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IL CALVINISMO - STORIA DELLE ERESIE
Testi tratti dal sito: www.eresie.it di Douglas Swannie

LA STORIA DEL CALVINISMO - ELENCO ERETICI


Il calvinismo in Olanda nei secoli successivi
Mentre gli emigranti olandesi portarono la fede riformata in America,
fondando nel 1628 la Reformed Dutch Church (Chiesa riformata olandese), in
Olanda si consolidarono le Chiese riformate calviniste (Gereformeerde
Kerken) fino al 1816, data nella quale il re Guglielmo I di Nassau-Orange
(1814-1840) riorganizzò la Chiesa come Nederlandse Hervormde Kerk (NKC,
Chiesa riorganizzata olandese) con una struttura più gerarchica.
Tuttavia questo diede luogo ad una serie di scissioni: nel 1834 la
separazione della Christelijke Afgescheiden Kerk (Chiesa cristiana separata)
e della Gereformeerde Kerk onder het Kruis (Chiesa riformata sotto la
Croce), nel 1841 della Chiesa fondata dal reverendo Ledeboer e nel 1886
della Doleantie (Afflizione) del Dr. Abraham Kuyper.
La maggior parte di queste denominazioni riformate confluirono, in varie
fasi, nella Gereformeerde Kerken in Nederland (GKN, Chiese riformate in
Olanda), fondata nel 1892, mentre le rimanenti chiese decisero di aggregarsi
nelle Gereformeerde Gemeenten (Congregazioni riformate) nel 1907. Non c'e un
sito ufficiale, L'ultima scissione avvenne alla fine della seconda guerra
mondiale con la separazione dalla GKN della GKN Vrijgemaakt
(liberate)(GKN-v)Ma finalmente, dopo tante scissioni, sta avendo luogo dal
1997 un importante riaccorpamento: le due organizzazioni più grosse, la NKC
(1,9 milioni di fedeli), la GKN (660,000 fedeli), assieme alla piccola
chiesa luterana olandese ELC (15,000 fedeli) hanno deciso di unirsi, entro
il 2004, nella PCN (Chiesa protestante in Olanda).

Gichtel, Johann Georg (1638-1710) e Fratelli della vita angelica



La vita
Il mistico tedesco Johann Georg Gichtel nacque il 14 marzo 1638 a Regensburg
(Ratisbona), in Baviera, da una famiglia in vista della città (il padre era
senatore).
A scuola G. si mostrò versato nelle lingue, approfondendo la conoscenza del
greco, ebraico, siriaco e arabo, ma inviato all'università di Strasburgo per
frequentare la facoltà di teologia, decise di abbandonarla per passare alla
facoltà di legge, non concordando con gli insegnamenti dei teologi docenti
J. S. Schmidt e Philipp Jakob Spener.
Dopo la laurea, G. esercitò la professione di avvocato, dapprima a Spira,
poi a Ratisbona: qui conobbe nel 1664 il barone ungherese Justinianus von
Weltz (1621-1668), un idealista mistico con un programma preciso: riunire le
chiese cristiane e convertire tutto il mondo al Cristianesimo. Per questo
aveva fondato un movimento, denominato Christerbauliche Jesusgesellschaft
(Società di Gesù per l'educazione cristiana), al quale aderì anche G.,
contribuendo con un sistematico attacco contro la chiesa luterana e alcuni
suoi insegnamenti fondamentali, come la giustificazione per fede.
L'atteggiamento di G. suscitò la reazione delle autorità della chiesa
luterana locale, che lo fecero arrestare e rinchiudere per tredici settimane
con la pericolosa accusa di anabattismo (un'accusa del genere poteva portare
anche al rogo), dalla quale scampò grazie all'intervento di un potente
conoscente del padre. Ma non poté sottrarsi alla condanna all'esilio
perpetuo ed alla confisca di tutti i suoi beni da parte dello stato
bavarese.
Nel 1665 G. decise quindi di recarsi in Olanda, terra promessa per la
libertà di pensiero, libertà sì ma.senza esagerare, come egli ben presto si
accorse, quando a Zwolle G. intervenne energicamente a favore del pastore
luterano Friedrich Breckling (1629-1711) fautore di un sistema educativo e
sociale, svincolato dalle istituzioni ecclesiastiche: G. si ritrovò
arrestato, esposto alla gogna, schiaffeggiato pubblicamente ed infine
espulso dalla città olandese!
Finalmente nel 1668 G. arrivò ad Amsterdam, dove abitò per i rimanenti 42
anni della sua vita, contraddistinti da visioni, rivelazioni profetiche,
preghiere e una quantità elevatissima di opere (4.000 pagine di
corrispondenza e diversi trattati), tra cui il più importante è il trattato
Theosophica practica.
Ad Amsterdam egli conobbe la visionaria fiamminga Antoinette Bourignon, ma
soprattutto scoprì gli insegnamenti di Jacob Boehme, di cui fece pubblicare
le opere complete nel 1682.
Nonostante una vita molto solitaria e ritirata, egli riuscì a riunire un
piccolo gruppo di seguaci, denominati Fratelli della vita angelica o
Gichteliani, i quali miravano ad una vita di tipo sacerdotale libera da
desideri carnali e da impegni matrimoniali.
G. morì ad Amsterdam il 21 gennaio 1710.


La dottrina
G. rielaborò la dottrina teosofica di Boehme dei tre principi della Deità
[l'Abisso (il Padre) che desiderava rivelarsi (il Figlio) attraverso un come
processo di riflessione, o introspezione Divina (lo Spirito Santo)], ma
soprattutto del quarto principio, lo specchio divino del processo di
riflessione, denominato Saggezza Vergine o Sophia, di cui G. elaborò gli
otto gradi di azione e rivelazione. Attraverso questo specchio il mondo
creato è l'immagine del mondo divino, le creature appaiono come riflessione
delle idee di Dio e sia Adamo, che Cristo nascono androgini (un concetto
ripreso da Helena Blavatsky nella sua teoria sul Padre-Madre universale).
La razza umana era quindi contenuta nella riflessione della Deità, che
formava una nuova ed invisibile chiesa, il cui scopo era il ritorno alla
Perfezione attraverso tre fasi dell'uomo: l'uomo dell'oscurità, l'uomo
rinato e l'uomo interno (o perfetto).
Gli unici mezzi dell'uomo per ottenere ciò erano: la visione della dualità
del mondo (le forze oscure contrapposte a Sophia) ed il potere della
volontà, che poteva far scoprire il Regno di Dio nascosto nel profondo
dell'anima.
La partecipazione dell'anima umana alle nozze mistiche di Cristo con Sophia
(un'idea dal vago sapore alchemico-rosacrociano) davano all'uomo l'Eterna
Vita.


