveva appreso gli insegnamenti segreti di Cristo.
Ad Alessandria, V. insegnò, ma successivamente si spostò a Roma, dove operò
come diacono. Ad un certo punto, pare che la sua popolarità fosse così
elevata da essere stato addiritura in lizza per diventare Vescovo di Roma
(in altre parole, un potenziale Papa gnostico!), ma successivamente, secondo
Tertulliano, amareggiato per la mancata elezione, intraprese con decisione
la strada gnostica a tal punto che fu scomunicato nel 143, sotto il papato
di Pio I (140-155).
Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Cipro, dove morì probabilmente
nel 165 (o, secondo altri autori, nel 180).


La dottrina
La sua dottrina, una complessa fusione sincretica tra neoplatonismo,
religioni giudaica e cristiana, gnosi dei sethiani ed encratismo, partiva da
un Eone maschile (Autopator {auto-padre} o Abisso) ed uno femminile
(Silenzio), dalla cui unione nacquero Intelletto e Verità, e, via via, a
cascata tutta una serie di eoni, prima otto (Ogdoade) nati dalla fusione di
due Tetradi (quattro eoni), poi dieci (Decade), infine dodici (Dodecade),
che, tutti insieme, concorrevano a formare il Pleroma (pienezza).
Il mondo visibile e gli uomini sarebbero stati creati dall'ostile demiurgo
Achamoth, re del mondo psichico celeste (il cosiddetto settimo cielo o
Ebdomade). Achamoth era stato, a sua volta, generato dall'eone Sophia,
l'ultima della Dodecade, espulsa dal Pleroma.


Gli uomini si dividevano in:
ilici o terreni,
psichici che credevano nel Demiurgo, ma ignoravano l'esistenza di un mondo
spirituale superiore a lui, e
pneumatici o spirituali, che erano dotati, a loro insaputa, della scintilla
divina (pneuma).
Per portare ai pneumatici la conoscenza (gnosi) della loro potenzialità
inespressa, fu inviato sulla terra l'eone Cristo, incarnatosi al momento del
battesimo nell'uomo Gesù, da cui si allontanò al momento della
crocefissione.
Quindi, poiché era apparso, o sembrato, agli uomini che il Cristo fosse
stato crocefisso ed invece ciò era solo un'illusione, questo concetto,
comune a molti gnostici, fu denominato docetismo, dal greco dokéin, cioè
apparire.
Ciò per quanto concerne la salvezza dei pneumatici o spirituali: i psichici
potevano invece, attraverso la fede e le opere, ambire al massimo al regno
psichico celeste  del Demiurgo, mentre, purtroppo, per gli ilici non c'era
speranza di salvezza.


Le opere
Vengono attribuiti a V. molti dei testi ritrovati a Nag Hammadi nel 1945/6,
come il Vangelo della Verità, il Vangelo di Filippo, la lettera a Regino ed
il noto Tractatus tripartitus (Trattato sulle tre nature: spirituale,
terrena e psichica).


I Valentiniani
I seguaci di V., molto attivi, predicavano metodi per liberare il proprio
pneuma, sia attraverso lo studio di testi sacri e gnostici, che mediante
cerimonie, come la "camera nuziale" e la "redenzione", il cui significato
interiore è andato purtroppo perduto.
Tra i principali discepoli di Valentino si ricordano Marco, Eracleone e
Tolomeo e perfino il famoso filosofo e teologo Origene ne fu molto
influenzato.
Tuttavia, entro la fine del III secolo, i seguaci del gnosticismo
valentiniano furono gradualmente riassorbiti dal crescente cattolicesimo
ortodosso oppure confluirono nel  Manicheismo.


Valla, Lorenzo (1405-1457)



