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STORIA DELLE ERESIE - CHIESA CATTOLICA CRISTIANA
Testi tratti dal sito: www.eresie.it di Douglas Swannie

ELENCO  ERETICI E MOVIMENTI CONTRO LA CHIESA

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Apelle (II° secolo)

Apelle fu il fondatore di una setta gnostica del II° secolo, di cui si ha
notizia dagli scritti di Tertulliano ed Eusebio.
A. fu allievo di Marcione, di cui seguì gli insegnamenti a Roma,
successivamente si recò ad Alessandria, diventando allievo di Filomena,
teologa gnostica, di cui scrisse e pubblicò la dottrina. Come la sua
maestra, A. cercò di mediare le posizioni dualiste di Marcione con quelle
cattoliche.
Infatti come Marcione, A. rigettò l'importanza del Vecchio Testamento per i
cristiani in un suo lavoro dal titolo Eullogismoi, ma contrariamente al suo
maestro, rifiutò il concetto dualista di due Dei, l'uno del Vecchio
Testamento, vendicativo e terribile, l'altro del Nuovo Testamento, buono e
misericordioso.
Inoltre, mentre Marcione propugnava l'eresia del Docetismo, in cui il corpo
di Cristo era del tutto immateriale in contrasto con i Cattolici, che
credevano nella totale incarnazione del Cristo, A. propose, a riguardo, una
forma intermedia, in cui il corpo di Cristo era formato di materiale
stellare o sostanza divina.
Curiosamente questo concetto venne successivamente ripreso nel XVI° secolo
dai Mennoniti.
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Apocatastasi



Parola di origine greca (apokatastasis), che significa restaurazione o
riconciliazione e che rende il concetto di salvezza per tutto il creato:
angeli e uomini, anche se peccatori o dannati, e demoni.
Questa dottrina fu espressa per primo da Origene e condannata dal Concilio
di Costantinopoli del 543, ma ripresa, nel corso dei secoli, da una serie di
teologi ortodossi ed eterodossi, come:
I padri cappadociani San Gregorio di Nissa e San Gregorio Nazianzeno,
Gli antiocheni Diodoro di Tarso e Teodoro di Mopsuestia,
Gli origenisti Didimo il cieco ed Evagrio Pontico,
Gli studiosi medioevali Giovanni Scoto Eriugena e Amaury di Béne,
Il dissidente religioso del '500, Giorgio Siculo
I protestanti Hans Denck, Friedrich Schleiermacher e Adolf von Harnack.
I movimenti riformati come gli anabattisti, i fratelli moravi, la società
dei filadelfi, i cristadelfiani e gli universalisti.
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Apollinare di Laodicea (il Giovane) (ca.310-390) e Apollinarismo



La vita
Apollinare nacque nel 310 ca. e compì i suoi studi in Alessandria, e
successivamente in Antiochia, diventando vescovo di Laodicea (attualmente in
Turchia) nel 360.
Fu dapprima altamente apprezzato da Padri della Chiesa, come S. Girolamo e
S. Atanasio, per la sua lealtà al Credo Niceno, ma poi nella sua lotta anti-
ariana, a partire dal 352, iniziò ad enfatizzare eccessivamente la natura
divina di Cristo (vedi sotto).
Fino al 376, A. non fu particolarmente preso di mira, ma fu successivamente
condannato dai sinodi di Roma nel 377 e 381, di Alessandria nel 378, di
Antiochia nel 379 e dal Concilio Eucumenico di Costantinopoli nel 381:
quest'ultima condanna fu avvallata da Papa Damaso (366-384).
Perfino le altre eresie cristiane dell'epoca, come il nestorianesimo, si
opposero tenacemente all'apollinarismo.
Infine l'imperatore Teodosio I (379-395), con una ordinanza imperiale nel
388, fece condannare ed esiliare A., che morì nel 390.
Alla sua morte, i seguaci di A. (tra cui Vitale e  Polemone) non
sopravvissero molto a lungo: entro il 416 o erano rientrati nella Chiesa
Cattolica o avevano aderito al monofisismo.
Molti degli scritti di A. sono andati persi: quelli sopravvissuti li
conosciamo dai libri scritti contro A. dai Padri della Chiesa, come S.
Atanasio, S. Gregorio di Nissa e S. Gregorio Nazianzeno.


La dottrina
Partendo dalla concezione platonica tricotoma dell'uomo [formato, cioè di
corpo (sarx), anima (psyche) e intelletto razionale (nôus)], secondo A., per
salvaguardare la divinità di Gesù Cristo, il Logos aveva preso la parte
spirituale della sua anima: Cristo non aveva quindi un'anima come gli altri
uomini, in quanto mancava dell'intelletto razionale (il nôus).
E poiché l'uomo era mortale e la carne umana profondamente corrotta,
l'esperienza terrena di Gesù ne risultava essere immune, venendo a mancare
la parte della volontà ed intelletto.
Il vero problema era che in questo modo l'incarnazione del Verbo non era
stata integrale: in sostanza, A. non accettava la piena ed intera umanità di
Cristo, che a questo punto non poteva redimere il genere umano nella sua
interezza, ma solo nei suoi elementi spirituali.
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Apollinare di Laodicea (il Giovane) (ca.310-390) e Apollinarismo



La vita
Apollinare nacque nel 310 ca. e compì i suoi studi in Alessandria, e
successivamente in Antiochia, diventando vescovo di Laodicea (attualmente in
Turchia) nel 360.
Fu dapprima altamente apprezzato da Padri della Chiesa, come S. Girolamo e
S. Atanasio, per la sua lealtà al Credo Niceno, ma poi nella sua lotta anti-
ariana, a partire dal 352, iniziò ad enfatizzare eccessivamente la natura
divina di Cristo (vedi sotto).
Fino al 376, A. non fu particolarmente preso di mira, ma fu successivamente
condannato dai sinodi di Roma nel 377 e 381, di Alessandria nel 378, di
Antiochia nel 379 e dal Concilio Eucumenico di Costantinopoli nel 381:
quest'ultima condanna fu avvallata da Papa Damaso (366-384).
Perfino le altre eresie cristiane dell'epoca, come il nestorianesimo, si
opposero tenacemente all'apollinarismo.
Infine l'imperatore Teodosio I (379-395), con una ordinanza imperiale nel
388, fece condannare ed esiliare A., che morì nel 390.
Alla sua morte, i seguaci di A. (tra cui Vitale e  Polemone) non
sopravvissero molto a lungo: entro il 416 o erano rientrati nella Chiesa
Cattolica o avevano aderito al monofisismo.
Molti degli scritti di A. sono andati persi: quelli sopravvissuti li
conosciamo dai libri scritti contro A. dai Padri della Chiesa, come S.
Atanasio, S. Gregorio di Nissa e S. Gregorio Nazianzeno.


La dottrina
Partendo dalla concezione platonica tricotoma dell'uomo [formato, cioè di
corpo (sarx), anima (psyche) e intelletto razionale (nôus)], secondo A., per
salvaguardare la divinità di Gesù Cristo, il Logos aveva preso la parte
spirituale della sua anima: Cristo non aveva quindi un'anima come gli altri
uomini, in quanto mancava dell'intelletto razionale (il nôus).
E poiché l'uomo era mortale e la carne umana profondamente corrotta,
l'esperienza terrena di Gesù ne risultava essere immune, venendo a mancare
la parte della volontà ed intelletto.
Il vero problema era che in questo modo l'incarnazione del Verbo non era
stata integrale: in sostanza, A. non accettava la piena ed intera umanità di
Cristo, che a questo punto non poteva redimere il genere umano nella sua
interezza, ma solo nei suoi elementi spirituali.
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Apollonio (o Apollo)



Nome di vari personaggi dell'inizio della storia del Cristianesimo:


1) Apollonio di Tiana (m. ca. 97)
Filosofo neopitagorico nato in Anatolia.
Da giovane fu attratto dalla scuola pitagorica, e anche, secondo alcuni
autori, dalle filosofie dei bramini indiani.
Fu oggetto di biografie di scrittori pagani, come Filostrato, tendenti ad
esagerare le sue virtù e capacità riformatrici, in una chiave di
interpretazione quasi alternativa a Cristo, tale da indurre ad un suo culto
nel III secolo.


2) Apollonio (o Apollo) di Efeso (o di Corinto) (attivo nel 56)
Nato ad Alessandria, uomo erudito e celebre predicatore, citato negli Atti
degli Apostoli 18, 24 e da San Paolo in due lettere (Prima ai Corinzi 16, 12
e a Tito 3, 13), operava il battesimo di ravvedimento, come San Giovanni
Battista, obbligando San Paolo a sconfessare il suo operato.


3) Apollonio (montanista) (fine II°secolo)
Citato da Eusebio di Cesarea, come testimone dei peccati compiuti dai
seguaci di Montano. Probabilmente un personaggio totalmente inventato.
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Quinto-monarchisti (XVII secolo)



I Fifth Monarchy Men o Fifth Monarchists (Quinto-monarchisti) furono un
movimento religioso millenarista inglese, attivo dal 1649 dal 1661, cioè per
tutto il periodo del Commonwealth del Lord Protettore Oliver Cromwell
(1599-1658).
Il nome di quinto-monarchisti della setta prese origine dall'episodio del
libro di Daniele, nell'Antico Testamento, dove il profeta interpretò il
sogno del re Nabucodonosor, profetizzando l'avvento di un quinto regno,
fatto sorgere da Dio e che avrebbe distrutto i precedenti e sarebbe durato
per sempre.
Questi riferimenti al millenarismo furono molto frequenti durante gli anni
1640-1660, il ventennio cioè della storia inglese che comprendeva la guerra
civile, la decapitazione del re Carlo I (1625-1649), e il successivo
interregno, periodo nel quale proliferarono sette e pubblicazioni
apocalittiche, come il popolare The personal reign of Christ upon Earth (il
regno personale di Cristo in terra) del 1642, scritto dal reverendo q. Henry
Archer, il quale profetizzò la conversione dei giudei e la distruzione di
turchi nel 1650 e la parusia (seconda venuta in terra di Cristo) per il
1700.
La setta q. generò intorno al 1649 da alcuni predicatori laici e religiosi
indipendenti e battisti, che avevano in comune lo spirito millenarista, il
cui messaggio era di prepararsi alla parusia, riformando il parlamento ed il
governo inglese. Altri elementi erano l'amore fraterno per i poveri, il
rilascio dal carcere dei debitori, l'abolizione delle tasse.
Il un primo momento i q. appoggiarono Oliver Cromwell, con la speranza che
egli avrebbe riformato la società corrotta, e in ciò essi si allinearono
alle attese del levellers di John Lilburne, ma quando Cromwell decise di
perseguitare i levellers e di reprimere un tentativo di ammutinamento di
solidarietà nell'esercito, usando la parte rimastagli fedele del New Model
Army [l'esercito parlamentare, comandato da Sir Thomas Faifax (1601-1671)],
nella battaglia di Burford del maggio 1649, i q. si trovarono ad essere
l'unica forza di opposizione al futuro Lord Protettore.
Cromwell tuttavia isolò progressivamente i q., dapprima sciogliendo nel
dicembre 1653 il parlamento Barebone [chiamato così dal nome da uno dei suoi
più influenti membri: Praise-God Barebone (ca.1596-1680)], dove i q. avevano
un notevole appoggio dai delegati radicali, poi varando un nuovo parlamento
e governo favorevoli alla sua politica.


Thomas Harrison
Alfiere della protesta q. fu l'ex generale di brigata Thomas Harrison
(1610-1660), deputato nel parlamento Barebone ed amico intimo di Cromwell.
Forte della sua immagine di eroe nazionale, Harrison poté parlare a nome dei
q., aiutando la loro causa, ma Cromwell spazzò via anche la sua opposizione,
facendolo degradare ed arrestare per ben due volte pretestuosamente per
sovversione. Ironia della sorte, Harrison fu fatto impiccare, e poi
squartare mentre ancora moribondo, non da già Cromwell, bensì nel 1660 dai
realisti di Carlo II (1649-1685), che non gli avevano mai perdonato di aver
firmato nel 1649 la condanna a morte di Carlo I.
Alla morte di Harrison, la leadership dell'ala più oltranzista dei q. fu
assunta dal commerciante in botti Thomas Venner (m.1661), che aveva già
organizzato dei complotti, falliti, contro Cromwell nel 1657 e 1659.
Venner tentò una disperata insurrezione nel gennaio 1661, ma, come era
prevedibile, il colpo fallì e Venner e gli altri capi della rivolta furono
decapitati. Le successive repressioni stroncarono definitivamente il
movimento q., oltre a perseguitare anche altre sette, a causa delle loro
dottrine simili a quelle dei q., come i quaccheri, i giacobiti e i
sabbatariani.
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Arcontici (IV secolo)



Una setta gnostica del IV secolo diffusa in Palestina ed in Armenia, fondata
da un prete palestinese di nome Pietro da Cabarbaricha, il quale, deposto
dal sacerdozio, si rifugiò in una comunità ebionita.
Intorno al 360, oramai in età avanzata, P. viveva, in estrema povertà, come
un eremita in una caverna vicino a Gerusalemme, dove trasmise le sue
dottrine ad un tale Eutatto, che le portò in Armenia.
Successivamente P. venne scomunicato da Sant'Epifanio, vescovo di Salamis
(l'attuale Costanzia sull'isola di Cipro), principale fonte di informazione
su questa setta.
La dottrina gnostica degli a. era basata su sette cieli, ognuno governato da
un principe (in greco archon, da cui il nome della setta), circondato da
angeli, carcerieri delle anime, mentre in un ottavo dimorava la Madre
Suprema di Luce.
Il re o tiranno del settimo cielo era Sabaoth, il Dio dei Giudei, padre del
demonio: quest'ultimo si era ribellato all'autorità del padre e aveva
generato, unendosi ad Eva, Abele e Caino e quindi l'intera umanità.
Compito delle anime era di raggiungere la conoscenza (gnosi) in maniera da
sfuggire il potere malvagio di Saboath e volare in ciascuno dei cieli fino a
raggiungere la Madre Suprema.
Gli a. erano molto ascetici e rigoristi (digiunavano spesso e praticavano la
povertà), negavano la resurrezione del corpo (ma non quella dell'anima) e
condannavano i Sacri Misteri e il Battesimo, in quanto qualcosa introdotto
dal tiranno Sabaoth, per tenere intrappolate le anime.
I loro testi sacri erano alcuni libri apocrifi, denominati Symphonia,
Anabatikon e Allogeneis.
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San Arialdo da Carimate (c. 1010-1066)