Brenz, Johannes (1499-1570) e ubiquitari

Johannes Brenz nacque a Weil der Stadt, vicino a Stoccarda il 24 Giugno
1499. Da giovane B. subì l'influenza di Erasmo da Rotterdam, ma
successivamente, mentre frequentava nel 1518 l'università di Heidelberg, B.
si accostò alla dottrina luterana e al pensiero di Ecolampadio, suo
professore alla stessa università.
Divenuto teologo e sacerdote, B. fu nominato predicatore della chiesa di San
Michele a Schwäbisch Hall (una città a NE di Stoccarda), ma smise di servire
messa nel 1523 e si dedicò allo studio approfondito delle Sacre Scritture.
Nel 1525 B. ebbe l'occasione di svolgere un ruolo importante durante la
controversia contro gli zwingliani sulla reale presenza di Cristo
nell'Eucaristia: egli si schierò decisamente a favore della dottrina
luterana della sostanziale presenza del corpo e sangue di Cristo nel pane e
vino.
I teologi luterani dell'epoca, in opposizione al dogma cattolico della
transustanziazione (durante l'Eucaristia, il pane e vino mantengono solo
l'apparenza e non la sostanza, in quanto trasformati nel corpo e sangue di
Cristo), avevano elaborato la dottrina della consustanziazione (il pane e
vino rimangono tali anche in sostanza): B. fece di più, affermando, nel suo
Sygramma Suevicum, la presenza di Cristo non solo nell'Eucaristia, ma in
ogni luogo e per questo motivo i suoi seguaci furono definiti Ubiquitari.
Pare che impegnato nella confutazione del pensiero di Zwingli, B. si fosse
dedicato ad un curioso ragionamento matematico-dottrinale: egli calcolò la
distanza tra il cielo e la terra, arrivando alla misura di 16.338.562 miglia
terrestri tedesche (ca. 26 milioni di Km.) ed affermò quindi che, misurando
la velocità di ascesa in cielo di Cristo dal Monte degli Ulivi, il corpo di
Cristo non poteva ancora essere arrivato in cielo nel 16° secolo!
L'impegno luterano di B. comunque non si limitò a queste controversie
matematico-teologiche, estendendosi anche all'organizzazione e alle
istituzioni della neonata Chiesa riformata.
Infatti, durante la guerra smalcaldica del 1546-47, B. cercò protezione
presso il duca Ulrich di Württemberg, diventato nel 1534 luterano: per il
duca B. completò la diffusione della Riforma in tutto il ducato e creò un
modello di organizzazione della Chiesa luterana locale, ammirato in tutta la
Germania. Durante questo periodo turbolento, B. operò sotto lo pseudonimo
del balivo Huldreich Engster.
Nel 1553 B. fu nominato prevosto della Stiftskircke a Stoccarda, dove morì
l'11 Settembre 1570.



Niclaes (o Niclas), Hendrik (o Heinrich) (ca.1502- ca.1580) e Famiglia
d'amore o familisti e grindletoniani



La vita
I dati sulla nascita di Hendrik Niclaes sono alquanto confusi: egli nacque
il 9 o 10 Gennaio 1502 (o forse 1501), probabilmente a Münster, dove
comunque visse nella prima parte della sua vita come merciaio. Da piccolo fu
soggetto a visioni mistiche e all'età di 27 anni, essendosi accostato alle
dottrine riformiste, fu imprigionato con l'accusa di eresia.
Dopo la sua liberazione dovuta per mancanza di prove, N. emigrò con la sua
famiglia ad Amsterdam, dove però fu nuovamente imprigionato con l'accusa di
essere stato complice nella famosa rivoluzione anabattista di Münster
(1534-1535).
In seguito N. si dedicò ad una vita, simile a quella seguita nel secolo
successivo dai pietisti. Nel 1539-40 N. ebbe una visione di Dio, che
riversava su di lui lo spirito del vero amore di Gesù Cristo, secondo le sue
parole. La stessa visione lo sollecitò a fondare una comunità denominata
Famiglia d'amore (Familia caritatis) (solo omonimo del movimento odierno,
fondato nel 1968 da David Brandt Berg): si trasferì quindi nella remota
provincia della Frisia orientale, ad Emden, dove visse per vent'anni,
viaggiando spesso, in Olanda, Fiandre, Francia e Inghilterra, sia per motivi
legati alla sua professione di merciaio che per motivi religiosi.
Il suo credo religioso, come tracciato nel suo principale libro
Un'introduzione alla Santa Comprensione dello Specchio di Giustizia, era
infatti una miscela di varie dottrine:
L'antinomianismo (o antinomismo): le leggi dell'uomo non erano più valide
per chi aveva ottenuto il perfetto stato di grazia divina. Questo spirito
divino, secondo il concetto antinomiano di N., metteva la comunità e suoi
adepti al di sopra della Bibbia, dei Credi, della liturgia e delle leggi. In
questo senso, anche le dottrine della setta medioevale dei Fratelli del
libero spirito non gli erano certo estranee,
Il panteismo mistico, e
L'anabattismo (per entrare nella comunità bisognava essere ribattezzati),
quest'ultimo derivato dall'influenza di David Joris.
Tuttavia, poiché N. e suoi seguaci non seguivano alcuna particolare forma di
liturgia, molti di loro, compreso lo stesso N. continuavano a ritenersi
parte della Chiesa Cattolica. Contemporaneamente essi osservavano una
stretta forma di nicodemismo (il praticare di nascosto un credo religioso,
adeguandosi in pubblico a seguire quello ufficiale), che non favorì certo la
diffusione della setta, rimasta sempre confinata a livello di parenti e
amici intimi degli adepti.
Tuttavia la propaganda di N. non poté passare inosservata per sempre e circa
vent'anni dopo, nel 1560, egli dovette fuggire per evitare l'arresto da
parte delle autorità di Emden.
A quel punto N. condusse una vita errante, risiedendo a Kampen, Utrecht, in
Inghilterra fino al 1569, ed infine, dal 1570, a Colonia.
E fu proprio a Colonia, dove pare N. morì nel 1580 circa.


La Famiglia d'Amore e i familisti
La dottrina di N. sopravvisse al suo ideatore almeno fino al 1604 sotto
forma di comunità di familisti segretamente costituite e sparse in Olanda,
Germania, Francia e Fiandre.
Un caso a parte furono i familisti in Inghilterra, il cui capo Christopher
Vitel tradusse molti degli scritti di N. in inglese.
Nel 1574 e nel 1580 il governo inglese di Elisabetta I (1558-1603)
procedette contro i familisti, condannando i loro libri e imprigionando gli
aderenti. Particolarmente accanito nella persecuzione nei loro confronti fu
il predicatore puritano John Knewstub (1544-1624).
Tuttavia la setta non scomparve, come testimoniano le petizioni, non
accolte, indirizzate dai familisti al successivo re Giacomo I (1603-1625),
il quale comunque accusava questa setta di essere tra i principali
responsabili della nascita del Puritanesimo.
Un caso a parte di familismo fu la setta denominata dei grindletoniani, dal
paese di Grindleton, nella contea inglese dello Yorkshire, influenzata dalle
prediche del pastore Roger Brerely (m. 1637) e attiva dal 1610 al 1630 circa
e i cui collegamenti con i familisti sembrano abbastanza accertati,
particolarmente per quanto concerne la dottrina antinomiana. Brerely infatti
predicava che la dottrina del Vangelo insegnava non quello che dobbiamo fare
a Dio, ma casomai quello che noi dobbiamo ricevere da Lui.
Anche il reverendo John Pordage, fondatore della Società dei Filadelfi, fu
influenzato dal familismo e durante il periodo storico repubblicano del
Commonwealth (1649-1658) di Oliver Cromwell, diversi libri familisti furono
ristampati: si ritiene che per il suo famoso libro Pilgrim's Progress lo
scrittore battista John Bunyan abbia tratto ispirazione da alcuni concetti
familisti.
Infine durante la Restaurazione (dopo il 1660), la setta scomparve,
fagocitato da gruppi radicali come i Quaccheri, (George Fox, il fondatore,
disse di aver convertito molti familisti alla sua causa) Battisti e
Unitariani, e all'inizio del diciottesimo secolo, gli autori riferirono di
solo un anziano adepto ancora in vita.