Lorenzo Valla, umanista, filologo e filosofo rinascimentale, nacque a Roma
nel 1405 da una famiglia originaria di Piacenza.
Egli studiò all'Università di Pavia, dove divenne maestro di eloquenza e
dove scrisse nel 1431 il suo trattato De voluptate, il primo lavoro a
mettere nei guai l'autore per alcuni dubbi espressi sulla verginità della
Madonna (successivamente e diplomaticamente corretti in una seconda stesura,
dal titolo De vero falsoque bono).
Inoltre, nel 1433, a causa del libello, De insigniis et armis, contro
l'ignoranza dei giuristi contemporanei seguaci della scuola dei commentatori
fondata da Bartolo da Sassoferrato (1314-1357), V. fu costretto a lasciare
Pavia e a pellegrinare da Milano a Genova, Roma e finalmente a Napoli, nel
1435, dove egli divenne segretario del re Alfonso d'Aragona (1416-1458).
Qui V. compose alcune delle sue opere più famose:
De libero arbitrio (1439), nella quale V. riprese il concetto, già espresso
nel De voluptate, di edonismo cristiano, di amore, cioè, per la natura,
opera di Dio,
De professione religiosorum (1442), nel quale V. attaccò la corruzione del
clero,
De falso credita et bene ementita Constantini donatione (1440), nella quale
V. dimostrò la falsità del famoso documento della supposta donazione da
parte dell'Imperatore Costantino I (306-337) al Papa Silvestro I (314-335)
di terreni e dell'accettazione del primato di Roma sulle altre chiese
dell'epoca. V. dimostrò infatti che il documento era un falso posteriore
risalente al periodo di Carlo Magno (771-814).
Per questo V. fu perseguitato dalla Curia di Napoli con l'accusa di eresia,
ma il processo non ebbe seguito grazie alla potente protezione del re
Alfonso d'Aragona.
Nel 1444 V. pubblicò il suo capolavoro Elegantiarum latinae linguae libri
VI, un profondo e sistematico trattato sulla lingua latina classica, che
mise in evidenza la cattiva abitudine, diffusa presso gli altri autori
umanisti, di utilizzare espressioni derivate dal latino popolare.
La cosa fece infuriare gli studiosi dell'epoca, i quali, coordinati da
Poggio Bracciolini (1380-1459), diedero luogo ad una vera e propria campagna
denigratoria nel confronti di V.
Nonostante ciò, V. ottenne nel 1448 dal Papa Niccolò V (1447-1455) il posto
di Segretario Apostolico, che mantenne anche durante il papato di Callisto
III (1455-1458), fino alla sua morte, avvenuta il 1 Agosto 1457.
V. fu uno degli autori preferiti da Erasmo da Rotterdam e molte delle sue
idee furono successivamente riprese dai Riformatori Lutero, Calvino e
Serveto.


Sacro Macello in Valtellina (luglio 1620)



Situazione della Valtellina durante la Riforma
Il Cantone Grigioni aveva aderito nel 1497-98 alla Confederazione Svizzera e
il 27 giugno 1512, con il Giuramento di Teglio, aveva inglobato la
Valtellina e le valli a sud delle Alpi. Tuttavia, con l'avvento della
Riforma di tipo zwingliano dal 1524 in avanti, le cose si erano complicate
per la convivenza di una maggioranza protestante nei Grigioni ed una
maggioranza cattolica in Valtellina. La situazione era stata aggiustata con
la Dieta di Ilanz del 7 gennaio 1526 nella quale era stata data a ciascun
fedele il diritto di scegliere la propria confessione tra cattolica e
protestante (la fede anabattista era stata bandita).
Oltre a questo va anche considerato che il fattore della lingua italiana,
usata nelle sei valli a sud delle Alpi del cantone (Bregaglia, Poschiavo,
Mesolcina, Bormio, Chiavenna e Valtellina) favorì l'azione di esuli
riformati italiani, i quali poterono agire come pastori locali. Si ricordano
a riguardo Agostino Mainardi, Camillo Renato, Girolamo Zanchi, Scipione
Lentulo, Pier Paolo Vergerio, Scipione Calandrini, Francesco Negri da
Bassano, Ulisse e Celso Martinengo e Filippo Valentini.
Ma con l'avanzare della Controriforma, l'odio dei cattolici valtellinesi
verso la minoranza protestante, fomentata dai predicatori francescani e
domenicani, inviati dall'arcivescovo di Milano cardinale San Carlo Borromeo
(1538-1584), arrivò a livelli di elevata intolleranza, nonostante i richiami
alla pacifica convivenza lanciati dai pastori Ulisse Martinengo e Scipione
Calandrini (e proprio per questo motivo i cattolici, sobillati
dall'arciprete di Sondrio Nicolò Rusca, per ben due volte, cercarono di
uccidere quest'ultimo).
L'episodio più significativo, ispirato da Papa Pio V (1566-1572), ex
Inquisitore di Morbegno, fu il rapimento da parte dei domenicani del pastore
della chiesa riformata di Morbegno, l'ex frate minorita Francesco Cellario,
di ritorno da un sinodo di pastori tenuto a Coira. Cellario fu portato in
catene a Roma e, dopo un lungo interrogatorio per farlo abiurare, impiccato
e bruciato sul rogo a Ponte Sant'Angelo il 25 maggio 1569.