Arialdo nacque a Carimate, in Brianza nel 1010 e studiò alla scuola della
cattedrale di Milano, prima di divenire diacono ed eccellente predicatore a
Varese.
Nel 1045, egli fu nominato dal clero milanese come uno dei quattro
candidati, assieme a Anselmo da Baggio, Landolfo Cotta e Attone al seggio di
arcivescovo di Milano, dopo la morte di Ariberto di Intimiano.
Tuttavia, l'imperatore Enrico III, detto il Nero (1017-1056), disattendendo
le aspettative dei milanesi e in contrasto con la tradizione di una nomina,
di fatto, autonoma, decise di nominare Guido da Velate, uomo corrotto e
simoniaco, che portò il livello di reputazione dell'arcivescovado di Milano
ai minimi storici. Grande scandalo, per esempio, suscitava la pratica, nota
come nicolaismo e alquanto diffusa all'epoca di Guido, dei religiosi, che
vivevano palesemente in concubinato con donne.
Come reazione a questa corruzione dilagante, si formò il movimento
riformatore dei patarini, che coinvolse a vario titolo tutti i candidati
sopracitati, ma che vide soprattutto emergere la figura di A. e, in tono
minore, quella di Landolfo Cotta.
A. e Landolfo incitarono, infatti, con successo la popolazione a rifiutare i
sacramenti dai sacerdoti corrotti e nicolaiti, riportando di attualità un
atteggiamento, che ricordava quello degli intransigenti del III e IV secolo:
Novaziano, Melezio di Licopoli e Donato di Numidia.
La reazione dell'arcivescovo Guido non si fece attendere e, prendendo
pretesto dagli  scontri armati fra opposte fazioni, esplosi il 10 maggio
1057 durante una processione, egli scomunicò sia A. che Landolfo.
Tuttavia il papato stesso, uscito dallo sciagurato periodo di Papa Benedetto
IX (l'unico che aveva regnato indegnamente per 3 pontificati, nel 1032-1044,
nel 1045 e nel 1047-1048) era percorso da correnti riformatrici, ad
incominciare già da Papa San Leone IX (1049-1054), il quale aveva condannato
il concubinato e simonia dei preti nel 1050.
Dopo un tentativo non riuscito di Landolfo, A. riuscì a chiedere l'aiuto di
Papa Stefano IX (1057-1058), ma fu solo il papa successivo, Niccolò II
(1059-1061), ad inviare a Milano nel 1060 una delegazione, capitanata da
Pier Damiani e da Anselmo vescovo di Lucca. Pier Damiani riuscì con un abile
discorso a riportare temporaneamente la calma in città, ma le tensioni non
erano certo sopite.
Nel 1061, in seguito alla morte di Landolfo, A. associò al movimento
Erlembaldo, fratello di Landolfo stesso e nuovo capo militare dei patarini.
Nel frattempo era salito sul trono di Pietro, Anselmo di Lucca (l'ex
candidato arcivescovo di Milano, Anselmo da Baggio), con il titolo di Papa
Alessandro II (1061-1073), il quale consegnò nella primavera del 1066 ad
Erlembaldo due bolle pontificie di richiamo al clero milanese e di scomunica
di Guido da Velate.
Tuttavia, in seguito ai durissimi scontri del 4 Giugno 1066, quando vennero
feriti sia Erlembaldo e A. (in maniera grave), che Guido stesso,
quest'ultimo lanciò l'interdizione su Milano, finché A. fosse rimasto in
città.
Era una trappola mortale, nella quale A. purtroppo cadde: uscito dalla città
venne tradito da un prete di S. Vittore all'Olmo, vicino a Milano, e
catturato dalle guardie di Donna Oliva, nipote di Guido, che lo portarono
per interrogarlo nel castello di Arona, sul Lago Maggiore.
Da qui A. fu successivamente portato su un'isola del lago, dove, secondo il
suo biografo Andrea di Strumi, egli fu torturato orrendamente da due
chierici, i quali lo mutilarono delle orecchie, naso, occhi, mano destra,
piedi, genitali e lingua, ed, una volta morto, lo gettarono nel lago,
appesantito da alcuni massi.
Era il 26 Giugno 1066.
Nel Maggio dell'anno seguente (1067) il corpo fu ritrovato, secondo la
leggenda intatto (cioè non ancora decomposto), e A. fu proclamato santo da
Alessandro II, che, nel contempo, aveva provveduto a scomunicare Guido da
Velate.
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Arianesimo (IV secolo)



La storia
L'Arianesimo prende il nome dal presbitero di Alessandria, Ario, il quale
contribuì solo parzialmente allo sviluppo teologico di questo pensiero.
Piuttosto la paternità del movimento va ricondotto al pensiero
subordinazianalista o adozionista sviluppato da diversi teologi più o meno
ortodossi del III secolo, come  Paolo di Samosata, il suo pupillo Luciano di
Antiochia  e maestro di Ario, e San Dionisio (o Dionigi) d'Alessandria.
Ufficialmente l'a. prese avvio dal sinodo dei vescovi del 321, convocato da
Alessandro, vescovo di Alessandria, che fece scomunicare Ario, reo di
propagandare il suo pensiero eretico.
Quest'ultimo, fuggendo in Palestina, si rivolse al suo ex compagno di
scuola, Eusebio di Nicomedia, il quale lo accolse a braccia aperte e creò un
centro di riferimento per l'a. nella propria diocesi.
Fu proprio Eusebio il maggiore interprete e difensore dell'a.: asceso a
posizioni di massimo livello della gerarchia della Chiesa, ebbe sempre un
certo ascendente sull'Imperatore Costantino, che aveva legalizzato il
Cristianesimo nel 313.
Costantino, influenzato da Eusebio, dapprima cercò di mediare la situazione,
considerandola una pura disputa sulla terminologia cristologica, ma poi si
decise di convocare il 1° (il primo della storia del Cristianesimo) Concilio
Ecumenico a Nicea nel 325 per dirimere la questione fra cattolici ortodossi
e ariani.
Il Concilio ebbe inizio il 20 Maggio 325 alla presenza di circa 220 vescovi
(secondo altri autori, 318), in larghissima maggioranza della parte
orientale dell'Impero.
Ario comparve, portando un atto di fede, stracciato, tuttavia, in pubblico
ed anche l'intervento di Eusebio non fu tra i più felici: egli lesse un
documento, allineato sulle posizioni ariane, dove si affermava molto
palesemente che Cristo non era Dio.
Questa terminologia senza compromessi alienò i favori dei moderati, che,
dopo estenuanti discussioni, aderirono al cosiddetto Credo Niceno, dove, per
quanto concerne la natura di Cristo, si ribadiva il termine homooùsion
(consustanziale, cioè della stessa sostanza del Padre e generato, e non
creato).
L'a. fu condannato e Ario ed Eusebio furono mandati in esilio.
Nonostante la vittoria degli ortodossi al Concilio di Nicea, gli ariani
rimasero comunque in tale maggioranza che nel 328 Costantino decise di
richiamare Eusebio dall'esilio e di offrirgli il seggio di vescovo di
Costantinopoli: il momento di massima gloria per Eusebio fu quando, nel 337,
Costantino in punto di morte decise di farsi battezzare da lui, suo vescovo
ariano.
Inoltre, dalla sua influente posizione, Eusebio si adoperò per riuscire a
condannare, per diverse volte, all'esilio il suo mortale nemico, Atanasio,
vescovo di Alessandria, quasi l'unico e strenuo difensore del homooùsios
(identico, nella sostanza, a Dio, cioè consustanziale), secondo il Credo di
Nicea.
Nel 340, il Papa Giulio I (337-352) convocò un concilio a Roma, al quale
parteciparono 50 vescovi, che riabilitarono Atanasio, considerato
ingiustamente calunniato.
I vescovi ariani rifiutarono di partecipare ed organizzarono per contro un
concilio ad Antiochia nel 341, sotto il coordinamento di Eusebio: venne
proposto, senza molto successo, una formula di compromesso, che ponesse
l'accento sulla coesistenza eterna di Cristo e del Padre, sorvolando, però,
il punto controverso della consustanzialità ("il Figlio è della stessa
essenza della divinità e della stessa volontà del Padre").
Poco dopo questo concilio, nello stesso 341, Eusebio morì, mentre Ario era
già morto nel 336.


La dottrina
L'insegnamento ortodosso del Cristianesimo ai tempi di Ario propugnava la
dottrina di Dio Padre e Dio Figlio come due persone distinte con una sola
essenza.
La principale preoccupazione di Ario era di negare che così potessero
coesistere due Dei oppure che non si scivolasse nel modalismo, la dottrina
dove si affermava che le persone della Trinità non erano altro che "modi" di
essere e di agire dell'unico Dio.
Il fulcro dell'a. era invece la negazione della consustanzialità (stessa
sostanza o homooùsios) del Figlio con Dio Padre.
Secondo Ario, il Padre era eterno, la sorgente, cioè, non originata di tutta
la realtà, mentre il Figlio, sebbene fosse il primo nato fra tutte le
creature e il creatore del mondo, era dissimile (anòmoios) ed inferiore al
Padre in natura e dignità, perché generato e creato dal Padre stesso, prima
di tutti i tempi. Tuttavia ci fu un tempo in cui il Figlio non c'era, come
recitava una frase molto citata di Ario.


L'arianesimo dopo Ario ed Eusebio
In seguito alla morte di Eusebio, l'imperatore Costanzo II (337-361, figlio
di Costantino), convocò vari sinodi, tenuti tra il 357 ed il 359 a Sirmio
(nella ex Iugoslavia) per cercare di venire a capo delle interminabili
dispute teologiche.
Rispetto alla natura di Cristo, le formulazioni presentate risultarono
addirittura quattro:
Homooùsios (identico, nella sostanza, a Dio, cioè consustanziale), secondo
il Credo di Nicea, difeso, come si è detto, strenuamente e quasi
isolatamente (Athanasius contra mundum: Atanasio contro il mondo) da
Atanasio di Alessandria.
Homoioùsios (simile, nella sostanza, a Dio), propugnato da  Basilio di
Ancyra.
Anòmoios (dissimile da Dio), secondo il credo ariano più canonico, e difeso
da Aezio di Antiochia o di Celesiria, Eunomio di Cizico e Ursacio di
Singiduno.
Hòmoios (simile a Dio), proposto da Acacio di Cesarea, definizione vaga,
dove si parlava di una generica similitudine tra Padre e Figlio, senza
precisare il rapporto sul piano della sostanza. I seguaci del partito di
Acacio si chiamarono omeisti.


L'imperatore Costanzo dapprima (358) aderì alla dottrina dell'homoioùsios di
Basilio, ma successivamente, dopo il sinodo del 359, cercò di imporre la
versione homoios di Acacio come ufficiale e convocò i vescovi occidentali a
Rimini e quelli orientali a Selucia per ratificare la formula acaciana.
Contemporaneamente fece deporre e relegare a Berea in Tracia Papa Liberio
(352-366). Al suo posto fu eletto l'antipapa, di ispirazione ariana, Felice
II (355-365). Papa Liberio poté rientrare ad occupare la sua sede, solo dopo
aver firmato un documento molto vicino alle tesi ariane.
Questo momento storico del Cristianesimo fu ben descritto da S. Girolamo
nella sua frase: "Il mondo, gemendo, stupì di trovarsi ariano".
Il concilio di Seleucia, nel 359, al quale partecipò Acacio di Cesarea,
oltre a 150/160 vescovi orientali, mostrò tutta la ben nota divisione nel
partito ariano, e fu aggiornato dall'imperatore stesso a Costantinopoli,
l'anno successivo, dove fu imposta la formula del homoios.
Ma nel 361, morì l'imperatore Costanzo e la situazione politica divenne poco
chiara: paradossalmente l'ascesa di Giuliano l'Apostata (361-363) permise
agli ortodossi niceni di serrare le fila: ad Atanasio fu permesso di
ritornare ad Alessandria.
Nel concilio di Lampsaco del 364, indetto da Valentiniano I (364-375),
imperatore della parte occidentale, le tesi ariane vennero rigettate e i
vescovi più in vista vennero condannati, tuttavia la parte orientale
dell'impero rimase ariana, sotto l'imperatore Valente (364-378, fratello di
Valentiniano), lui stesso un ariano radicale.
Fu fondamentale, allora, l'azione dei tre grandi Padri Cappadoci [San
Basilio (c.330-379), San Gregorio di Nissa (c.330-395) e San Gregorio di
Nazianzo (329-389)], origenisti e strenui difensori del credo niceno, che
iniziò a fare breccia nel blocco ariano.
Furono anche decisivi i due nuovi imperatori, Graziano (375-383) ad
occidente, ma soprattutto Teodosio (379-395) ad oriente, cattolici convinti,
a far pendere l'ago della bilancia a favore del Cattolicesimo ortodosso.
Teodosio convocò nel 381 il 1° Concilio di Costantinopoli, gettando le basi
di quel credo niceno-costantinopolitano, fulcro del Cristianesimo, imposto
nel 391 come nuova religione di Stato.
Inoltre nel 394, Teodosio diventò l'unico imperatore e impose l'ortodossia
su tutto l'impero.
Tuttavia, l'a. diventò religione predominante per i popoli germanici: i
Goti, convertiti da Ulfilas il Goto, ma anche i Burgundi, gli Ostrogoti, i
Visigoti, i Longobardi, i Vandali mantennero per diversi secoli il loro
credo ariano, per poi essere gradualmente riassorbiti dall'ortodossia: solo
entro la fine del VIII secolo, l'a. si poté definire scomparso.