Renato, Camillo (o Paolo Ricci o Lisia Fileno o Fileno Lunardi)
(ca.1500-1575)



La vita
Paolo Ricci, meglio conosciuto come Camillo Renato, nacque nel 1500 ca. in
Sicilia, probabilmente a Palermo, ma si hanno poche notizie sulla prima
parte della sua vita: si sa comunque che diventò frate minorita. Va
precisato inoltre che, a parte la regione d'origine ed una certa
misteriosità sulla prima parte della sua vita, R., contrariamente alle
convinzioni di alcuni autori, non ha nulla in comune con il corregionale
Giorgio Rioli (detto Giorgio Siculo).
In seguito R. frequentò i circoli evangelici di Juan de Valdès a Napoli e
visse a Venezia, mentre dalla fine degli anni '30 del XVI secolo egli pose
il suo campo d'azione nell'Emilia, nel triangolo compreso fra Bologna,
Modena e Ferrara. A Bologna, probabilmente sotto lo pseudonimo dello
studente di diritto Fileno Lunardi, R. poté approfondire i suoi studi del
pensiero di Erasmo da Rotterdam, insieme agli agostiniani Giulio Della
Rovere, Ortensio Lando e Ambrogio Cavalli, e all'umanista abruzzese Giovanni
Angelo Odoni. Abitò inoltre a Modena, dove l'Accademia del Grillenzoni fece
da centro di diffusione delle sue idee. R. infatti già iniziava ad esprimere
alcune sue tipiche idee radicali, come l'opposizione del culto dei santi e
della Madonna, e la negazione del valore dei sacramenti.
Inoltre, tra i primi in Italia ad interessarsi all'anabattismo e
all'antitrinitarismo, R. aveva letto i testi di Miguel Serveto e sembra che
avesse, intorno al 1550, convertito all'anabattismo il misterioso Tiziano,
pare un ex frate friulano e poi mercante ed uno dei più attivi propagatori
dell'anabattismo.
Quando finalmente si decise a convertirsi alla dottrina riformata (seppur
con una serie di importanti distinguo), R. decise di cambiare il proprio
nome in Camillo Renato, proprio per sottolineare la sua "rinascita".
Ma, con l'avanzare del suo radicalismo religioso, aumentarono anche i guai
giudiziari: nel 1540 a Modena, sotto lo pseudonimo di Lisia Fileno, aveva
dovuto fare una pubblica ritrattazione delle sue idee e nel 1542 R. fu
arrestato a Ferrara per eresia. Per sua fortuna, Renata di Francia
intercesse per farlo uscire da prigione: libero, R. prese immediatamente la
via dell'esilio per la Valtellina, insieme a Celio Secondo Curione.
In Valtellina, ai tempi parte del territorio elvetico del Cantone Grigioni,
R. divenne dapprima tutore dei figli di Raffaele Pallavicini a Caspano,
vicino a Morbegno, poi, nel 1545 fu maestro di scuola nella vicina Traona e
infine visse a Vicosoprano, in Val Bregaglia.
Nel 1546 fece un viaggio a Vicenza per partecipare ai Collegia Vicentina,
dove si riunirono i principali anabattisti e antitrinitariani veneti
dell'epoca.
Ritornato in Valtellina, nel 1547 R. si trasferì a Chiavenna, il centro più
importante per la Riforma nei cantoni svizzeri di lingua italiana, dove
conobbe Lelio Sozzini, ma qui, dopo un breve periodo iniziale di simpatia
reciproca, egli entrò in rotta di collisione con il pastore riformato
Agostino Mainardi, che, nell'esercizio delle sue funzioni, si sentì in
dovere di contestare le pericolose idee protocristiane e anabattiste, che R.
propagandava presso la popolazione delle vallate valtellinesi. Infatti nel
1548, come reazione all'avanzata delle idee troppo estremiste del pensatore
siciliano, Mainardi, eccessivamente rigoroso, cercò di obbligare tutti i
fedeli della Chiesa riformata di Chiavenna di giurare fedeltà ad una
Confessione di Fede, che egli si era fatto approvare dalle autorità
religiose di Coira, Zurigo e Basilea. L'azione gli alienò l'amicizia con
Francesco Negri da Bassano, con il quale aveva avuto dei buoni rapporti fino
a quel momento e che provocatoriamente si rifiutò di far battezzare il suo
neonato se prima Mainardi non avesse firmato una Confessione di Fede redatta
da Negri stesso, e con Francesco Stancaro, che accusò Mainardi di troppa
ortodossia, e troppo poco dialogo, in questa diatriba sorta sull'opportunità
dei sacramenti.
La lunga e amara controversia sulla Cena del Signore con Mainardi, ebbe un
amaro epilogo per R. (magnus haereticus, secondo Mainardi): essendosi
rifiutato di cessare di propagare le sue dottrine egli fu scomunicato il 6
luglio 1550.
Del resto, anche in una lettera scritta un mese dopo (il 3 agosto 1550) da
Altieri d'Aquila a Heinrich Bullinger (curiosamente anche lo stesso R. aveva
una vasta corrispondenza con il riformatore svizzero) l'ex diplomatico
definì R. anabaptistarum patronus, cioè protettore degli anabattisti.
A R. non rimase che ritirarsi in un punto non meglio precisato della
Valtellina, dopo aver polemicamente pubblicato un elenco di 125 errori,
scandali, contraddizioni vari di Mainardi dal 1545 in poi.
Di R. non si sentì più parlare eccetto che nel 1554, quando, indignato per
l'esecuzione sul rogo di Michele Serveto, R. scrisse a proposito un lungo
poema, De injusto Serveti incendio e lo inviò a Calvino in persona.
In vecchiaia, da una testimonianza del 1560, pare fosse diventato cieco e
morì nel 1575, sempre in Valtellina.


Il pensiero
Il punto essenziale del pensiero mistico spirituale di R., espresso nel suo
Trattato del Battesimo e della Santa Cena, scritta in italiano (cosa rara
all'epoca), era la vera rinascita spirituale del credente, che si sentiva
unito in spirito e carità con gli altri fedeli in un unico corpo mistico.
Il tutto rendeva per R. ovviamente superfluo ogni sacramento e
manifestazione esteriore e utilitaristica della religione cristiana. Da ciò
quindi derivava il principale motivo del contendere con Mainardi: l'idea di
considerare la Cena del Signore come una semplice memoria della morte di
Cristo e, similmente, il Battesimo come una mera affermazione della fede
individuale di ogni credente.
D'altra parte, questa poca importanza attribuita, o addirittura rifiuto del
Battesimo (vedi anche lo scritto Adversus baptismum del 1548) mette in serio
dubbio una supposta appartenenza di R. al movimento anabattista.
Inoltre per R., le anime, dopo la morte, non godevano subito della vita
ultraterrena, ma stavano in uno stato di sonno fino al giorno del Giudizio
Universale, un concetto che accosta curiosamente R. ad un papa medioevale
molto criticato: Giovanni XXII! Questi aveva infatti incautamente dichiarato
nel 1331 che le anime dei morti in grazia di Dio avrebbero goduto della
"visione beatifica" non subito dopo la morte, come affermava la tradizione,
ma solo alla resurrezione dei morti e che, nell'attesa, essi avrebbero
dormito godendo del conforto di Cristo "sotto l'altare". L'affermazione del
papa fu condannata dai teologi dell'Università di Parigi nel 1333.