Il Sacro Macello
Ma questo fu niente in confronto alla rivolta dei cattolici contro i
protestanti della Valtellina del 1620, che sfociò in uno spaventoso pogrom,
chiamato dal celebre storico Cesare Cantù (1804-1895), il Sacro Macello
della Valtellina.
Il fomentatore principale fu il fanatico arciprete di Sondrio Nicolò Rusca,
vero agitatore delle folle cattoliche e sprezzante delle leggi che cercavano
di mantenere un pur delicato equilibrio tra le due comunità. Egli venne
arrestato e processato a Thusis nel 1618 per il tentato omicidio,
sopraccitato, di Scipione Calandrini, ma morì durante le torture
dell'interrogatorio. Nello stesso processo furono condannati, ma si
rifugiarono all'estero, i fratelli Rodolfo e Pompeo Planta e il genero di
Rodolfo, Giacomo Robustelli.
Quest'ultimo, una volta rientrato due anni dopo, organizzò l'atroce vendetta
contro i protestanti locali: nella notte tra il 18 ed il 19 luglio 1620, i
congiurati trucidarono quasi tutti i protestanti di Tirano. Passarono quindi
a Teglio, dove fu compiuta una strage (72 persone) direttamente nella chiesa
evangelica: 17 tra uomini, donne e bambini, rifugiatisi nel campanile,
bruciarono vivi per il fuoco acceso dai fanatici cattolici. Terza tappa
Sondrio, dove solo un gruppo di 70 riformati con le armi in pugno poterono,
grazie ad una tregua, rifugiarsi in Engadina: tutti gli altri (anche di
nobili famiglie) furono trucidati. In tutto si calcola che furono sterminati
circa 600 persone.
Questo episodio, assieme alla rivolta anti-asburgica della Boemia, portò
allo scoppio della Guerra dei Trent'anni (1618-1648) e alla fine del primo
periodo della guerra, nel 1639, la Valtellina venne riconsegnata al Cantone
Grigioni (che lo tenne fino all'annessione alla Repubblica Cisalpina del
1797), a condizione di accettarvi solo la religione cattolica.
L'esperimento di libera convivenza tra cattolici e protestanti in Valtellina
era dunque finito nel peggiore dei modi.


Van Oldenbarnevelt, Jan (o Johan) (1547-1619)



Jan (o Johan) Van Oldenbarnevelt, uno dei massimi statisti olandesi, nacque
nel 1547 ad Amersfoort, appunto in Olanda, da una famiglia di modesti mezzi
finanziari, e da giovane frequentò la scuola del paese natio. In seguito,
grazie ai buoni uffici di alcuni parenti benestanti, V. poté farsi una
solida cultura dapprima a Den Haag (L'Aia), per poi proseguire gli studi di
legge alle università di Lovanio, Bourges (in Francia), Basilea e
Heidelberg.
Nel 1569 egli rientrò a L'Aia per esercitare come avvocato alla Corte
d'Olanda, in un paese scosso dalla rivolta per l'indipendenza dei Paesi
Bassi dalla Spagna iniziata nel 1566 e comandata dallo stadtholder
(governatore) Guglielmo di Orange-Nassau (1533-1584), detto il Taciturno.
Dal 1572 V. decise di partecipare attivamente alla guerra e ebbe parte
attiva nella battaglia per la tentata liberazione di Haarlem e in quella
riuscita di Lovanio, mentre nel 1576, dopo la pacificazione di Gand, gli fu
offerto il posto di rappresentante della città di Rotterdam presso
l'assemblea degli Stati Generali.
Nel 1579 egli, oramai diventato consigliere di fiducia di Guglielmo di
Orange-Nassau, fu il principale ispiratore dell'Unione di Utrecht, che sancì
la nascita delle Province Unite (la futura Olanda). Purtroppo in Delft nel
1584 il governatore fu assassinato da un tale Balthasar Gerards per ordine
del re di Spagna Filippo II (1556-1598) e V. dovette gestire la difficile
situazione della neonata Repubblica. Il governatorato fu offerto dagli Stati
Generali alla regina Elisabetta I d'Inghilterra (1558-1603), che rifiutò,
ma, al suo posto, accettò a sorpresa, suscitando le ire della regina
inglese, il favorito di quest'ultima, Robert Dudley, conte di Leicester
(1533-1588).
V. si oppose a questa decisione, offrendo il ruolo di stadtholder al giovane
(18 anni) figlio di Guglielmo, Maurizio di Orange-Nassau (1567-1625), che
comunque si consolidò nella posizione solo dopo l'abbandono di Dudley nel
dicembre 1587.
Nel 1586 V. arrivò all'apice della carriera, quando fu nominato dalla
Repubblica Avvocato Generale dello Stato (Landsadvocaat): dalla sua
posizione di prestigio egli poté controllare e far sviluppare, in maniera
spettacolare, il commercio olandese nel mondo, favorendo la fondazione della
Compagnia Olandese delle Indie Orientali.
Nel 1591 l'incontro, per V. fatale, con Jacob Arminius: l'Avvocato Generale
fece parte di una commissione di otto magistrati che incontrarono otto
predicatori, tra cui il riformatore di Oudewater, il quale lo convinse
gradualmente a schierarsi a favore della sua dottrina del libero arbitrio.
Facendo così, tuttavia, la posizione di V. diventò molto delicata, perché
oltre ad essere un simpatizzante arminiano, egli si era sempre adoperato,
dal punto di vista politico, acciocché gli affari di stato fossero sotto il
controllo degli Stati Generali, suscitando così l'ostilità di Maurizio di
Orange-Nassau.
Quest'ultimo, un calvinista gomarista, prese la decisione di farla finita
con V. e con il movimento degli arminani, dopo che essi avevano presentato,
sotto la guida dei capi Simon Bischop (nome umanistico: Episcopius)
(1583-1643) e Jan Uytenbogaert (1577-1644) e su consiglio di V. stesso, le
loro idee con forte spirito polemico (per questo erano stati ribattezzati
rimostranti) agli Stati Generali nel 1610.
Pochi anni dopo, Maurizio fece convocare il concilio di Dort (Dordrecht)
(novembre 1618- maggio 1619), dove l'armianismo fu condannato senza appello,
nonostante l'autorevole supporto di V. e del teologo Ugo Grozio.  Ma il 29
agosto 1618 era già avvenuta la resa dei conti: con un colpo di stato
Maurizio fece arrestare e processare V. per alto tradimento: il processo,
palesemente influenzato dai nemici dell'anziano Landsadvocaat, portò alla
sua scontata condanna a morte, che fu eseguita per decapitazione il 13
maggio 1619.