L'arianesimo moderno
Dopo svariati secoli, vi fu un certo revival dell'arianesimo alla fine del
XVII secolo, nel pensiero di Samuel Clarke (1675-1729), mentre oggigiorno la
corrente religiosa protestante, erede più diretto dell'arianesimo è
l'unitarianismo.
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Seekers (o waiters o ariani legantini) (XVII secolo)



I seekers furono una setta protestante inglese del XVII secolo, fondata dai
tre fratelli Legate, Walter, Thomas e Bartolomew, separatisti inglesi attivi
a Londra tra il 1590 ed il 1612, dal cui cognome la setta prese il nome
anche di ariani legatini.
Come altre sette dell'epoca, i Legate ed i loro seguaci rigettavano
qualsiasi forma di rituale e di religione organizzata, respingendo sia la
Chiesa Cattolica che quella Anglicana come corrotte e considerando se stessi
come i nuovi apostoli di Dio, gli unici che potevano rifondare una vera e
valida Chiesa. In attesa di questo evento, i seekers decisero che avrebbero
aspettato in silenzio, da cui anche il nome di waiters (coloro che
aspettano) ed in effetti le loro riunioni consistevano principalmente in
momenti di silenzio e contemplazione.
I fratelli Legate non vissero a lungo nel loro movimento: Walter morì
annegato, Thomas finì i suoi giorni in prigione a Newgate, mentre Barthomew
fu bruciato sul rogo, assieme all'anabattista Edward Wightman, l'11 aprile
1612 a Litchfield. Fu l'ultimo rogo pubblico per eresia in Inghilterra.
La setta continuò, dopo la morte dei suoi fondatori, per un centinaio di
anni, fino all'inizio del XVIII secolo, venendo man mano riassorbita dal
movimento dei quaccheri, che avevano alcune convinzioni in comune con i s.,
diversi dei quali decisero, per l'appunto, di confluire nella setta fondata
da George Fox.
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Ario (ca. 256-336)



Ario fu il più famoso eresiarca del IV° secolo e diede il nome alla
dottrina, grande alternativa del credo cattolico nel mondo cristiano
dell'epoca, tuttavia egli non contribuì granché allo sviluppo teologico di
questo pensiero.
Ario nacque in Libia nel 256 ca., e poco si sa della prima parte della sua
vita: è probabile che avesse studiato presso la scuola di  Luciano di
Antiochia, dove conobbe sia Asterio di Cappadocia che Eusebio di Nicomedia.
Nel 306 A. prese le parti di Melezio di Licopoli, fondatore della Chiesa dei
martiri confessori, di cui A. faceva parte, contro il vescovo di
Alessandria, Pietro, con il quale, però, A. si riconciliò in seguito, tant'è
vero che fu ordinato diacono da Pietro stesso nel 311.
Nel 313, A. fu fatto presbitero dal successore di Pietro, Achilleo, e
chiamato a condurre una chiesa nel rione Baucalis di Alessandria.
Si impegnò a fondo nel combattere alcune eresie come lo Gnosticismo e il
Modalismo o Sabellianismo, ma nel 319 entrò in rotta di collisione con il
suo nuovo vescovo, Alessandro, accusandolo di insegnare che il Figlio fosse
identico al Padre, mentre A. oramai predicava i principi della sua dottrina,
l'arianesimo.
Alessandro convocò nel 321 un sinodo di circa cento vescovi egiziani e
libici e fece scomunicare A., fuggito nel frattempo in Palestina. Qui
l'eresiarca scrisse una lettera a Eusebio di Nicomedia, da cui venne accolto
a braccia aperte.
Eusebio creò un centro di riferimento per l'arianesimo nella propria diocesi
e si fece promotore dell'arianesimo a livello di dispute teologiche; A., dal
canto suo, come un moderno comunicatore, compose canzoni e slogan per
propagandare le sue idee presso la gente comune, come i marinai e
viaggiatori.
Nel frattempo la posizione degli ariani venne riforzata da alcuni sinodi
locali, tenuti in Palestina e in Bitinia e vaorevoli ad A. e dal positivo
ascendente di Eusebio sull'imperatore Costantino, che aveva legalizzato il
Cristianesimo nel 313.
Dopo qualche anno, nel 325, l'imperatore si decise di convocare un concilio
per dirimere la questione fra cattolici ortodossi e ariani.
Il Concilio Ecumenico (il primo della storia del Cristianesimo) ebbe luogo a
Nicea ed iniziò il 20 Maggio 325 alla presenza di circa 220 vescovi (secondo
altri autori, 318), in larghissima maggioranza della parte orientale
dell'Impero.
A. comparve, portando un atto di fede, stracciato, tuttavia, in pubblico ed
anche l'intervento di Eusebio non fu tra i più felici: egli lesse un
documento, allineato sulle posizioni ariane, dove si affermava molto
palesemente che Cristo non era Dio.
Questa terminologia senza compromessi alienò i favori dei moderati, che,
dopo estenuanti discussioni, aderirono al cosiddetto Credo Niceno, dove, a
proposito della natura di Cristo, si ribadiva il termine homooùsion
(consustanziale, cioè della stessa sostanza del Padre e generato, e non
creato).
L'arianesimo fu condannato, A. fu mandato in esilio in Illirico e i suoi
libri bruciati.
Tuttavia i sostenitori dell'arianesimo, rimasti in maggioranza, persuasero
l'imperatore a richiamare A. dall'esilio nel 331 (o 334) (Eusebio era già
stato richiamato nel 328) ed a progettare un suo rientro nella Chiesa, dopo
che A. era riuscito a convincere Costantino stesso della sua ortodossia in
un colloquio privato.
Ma il vecchio eresiarca, oramai ottantenne, morì improvvisamente per strada
a Costantinopoli nel 336.
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Arminio (Arminius o Hermanzoon o Harmansz o Harmensen), Jacob (o Jacobus)
(1569-1609) e Arminianismo



La vita
Jacob Hermanzoon (nome umanistico Jacobus Arminius, meglio conosciuto come
Arminio) nacque il 10 ottobre 1560 a Oudewater, in Olanda meridionale, da un
arrotino, di nome Herman.
Erano tempi bui per i Paesi Bassi, percorsi dalle truppe spagnole del
tristemente noto Fernando Alvarez de Toledo (ca.1507-1582), duca d'Alba,
inviato dal re di Spagna, Filippo II (1556-1598) per reprimere il tentativo
di indipendenza dell'Olanda.
Anche la famiglia di A. venne tragicamente colpita dagli avvenimenti
dell'epoca: A., rimasto orfano di padre nell'anno della sua stessa nascita,
fu adottato da Theodorus Aemilius, un ex prete cattolico, diventato
protestante, che lo mandò a studiare ad Utrecht. Nel 1575, all'età di 15
anni, egli fu notato dal suo concittadino, il matematico Rudolf Snellius
(1546-1613), docente all'università di Marburg (in Germania), che lo portò
con sé per proseguire i suoi studi, ma, appena giunto a Marburg, fu
informato dell'assedio spagnolo di Oudewater: A. rientrò in tutta fretta,
per solo per apprendere la terribile notizia che, dopo l'espugnazione della
sua città natale, i soldati spagnoli avevano massacrarono tutta la sua
famiglia (madre, fratello e sorella).
Completamente solo al mondo, A. trovò, per sua fortuna, degli amici
generosi, che gli pagarono gli studi di teologia all'università di Leida.
Rivelatosi un brillante studente, nel 1582 A. proseguì i suoi studi, pagati
dalla gilda dei mercanti di Amsterdam, a Ginevra sotto la guida del
successore di Giovanni Calvino, Theodore de Béze.
Nel 1586 A.fece un lungo viaggio in Italia, assistendo alle lezioni a Padova
del filosofo umanista Jacopo Zabarella (1533-1589), ma poco dopo si sparse
in Olanda la voce che egli fosse caduto sotto l'influenza dei gesuiti, (San)
Roberto Bellarmino (1542-1621), ex-professore di teologia a Lovanio (tra il
1570 ed il 1576), e Francisco De Suarez (1548-1617). Fu quindi urgentemente
richiamato indietro ad Amsterdam, dove dovette fare una dichiarazione di
ortodossia calvinista e, fugati i dubbi sulla sua fede, venne nominato nel
1588 pastore di una comunità calvinista.
Nel 1589 egli fu direttamente chiamato in causa sia dal professore di
Franeker (nella Frisia occidentale) Martin Lydius per confutare due teologi
infralapsariani di Delft, che dal tribunale ecclesiastico di Amsterdam per
dibattere contro uno studioso laico, Dirk Koornhert, che aveva scritto
contro il supralapsarianismo e contro la dottrina della predestinazione,
chiedendo perfino la revisione della Confessio Belgica, elaborata nel 1561
da Guy de Bray.
A., approfondendo l'argomento, ebbe dei primi dubbi sulla incondizionata
predestinazione di Calvino, e decise di rifiutarlo, sviluppando un concetto
di libero arbitrio, del tutto estraneo al calvinismo.
Questa presa di posizione gli suscitò per anni critiche e pesanti attacchi
dall'establishment calvinista, che si acuirono quando nel 1602 A. successe a
Franz Junius (1545-1602), professore di teologia a Leida, nella cui
università A. fu fatto sistematicamente oggetto degli strali del teologo
supralapsariano Franz Gomar (Gomarius).
Tra il 1608 ed il 1609 egli pubblicò tre difese scritte delle sue dottrine,
ma nell'ottobre 1609, morì di consunzione a soli 49 anni.


Teologia dell'arminianismo
Nettamente diversa, quindi, dalle altre dottrine calviniste, l'arminianismo
credeva che Dio avesse dato all'uomo la libera scelta di accettarLo o di
rifiutarLo. Quindi dopo la caduta dell'uomo, Dio aveva provveduto per la
salvezza di tutti, ma solo chi credeva avrebbe potuto salvarsi, attraverso i
meriti dell'azione di Cristo e per mezzo della Grazia dello Spirito Santo.
Infatti A. era convinto che:
Sebbene Cristo fosse morto per tutti, solo i credenti potevano ottenere la
remissione dei peccati,
E comunque era necessaria la mediazione della Grazia dello Spirito Santo,
senza la quale non era possibile per l'uomo capire, volere e compiere il
bene.
Quindi tutte le buone azioni dell'uomo dovevano essere riferite alla Grazia,
che però non era irresistibile: era infatti sempre possibile per il credente
perderla.
L'a. introduceva quindi un concetto di libero arbitrio sebbene condizionato:
il teologo luterano del XX secolo Otto Heick infatti la definì con
l'ossimoro condizionalismo assoluto.
La reazione calvinista non si fece attendere e al concilio di Dort
(Dordrecht) del 1618-19 furono elaborati, contro l'a., i seguenti cinque
punti del calvinismo, denominati Canone di Dort (tra parentesi, in italico,
il pensiero degli arminiani):
Depravazione totale: l'uomo caduto in peccato non era assolutamente in grado
di salvarsi. (La natura umana permetteva all'uomo di credere o rigettare
Cristo, quindi egli non poteva essere totalmente depravato)
Elezione non condizionata: la volontà di Dio di salvare gli eletti non
poteva essere condizionata assolutamente dall'uomo. (L'elezione era
condizionata dalla conoscenza di Dio e dal libero arbitrio dell'uomo)
Espiazione limitata: l'espiazione attraverso la morte di Cristo era sì
sufficiente a salvare tutti gli uomini, ma efficace solo per gli eletti.
(L'espiazione era per tutti gli uomini, senza specifiche categorie di
eletti).
Grazia irresistibile: gli eletti non potevano resistere al dono della
grazia, dato dallo Spirito Santo. (L'uomo poteva resistere alla Grazia di
Dio, rifiutando di farsi salvare)
Perseveranza dei santi: coloro che sono stati rigenerati e giustificati
persevereranno nella fede. (Mediante certi comportamenti, perfino il
credente rigenerato e giustificato può essere dannato).


I successori di A.
Non avendo A. formalizzato la sua dottrina, sarebbe toccato ai suoi
successori Simon Bischop (nome umanistico: Episcopius) (1583-1643) e Jan
Uytenbogaert (1577-1644), sviluppare e sistemare le idee, che furono
presentate con forte spirito polemico agli Stati Generali olandesi nel 1610:
per questo la corrente degli arminiani fu detta dei rimostranti.
Al concilio di Dort (novembre 1618- maggio 1619), pur supportato
autorevolmente dall'Avvocato Generale dello Stato Jan (o Johan) Van
Oldenbarnevelt, che avrebbe pagato questa presa di posizione con la propria
testa (fu infatti decapitato il 14 maggio 1619) e dal teologo Ugo Grozio,
l'arminianismo fu condannato senza appello e i rimostranti furono
perseguitati durante il governo dello statolder Maurits (Maurizio)
d'Orange-Nassau (1584-1625): circa 200 predicatori furono espulsi dalla
Chiesa Riformata e 80 dovettero andare in esilio. La situazione perdurò fino
al 1632, anno dal quale i seguaci di A. furono finalmente lasciati in pace,
tuttavia solamente nel 1795 i rimostranti furono riconosciuti come chiesa
indipendente in Olanda.


La Chiesa arminiana dei Rimostranti oggi
Oggigiorno sono 21.500 gli aderenti alla chiesa arminiana, denominata The
Remonstrant Brotherhood (la Fratellanza dei Rimostranti) e aderente dal 1948
al Consiglio mondiale delle Chiese. Il web site http://www.remonstranten.org
è in lingua olandese ma l'introduzione e alcune pagine sono anche in
inglese.
Le dottrine di A. ebbero un effetto duraturo sul pensiero calvinista e
inoltre, esportate in Inghilterra, influenzarono diverse correnti religiose
protestanti, tra cui i pietisti, alcuni battisti, i pentecostali, le chiese
di santità, il movimento di Oxford.
Ma i concetti arminiani di responsabilità morale dell'uomo e del potere
santificante dello Spirito Santo furono soprattutto decisivi nello sviluppo
di una delle dottrine più popolari nel "grande risveglio" protestante del
XVIII secolo: il metodismo di John Wesley.
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Arminio (Arminius o Hermanzoon o Harmansz o Harmensen), Jacob (o Jacobus)
(1569-1609) e Arminianismo



La vita
Jacob Hermanzoon (nome umanistico Jacobus Arminius, meglio conosciuto come
Arminio) nacque il 10 ottobre 1560 a Oudewater, in Olanda meridionale, da un
arrotino, di nome Herman.
Erano tempi bui per i Paesi Bassi, percorsi dalle truppe spagnole del
tristemente noto Fernando Alvarez de Toledo (ca.1507-1582), duca d'Alba,
inviato dal re di Spagna, Filippo II (1556-1598) per reprimere il tentativo
di indipendenza dell'Olanda.
Anche la famiglia di A. venne tragicamente colpita dagli avvenimenti
dell'epoca: A., rimasto orfano di padre nell'anno della sua stessa nascita,
fu adottato da Theodorus Aemilius, un ex prete cattolico, diventato
protestante, che lo mandò a studiare ad Utrecht. Nel 1575, all'età di 15
anni, egli fu notato dal suo concittadino, il matematico Rudolf Snellius
(1546-1613), docente all'università di Marburg (in Germania), che lo portò
con sé per proseguire i suoi studi, ma, appena giunto a Marburg, fu
informato dell'assedio spagnolo di Oudewater: A. rientrò in tutta fretta,
per solo per apprendere la terribile notizia che, dopo l'espugnazione della
sua città natale, i soldati spagnoli avevano massacrarono tutta la sua
famiglia (madre, fratello e sorella).
Completamente solo al mondo, A. trovò, per sua fortuna, degli amici
generosi, che gli pagarono gli studi di teologia all'università di Leida.
Rivelatosi un brillante studente, nel 1582 A. proseguì i suoi studi, pagati
dalla gilda dei mercanti di Amsterdam, a Ginevra sotto la guida del
successore di Giovanni Calvino, Theodore de Béze.
Nel 1586 A.fece un lungo viaggio in Italia, assistendo alle lezioni a Padova
del filosofo umanista Jacopo Zabarella (1533-1589), ma poco dopo si sparse
in Olanda la voce che egli fosse caduto sotto l'influenza dei gesuiti, (San)
Roberto Bellarmino (1542-1621), ex-professore di teologia a Lovanio (tra il
1570 ed il 1576), e Francisco De Suarez (1548-1617). Fu quindi urgentemente
richiamato indietro ad Amsterdam, dove dovette fare una dichiarazione di
ortodossia calvinista e, fugati i dubbi sulla sua fede, venne nominato nel
1588 pastore di una comunità calvinista.
Nel 1589 egli fu direttamente chiamato in causa sia dal professore di
Franeker (nella Frisia occidentale) Martin Lydius per confutare due teologi
infralapsariani di Delft, che dal tribunale ecclesiastico di Amsterdam per
dibattere contro uno studioso laico, Dirk Koornhert, che aveva scritto
contro il supralapsarianismo e contro la dottrina della predestinazione,
chiedendo perfino la revisione della Confessio Belgica, elaborata nel 1561
da Guy de Bray.
A., approfondendo l'argomento, ebbe dei primi dubbi sulla incondizionata
predestinazione di Calvino, e decise di rifiutarlo, sviluppando un concetto
di libero arbitrio, del tutto estraneo al calvinismo.
Questa presa di posizione gli suscitò per anni critiche e pesanti attacchi
dall'establishment calvinista, che si acuirono quando nel 1602 A. successe a
Franz Junius (1545-1602), professore di teologia a Leida, nella cui
università A. fu fatto sistematicamente oggetto degli strali del teologo
supralapsariano Franz Gomar (Gomarius).
Tra il 1608 ed il 1609 egli pubblicò tre difese scritte delle sue dottrine,
ma nell'ottobre 1609, morì di consunzione a soli 49 anni.