I seguaci
R. influenzò diversi pensatori e riformati dell'epoca, di cui si possono
citare, a parte l'ebraista Francesco Stancaro, sopra menzionato: il
bolognese Ulisse Aldrovandi (1522-1605), coinvolto nel 1549-50 in un
processo per eresia, proprio come presunto seguace di R.; il pastore di
Casaccia (in Val Bregaglia, nell'attuale cantone Grigioni) e scrittore
Bartolomeo Silvio di Cremona; il medico Pietro Bresciani di Casalmaggiore.


Valdés (poi italianizzato in Valdesso, Valdessio o Val d'Esso), Juan de (ca.
1500-1541)



I primi anni
Il mistico e riformatore Juan de Valdés, figlio del gentiluomo Hernando de
Valdés, corregidor (ufficiale incaricato del governo di una città) di Cuenca
ed esponente di una famiglia di conversos (ebrei spagnoli convertiti),
nacque nel 1500 ca. (altri autori propendono per un improbabile 1509 o 1510)
appunto a Cuenca, in Castiglia (Spagna).
Nel 1524 egli ebbe la possibilità di assistere alle prediche del pensatore
alumbrado Pedro Ruiz de Alcaraz, nel palazzo ad Escalona del marchese di
Villena, e dal 1526 studiò, all'università di Alcalà de Henàres, greco (con
lo studioso Francisco de Vergara), ebraico, latino e letteratura spagnola e
italiana: ad Alcalà conobbe e si appassionò agli scritti di Erasmo da
Rotterdam e di Martin Lutero.


Il fratello Alfonso
Juan era il fratello gemello più giovane di Alfonso (ca. 1500-1532):
quest'ultimo, dal 1522 segretario della cancelleria dell'imperatore Carlo V
(1519-1558), fu l'autore di un dialogo pesantemente anti-papale, stampato
nel 1529, il Lactantius, nel quale egli attaccò il papa Clemente VII
(1523-1534) come disturbatore della pace, istigatore della guerra e perfido
ingannatore!
Ma, nonostante che il nunzio papale di Madrid, Baldassarre Castiglione
(1478-1529) in persona avesse portato il caso davanti all'Inquisizione, lo
stato di impopolarità presso la corte imperiale in cui era caduto Clemente
VII dopo il Sacco di Roma del 1527 e la potente protezione dell'imperatore
verso il suo segretario fece sì che nulla potesse accadere al temerario
Alfonso. Comunque la morte prematura, a causa della peste, del gemello di
Juan a Vienna nel 1532 mise a tacere ogni possibile inchiesta delle autorità
religiose.


V. in Italia
Questi appoggi dall'alto furono meno evidenti per Juan, che, dopo aver
scritto nel 1528-29, in forma anonima, il Dialogo de doctrina cristiana, in
cui attaccava la corruzione della Chiesa Romana, sebbene difendesse nel
contempo la legittimità del matrimonio di Enrico VIII d'Inghilterra con
Caterina d'Aragona fu comunque processato per eresia dall'Inquisizione
spagnola una prima volta nel 1529: egli fu quindi costretto a riparare
definitivamente in Italia nell'inverno 1530-31, anche se sotto una copertura
diplomatica, come agente imperiale, per conto di Carlo V, per sfuggire ad un
secondo e più decisivo processo.


Si stabilisce a Napoli
Dopo aver abitato a Roma, dove frequentò il circolo umanistico di Juan Ginés
de Sepulveda, e viaggiato per la penisola italiana, per esempio nel 1533 a
Bologna, al seguito del papa Clemente VII, e poi una prima volta a Napoli,
all'indomani dell'elezione del papa Paolo III (1534-1549), V. si trasferì,
nell'autunno 1535, definitivamente a Napoli e nel rione di Chiaia stabilì la
propria residenza fino alla sua morte nel 1541.
Nella sua casa egli formò un circolo umanistico religioso, che coagulò tutto
il fior fiore dell'intellighenzia riformista dell'epoca in Italia.
Infatti la quantità e qualità di coloro che aderirono ai circoli valdesiani
fu impressionante. Tra gli altri, si annoverano:
nobili come la contessa di Fondi Giulia Gonzaga Colonna (che V. sempre
considerò sua erede spirituale, a cui dedicò la sua opera principale
l'Alfabeto cristiano e a cui affidò tutti i suoi scritti in punto di morte),
il marchese d'Oria Bernardino Bonifacio, la duchessa di Camerino Caterina
Cibo, la marchesa di Pescara Vittoria Colonna, il nobile siciliano
Bartolomeo Spadafora, il marchese di Vico Galeazzo Caracciolo, il cavaliere
Mario Galeota suo fedele collaboratore, la nobile Isabella Bresegna, moglie
del capitano don Garcia Manrique, futuro governatore di Piacenza,
alti prelati come l'arcivescovo di Otranto Pietro Antonio Di Capua, il
vescovo di Bergamo Vittore Soranzo, il vicario generale dell'ordine dei
cappuccini Bernardino Ochino, il vescovo di Cheronissa Giovanni Francesco
Verdura,
religiosi come il domenicano Ludovico Manna, il canonico regolare Pier
Martire Vermigli, il benedettino Benedetto Fontanini da Mantova, il
sacerdote Apollonio Merenda, l'abate Girolamo Busale, il francescano
Giovanni Buzio,
intellettuali come l'umanista Marcantonio Flaminio e il protonotario
apostolico Pietro Carnesecchi.
Inoltre l'impatto delle dottrine di V. fu decisivo sulle idee di altri
pensatori eterodossi, anche se questi non frequentarono direttamente i suoi
circoli di Napoli, come, ad esempio, gli intellettuali Aonio Paleario e Pier
Francesco Riccio, e il cardinale inglese Reginald Pole.
V. morì a Napoli nell'agosto 1541.


La dottrina
Influenzato dallo spiritualismo degli alumbrados, oltre che dalle dottrine
di Erasmo e Lutero, il pensiero di V. ha avuto comunque un suo sviluppo
autonomo.
Come devoto mistico evangelico V. credeva nell'illuminazione dello spirito,
come rivelazione di Dio del fatto che chi si abbandonava alla Sua
misericordia, era da Lui chiamato alla salvezza. Sostanzialmente questa era
una giustificazione sola fide simile al concetto luterano, ma per V., solo
mediante la negazione di se stessi, gli uomini potevano ricevere
l'illuminazione divina e perciò conformarsi all'immagine di Dio, di cui
erano fatti.
La fede era quindi un argomento puramente soggettivo, fondata cioè su un
senso molto individuale della religione, in contrapposizione al magistero
ufficiale della Chiesa e alle sue reinterpretazioni delle Sacre Scritture.
Sebbene tutte le forme esteriori della ritualità ufficiale cristiana fossero
inutili orpelli da combattere, come la pensava del resto anche Erasmo, in
quanto non necessari al cammino interiore verso Dio, tuttavia V. era
favorevole ad uno stretto nicodemismo, come forma di schermo contro le
intolleranze della Chiesa ufficiale. Infatti per il mistico spagnolo i veri
cristiani erano molto pochi e dovevano agire con prudenza e riservatezza in
maniera da non provocare polemiche e condanne.