Varaglia, Gioffredo (o Goffredo o Giaffredo) (ca. 1507-1558)



Gioffredo (o Goffredo o Giaffredo) Varaglia, nato nel 1507 ca. a Brusca (in
Val Maira, in provincia di Cuneo) e ordinato sacerdote nel 1528, fu un
valente predicatore dell'ordine dei cappuccini ed un buon teologo. Le sue
caratteristiche fecero sì che la Chiesa lo scegliesse per predicare nelle
valli valdesi, vicino quindi alla sua zone di origine.
Tuttavia lo studio delle dottrine valdesi, unito ad un'ammirazione per la
figura del Vicario Generale del suo ordine, Bernardino Ochino, fuggito nel
1542 in Svizzera per diventare protestante, provocò una crisi religiosa in
V., che verso i suoi quarant'anni decise di deporre il saio.
Posto sotto inchiesta nel 1552 con altri 12 suoi confratelli, V. fu chiamato
a Roma, dove l'inchiesta non riuscì a stabilire la sua colpevolezza: fu
quindi posto agli arresti domiciliari per 5 anni fino al 1557, quando, al
seguito del legato pontificio presso la corte di Francia, si recò oltralpe.
A Lione, tuttavia, V. venne nuovamente a contatto con le idee riformiste e
qui prese la decisione di recarsi a Ginevra, dove, nello stesso 1557, fu
nominato predicatore, o ministro della Parola, calvinista.
Fu quindi inviato nella Valle d'Angrogna, in Piemonte, a istruire nuovi
fedeli e, dopo cinque mesi di predicazioni, verso la fine del 1557, V. fu
invitato nel suo natio paese di Brusca per disputare con il francescano
Angelo Malerba. La disputa e la preparazione teologica di V. ebbero una
notevole risonanza tra le famiglia della zona. Purtroppo, durante il viaggio
di ritorno, venne arrestato a Barge, dove subì un primo interrogatorio, e
condotto a Torino per essere rinchiuso nelle carceri del Parlamento.
Qui dovette sottostare, anche da parte di alti ecclesiastici, a lunghi ed
estenuanti interrogatori: in uno di questi, quando gli fu chiesto quanti
erano i predicatori venuti da Ginevra, disse che erano 24, ma che altri
erano pronti a seguirli e che il numero sarebbe stato così elevato da non
trovare abbastanza legna per bruciarli tutti!
Poco dopo egli fu sconsacrato nella cattedrale di Torino e il 29 marzo 1558
salì sul patibolo in Piazza Castello: fu dapprima strangolato ed il corpo fu
bruciato. Prima dell'esecuzione, si rivolse al boia dicendo: Amico mio, io
ti ho di già perdonato, et hora di nuovo ti perdono con tutto il cuore.
Il posto, lasciato vacante da V., fu offerto da parte dei pastori di Ginevra
nel 1559 a Scipione Lentolo, che scrisse probabilmente l'unica opera storica
dell'epoca sui valdesi, dal titolo Historia delle grandi e crudeli
persecutioni fatte ai tempi nostri in Provenza, Calabria e Piemonte contro
il popolo che chiamano valdese dove entrò in polemica con i nicodemiti,
esaltando il martirio di coraggiosi personaggi, come appunto lo sfortunato
ex cappuccino.
Recentemente, l'11 novembre 2000, è stata posata una lapide in memoria di V.
in Piazza Castello a Torino.