Teologia dell'arminianismo
Nettamente diversa, quindi, dalle altre dottrine calviniste, l'arminianismo
credeva che Dio avesse dato all'uomo la libera scelta di accettarLo o di
rifiutarLo. Quindi dopo la caduta dell'uomo, Dio aveva provveduto per la
salvezza di tutti, ma solo chi credeva avrebbe potuto salvarsi, attraverso i
meriti dell'azione di Cristo e per mezzo della Grazia dello Spirito Santo.
Infatti A. era convinto che:
Sebbene Cristo fosse morto per tutti, solo i credenti potevano ottenere la
remissione dei peccati,
E comunque era necessaria la mediazione della Grazia dello Spirito Santo,
senza la quale non era possibile per l'uomo capire, volere e compiere il
bene.
Quindi tutte le buone azioni dell'uomo dovevano essere riferite alla Grazia,
che però non era irresistibile: era infatti sempre possibile per il credente
perderla.
L'a. introduceva quindi un concetto di libero arbitrio sebbene condizionato:
il teologo luterano del XX secolo Otto Heick infatti la definì con
l'ossimoro condizionalismo assoluto.
La reazione calvinista non si fece attendere e al concilio di Dort
(Dordrecht) del 1618-19 furono elaborati, contro l'a., i seguenti cinque
punti del calvinismo, denominati Canone di Dort (tra parentesi, in italico,
il pensiero degli arminiani):
Depravazione totale: l'uomo caduto in peccato non era assolutamente in grado
di salvarsi. (La natura umana permetteva all'uomo di credere o rigettare
Cristo, quindi egli non poteva essere totalmente depravato)
Elezione non condizionata: la volontà di Dio di salvare gli eletti non
poteva essere condizionata assolutamente dall'uomo. (L'elezione era
condizionata dalla conoscenza di Dio e dal libero arbitrio dell'uomo)
Espiazione limitata: l'espiazione attraverso la morte di Cristo era sì
sufficiente a salvare tutti gli uomini, ma efficace solo per gli eletti.
(L'espiazione era per tutti gli uomini, senza specifiche categorie di
eletti).
Grazia irresistibile: gli eletti non potevano resistere al dono della
grazia, dato dallo Spirito Santo. (L'uomo poteva resistere alla Grazia di
Dio, rifiutando di farsi salvare)
Perseveranza dei santi: coloro che sono stati rigenerati e giustificati
persevereranno nella fede. (Mediante certi comportamenti, perfino il
credente rigenerato e giustificato può essere dannato).


I successori di A.
Non avendo A. formalizzato la sua dottrina, sarebbe toccato ai suoi
successori Simon Bischop (nome umanistico: Episcopius) (1583-1643) e Jan
Uytenbogaert (1577-1644), sviluppare e sistemare le idee, che furono
presentate con forte spirito polemico agli Stati Generali olandesi nel 1610:
per questo la corrente degli arminiani fu detta dei rimostranti.
Al concilio di Dort (novembre 1618- maggio 1619), pur supportato
autorevolmente dall'Avvocato Generale dello Stato Jan (o Johan) Van
Oldenbarnevelt, che avrebbe pagato questa presa di posizione con la propria
testa (fu infatti decapitato il 14 maggio 1619) e dal teologo Ugo Grozio,
l'arminianismo fu condannato senza appello e i rimostranti furono
perseguitati durante il governo dello statolder Maurits (Maurizio)
d'Orange-Nassau (1584-1625): circa 200 predicatori furono espulsi dalla
Chiesa Riformata e 80 dovettero andare in esilio. La situazione perdurò fino
al 1632, anno dal quale i seguaci di A. furono finalmente lasciati in pace,
tuttavia solamente nel 1795 i rimostranti furono riconosciuti come chiesa
indipendente in Olanda.


La Chiesa arminiana dei Rimostranti oggi
Oggigiorno sono 21.500 gli aderenti alla chiesa arminiana, denominata The
Remonstrant Brotherhood (la Fratellanza dei Rimostranti) e aderente dal 1948
al Consiglio mondiale delle Chiese. Il web site http://www.remonstranten.org
è in lingua olandese ma l'introduzione e alcune pagine sono anche in
inglese.
Le dottrine di A. ebbero un effetto duraturo sul pensiero calvinista e
inoltre, esportate in Inghilterra, influenzarono diverse correnti religiose
protestanti, tra cui i pietisti, alcuni battisti, i pentecostali, le chiese
di santità, il movimento di Oxford.
Ma i concetti arminiani di responsabilità morale dell'uomo e del potere
santificante dello Spirito Santo furono soprattutto decisivi nello sviluppo
di una delle dottrine più popolari nel "grande risveglio" protestante del
XVIII secolo: il metodismo di John Wesley.
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Bardesane (o Bar Daisan) (154-222)



La vita
Bardesane fu un letterato (nel senso di poeta, astrologo e filosofo)
siriano, nato a Edessa, da genitori parti o persiani e chiamato Bar Daisan
(cioè figlio del Daisan, il fiume di Edessa).
Grazie alla sua condizione sociale elevata, B. fu educato da giovane assieme
al futuro re Abgar IX di Edessa, cosa che gli permise di occupare un posto
di rilievo quando l'amico di gioventù ascese al trono nel 179.
Abgar IX e B. s'impegnarono a diffondere il Cristianesimo nel regno,
combattendo nello stesso tempo le eresie marcionita e gnostico-valentiniana,
e così Abgar ebbe la possibilità di diventare il primo re cristiano della
storia.
Tuttavia, in seguito, B. si mise a mischiare pericolosamente la dottrina
cristiana con le sue conoscenze orientali, precedentemente acquisite, come
l'astrologia, fondando una nuova setta: questo fu la fine del regno di
Edessa, poiché l'imperatore romano Caracalla (211-217), prendendo a pretesto
i disordini fatti scoppiati ad Edessa dai cristiani ortodossi, invase lo
stato nel 216 e portò Abgar incatenato a Roma.
B. riuscì a fuggire in Armenia, dove cercò di continuare la diffusione della
sua setta, ma con scarsi successi e morì ad Edessa nel 222.


La dottrina
La dottrina di B., come si diceva, era una strana miscela di dottrina
cristiana e astrologia babilonese. Infatti, B. credeva in un Dio
onnipotente, che aveva creato il mondo come una miscela di bene e di male,
di luce e di oscurità. Tutte le cose, anche le inanimate, erano dotate di
certo grado di libertà ed in esse la luce avrebbe dovuto combattere contro
l'oscurità. Questo mondo aveva una vita di sei mila anni, al termine dei
quali sarebbe stato soppiantato da un mondo fatto di solo bene.
B. credeva che il Sole, la Luna e i pianeti fossero esseri viventi,
predestinate da Dio a comandare questo mondo, quindi, anche se l'uomo fosse
dotato di libero arbitrio, poteva essere influenzato negativamente dalle
stelle.
B., inoltre, negò la Resurrezione di Cristo, attribuendo al Suo corpo il
dono dell'incorruttibilità.


Le opere
La produzione letteraria di B. fu vastissima, ma la maggior parte è andata
perduta.
I più noti, segnalati da vari autori cristiani (Teodoreto, Epifanio,
Eusebio), sono:
Dialoghi contro Marcione e Valentino
Dialogo sul destino
Libro di salmi
Soprattutto i suoi salmi ebbero una straordinaria popolarità tra i suoi
concittadini per intere generazioni.


I seguaci
I seguaci di B., ad incominciare dal figlio Armonio, aggiunsero ogni sorta
di variante alla dottrina originaria, dalla metempsicosi al Docetismo a riti
sessuali basati sul principio che il Sole e la Luna fossero principi
maschili e femminili.
In ogni caso, la setta di B. fu ben radicata nel territorio e, nonostante
una forte confluenza nel nascente manicheismo, furono segnalate presenze di
seguaci fedeli alla linea dottrinale originale perfino nel XII secolo.
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Arnaldo da Brescia (fine XI secolo- m. 1155)



Nato a Brescia alla fine del XI secolo, Arnaldo studiò, secondo Otto di
Freisingen, a Parigi sotto il celebre filosofo Pietro Abelardo dal 1115.
Ritornato a Brescia intorno al 1130, A. entrò in convento per diventare un
canonico regolare ed iniziare la sua carriera come predicatore itinerante.
In quel periodo, Brescia, come molte altre città, si stava evolvendo in
municipalità e nel contempo era forte in città l'insofferenza verso il clero
corrotto e concubino, ma anche verso i potenti vescovi, veri signori della
città, spesso simoniaci.
Del resto, era ancora vivo il ricordo del movimento dei patarini, che aveva
raggiunto il suo apice nel 1059 , quando il vescovo di Brescia Adelmanno
aveva applicato le decisioni di Papa Niccolò II (1059-1061) contro i preti,
colpevoli di concubinato e simonia.
A., la cui ricerca di purezza, austerità e distacco dalle cose terrene erano
noti, fu intristito per le condizioni del clero bresciano, che egli attribuì
alle immense ricchezze accumulate dal vescovo e dei monasteri: egli pensò
che l'unico modo per tornare ad una purezza cristiana era di costringere
l'alto clero a spogliarsi di tutti i suoi averi.
A., come già i patarini, era inoltre convinto che i sacramenti amministrati
da un prete corrotto vanificavano il valore dei sacramenti stessi.
Nel 1138, il vescovo Maifredo, preoccupato per l'effetto delle prediche di
A. in città, si recò a Roma per chiedere una condanna del predicatore da
parte del Papa Innocenzo II (1130-1143) e questa fu pronunciata durante il
Concilio Lateranense II del 1139. L'indignazione popolare, che ne seguì,
tuttavia fu tale che venne impedito a Maifredo di ritornare alla sua sede,
ma alla fine A. si decise ad accettare l'esilio in Francia, a fianco del suo
maestro Abelardo.
Qui, A. e Abelardo lottarono contro le accuse di Bernardo di Chiaravalle, il
quale aveva fatto convocare il concilio di Sens del 1140 per confutare le 19
idee eretiche di Abelardo.
Il concilio condannò ambedue al confino perenne in un monastero, ma A., dopo
un periodo presso il monastero di Santa Genoveffa di Parigi, fuggì in
Svizzera, a Zurigo.
Tuttavia Bernardo di Chiaravalle, che nella sua vita si dedicò con
accanimento e costanza alla persecuzione del predicatore bresciano, riuscì a
farlo mandare via sia da Zurigo, che dalla Boemia, dove si era rifugiato nel
1143 presso il legato pontificio, cardinale Guido di Città di Castello.
Quest'ultimo, diventato Papa con il nome di Celestino II (1143-1144), riuscì
a convincere A. a riconciliarsi con la Chiesa Cattolica, ma la prematura
morte del papa nel marzo del 1144 fece sì che A. compisse questo passo solo
nel 1145, dopo la parentesi di Papa Lucio II (1144-1145), recandosi a
Viterbo dal nuovo papa, Eugenio III (1145-1153), dal quale si fece
confessare e assolvere, previa la penitenza di compiere un pellegrinaggio ai
santuari di Roma.
A Roma A. trovò una situazione molto tesa: il potere papale era in rotta con
la cittadinanza, e questa, guidata dal patrizio Giordano Pierleoni, cercava
di fondare un comune laico, sul modello di quelli dell'Italia
settentrionale. La lotta era degenerata ed era fallito un assalto delle
truppe guidate dal precedente papa in persona, Lucio II, che nel parapiglia
era stato ucciso da una sassata alla testa.
A. sposò la tesi del popolo romano, diventando il vessillo della rivolta che
scoppiò di nuovo, approfittando del fatto che Eugenio III aveva lasciato la
città nel 1147 per recarsi in Francia a bandire la seconda Crociata. Eugenio
tentò invano di rientrare a Roma e da Brescia scomunicò A., senza
particolari conseguenze immediate, nel 1148.
Tuttavia la repubblica a Roma resistette solo fino allo sviluppo del
dissenso interno fomentato dalle diverse posizioni assunte, da una parte, da
A. e un tale Wetzel (un tedesco in ottimi rapporti con gli imperatori
Corrado III e Federico I Barbarossa), favorevoli ad un abbattimento del
potere temporale del papa e, dall'altra, dagli altri autonomisti romani, non
interessati ad una soluzione così radicale ed estrema.
Eugenio III riuscì, oltretutto, a compiere nel 1152 un'abile opera di
diplomazia per riportare Federico Barbarossa sulle posizioni papali. I tempi
erano maturi per un'azione decisa,  intrapresa da Papa Adriano IV
(1154-1159), il quale, appena eletto, lanciò l'interdetto sulla città di
Roma.
Il senato romano, gettato nello sconforto dalla mossa papale, intese che il
prezzo da pagare era la testa di A.: questi fu espulso nel 1155 e si rifugiò
presso il visconte di Campagnatico.
Tuttavia Federico Barbarossa si era impegnato con Adriano ad arrestare A. in
cambio dell'incoronazione imperiale e quindi costrinse il visconte a
consegnargli A.
L'imperatore, successivamente, inviò il prigioniero alla Curia romana, che,
dopo un breve processo, lo mise a morte, nello stesso 1155, mediante
impiccagione, seguita dal rogo del cadavere e dispersione delle ceneri nel
Tevere.
Questa ultima azione fu decisa acciocché i seguaci di A., denominati
arnaldisti o, secondo Giovanni di Salisbury, genericamente lombardi, non
potessero trafugare la salma per farne oggetto di venerazione.
E' veramente difficile dire in che cosa consistesse l'eresia del povero A.
Egli predicava contro l'abuso delle ricchezze del clero, tale e quale come
il suo antagonista Bernardo di Chiaravalle. Forse il punto che condannò il
predicatore bresciano fu il rifiuto del potere temporale del Papa e della
Chiesa, vero ricettacolo, secondo lui, di simonia.
L'idea di una Chiesa, che seguisse l'esempio di Gesù e dei primi apostoli,
rimase comunque inalterata per tutto il medioevo ritornando ciclicamente con
i riformatori ortodossi, come San Francesco d'Assisi e quelli eterodossi,
come Valdo fino a giungere al grande movimento protestante del XVI secolo.
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Arnaldo da Brescia (fine XI secolo- m. 1155)