Le opere
Detto dell'opera composta nel periodo spagnolo (Dialogo de doctrina
christiana), in Italia il lavoro principale di V. fu senz'altro l'Alphabeto
christiano, che insegna la vera via d'acquistare il lume dello Spirito
Santo, o semplicemente Alphabeto christiano, tradotto da Marcantonio
Flaminio e pubblicato postumo a Venezia nel 1545 e che ebbe una notevole
popolarità nel mondo riformato italiano.
Ma V. scrisse una notevole mole di altri lavori tra cui un breve catechismo,
dal titolo Qual maniera si dovrebbe tenere a informare insino della
fanciullezza i figliuoli de Christiani delle cose della religiosa (Roma
1545) e opuscoli divulgativi, come In che maniera il Christiano ha da
studiare nel suo proprio libro, il Modo che si de tenere nell'insegnare et
predicare il principio della religione Christiana, le Dimande et risposte e
le Cento e dieci divine Considerationi.
Altro settore nel quale V. eccelleva era il commento alle Sacre Scritture,
del quale si ricordano Il vangelo secondo San Matteo o i Commentari ai
Salmi.
Infine la produzione letteraria di V. comprese anche lavori non di stretto
argomento religioso, come il trattato linguistico Diálogo de la lengua, un
fondamentale contributo del pensatore castigliano per lo sviluppo dell'uso
della sua lingua come idioma ufficiale della giovane nazione spagnola.


Briçonnet, Guillaume (1472-1534)



Guillaume Briçonnet, nato a Tours nel 1472, era il figlio dell'omonimo e
noto cardinale Guillaume Briçonnet (m. 1514), ministro delle finanze del re
francese Carlo VIII (1483-1498), organizzatore della sfortunata spedizione
del re in Italia nel 1495 e artefice dell'incoronazione del successore Luigi
XII (1498-1515).
B., che, prima di intraprendere la carriera ecclesiastica, ebbe il titolo di
Conte di Montbrun, studiò con il noto umanista Jacques Le Fèvre d'Étaples (o
Jacobus Faber Stapulensis) nel collegio parigino fondato nel XIII secolo dal
Cardinale Lemoine (1250-1313), e nel 1489 divenne vescovo di Lodeve.
Essendo entrato nei favori del re Luigi XII, fu nominato cappellano della
regina e inoltre svolse delicati incarichi di diplomazia per il suo sovrano,
mentre nel 1507 subentrò al padre come abate di Saint-Germain-des-Pres.
B. poté godere della fiducia anche del successore di Luigi XII, Francesco I
(1515-1547), che nel 1516 lo nominò vescovo di Meaux, sulla Marne.
A Meaux B. chiamò nel 1520 il suo maestro Le Fèvre d'Étaples, che nominò
vicario generale: B. e Le Fèvre avevano in mente un progetto di riforma
all'interno, pur accettandone la gerarchia, della Chiesa cattolica:
introdussero l'uso del francese nella liturgia, distribuirono traduzioni
delle Sacre Scritture ai fedeli e eliminarono tutte le immagini sacre,
eccetto quelle di Gesù Cristo.
Ma nel 1525, approfittando della prigionia del re Francesco I, catturato
dall'imperatore Carlo V (1519-1558) in seguito alla battaglia di Pavia, il
partito filo-cattolico nel parlamento francese fece processare B., accusato
di eresia da parte dei Cordigliari, francescani osservanti, anche a causa
della amicizia che egli concedeva ai studiosi umanisti, come lo stesso Le
Fèvre e Guillaume Farel.
Tuttavia il rientro di Francesco I nel 1526 e la protezione dell'influente
sorella del re Margherita di Angoulême, diventata poi regina di Navarra,
scagionarono B. da ogni accusa.
B. morì il 24 gennaio 1534 nel castello di Aimans (Esmant) vicino a
Montreau, in Borgogna.
Tuttavia il suo esperimento della chiesa riformata a Meaux durò solo fino al
1546, quando l'inizio dei conflitti religiosi in Francia e le persecuzioni
della Controriforma decimarono i protestanti.


Brigantino, Fra Giuliano da Colle Val d'Elsa (Giuliano da Colle)
(ca.1510-ca.1552)



Reggente dello Studio di San Giacomo a Bologna fra il 1539 ed il 1542, fra
Giuliano fece parte di quella consistente schiera di predicatori
agostiniani, soprattutto concentrati in Lombardia, che si fecero carico
della diffusione delle idee luterane in Italia.
B. fu ripreso più volte dal generale dell'ordine, che lo spostò di sede
ripetutamente, da Pavia a Milano, Ferrara, Padova, Venezia [dove partecipò a
riunioni di protestanti e valdesiani (seguaci, cioè, di Juan de Valdes)],
Vicenza ed infine Siena nel 1549. Nulla poté, però, contro il suo arresto da
parte dell'Inquisizione romana, in seguito ad una predica quaresimale a
Firenze nel 1552.
Benché avesse ritrattato solennemente sul pulpito del convento di Santo
Spirito, fu ugualmente imprigionato e morì nelle carceri dell'Inquisizione
nello stesso anno.


Brötli, Johannes (Hans), detto Panicellus (m. 1528)

Johannes (Hans) Brötli (in svizzero-tedesco = panino, da cui il nome
umanistico di Panicellus), unico religioso svizzero che aderì al movimento
anabattista di Zurigo fin dalle sue origini nel 1523, era originario del
cantone Grigioni, e al tempo dell'inizio del movimento faceva l'aiuto
parroco del villaggio di Zollikon, vicino a Zurigo.
A Zollikon B. si era pronunciato, nell'estate 1524, contro il battesimo dei
bambini e questa posizione fu seguita da Conrad Grebel, fondatore del
movimento anabattista, che si rifiutò di far battezzare suo figlio, nato da
poco.
Nel cantone Zurigo B. rimase ed operò fino al 21 Gennaio 1525: in quella
data infatti il consiglio cittadino, nell'ambito delle misure contro gli
anabattisti, ordinò l'espulsione dalla città e dal cantone di tutti gli
anabattisti non cittadini zurighesi, tra cui B. stesso.
B. allora si recò, con Wilhelm Reublin, a Hallau, nel cantone Sciaffusa,
dove fu così efficace nella sua predica da convincere quasi tutti gli
abitanti a farsi ribattezzare.
Mentre era a Hallau, B. cercò come Grebel, Reublin e Felix Mantz, di portare
alla propria causa il principale riformatore del cantone Sciaffusa,
Sebastian Hofmeister (Oconomus)(1476-1533). Questi, in un primo momento,
sembrò essere infatti convinto delle affermazioni degli anabattisti,
soprattutto in tema di battesimo degli infanti, ma in seguito si rivelò una
delusione per il movimento, preferendo schierarsi con Zwingli, anzi
diventando anche uno dei più feroci oppositori dell'anabattismo.
Tuttavia, per quanto concerneva la comunità anabattista di Hallau, le
autorità di Sciaffusa non potevano fare molto in quel momento a causa
dell'appoggio dato al paese dalla vicina città tedesca di Waldshut, centro
anabattista, dove operavano Reublin e Balthasar Hubmaier
Ma nel 1525 gli Asburgo repressero l'anabattismo a Waldshut, facendo venire
meno la sua protezione sul paese di Hallau, i cui abitanti anabattisti si
diedero allora alla clandestinità.
B. stesso e l'ebanista anabattista Hans Rueger, che aveva avuto un certo
ruolo nelle insurrezioni locali durante la Guerra dei Contadini, furono
catturati nel 1527 e Rueger fu decapitato nello stesso anno.
B. invece riuscì a fuggire, per essere poi catturato e, secondo alcuni
autori, bruciato sul rogo nel 1528.