Nato a Brescia alla fine del XI secolo, Arnaldo studiò, secondo Otto di
Freisingen, a Parigi sotto il celebre filosofo Pietro Abelardo dal 1115.
Ritornato a Brescia intorno al 1130, A. entrò in convento per diventare un
canonico regolare ed iniziare la sua carriera come predicatore itinerante.
In quel periodo, Brescia, come molte altre città, si stava evolvendo in
municipalità e nel contempo era forte in città l'insofferenza verso il clero
corrotto e concubino, ma anche verso i potenti vescovi, veri signori della
città, spesso simoniaci.
Del resto, era ancora vivo il ricordo del movimento dei patarini, che aveva
raggiunto il suo apice nel 1059 , quando il vescovo di Brescia Adelmanno
aveva applicato le decisioni di Papa Niccolò II (1059-1061) contro i preti,
colpevoli di concubinato e simonia.
A., la cui ricerca di purezza, austerità e distacco dalle cose terrene erano
noti, fu intristito per le condizioni del clero bresciano, che egli attribuì
alle immense ricchezze accumulate dal vescovo e dei monasteri: egli pensò
che l'unico modo per tornare ad una purezza cristiana era di costringere
l'alto clero a spogliarsi di tutti i suoi averi.
A., come già i patarini, era inoltre convinto che i sacramenti amministrati
da un prete corrotto vanificavano il valore dei sacramenti stessi.
Nel 1138, il vescovo Maifredo, preoccupato per l'effetto delle prediche di
A. in città, si recò a Roma per chiedere una condanna del predicatore da
parte del Papa Innocenzo II (1130-1143) e questa fu pronunciata durante il
Concilio Lateranense II del 1139. L'indignazione popolare, che ne seguì,
tuttavia fu tale che venne impedito a Maifredo di ritornare alla sua sede,
ma alla fine A. si decise ad accettare l'esilio in Francia, a fianco del suo
maestro Abelardo.
Qui, A. e Abelardo lottarono contro le accuse di Bernardo di Chiaravalle, il
quale aveva fatto convocare il concilio di Sens del 1140 per confutare le 19
idee eretiche di Abelardo.
Il concilio condannò ambedue al confino perenne in un monastero, ma A., dopo
un periodo presso il monastero di Santa Genoveffa di Parigi, fuggì in
Svizzera, a Zurigo.
Tuttavia Bernardo di Chiaravalle, che nella sua vita si dedicò con
accanimento e costanza alla persecuzione del predicatore bresciano, riuscì a
farlo mandare via sia da Zurigo, che dalla Boemia, dove si era rifugiato nel
1143 presso il legato pontificio, cardinale Guido di Città di Castello.
Quest'ultimo, diventato Papa con il nome di Celestino II (1143-1144), riuscì
a convincere A. a riconciliarsi con la Chiesa Cattolica, ma la prematura
morte del papa nel marzo del 1144 fece sì che A. compisse questo passo solo
nel 1145, dopo la parentesi di Papa Lucio II (1144-1145), recandosi a
Viterbo dal nuovo papa, Eugenio III (1145-1153), dal quale si fece
confessare e assolvere, previa la penitenza di compiere un pellegrinaggio ai
santuari di Roma.
A Roma A. trovò una situazione molto tesa: il potere papale era in rotta con
la cittadinanza, e questa, guidata dal patrizio Giordano Pierleoni, cercava
di fondare un comune laico, sul modello di quelli dell'Italia
settentrionale. La lotta era degenerata ed era fallito un assalto delle
truppe guidate dal precedente papa in persona, Lucio II, che nel parapiglia
era stato ucciso da una sassata alla testa.
A. sposò la tesi del popolo romano, diventando il vessillo della rivolta che
scoppiò di nuovo, approfittando del fatto che Eugenio III aveva lasciato la
città nel 1147 per recarsi in Francia a bandire la seconda Crociata. Eugenio
tentò invano di rientrare a Roma e da Brescia scomunicò A., senza
particolari conseguenze immediate, nel 1148.
Tuttavia la repubblica a Roma resistette solo fino allo sviluppo del
dissenso interno fomentato dalle diverse posizioni assunte, da una parte, da
A. e un tale Wetzel (un tedesco in ottimi rapporti con gli imperatori
Corrado III e Federico I Barbarossa), favorevoli ad un abbattimento del
potere temporale del papa e, dall'altra, dagli altri autonomisti romani, non
interessati ad una soluzione così radicale ed estrema.
Eugenio III riuscì, oltretutto, a compiere nel 1152 un'abile opera di
diplomazia per riportare Federico Barbarossa sulle posizioni papali. I tempi
erano maturi per un'azione decisa,  intrapresa da Papa Adriano IV
(1154-1159), il quale, appena eletto, lanciò l'interdetto sulla città di
Roma.
Il senato romano, gettato nello sconforto dalla mossa papale, intese che il
prezzo da pagare era la testa di A.: questi fu espulso nel 1155 e si rifugiò
presso il visconte di Campagnatico.
Tuttavia Federico Barbarossa si era impegnato con Adriano ad arrestare A. in
cambio dell'incoronazione imperiale e quindi costrinse il visconte a
consegnargli A.
L'imperatore, successivamente, inviò il prigioniero alla Curia romana, che,
dopo un breve processo, lo mise a morte, nello stesso 1155, mediante
impiccagione, seguita dal rogo del cadavere e dispersione delle ceneri nel
Tevere.
Questa ultima azione fu decisa acciocché i seguaci di A., denominati
arnaldisti o, secondo Giovanni di Salisbury, genericamente lombardi, non
potessero trafugare la salma per farne oggetto di venerazione.
E' veramente difficile dire in che cosa consistesse l'eresia del povero A.
Egli predicava contro l'abuso delle ricchezze del clero, tale e quale come
il suo antagonista Bernardo di Chiaravalle. Forse il punto che condannò il
predicatore bresciano fu il rifiuto del potere temporale del Papa e della
Chiesa, vero ricettacolo, secondo lui, di simonia.
L'idea di una Chiesa, che seguisse l'esempio di Gesù e dei primi apostoli,
rimase comunque inalterata per tutto il medioevo ritornando ciclicamente con
i riformatori ortodossi, come San Francesco d'Assisi e quelli eterodossi,
come Valdo fino a giungere al grande movimento protestante del XVI secolo.
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Arnaud, Henri (Enrico) (1641-1721) e il Glorioso Rimpatrio



La vita
Il pastore e leader valdese Henri (Enrico) Arnaud nacque nel 1641 a Embrun
(nel Delfinato francese) e fu educato dapprima a Torre Pellice (in Val
Pellice, in provincia di Torino), paese d'origine della sua famiglia, quindi
a Basilea e all'accademia calvinista a Ginevra. In seguito A. divenne
pastore valdese in varie valli valdesi, ed in particolare, nel 1685, nella
stessa Torre Pellice.
Egli fu quindi il naturale riferimento dei Valdesi quando il duca di Savoia,
Vittorio Amedeo II, detto la Volpe (Renard) (1684-1730), dovette cedere alle
pesanti pressioni dello zio, il re di Francia, Luigi XIV (1654-1715), che
aveva appena abolito l'editto di Nantes, e organizzò, nel 1686, una
spedizione di 10.000 soldati contro le valli valdesi: nonostante l'accanita
resistenza organizzata dal capitano Giosuè Janavel (detto Gianavello) in
luoghi strategicamente difendibili, come il vallone di Subiasco, la
"crociata" si concluse con un bagno di sangue, tristemente noto come
Massacro delle Pasque Piemontesi. Sopravvissero circa 3.800 persone, le
quali, non accettando di conformarsi alla religione cattolica, ripararono in
Svizzera. Anche A. andò in esilio con i suoi confratelli, e con essi tentò,
inutilmente, per due volte (nel 1687 e 1688) di rientrare nelle valli.
Ma fu soltanto con il mutare della situazione politica europea che le
condizioni per questa impresa furono rese più agevoli: in particolare con la
deposizione del re cattolico inglese, Giacomo II (1685-1688) e la salita al
trono del protestante Guglielmo III d'Orange (1689-1702), i Valdesi
guadagnarono alla loro causa un potente alleato e nel 1689 fecero un
ulteriore tentativo, finanziato da ambienti inglesi e olandesi, vicini a
Guglielmo d'Orange.


Il Glorioso Rimpatrio
Il 27 agosto 1689, avvenne il Glorioso Rimpatrio (Glorieuse Rentrée): A.,
seguendo le istruzioni di Janavel (troppo vecchio per partecipare
direttamente), condusse un piccolo esercito di 972 uomini, compresi alcuni
ugonotti francesi, da Prangins, sul lago di Ginevra, verso le valli valdesi,
attraversando la Savoia per 200 chilometri e scavalcando passi oltre 2.500
metri d'altezza.
All'altezza di Salbertrand (in Val Susa), i Valdesi furono intercettati
dalle truppe franco-piemontesi, che sconfissero sonoramente, e poco
distante, a Prali, in Val Germanasca, A., con la spada in una mano e la
Bibbia nell'altra, poté finalmente celebrare una funzione religiosa in un
tempio valdese. Proseguendo la marcia, i Valdesi arrivarono in Val Pellice,
a Bobbio, e nella vicina Sibaoud, pronunciarono un solenne giuramento.
Tuttavia la reazione franco-savoiardo non si fece attendere e i circa 400
sopravvissuti dovettero arroccarsi a Balsiglia, in Val Germanasca, dove, tra
l'ottobre 1689 e il maggio 1690, respinsero diversi attacchi dei 5.000
soldati nemici, comandati dal generale Catinat. Ma il 14 maggio, logorati
dal cannoneggiamento nemico, essi abbandonarono le posizioni, approfittando
della fitta nebbia e si dispersero sui monti sopra Torre Pellice.
A questo punto, la situazione internazionale voltò a loro favore: proprio
nel maggio 1690 il duca di Savoia abbandonò la sua alleanza con la Francia
per firmarne uno con Inghilterra e Olanda e quindi gli divenne
strategicamente utile impiegare i valdesi in funzione anti-francese. Liberò
i prigionieri, favorì il rientro dalla Svizzera degli esiliati e offrì il
cosiddetto Editto di reintegrazione, con il quale i Valdesi vennero
riconosciuti legittimi proprietari dei loro territori.


Nuove persecuzioni
Tuttavia la situazione rimase favorevole ai Valdesi solo fino al 1696,
quando, grazie al trattato di pace firmato con la Francia, Vittorio Amedeo
II si mise nuovamente a perseguitarli. 3.000 di essi, sotto il comando di
A., si rifugiarono nel ducato di Württemberg, in Germania, sotto la
protezione del duca Eberardo Luigi (1677-1733), e qui A. divenne pastore di
Durrmenz-Schonenberg, vicino a Stoccarda, nel 1699.
Negli ultimi anni della sua vita, A. si dedicò alla stesura della sua
Histoire de la glorieuse rentrée des Vadois dans leurs vallées (Storia del
glorioso rimpatrio dei valdesi nelle loro valli), che fu pubblicata nel
1710.
A. morì a Schonenberg nel 1721.
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Arnauld (o Arnaut o Arnault), famiglia (XVII secolo)



Famiglia di giansenisti francesi del XVII secolo.
Di questa famiglia si ricordano cinque dei venti figli dell'avvocato Antoine
Arnauld (1560-1619):


1) Arnauld d'Andilly, Robert (1588-1674)
Il primogenito fu un poeta e traduttore di testi classici religiosi ed ebbe
una certa influenza sulla casa regnante francese, essendo un favorito di
Anna d'Austria, reggente (1643-1651) del trono del figlio minorenne, re
Luigi XIV (1643-1715). Robert visse per molti anni in ritiro a
Port-Royal-des-Champs.


2) Arnauld, Jacqueline (Madre Marie Angélique) (1591-1661)
Fu nominata nel 1602, ancora bambina, badessa, con il nome di Madre Marie
Angélique de Sainte Madeleine, del convento cistercense di Port-Royal, che
essa gestì con disciplina tollerante fino al 1608, anno in cui, in seguito
ad un sermone di San Francesco di Sales (1567-1622), mise in pratica una
gestione più rigida e drastiche riforme interne: l'abbazia divenne un
esempio di disciplina conventuale e le sue suore furono note per la loro
pietà.
Nel 1623 Jacqueline fu convertita al giansenismo da Jean Du Vergier de
Hauranne, abate di Saint Cyran, e la sua dedizione alla causa fece sì che il
convento diventasse il centro di riferimento del giansenismo francese. Nel
1626, a causa del clima insalubre (ma anche per essere più vicino al cuore
strategico della Francia), Jacqueline fece trasferire il convento dal sede
in campagna (27 km. ad ovest di Parigi e per questo detto
Port-Royal-des-Champs) nella città stessa di Parigi. Nel 1630 la sorella
Agnès fu nominata badessa, ma Jacqueline continuò ad esercitare una grande
influenza sulle decisioni concernenti l'abbazia. Jacqueline morì nel 1661.


3) Arnauld, Agnès (1593-1671)
Scrittrice e badessa del convento di Port-Royal dal 1630, subentrando alla
sorella maggiore Jacqueline, Nel 1661 ella dovette gestire il convento in un
momento drammatico: infatti, in seguito all'ennesima bolla papale di
condanna del giansenismo [Ad sanctam beati Petri sedem del 1656 di Papa
Alessandro VII (1655-1667)], il sinodo del clero di Parigi aveva deciso di
ordinare a tutti gli aderenti al movimento giansenista (suore, sacerdoti,
studiosi) di firmare un documento di condanna delle idee di Cornelius
Jansen. Tuttavia l'intervento autorevole del famoso filosofo e scienziato
Blaise Pascal convinse i più dubbiosi, come Antoine Arnauld e Pierre Nicole,
a non sottoscrivere il documento: il tutto venne rinforzato dalla presa di
posizione di Agnès, che, pur non essendo stata particolarmente favorevole al
giansenismo fino a quel momento, si rifiutò anch'essa, assieme a tutto il
convento, di sottoscrivere la condanna. Tuttavia la presa di posizione portò
nel 1665 alla chiusura della sede parigina del convento. Agnès, ritiratasi a
Port-Royal-des-Champs, morì nel 1671.


4) Arnauld, Henri (1597-1692)
Vescovo di Angers dal 1649 e influente rappresentante del giansenismo a
livello episcopale per ben 43 anni.


5) Arnauld, Antoine (1612-1694)
L'esponente giansenista più autorevole della famiglia fu l'ultimogenito
Antoine. Nato il 6 (o 8) febbraio 1612 a Parigi e destinato alla carriera
legale, decise invece di iscriversi alla facoltà di teologia (il collegio
Lisieux) all'università della Sorbona. Dopo la laurea nel 1641, egli fu
convertito al giansenismo leggendo i testi di Jean Du Vergier de Hauranne,
abate di Saint Cyran, e le sue idee furono riassunte nell'opera De la
fréquente communion del 1643, dove attaccò il pensiero e l'opera dei
gesuiti.
In seguito Antoine intervenne con due lettere nel caso del Duca di
Liancourt, un frequentatore di Port-Royal, al quale era stata negata
l'assoluzione da parte del curato di Saint Sulpice per aver rifiutato la
condanna dell'Augustinus di Cornelius Jansen. Antoine venne per questo
condannato (sulla condanna gravò un pesante interferenza dei gesuiti) da
parte dell'università della Sorbona nel 1655 ed espulso dalla stessa nel
febbraio 1656. Nulla poté neanche l'intervento di Blaise Pascal, che,
nell'occasione, scrisse a sua difesa una delle sue opere maggiori: le famose
Lettere provinciali.
Durante questo difficile periodo, Antoine fu ospite di amici altolocati,
come la duchessa di Logueville, la cognata del re Luigi XIV e riuscì anche a
comporre nel 1662, con Pierre Nicole, La Logique ou l'art de penser (La
logica, o arte di pensare), noto anche come La logica di Port-Royal, un
testo popolarissimo ai tempi, ristampato ben cinque volte, che trattava temi
di logica, linguaggio, teoria della conoscenza e della metafisica, ed era
un'appassionata difesa delle idee gianseniste confrontate con l'ortodossia
cattolica e le idee protestanti.
Dodici anni più tardi (1667), però, Antoine fu tra gli artefici della
cosiddetta Pace della Chiesa, una temporanea sospensione delle ostilità tra
cattolici e giansenisti in Francia. Nel 1669 Antoine, sempre con Nicole,
scrisse il ponderoso tomo La Perpetuite de la foi de l'eglise catholique
touchant l'eucharistie (la perpetuità della fede della chiesa cattolica a
proposito dell'eucaristia) a difesa della transustanziazione contro le idee
calviniste.Tuttavia la tregua si ruppe nel 1679, il movimento fu
perseguitato con sempre più accanimento e Antoine non poté fare altro che
rifugiarsi all'estero, dapprima in Olanda e poi in Belgio, e qui, a
Bruxelles, egli morì l'8 agosto 1694.
Diversi episodi della sua vita testimoniano la sua tenacia ed energia nel
portare avanti le sue idee: a Nicole, che si lamentò di essere stanco di
fuggire dalla persecuzione cattolica, Antoine rispose "Sei stanco quando hai
tutta l'eternità per riposarti? " Tra il 1683 ed il 1685, egli si impegnò in
una lunga diatriba sulla relazione tra teologia e metafisica con il filosofo
e scienziato Nicolas Malebranche (1635-1715), che si lamentò con un
conoscente che Antoine l'avesse frainteso, al che gli fu risposto "Mio caro
signore, chi Vi aspettate che Vi capisca, se non lo fa M. Arnauld?".
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Arndt, Johann (1555-1621)



Il medico, teologo luterano e scrittore mistico tedesco Johann Arndt, nato
nel 1555, viene comunemente considerato il padre teologico del pietismo
tedesco: i suoi lavori ispirarono il fondatore del movimento, Philipp Jakob
Spener.
A. venne accomunato ai più significativi mistici del luteranesimo, come
Sebastian Franck, Caspar Schwenckfeld von Ossig, Jakob Boehme e Valentin
Weigel (1533-1588). Ebbe anche una notevole influenza sul presunto fondatore
del movimento dei Rosa+Croce, Johann Valentin Andreae.
A. studiò teologia a Tübingen con Polykarp Leyser senior (1552-1610) e
completò gli studi a Strasburgo. Il suo lavoro più famoso, Vier Bücher vom
Wahren Christhentum [Quattro (diventati poi sei) libri sul vero
Cristianesimo] pubblicato nel 1606, è una voluminosa (1500 pagine) raccolta
di meditazioni e preghiere, dove egli contrappose l'unio mystica (unione
mistica), cioè l'unione mistica in Cristo come il fine ultimo della
Cristianità, all'ordo salutis (ordine di salvezza), la dottrina luterana
ortodossa della giustificazione per fede e della riconciliazione dell'uomo
con Dio per mezzo del sacrificio di Cristo.
E' significativo infine che questo testo, assieme al più compatto
Paradiesgärtlein voller Christlicher Tugenden (1612), sia stato
successivamente adottato, dalla metà del XVII secolo, come libro devozionale
da parte del movimento dei mennoniti.
A. morì l'11 maggio 1621.
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Arnold, Gottfried (1666-1714)



Il mistico luterano tedesco Gottfried Arnold nacque il 5 settembre 1666 ad
Annaberg, un piccolo villaggio della Sassonia da una modesta famiglia: il
padre era un povero maestro di scuola, mentre la madre morì quando A. era
ancora piccolo.
A. studiò teologia all'università di Wittenberg e, nel 1689, fu chiamato a
Dresda in qualità di tutore per una famiglia nobile, e qui incontrò il
teologo alsaziano, fondatore del movimento pietista, Philipp Jakob Spener, a
quel tempo cappellano di corte, presso il principe elettore di Sassonia,
Johann Georg (Giovanni Giorgio) III (1680-1691). A. fu convertito da Spener
alle idee pietiste e tra i due si sviluppò una sincera amicizia: Spener
avrebbe sempre avuto una grande ammirazione per la severa correttezza morale
del più giovane amico, sebbene l'atteggiamento senza compromessi di A.
procurasse a quest'ultimo non pochi fastidi ovunque si recasse.
Attraverso l'interessamento di Spener, A. fu nominato professore di storia a
Giessen e qui, nel 1699, scrisse il suo libro più famoso e criticato,
Unparteiische Kirchen und Ketzer Historie (Storia imparziale della Chiesa e
degli eretici), dove il giudizio di A. sulla chiesa contemporanea fu
alquanto severo e i distinguo sui vari episodi della storia degli eretici
furono, per l'epoca, alquanto provocatori: per esempio egli assolse il
comportamento degli anabattisti, separandolo dalla follia collettiva della
repubblica teocratica di Münster.
Nel 1700 avvenne la pubblicazione del suo Das Geheimnisz der göttlichen
Sophia (Il segreto della divina conoscenza), scritto sotto l'influenza del
pensiero dei mistici Jacob Boehme e Johann Georg Gichtel, un percorso verso
la conoscenza di Dio, basato sulla esperienza interna dell'Adamo androgino,
che nel sonno perde la sua sposa celeste Sophia (identificazione di Cristo,
secondo alcune interpretazioni) e che deve mantenersi casto per poterla
riavere.
A. è anche noto per esser stato un pregevole compositore di circa 130 inni
sacri, alcuni dei quali di rara bellezza, oltre che di madrigali religiosi e
aforismi poetici.
Nel 1707 A. fu nominato pastore di Perleberg, nel Brandeburgo, dove passò
gli ultimi sette anni della sua vita. Morì poche settimane dopo la Pasqua
del 1714, in seguito ad un episodio che lo colpì profondamente: durante la
celebrazione della Cena del Signore (Comunione), un compagnia di soldati
prussiani, incaricata di prelevare giovani per la leva militare,
letteralmente trascinò via dall'altare degli uomini sotto gli occhi
dell'attonito pastore. Gli sforzi di A. per rimediare questa situazione
furono inutili ed egli, già minato nel fisico, si ammalò gravemente,
morendo, come detto, poco dopo.
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Arquer, Sigismondo (1530-1571)



L'umanista Sigismondo Arquer nacque a Cagliari nel 1530 da una famiglia
borghese: il padre era il giureconsulto Giovanni Antonio Arquer, consigliere
capo della città e braccio destro del viceré Antonio de Cardona (dal 1478
tutta la Sardegna era diventata una provincia spagnola), ed in continua
lotta con le fazioni anti-spagnole della nobiltà sarda, che erano riuscite
perfino a farlo imprigionare nel 1543.
Sigismondo si laureò in diritto a Pisa nel 1547 e in teologia a Siena l'anno
dopo. Nel 1548 egli intraprese un viaggio per perorare la causa di suo padre
alla corte di Bruxelles, ma si fermò per 5 mesi nel Cantone Grigioni, dove,
nel 1549, conobbe gli esuli religiosi italiani Pier Paolo Vergerio, Giulio
della Rovere e Camillo Renato.
In Svizzera A. venne accolto dal riformatore Conrad Pellican (Pellicanus)
(1478-1556) a Zurigo e da Bonifacio Amerbach (1495-1562) a Basilea, dove fu
inoltre ospite di Celio Secondo Curione e dove scrisse la Sardiniae brevis
historia et descriptio, pubblicata a Basilea stessa nel 1550 come capitolo
del celebre compendio di geografia dello cartografo tedesco ed ex
francescano passato (nel 1529) al luteranesimo, Sebastian Münster
(1488-1552), dal titolo Cosmographia universalis, opera comunque messa
all'Indice per le polemiche, contenute nel testo, contro il clero cattolico
e l'Inquisizione e per le convinzioni religiose dell'autore.
In seguito, dal 1551 al 1555, A. risedette in Spagna e, durante questo
periodo, fu nominato avvocato fiscale della Sardegna da parte del re Filippo
II (1556-1598), che lo ammirava per la sua profonda cultura come umanista e
poeta, oltre che valente uomo di legge.
Tuttavia, rientrato nel 1555 a Cagliari, A. fu vittima, come suo padre
qualche anno prima, di una congiura politica, ordita da un gruppo di nobili
sardi, capeggiati da Salvatore Aymerich: dapprima i suoi nemici tentarono di
avvelenarlo nel 1556, poi, nello stesso anno, lo fecero imprigionare e
sottoporre ad un processo per motivi politici, ma A. riuscì a fuggire e a
far trasferire il processo a Madrid, dove fu scagionato, anche per
intervento diretto del re: rientrò in patria nel 1558.
A questo punto, pur di screditarlo, i suoi nemici non esitarono ad accusarlo
di eresia religiosa, ma, ironia della sorte, nonostante i contatti avuti con
diversi riformatori e con le loro idee, l'umanista sardo era rimasto
profondamente cattolico.
Purtroppo l'essere associati al nome dell'eresiarca Sebastian Münster, gli
costò l'accusa di luteranesimo, da cui, comunque, egli venne nuovamente
prosciolto nel 1560 dall'arcivescovo e inquisitore in persona, Antonio
Parragues de Castillejo.
Eppure, in seguito, A. si dovette trasferirsi in Spagna per sottrarsi a
queste continue persecuzioni ed anche qui l'Inquisizione (e forse anche lo
stesso Parragues) continuò a considerarlo una persona sospetta fino a farlo
arrestare nel 1563 con una nuova accusa di luteranesimo sulla base di una
serie di otto lettere scambiate con l'erasminiano spagnolo (ed ex alcade di
Sassari) Gaspar de Centelles, in cui A., tra l'altro, esaltava la lettura e
lo studio diretto delle Sacre Scritture contro le interpretazioni della
Tradizione.
Egli subì quindi un processo lunghissimo (sette anni) e fu sottoposto a
varie torture fino alla sentenza finale del 22 dicembre 1570, dove A. fu
condannato ad essere arso vivo sul rogo.
La condanna venne eseguita a Toledo solo sei mesi dopo, il 4 giugno 1571, e,
sebbene fosse già lambito dalle fiamme, A. decise di proclamare
pubblicamente la sua fede, e fu per questo colpito ripetutamente con
l'alabarda da parte di un soldato per farlo tacere.
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Savonarola, Girolamo (1452-1498) e arrabbiati (o compagnacci o piagnoni)



Girolamo Savonarola nacque a Ferrara il 21 Settembre 1452 e, da giovane
intellettualmente dotato com'era, si dedicò con successo a studi di
filosofia e medicina.
Nel 1474, senza neppure avvisare la sua famiglia, prese tuttavia la
repentina decisione di entrare nell'Ordine Domenicano a Bologna, dove fino
al 1482 rimase in convento conducendo una vita ascetica dedicata alla
preghiera e all'approfondimento degli studi sulla filosofia di Aristotele e
di San Tommaso Aquino.
In quell'anno, 1482, S. si recò a Firenze nella Chiesa di San Marco, sede
dell'Ordine Domenicano in città, da dove iniziò a predicare con toni
violenti contro la vita immorale della corte di Lorenzo de' Medici, ma
sembra questi primi sermoni non sortirono l'effetto desiderato, anzi
passarono abbastanza inosservati.
Tuttavia, ritornato nella città toscana nel 1489, dopo diversi anni di
prediche in giro per l'Italia, la sua denuncia del paganesimo diffuso
divenne più incisiva e così dicasi dei suoi attacchi contro Lorenzo de'
Medici, nonostante la generosità di quest'ultimo nei confronti del convento
di San Marco, del quale S. stesso fu nominato priore nel 1491.
Nel 1493 Lorenzo morì, tuttavia S., non pago, aumentò ugualmente il livello
della sua denuncia contro l'immoralità e gli abusi, questa volta, del clero
e del nuovo Papa Alessandro VI (1492-1503), il famigerato Rodrigo Borgia,
padre di diversi figli, tra i quali i noti Lucrezia e Cesare ed eletto Papa
grazie a spregiudicati atti di corruzione e simonia.
Proprio il contrario degli ideali di S., che anelava ad una rigenerazione
morale e spirituale della Chiesa e che incominciò ad applicare alcune sue
idee, riformando i monasteri toscani dell'Ordine Domenicano secondo una
rigida osservanza della Regola originariamente stabilita e sottraendo il
controllo dalla Congregazione Lombarda, la Casamadre dell'Ordine.
Nel 1494 l'esercito di Carlo VIII di Francia (1483-1498) invase l'Italia,
per riaffermare il diritto del re, di sangue angioino, alla successione al
regno di Napoli, dopo la morte di Ferrante d'Aragona (1458-1494).
S. supportò la causa del re francese, sperando in cambio di un appoggio per
la formazione di un governo democratico in Firenze ed effettivamente la
visita di Carlo VIII a Firenze permise a S. di scacciare l'indegno figlio di
Lorenzo de' Medici, Pietro, e di instaurare una Repubblica teocratica.
In tutta la Repubblica fu messa in vigore una normativa morale molto severa
e basata sulla legge di Cristo, considerato il vero "Re di Firenze".
Divennero famosi i "falò delle vanità", roghi pubblici nei quali vennero
bruciati carte e dadi da gioco, libri pagani e immorali (talora bastava
anche un innocente libro di poesie o una copia del Decamerone del
Boccaccio), ornamenti e vestiti lussuosi, e perfino quadri del Botticelli.
Dall'alto del suo successo, S. poté riprendere gli attacchi contro
l'immoralità della Curia romana e di Alessandro VI, ma il Papa contrattaccò
nel 1495 convocandolo a Roma per difendersi dalle accuse di false profezie.
S. rifiutò adducendo motivi di salute cagionevole.
Tuttavia Alessandro VI non demorse e nel 1496 stabilì che i monasteri
domenicani toscani avrebbero dovuto riferire ad una nuova Congregazione
situata (ovviamente) in Roma: al rifiuto di S. di obbedire, questi fu
scomunicato il 12 Maggio 1497.
A questo provvedimento S. reagì dichiarandolo privo di valore e continuando
le sue prediche nel Duomo di Firenze, mentre il Papa reagì minacciando di
interdizione la città, se al predicatore non fosse stata tolta la parola.
Oltretutto, l'ostilità locale nei confronti di S., opportunamente
orchestrata da parte dei francescani, iniziò a crescere fino a quando, nel
Marzo 1498, il francescano Padre Francesco Rondinelli sfidò S. ad un'ordalia
del fuoco per stabilire la santità del predicatore domenicano.
Quest'ultimo rifiutò, ma, al suo posto, accettò la sfida il suo devoto
discepolo Domenico da Pescia.
Il 7 Aprile 1498, data prescelta per la prova, questa non si poté aver
luogo, dapprima per le lungaggini procedurali, e poi per un improvviso
acquazzone. La folla esasperata e di umore mutevole se la prese con S.,
arrestato sul luogo assieme a Domenico da Pescia. A nulla servì la reazione
dei suoi seguaci, denominati arrabbiati o compagnacci o piagnoni (dalle
lacrime che versavano ad ogni sermone di S.), i quali provocarono gravi
disordini, assaltando, fra l'altro, il convento di San Marco al grido di
Salvum fac populum tuum, Domine.
Il Papa non si fece scappare la ghiotta occasione di fare i conti con il
predicatore ribelle ed inviò a Firenze il generale dell'Ordine Domenicano e
il vescovo di Ilerda ad assistere al processo. Nonostante le torture, S. non
cedette, tuttavia furono redatti, a cura di alcuni notai compiacenti, degli
atti palesemente contraffatti del processo, nei quali S. avrebbe ammesso di
essere un falso profeta.
Sulla base di questa "confessione" S. venne condannato, assieme ai suoi
seguaci Domenico da Pescia e Fra Silvestro, a morte mediante impiccagione,
seguita dal rogo dei corpi e dalla dispersione delle ceneri nell'Arno.
La sentenza venne eseguita il 22 Maggio 1498.
La figura di S. fu onorata dal Luteranesimo, come esempio di antesignano
della Riforma e la sua statua fa parte del monumento dedicato a Lutero,
eretto a Worms, in Germania.
Comunque, anche la stessa Chiesa Cattolica sembra aver espresso recentemente
l'intenzione di rivalutare la figura di S. come rinnovatore della Chiesa ed
è stato avviato il relativo processo di beatificazione presso il Tribunale
Ecclesiastico, presieduto dal Cardinale Silvano Piovanelli, arcivescovo di
Firenze, secondo il quale S. "morì e visse come un santo".
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Eretici di Arras(1025)