Browne, Robert (ca. 1550-1633) e Congregazionalisti o Indipendenti o
Separatisti o Brownisti



Brownisti o indipendenti o congregazionalisti
Il termine di Brownisti, dal nome del fondatore della setta Robert Browne,
fu comunemente usato per identificare gli Indipendenti o Separatisti della
Chiesa Anglicana prima del 1620. I seguaci di Browne furono denominati anche
congregazionalisti, in quanto credevano nella indipendenza ed autonomia di
ciascuna congregazione di fedeli e ciò in contrasto con le due altre anime
del protestantesimo inglese:
Gli episcopali, la linea principale della Chiesa Anglicana, convinti della
necessità di preservare le figure dei vescovi ed arcivescovi, e
I presbiteriani, principale filone del puritanesimo inglese, che
prediligevano una amministrazione della Chiesa basata su un governo centrale
di presbiteri, cioè gli anziani, sia chierici che laici, simile a quello
sviluppato dai presbiteriani in Scozia, sotto la guida di Andrew Melville.


La vita
Robert Browne nacque a Tolethorpe Hall, vicino a Stamford, nella contea
inglese del Lincolnshire, nel 1550 circa, da una antica e benestante
famiglia e compì i suoi studi universitari a Cambridge dal 1570 al 1573,
ottenendo un baccalaureato in arti nel 1572 presso il Corpus Christi
College.
A Cambridge B. fece amicizia con il più anziano compagno d'università Robert
Harrison (m. 1585) ed ambedue rimasero profondamente influenzati dagli
scritti, di ispirazione calvinista, del teologo puritano Thomas Cartwright,
sospeso dal proprio incarico, pochi anni prima, a causa delle sue idee
anti-episcopali, dal vice-cancelliere dell'università, John Whitgift (ca.
1530-1604), futuro arcivescovo di Canterbury.
Dopo il baccalaureato, B. ritornò al Tolethorpe Hall, dove diventò il
preside della locale scuola, ma in seguito si mise nei guai per aver
predicato senza permesso in alcune chiese di Cambridge e di Londra e fu
imprigionato. In seguito venne scarcerato grazie alle sue conoscenze
altolocate: infatti il Lord Gran Tesoriere, William Cecil, Barone di
Burghley (1520-1598) era un suo parente e negli anni successivi dovette
intervenire spesso per tirare B. fuori dai guai.
Nel 1580 B. decise di trasferirsi a Norwich, dove, insieme a Harrison,
divenuto nel frattempo Direttore dell'Ospedale Maggiore Saint Giles di
Norwich, fondò nel 1581 la prima congregazione religiosa indipendente.
Questo atto fu criticato da Edmund Freake (m. 1591), vescovo di Norwich, che
li fece imprigionare con l'accusa di predicare senza una licenza. Nuovamente
fatti liberare da Lord Burghley, B. e Harrison decisero di trasferire la
comunità in Olanda, a Middleburg, nella regione dello Zealand.
Qui B. diede alle stampe nel 1582 i suoi due e più famosi trattati
(soprattutto il primo): A Treatise of Reformation without Tarrying for Anie
(Un trattato di Riforma senza aspettare alcuno), nel quale ribadiva il
diritto della Chiesa di operare le opportune riforme senza attendere il
permesso delle autorità civili, e A Booke which sheweth the life and manners
of all True Christians (Un libro che mostri la vita e i modi di tutti i veri
cristiani), che enunciava la teoria dell'indipendenza delle congregazioni
religiose. Nel 1583 copie delle opere di B. iniziarono a circolare in
Inghilterra, scatenando una violenta reazione. Fu infatti emanato un
proclama contro gli scritti di B. e contro coloro che li diffondessero: due
seguaci della congregazione di Norwich, John Copping e Elias Thacker
pagarono con la loro vita sulla forca la sfida alle autorità.
Tuttavia anche nella congregazione di Middleburg si evidenziarono dei
problemi: infatti a causa di reciproche accuse alle rispettive mogli, si
ruppe l'amicizia con Harrison e B. decise di trasferirsi via mare in Scozia
con i propri seguaci nel gennaio 1584. Rimasto solo, Harrison continuò a
gestire la comunità fino alla sua morte avvenuta circa due anni dopo, nel
1585.
Ma neanche in Scozia B. ebbe vita facile: la sua presenza a Edimburgo,
Dundee e Saint Andrews venne ben presto segnalata alle autorità religiose
presbiteriane e fu quindi imprigionato. Stanco e deluso da questa esperienza
di soli pochi mesi, dopo il rilascio decise di ritornare in Inghilterra
nell'estate del 1584, ponendo la sua residenza a Stamford, vicino al suo
paese natale. Nuovamente fu accusato di scrivere e pubblicare fuori legge e
fu inquisito ed arrestato diverse volte, ma sempre liberato per
intercessione di Lord Burghley.
Tuttavia nel 1586 successe il fatto più grave: a cause delle sue ennesime
prediche senza licenza, B. fu convocato davanti al vescovo Howard di
Peterborough, ma non essendosi presentato, fu scomunicato.
Probabilmente questo drastico provvedimento nei suoi confronti gli fece
capire la necessità di trovare un compromesso con la Chiesa Anglicana.
Quindi, con la solita intermediazione di Lord Burgley, B. abiurò le sue
precedenti dottrine nel novembre 1586. Ristabilito il suo ruolo
nell'establishment anglicano, B. fu nominato preside del liceo Saint Olaves
di Southwark, ruolo che occupò fino al 1591 con una credibile aderenza ai
principi della chiesa ufficiale, sebbene proprio vicino a Southwark fu
scoperta nell'ottobre 1587 una congregazione brownista, organizzata dal
reverendo John Greenwood, che, arrestato, rimase in prigione per sei anni e
nel 1593 venne impiccato.
Tuttavia B. aveva ormai sviluppato delle idee diverse da quelle della sua
gioventù e contro Greenwood e il suo confratello Henry Barrow, scrisse nel
1587-88 il polemico Reproofe of certaine schismalical persons and their
doctrine touching the hearing and preaching of the word of God (Riprova di
certe persone scismatiche e delle loro dottrina riguardante l'ascolto e la
predica della parola di Dio).
Nel 1591 B. fu ordinato e gli fu offerto il beneficio della parrocchia di
Achurch cum Thorpe a Stamford, parte dei possedimenti dell'onnipresente Lord
Burghley. Qui B. rimase fino alla sua morte avvenuta nel 1633, all'età di 83
anni.
Anche l'episodio che condusse alla sua morte fu piuttosto significativo
della perenne sfida da lui lanciata contro l'autorità costituita: litigò
infatti con un gendarme, volarono parole grosse ed anche qualche pugno, e
l'anziano fondatore del Congregazionalismo si trovò rinchiuso nel carcere di
Northampton, dove morì appunto nell'ottobre 1633.


Browne, Robert (ca. 1550-1633) e Congregazionalisti o Indipendenti o
Separatisti o Brownisti



Brownisti o indipendenti o congregazionalisti
Il termine di Brownisti, dal nome del fondatore della setta Robert Browne,
fu comunemente usato per identificare gli Indipendenti o Separatisti della
Chiesa Anglicana prima del 1620. I seguaci di Browne furono denominati anche
congregazionalisti, in quanto credevano nella indipendenza ed autonomia di
ciascuna congregazione di fedeli e ciò in contrasto con le due altre anime
del protestantesimo inglese:
Gli episcopali, la linea principale della Chiesa Anglicana, convinti della
necessità di preservare le figure dei vescovi ed arcivescovi, e
I presbiteriani, principale filone del puritanesimo inglese, che
prediligevano una amministrazione della Chiesa basata su un governo centrale
di presbiteri, cioè gli anziani, sia chierici che laici, simile a quello
sviluppato dai presbiteriani in Scozia, sotto la guida di Andrew Melville.