Nel 1025, Gerardo, detto il Grande (vescovo: 1013-1051), vescovo di Cambrai
e di Arras fece interrogare un gruppo di artigiani, o forse ex monaci, di
Arras, che non credevano nella salvezza mediante i sacramenti e propugnavano
uno stile di vita semplice, casto ed austero. Più che una vera e propria
eresia, essi rappresentavano una corrente d'opinione alquanto diffusa di
rifiuto e disgusto per la corruzione ed il disinteresse verso i più poveri,
purtroppo caratteristici di molti preti dell'epoca.
Comunque, Gerardo, sia con argomenti filosofici dottrinali che con la
minaccia della tortura fisica, ottenne una completa abiura da parte degli
eretici.
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Artemone (o Artemas) (adozionista) (m.ca.240)



Artemone era un adozionista, cioè un seguace delle teorie di Teodato (o
Teodoto) di Bisanzio, detto il Pellaio o il Conciatore, fondatore di questa
scuola di pensiero e che credeva che  Gesù fosse semplicemente un uomo
(psilos anthropos), vissuto come gli altri uomini e "adottato" come figlio
da Dio, solamente al momento del suo battesimo nel Giordano, quando il
Cristo era sceso su di Lui sotto forma di una colomba.
Di A. si sa poco o niente, se non che fu il maestro di Paolo di Samosata e
con lui citato (e condannato) negli Atti del Concilio di Antiochia nel 264.
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Confraternita Rosa Croce (rosacrocianesimo o società dei rosacrociani) (XVII
secolo)



Premessa e paternità dei manifesti rosacrociani
Nel 1614 comparve a Cassel, in Germania, il manifesto base, dal titolo
Allgemeine und General Reformation der ganzen weiten Welt (Riforma generale
ed universale di tutto il mondo) di un misterioso movimento mistico
occultistico, denominato Confraternita Rosa Croce. Il documento venne
seguito l'anno successivo da un ulteriore manifesto dal titolo Fama
Fraternitas R. C. Ambedue gli scritti lanciavano un appello a tutti gli
studiosi di cabala e occultismo di concorrere a formare una società segreta,
che potesse aiutare la rinascita dell'umanità e all'epoca apparvero come
anonimi, ma la loro paternità come quella (certa) del successivo libro
alchemico, Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz, pubblicato nel 1616,
venne attribuita al pastore luterano Johann Valentin Andreae, che, secondo
lo storico Paul Arnold, smentì di averli scritti ed anzi dichiarò, in
seguito, di aver concepito Le nozze chimiche per ridicolizzare un diffuso
interesse dell'epoca verso l'occultismo.
Tuttavia altre interpretazioni moderne propendono proprio per un diretto
coinvolgimento di Andreae, sebbene mediato da una stesura, a più mani, dei
sopraccitati testi concepita all'interno del cosiddetto Cerchio di Tubinga,
un circolo mistico-occultista di circa trenta aderenti, comprendenti, fra
gli altri, lo stesso Andreae, Tobias Hess (1558-1614), Johann Arndt, Wilhelm
von Wense (m. 1641), Tobias Adami (m. 1643) e Christophe Besold (1577-1638),
amico fraterno di Andreae.


Definizione di rosacrociano
Secondo Franz Hartmann, il rosacrociano è "una persona che mediante il
processo di risveglio spirituale, ha ottenuto una conoscenza pratica del
significato segreto della Rosa e della Croce (..) Chiamare una persona
rosacrociana non significa fare di lui un rosacrociano. Il vero rosacrociano
non può essere creato; egli deve crescere per diventarlo mediante
l'espansione del potere divino nel suo cuore".
Le idee dei rosacrociani nacquero da un immenso crogiolo nel quale erano
confluiti: il pensiero di Traiano Boccalini (1556-1613), autore di un testo
satirico chiamato Ragguagli di Parnasso, tradotto da Besold; le visioni
utopiche del filosofo domenicano Tommaso Campanella, i cui scritti furono
portati in Germania da Tobias Adami nel 1613; le profezie di Gioacchino da
Fiore; i mistici tedeschi del XIV secolo come Johannes Tauler e Johannes
Eckhart e scienze occulte come la cabala, l'alchimia e l'ermetismo.


La leggenda di Christian Rosenkreuz (1378-1484)
I manifesti facevano quindi riferimento a questa misteriosa fratellanza, di
tipo occultistico, cabalistico, e teosofico, fondata da un nobile tedesco,
filosofo ed ex monaco, Christian Rosenkreuz, che sarebbe vissuto ben 106
anni tra il 1378 ed il 1484. Egli, viaggiando tra Damasco, Cairo,
Gerusalemme e Fez, sarebbe stato iniziato da alcuni sapienti arabi, che
erano stati in grado di rivelargli tutti i segreti della sua vita, passata,
presente e futura, e di guarirlo da una grave malattia con l'aiuto della
Pietra Filosofale.
Al ritorno in Germania, egli avrebbe fondato, nel 1407, un ordine
rosacrociano con tre, in seguito otto, confratelli e sarebbe vissuto ancora
77 anni. La sua tomba sarebbe rimasta celata fino alla sua riscoperta nel
1604, da cui l'aumentato interesse nei confronti del suo ordine all'inizio
del XVII secolo.
Oggigiorno la tesi che Rosenkreuz sia un personaggio storicamente esistito è
la meno accreditata, perfino tra i moderni rosacrociani. Altri autori
propendono per l'ipotesi che il nome copra, attraverso uno pseudonimo, un
personaggio storico in vista, secondo alcuni Francesco Bacone (1561-1626),
secondo altri Cornelius Agrippa di Nettesheim, oppure, più probabilmente,
che tutta la vicenda vada letta in senso strettamente allegorico.


Primi passi del rosacrocianesimo
Comunque il riferimento nei manifesti ad una supposta società segreta
provocò una grande eccitazione in tutta l'Europa (soprattutto in Francia,
Inghilterra, Austria e Paesi Bassi): famosi occultisti, come l'inglese
Robert Fludd (1574-1637) o il tedesco Michael Maier (1568-1622), o perfino
il grande filosofo francese René Descartes (Cartesio)(1586-1654), chiesero
pubblicamente di essere contattati dai misteriosi rosacrociani o, meglio,
affermarono addirittura di essere già entrati nella società. Un po' ovunque
sorsero gruppi auto-nominatisi rosacrociani, anche se poi nessuno riuscì a
trovare fisicamente i rosacrociani, per il semplice motivo che essi, come
società segreta strutturata, non esistevano proprio.
Nel frattempo, nel 1616, gli stessi autori (il precedentemente citato
circolo di Tubinga), spaventati dall'incredibile impatto dei loro manifesti
e dalle reazioni negative delle chiese ufficiali, decisero di non uscire
allo scoperto e di osservare il più rigoroso anonimato, abbandonando quindi
alla riprovazione pubblica Andreae, l'unico tra loro che aveva avuto il
coraggio di firmare un testo.
E rapido arrivò il declino: già dal 1619 i principali occultisti,
interessati al movimento, iniziarono a dissociarsi e lo stesso Andreae,
indispettito per il voltafaccia dei suoi ex amici, pubblicò, tra il 1617 ed
il 1618, l'Invitatio ad Fraternitatem Christi (Invito alla Confraternita di
Cristo), dove egli cercò di lanciare, in contrapposizione al
rosacrocianesimo, un movimento innovatore, una specie di "Città Cristiana"
(Christianopolis), una Nuova Gerusalemme posta direttamente sotto la
protezione di Dio.
Nel 1628, dopo una pausa forzata a causa di un periodo della Guerra dei
Trent'anni (1618-1648), scrisse un nuovo manifesto Verae unionis in Christo
specimen, nel quale, attaccando Calvinisti, Anabattisti, Schwenckfeldiani, e
i suoi ex-amici rosacrociani, egli esortava alla formazione di una Società
Cristiana.
L'ultimo episodio avvenne in Olanda, quando il pittore e alchimista Johannes
Symonsz van der Beeck (o Beke) (nome umanistico: Torrentius) (1589-1644),
venne imprigionato il 30 agosto 1627 e processato: lo sfortunato pittore era
probabilmente solo un libertino e gaudente, ma venne considerato il leader
della Rosa Croce olandese. Fu torturato e venne condannato come
bestemmiatore e per aver praticato l'alchimia, con un suo amico, tale
Christiaen Coppens, addirittura al rogo, pena poi trasformata in carcere per
vent'anni. Per fortuna, grazie al re d'Inghilterra Carlo I (1625-1649), suo
ammiratore, Torrentius venne rilasciato dalla prigione nel 1630 ed emigrò in
Inghilterra, ritornando dopo qualche anno in patria, dove morì ad Amsterdam
nel 1644.


Rosa croce e massoneria
E proprio in Inghilterra la Rosa Croce non tramontò mai definitivamente, ma
i suoi ideali vennero inglobati nella nascente massoneria speculativa.
Tradizionalmente si considera l'elemento di passaggio tra queste due scuole
di pensiero il grande alchimista, antiquario e astrologo Elias Ashmole
(1617-1692), pubblico difensore della Rosa Croce nel 1650 e massone dal
1646, sebbene in generale, intorno alla metà del XVII secolo, ci fu un
rifiorire di pubblicazioni rosacrociane, come la traduzione in inglese, a
cura di John Heydon (n. 1629), della Fama Fraternitatis nel 1652 o i testi
alchemici, di ispirazione rosacrociana, di Thomas Vaughan (1622-1665), che
scriveva sotto lo pseudonimo di Eugenius Philalethes.
In seguito l'influenza dei Rosa Croce fu rilevante sulla massoneria degli
anni 1720-1730 e divenne parte degli alti gradi massonici: il 18° grado del
rito scozzese si denomina, per l'appunto, Principe di Rosa Croce. Verso il
1757 il tedesco Hermann Fictuld (m. 1777) fondò la Confraternita della Rosa
Croce d'Oro, ma nei metodi e nei rituali, oramai questa era più un ordine
massonico, che un diretto discendente degli anni della Fama Fraternitatis.
Nel 1866 il funzionario della Grande Loggia d'Inghilterra, Robert Wentworth
Little (1840-1878) fondò la Societas Rosicruciana in Anglia, aperta ai soli
massoni cristiani trinitari (un sito non ufficiale è
http://www.drakesvision.com/sria/intro.htm), ma anche in Francia ci fu nel
XIX secolo un rinnovato interesse per il rosacrocianesimo, alimentato dai
lavori dell'occultista Eliphas Levi (1810-1875), che ispirarono la
fondazione dell'Ordine Cabalistico della Rosa-Croce nel 1887, voluta dagli
occultisti Stanislas de Guaita (1861-1897), Gérard Encausse, detto Papus
(1865-1916) e Joséphin Péladan (1858-1918). Quest'ultimo fondò poi, nel
1890, l'Ordine della Rosa-Croce Cattolica del Tempio e del Graal.


I rosacrociani oggigiorno
Oggi i principali gruppi rosacrociani sono otto, derivati spesso da ambienti
massonici o teosofici americani e quasi tutti caratterizzati dall'offerta di
corsi (spesso per corrispondenza) di astrologia, occultismo ed esoterismo e
dalla stampa di un proprio periodico:
1. Fraternitas Rosae Crucis, la più antica confraternita, fondata da Pascal
Beverly Randolph (1825-1875) nel 1858, è associata con la Church of
Illumination (Chiesa dell'Illuminazione), che si occupa dell'insegnamento
esoterico del gruppo. La sede centrale è a Quakertown, nella Pennsylvania.
La denominazione legale riporta anche la dicitura Beverly Hall Corporation e
il sito ufficiale è http://www.rosecross.org/index.html
2. Societas Rosicruciana in Civitatibus Foederatis (S.R.I.C.F.), fondata nel
1880 da un gruppo di massoni americani, che nel 1878 si erano fatti iniziare
dalla Societas Rosicruciana in Anglia in Inghilterra. Condizione necessaria
per l'adesione è, come per il gruppo inglese, essere massone cristiano
trinitaro. Sito web: http://www.sricf-ca.org
3. Societas Rosicruciana in America (S.R.I.A.), nata nel 1907 da una
scissione della precedente, quando alcuni membri espressero il desiderio di
aprire l'insegnamento rosacrociano ai profani (cioè ai non massoni).
Collegato alla società esiste anche il Seminario di Studi Biblici: infatti
il forte connotato cristiano mistico della società fu dato dal principale
divulgatore, George Winslow Plummer (1877-1944), che divenne vescovo della
Chiesa Ortodossa Americana nel 1934. Sito web: http://www.sria.org
4. The Ancient and Mystical Order Rosae Crucis (A.M.O.R.C.), il più diffuso
e noto gruppo rosacrociano fu fondato dall'occultista Harvey Spencer Lewis
(1883-1939) nel 1915, dopo essere stato iniziato nel 1909 in Francia.
Nonostante abbia incorporato una chiesa rosacrociana (Pristine Church of the
Rose Cross) negli anni '20, la confraternita insiste sul suo aspetto laico
con gradi e ritualistica di forte sapore massonico. Negli anni '30 Lewis ha
dotato la sede centrale di San Jose (California) di una propria università,
planetario, biblioteca e museo egizio (Lewis era infatti convinto che
l'ordine fosse stato fondato dal faraone Tutmosis III nel 1450 a.C.).
L'AMORC è presente in diversi paesi e, nonostante diverse defezioni a favore
di nuove e nascenti organizzazioni rosacrociane, esso rimane il gruppo più
numeroso (gli organizzatori citano un numero di aderenti di 6 milioni, ma
pare più realistica la cifra di qualche centinaia di migliaia di adepti). In
Italia esso è presente con due logge (a Milano, sede centrale, e a Verona),
ma anche diversi altri punti organizzati, denominati capitoli e pronai.
L'afflusso agli incontri viene rinforzato dalla presenza di emigrati di
colore, originari dell'Africa, dove l'AMORC è particolarmente diffuso. Sito
web: http://www.amorc.org
5. The Rosicrucian Fellowship, fondato nel 1907 da Max Heindel, pseudonimo
dell'aristocratico e ingegnere tedesco-danese Carl Louis von Grasshoff
(1865-1919), emigrato in America nel 1903 e con la passione per
l'occultismo. Heindel fu anche iscritto alla Società Teosofica e allievo di
Rudolf Steiner. La forte impronta teosofica, religiosa e rituale venne da
Heindel trasferita nel suo gruppo rosacrociano, che è caratterizzata da un
vivo interesse anche per l'astrologia: la Fellowship, con sede a Oceanside
(California), pubblica tutti gli anni le effemeridi, indispensabili per i
calcoli astrologici. E' presente anche in Italia come Associazione
Rosicruciana Oceanside (A.R.C.O.), con sede a Vaprio d'Agogna (Novara). Sito
web: http://www.rosicrucian.com
6. Rosicrucian Anthroposophic League, una scissione della precedente fatta
da S.R. Parchement con particolare rilievo alle tematiche antroposofiche di
Steiner. La sua sede a San Francisco. Non ha un sito web ufficiale.
7. Lectorium Rosicrucianum, uno dei più popolari gruppi, fu fondato nel 1924
da alcuni membri olandesi del Rosicrucian Fellowship, guidati da Jan van
Rijckenborgh, pseudonimo di Jan Leene (1896-1968), ma solo nel 1935 essi si
staccarono dall'obbedienza madre, formando un ordine, detto dei Manichei.
Dopo la seconda guerra mondiale, il gruppo assunse nel 1945 il nome attuale
di Lectorium Rosacrucianum. Il Lectorium, con sede americana a Bakersfield
(California), fa riferimento a correnti e tradizioni esoteriche, mistiche
cristiane (con particolare interesse per il pensiero di Jakob Böhme),
gnostiche dualistiche e catare, teosofiche, antroposofiche, massoniche. Gli
adepti praticano la dottrina della trasfigurazione (il rinunciare a vivere
secondo l'ordine stabilito dagli uomini per vivere, attraverso un processo
iniziatico, secondo quello divino) per evitare il tormento delle continue
reincarnazioni. Il gruppo è presente in Italia dal 1980 in 11 città e ha la
sede principale a Dovadola, in provincia di Forlì. Web site:
http://www.lectoriumrosicrucianum.org
8. Ausar Auset Society, fondata nel 1975 a New York da R.A.Straughn, noto
anche con il nome religioso di Ra Un Nefer Amen, un ex membro del
Rosicrucian Anthroposophic League, che ha particolarmente diffuso le sue
idee occultiste alla comunità nera americana, alla quale ha anche dedicato
testi di approfondimento sulla condizione sociale degli afro-americani.
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Askew, Anne (1521-1546)



Anne Askew era nata nel 1521 da una famiglia altolocata della contea inglese
del Lincolnshire. Ebbe un'ottima educazione e mostrò uno spiccato interesse
nei dibattiti teologici e verso la fede protestante, ma fu obbligata da suo
padre a sposare Thomas Kyme, il promesso sposo (di religione cattolica)
della sorella, morta poco prima del matrimonio.
Fu un'unione infelice soprattutto per contrasti in tema di convinzioni
religiose e alla fine il marito la cacciò di casa, benché riconoscesse che
la moglie era una delle donne più devote che avesse mai incontrato.
A. si recò quindi a Londra, per ottenere il divorzio, e diventò
nell'occasione dama di compagnia dell'ultima moglie di Enrico VIII
d'Inghilterra, Caterina Parr, che A. riuscì a convertire segretamente alle
proprie convinzioni religiose.
Tuttavia erano tempi duri per i luterani in Inghilterra: nel 1539 il
parlamento inglese aveva approvato i Sei Articoli (The Six Articles),
confermando, tra l'altro, la validità del dogma della transustanziazione,
l'Eucaristia sotto una sola specie, il celibato per i prelati, le Messe
private e la confessione.
Nel 1545 A. fu inquisita sulla propria fede, ma essa rifiutò coraggiosamente
di aderire ai Sei Articoli, in particolare sui punti concernenti la
transustanziazione e le messe, in cui lei non credeva. Fu per questo
crudelmente torturata per farla confessare i nomi dei suoi confratelli, come
la regina stessa ed altri nobili.
Tuttavia A. resistette alle torture e né confessò né fece nomi: nonostante
le perorazioni di Caterina Parr presso Enrico VIII, essa fu quindi
condannata al rogo nel giugno 1546, assieme ai compagni di fede il
gentiluomo John Lascelles, il sarto John Adams ed il sacerdote Nicholas
Belenian.
La sentenza fu eseguita nel luglio dello stesso anno a Smithfield:
indebolita dalle torture, A. dovette essere trasportata sulla pira su una
sedia. Rifiutò all'ultimo minuto la grazia del re, che avrebbe comportato
l'abiura delle sue idee religiose, e morì tra le fiamme.
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Asterio di Cappadocia o il sofista (m. dopo 341)



Sofista greco teologo ariano.
Probabilmente fu amico personale e compagno di studi di Ario alla scuola di
Luciano di Antiochia.
Si segnala la sua presenza al Concilio di Antiochia del 341.
Sono conosciuti frammenti, tramandati da Sant'Atanasio e Marcello di Ancyra,
del suo Syntagmation, una descrizione sistematica delle dottrine ariane.
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Pietro Authier (perfetto cataro) (m. 1310)



La vita
Il più noto di una famiglia di catari, originaria di Ax -les Termes, nel
Sabarthés (regione della Francia meridionale) e protagonista della rinascita
catara dell'inizio del XIV secolo.
Pietro era un notaio e si convertì al catarismo nel 1295: per completare la
sua formazione spirituale partì nello stesso anno per la Lombardia (centro
di riferimento alla fine del XIII secolo) e ricevette il Consolament a
Cuneo.
Rientrò nel Sabarthés nel 1299 ed iniziò, assieme a suo figlio Giacomo, suo
fratello Guglielmo, ad Amelio de Perles ed a  Pradas Tavernier, una
massiccia evangelizzazione della zona, dando luogo al revival del tardo
catarismo.
Ciò era anche dovuto alla sua ottima preparazione dottrinale e alla sua
capacità dialettica.
Il successo fu tale che dovette nominare diversi "perfetti" per diffondere
il credo cataro. Tra questi, si ricorda Guglielmo Belibasta, solitamente
noto come l'ultimo dei perfetti catari.
Nell'aprile 1310, in seguito ad una controffensiva dell'inquisizione, P. fu
catturato e condannato al rogo, assieme al fratello Guglielmo ed al figlio
Giacomo, dal famoso inquisitore Bernardo Gui (ricordato anche nel "Nome
della Rosa" di Umberto Eco).
La dottrina
In campo dottrinale, P. diede molta importanza alla pratica dell'endura, il
suicidio per digiuno, utilizzato quando un cataro gravemente ammalato, che
aveva già ricevuto il Consolament, si lasciava morire per non essere
costretto a commettere peccati gravi.
Le opere
P. è noto per avere tradotto in provenzale la Visione di Isaia, un testo
bogomilo del II secolo molto diffuso presso i catari nel XIII secolo.
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Pietro Authier (perfetto cataro) (m. 1310)
La vita
Il più noto di una famiglia di catari, originaria di Ax -les Termes, nel
Sabarthés (regione della Francia meridionale) e protagonista della rinascita
catara dell'inizio del XIV secolo.
Pietro era un notaio e si convertì al catarismo nel 1295: per completare la
sua formazione spirituale partì nello stesso anno per la Lombardia (centro
di riferimento alla fine del XIII secolo) e ricevette il Consolament a
Cuneo.
Rientrò nel Sabarthés nel 1299 ed iniziò, assieme a suo figlio Giacomo, suo
fratello Guglielmo, ad Amelio de Perles ed a  Pradas Tavernier, una
massiccia evangelizzazione della zona, dando luogo al revival del tardo
catarismo.
Ciò era anche dovuto alla sua ottima preparazione dottrinale e alla sua
capacità dialettica.
Il successo fu tale che dovette nominare diversi "perfetti" per diffondere
il credo cataro. Tra questi, si ricorda Guglielmo Belibasta, solitamente
noto come l'ultimo dei perfetti catari.
Nell'aprile 1310, in seguito ad una controffensiva dell'inquisizione, P. fu
catturato e condannato al rogo, assieme al fratello Guglielmo ed al figlio
Giacomo, dal famoso inquisitore Bernardo Gui (ricordato anche nel "Nome
della Rosa" di Umberto Eco).
La dottrina
In campo dottrinale, P. diede molta importanza alla pratica dell'endura, il
suicidio per digiuno, utilizzato quando un cataro gravemente ammalato, che
aveva già ricevuto il Consolament, si lasciava morire per non essere
costretto a commettere peccati gravi.
Le opere
P. è noto per avere tradotto in provenzale la Visione di Isaia, un testo
bogomilo del II secolo molto diffuso presso i catari nel XIII secolo.
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Pietro Authier (perfetto cataro) (m. 1310)
La vita
Il più noto di una famiglia di catari, originaria di Ax -les Termes, nel
Sabarthés (regione della Francia meridionale) e protagonista della rinascita
catara dell'inizio del XIV secolo.
Pietro era un notaio e si convertì al catarismo nel 1295: per completare la
sua formazione spirituale partì nello stesso anno per la Lombardia (centro
di riferimento alla fine del XIII secolo) e ricevette il Consolament a
Cuneo.
Rientrò nel Sabarthés nel 1299 ed iniziò, assieme a suo figlio Giacomo, suo
fratello Guglielmo, ad Amelio de Perles ed a  Pradas Tavernier, una
massiccia evangelizzazione della zona, dando luogo al revival del tardo
catarismo.
Ciò era anche dovuto alla sua ottima preparazione dottrinale e alla sua
capacità dialettica.
Il successo fu tale che dovette nominare diversi "perfetti" per diffondere
il credo cataro. Tra questi, si ricorda Guglielmo Belibasta, solitamente
noto come l'ultimo dei perfetti catari.
Nell'aprile 1310, in seguito ad una controffensiva dell'inquisizione, P. fu
catturato e condannato al rogo, assieme al fratello Guglielmo ed al figlio
Giacomo, dal famoso inquisitore Bernardo Gui (ricordato anche nel "Nome
della Rosa" di Umberto Eco).
La dottrina
In campo dottrinale, P. diede molta importanza alla pratica dell'endura, il
suicidio per digiuno, utilizzato quando un cataro gravemente ammalato, che
aveva già ricevuto il Consolament, si lasciava morire per non essere
costretto a commettere peccati gravi.
Le opere
P. è noto per avere tradotto in provenzale la Visione di Isaia, un testo
bogomilo del II secolo molto diffuso presso i catari nel XIII secolo.
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Sigieri da Brabante (ca. 1235-1282) e averroisti latini
La vita
Sigieri da Brabante, filosofo fiammingo, nacque appunto nella regione del
Brabante nel 1235 ca.
Diventò "Maestro d'arti" e insegnò all'Università di Parigi dal 1266 al
1277, fondando la scuola averroista latina, sostenitrice della filosofia
aristotelica nella forma più aderente alla versione originale e senza
implicazioni teologiche. In tal senso S. fu il grande avversario dei
Scolastici, con a capo San Tommaso d'Aquino (1225-1274), che contro di lui
scrisse il suo De Unitate Intellectus contra Averoistas.
A riguardo, dal 1272 al 1275, S. contestò il rettore dell'Università,
Alberico di Reims, mettendosi a capo della corrente dei dissidenti, ma venne
condannato una prima volta nel 1270, quando il vescovo di Parigi, Etienne
Tempier, lo accusò di 13 proposizioni eretiche, ricavate dai suoi scritti,
ed una seconda volta nel 1277, data dalla quale gli fu impedito di
insegnare.
S. fu inoltre convocato dall'Inquisitore di Francia Simon du Val con
l'accusa di eresia, ma non si presentò, essendo già fuggito, nel frattempo,
dalla Francia in Italia, avendo l'intenzione di appellarsi a Papa Martino IV
(1281-1285), che risiedeva allora ad Orvieto.
Tuttavia, mentre egli attendeva in quella città la sentenza papale, S. fu
pugnalato a morte, nel 1282 ca., da un chierico, che gli faceva abitualmente
da segretario e che, pare, fosse improvvisamente impazzito.
La dottrina e le opere
S. fondò quindi la scuola averroista latina e scrisse nel 1269 le Questiones
in tertium de anima, nelle quali sosteneva il monopsichismo, la tesi, cioè,
di un'unica Anima superindividuale (formato da intelletto agente e
possibile), della quale le anime umane erano semplici manifestazioni.
L'intelletto agente era la facoltà dell'anima di passare dalla conoscenza
potenziale (o intelletto possibile) a quella attiva: solo Dio possedeva
ambedue gli intelletti, mentre gli uomini non avevano alcun intelletto
proprio, ma soltanto una maggiore fantasia, motore necessario per dare
origine al processo conoscitivo.
S. venne accusato dai pensatori cristiani ortodossi in quanto negava così
l'immortalità della anima individuale dotata di intelletto, perchè, secondo
S., solo l'Anima superindividuale era immortale.
Inoltre S. propagandò concetti non coerenti con il Cristianesimo come il
fatto che le implicazioni astrologiche controllavano il destino ciclico
dell'uomo sulla terra e anche quello delle stesse religioni, compresa quella
Cristiana.
Dopo gli attacchi di Etienne Tempier del 1270, S. mitigò il suo pensiero con
i lavori Quaestiones de anima intellectiva e Quaestiones super librum de
causis, in cui avanzò una sua variante della celebre teoria delle due
verità: ciò che era valido in filosofia, non necessariamente doveva esserlo
anche in religione e comunque la religione, cioè la verità rivelata, era in
ogni caso superiore alla filosofia.
Curiosità
Dante collocò S. nel Paradiso nel Canto X al verso 136, facendone fare
l'elogio proprio da quel San Tommaso d'Aquino, suo acerrimo avversario in
vita:
Questi onde a me ritorna il tuo riguardo,
è 'l lume d'uno spirto che 'n pensieri
gravi a morir li parve venir tardo:
essa è la luce eterna di Sigieri,
che, leggendo nel Vico de li Strami,
sillogizzò invidiosi veri.