La vita
Robert Browne nacque a Tolethorpe Hall, vicino a Stamford, nella contea
inglese del Lincolnshire, nel 1550 circa, da una antica e benestante
famiglia e compì i suoi studi universitari a Cambridge dal 1570 al 1573,
ottenendo un baccalaureato in arti nel 1572 presso il Corpus Christi
College.
A Cambridge B. fece amicizia con il più anziano compagno d'università Robert
Harrison (m. 1585) ed ambedue rimasero profondamente influenzati dagli
scritti, di ispirazione calvinista, del teologo puritano Thomas Cartwright,
sospeso dal proprio incarico, pochi anni prima, a causa delle sue idee
anti-episcopali, dal vice-cancelliere dell'università, John Whitgift (ca.
1530-1604), futuro arcivescovo di Canterbury.
Dopo il baccalaureato, B. ritornò al Tolethorpe Hall, dove diventò il
preside della locale scuola, ma in seguito si mise nei guai per aver
predicato senza permesso in alcune chiese di Cambridge e di Londra e fu
imprigionato. In seguito venne scarcerato grazie alle sue conoscenze
altolocate: infatti il Lord Gran Tesoriere, William Cecil, Barone di
Burghley (1520-1598) era un suo parente e negli anni successivi dovette
intervenire spesso per tirare B. fuori dai guai.
Nel 1580 B. decise di trasferirsi a Norwich, dove, insieme a Harrison,
divenuto nel frattempo Direttore dell'Ospedale Maggiore Saint Giles di
Norwich, fondò nel 1581 la prima congregazione religiosa indipendente.
Questo atto fu criticato da Edmund Freake (m. 1591), vescovo di Norwich, che
li fece imprigionare con l'accusa di predicare senza una licenza. Nuovamente
fatti liberare da Lord Burghley, B. e Harrison decisero di trasferire la
comunità in Olanda, a Middleburg, nella regione dello Zealand.
Qui B. diede alle stampe nel 1582 i suoi due e più famosi trattati
(soprattutto il primo): A Treatise of Reformation without Tarrying for Anie
(Un trattato di Riforma senza aspettare alcuno), nel quale ribadiva il
diritto della Chiesa di operare le opportune riforme senza attendere il
permesso delle autorità civili, e A Booke which sheweth the life and manners
of all True Christians (Un libro che mostri la vita e i modi di tutti i veri
cristiani), che enunciava la teoria dell'indipendenza delle congregazioni
religiose. Nel 1583 copie delle opere di B. iniziarono a circolare in
Inghilterra, scatenando una violenta reazione. Fu infatti emanato un
proclama contro gli scritti di B. e contro coloro che li diffondessero: due
seguaci della congregazione di Norwich, John Copping e Elias Thacker
pagarono con la loro vita sulla forca la sfida alle autorità.
Tuttavia anche nella congregazione di Middleburg si evidenziarono dei
problemi: infatti a causa di reciproche accuse alle rispettive mogli, si
ruppe l'amicizia con Harrison e B. decise di trasferirsi via mare in Scozia
con i propri seguaci nel gennaio 1584. Rimasto solo, Harrison continuò a
gestire la comunità fino alla sua morte avvenuta circa due anni dopo, nel
1585.
Ma neanche in Scozia B. ebbe vita facile: la sua presenza a Edimburgo,
Dundee e Saint Andrews venne ben presto segnalata alle autorità religiose
presbiteriane e fu quindi imprigionato. Stanco e deluso da questa esperienza
di soli pochi mesi, dopo il rilascio decise di ritornare in Inghilterra
nell'estate del 1584, ponendo la sua residenza a Stamford, vicino al suo
paese natale. Nuovamente fu accusato di scrivere e pubblicare fuori legge e
fu inquisito ed arrestato diverse volte, ma sempre liberato per
intercessione di Lord Burghley.
Tuttavia nel 1586 successe il fatto più grave: a cause delle sue ennesime
prediche senza licenza, B. fu convocato davanti al vescovo Howard di
Peterborough, ma non essendosi presentato, fu scomunicato.
Probabilmente questo drastico provvedimento nei suoi confronti gli fece
capire la necessità di trovare un compromesso con la Chiesa Anglicana.
Quindi, con la solita intermediazione di Lord Burgley, B. abiurò le sue
precedenti dottrine nel novembre 1586. Ristabilito il suo ruolo
nell'establishment anglicano, B. fu nominato preside del liceo Saint Olaves
di Southwark, ruolo che occupò fino al 1591 con una credibile aderenza ai
principi della chiesa ufficiale, sebbene proprio vicino a Southwark fu
scoperta nell'ottobre 1587 una congregazione brownista, organizzata dal
reverendo John Greenwood, che, arrestato, rimase in prigione per sei anni e
nel 1593 venne impiccato.
Tuttavia B. aveva ormai sviluppato delle idee diverse da quelle della sua
gioventù e contro Greenwood e il suo confratello Henry Barrow, scrisse nel
1587-88 il polemico Reproofe of certaine schismalical persons and their
doctrine touching the hearing and preaching of the word of God (Riprova di
certe persone scismatiche e delle loro dottrina riguardante l'ascolto e la
predica della parola di Dio).
Nel 1591 B. fu ordinato e gli fu offerto il beneficio della parrocchia di
Achurch cum Thorpe a Stamford, parte dei possedimenti dell'onnipresente Lord
Burghley. Qui B. rimase fino alla sua morte avvenuta nel 1633, all'età di 83
anni.
Anche l'episodio che condusse alla sua morte fu piuttosto significativo
della perenne sfida da lui lanciata contro l'autorità costituita: litigò
infatti con un gendarme, volarono parole grosse ed anche qualche pugno, e
l'anziano fondatore del Congregazionalismo si trovò rinchiuso nel carcere di
Northampton, dove morì appunto nell'ottobre 1633.


Brucioli, Antonio (1497-1566)



La vita
Il letterato Antonio Brucioli, nato a Firenze nel 1497, si formò
culturalmente nel circolo spiritualista platonico degli Orti Oricellari
[frequentato anche da Niccolò Machiavelli (1469-1527)], e ben presto divenne
noto per il suo anticlericalismo contro gli abusi e la corruzione delle
strutture ecclesiastiche un concetto caro a Girolamo Savonarola (esempio di
riformatore per B.), e per le sue simpatie verso le dottrine luterane,
sviluppatesi in seguito a suoi viaggi a Lione e in Germania.
Il 16 maggio 1527 Firenze insorse, cacciando il duca Alessandro de' Medici
(duca 1525-1527 e 1530-1537), pronipote di Lorenzo il Magnifico, al potere
dal 1525, e B. esultò per la decisione, convinto, com'era, che solo le
autorità repubblicane del Comune potessero restaurare un rigore morale e
dare l'avvio ad una seria riforma politica e religiosa.
Tuttavia, due anni dopo, il 5 giugno 1529, lo stesso B., pur essendo un
convinto antimediceo, fu esiliato per due anni, per le sue convinzioni
religiose: Benedetto Varchi scrisse che aveva letto "ad alcuni giovani le
cose di Martin Lutero publice", ma pare che avesse anche rinnegato le sue
antiche simpatie per Savonarola.
B. andò quindi ad abitare a Venezia, dove suo fratello Francesco aveva
impiantato una tipografia, e nel 1530 egli fece pubblicare in italiano
(clamorosamente non da parte del fratello, ma dallo stamperia Eredi di
Lucantonio Giunti) il suo famosissimo Il Nuovo Testamento di greco
nuovamente tradotto in lingua toscana, seguito dall'intera Biblia, quale
contiene i sacri libri del Vecchio Testamento nel 1532.
La popolarità assunta dalla sua versione delle Sacre Scritture presso vasti
strati della popolazioni e presso le corti di Mantova, Urbino e Ferrara gli
permise di usufruire di potenti protezioni da parte della duchessa di
Ferrara Renata d'Este (alla cui figlia, Anna, B. dedicò la versione del 1538
della sua Bibbia), ma soprattutto della duchessa di Urbino Eleonora Gonzaga
(1493-1550), sorella del cardinale Ercole Gonzaga (1505-1563), alla quale B.
dedicò il commento al Libro di Iesaia profeta nel 1537 e i Dialoghi
metafisicali nel 1538.
A Venezia, oltre a scrivere, B. esercitava il mestiere di libraio, e, in
questa funzione, poté procurare e pubblicare opere dei più famosi
riformatori tedeschi, come Lutero, Bucero o Melantone, ad intellettuali come
il concittadino Pier Francesco Riccio, con cui si manteneva in contatto
epistolare.
Nel 1547 B. si incaricò di far stampare una edizione del famoso libro di
Francesco Negri, la Tragedia intitolata libero arbitrio, ma, ad iniziare
dall'anno successivo egli fu più volte sottoposto a processi da parte
dell'Inquisizione, nonostante che, da un punto di vista religioso, B. avesse
adottato un rigoroso nicodemismo ed almeno formalmente non avesse mai
abbandonato il Cattolicesimo. Nel 1558, però, egli fu costretto all'abiura
pubblica delle sue idee, ma poiché era comunque rimasto influenzato
dall'opera teologica di Lutero, fu comunque inquisito nuovamente nel 1559.
Infine B. morì, pare in notevole indigenza, nel 1566 a Venezia.


La Bibbia
Come già detto, B. pubblicò, rispettivamente nel 1530 e 1532, le sue
popolarissime versioni del Nuovo e Antico Testamento, in quanto desiderava
che la Bibbia fosse resa accessibile alla gente del popolo. Ed, in effetti
questa versione di B., ristampata più volte tra il 1540 ed il 1546 ed
accompagnata da un ponderoso commentario, fu uno dei più efficaci mezzi di
diffusione della Riforma in Italia.
Per il testo utilizzato, nonostante egli affermasse di aver tradotto
partendo dalle Scritture originali in greco, sembra invece che la versione
del Vecchio Testamento del B. si basi sulla traduzione latina
dell'orientalista Sante Pagnino (1470-1541), mentre per il Nuovo Testamento
egli abbia usufruito della versione latina di Erasmo da Rotterdam.



Bruno, Giordano (1548-1600)



La gioventù
Il famoso filosofo Giordano Bruno (il nome di battesimo era Filippo, ma lo
cambiò in Giordano quando entrò nell'ordine dei domenicani) nacque nel
gennaio (o febbraio) 1548 a Nola, in provincia di Napoli, dal gentiluomo
(dedito alla carriera militare) Giovanni Bruno e da Fraulissa (o Fraulisa)
Savolino, modesta proprietaria terrena. A Nola B. frequentò il ginnasio
locale e nel 1560 si trasferì allo Studio, un liceo di Napoli, dove studiò
lettere, logica, dialettica e filosofia aristotelica [quest'ultima sotto
l'agostiniano Fra Teofilo da Vairano (m. 1578)].
Nel 1565 B. entrò come novizio nel convento domenicano di San Domenico
Maggiore, dove il 16 giugno 1566 prese i voti, diventando professo. Come già
detto, in questa occasione egli prese il nome di fra Giordano.
A San Domenico B. si fece notare per le sue capacità mnemoniche, tant'è che
nel 1568-69 venne invitato a Roma da Papa Pio V (1566-1572), al quale dedicò
la sua prima opera (andata perduta) L'arca di Noé. Nel periodo 1568-72 egli
proseguì i suoi studi di logica e filosofia e nel 1572 venne ordinato
sacerdote. Nello stesso anno si iscrisse al corso di Teologia presso lo
Studio, dal quale uscì laureato nel luglio 1575.
In questo periodo B. coltivò la lettura di autori alquanto off-limits per un
convento, come Raimondo Lullo (1235-1315), testi di cabala, neoplatonici
come Plotino (205-270), Porfirio (ca. 233-305), Giamblico (ca. 245-ca. 325)
e Proclo (ca. 410-485) fino a Nicola Cusano (1401-1464), del quale B.
apprezzò il tentativo di conciliare tradizione magica neoplatonica e
Cristianesimo, e al grande Erasmo da Rotterdam, con il quale condivise la
critica alla Chiesa cattolica.


B. abbandona la tonaca
All'inizio del 1576 la crisi: trascinato in un violento battibecco con un
confratello, B. venne accusato di arianesimo e di antitrinitarismo, ma egli
non attese il processo a suo carico, preferendo invece fuggire a Roma,
presso il convento di Santa Maria sopra Minerva, dove però, alla fine del
marzo 1576, si mise ancora nei guai, essendo stato accusato di aver
provocato la morte di un frate domenicano, testimone nel suo processo
napoletano. B. allora prese la decisione di gettare la tonaca e dirigersi
verso il nord Italia, a Genova, Noli, Savona, Torino e Venezia, dove venne
pubblicato un'altra sua opera perduta, il trattato astrologico De' segni de'
tempi. Nella vicina Padova si rivestì con la tonaca (probabilmente per puri
motivi di opportunità), recandosi a Brescia, Bergamo, Milano, ed infine a
Chambery, nella Savoia, dove svernò nel 1578-79 per poi proseguire per
Ginevra nella primavera 1579.


B. a Ginevra
Nella città svizzera, B. venne subito avvicinato dal marchese di Vico,
Galeazzo Caracciolo, capo della comunità degli esuli religiosi italiani, che
cercò di convincere B. a convertirsi alla religione calvinista, al cui credo
pare che B. aderisse per un certo periodo. Tuttavia il soggiorno ginevrino
venne guastato da un clamoroso incidente di percorso con il professore di
filosofia dell'Accademia Antoine De la Faye (1540-1615), alle cui lezioni il
filosofo nolano aveva assistito. In uno scritto polemico, B., vero esperto
del pensiero aristotelico, contestò ben 20 errori commessi in una sola
lezione da De la Faye, vera e propria imprudenza perché quest'ultimo, molto
immanicato politicamente presso l'establishment calvinista, fece arrestare
B. e il nostro poté cavarsela, il 27 agosto 1579, solo con un penoso atto di
pentimento pubblico, seguito dalla distruzione pubblica, a cura dello suo
stesso autore, dello scritto polemico. Scontata l'umiliante pena, B. lasciò
immediatamente Ginevra per Tolosa, in Francia, dopo aver transitato da
Lione.


B. in Francia
A Tolosa B. rimase per circa venti mesi, divenendo lettore pubblico di
filosofia e scrivendo un commento al Tractatus de sphaera mundi
dell'astronomo agostiniano Johannes de Sacrobosco (1195-1256), ma fu
costretto nel 1581 a lasciare Tolosa a causa della guerra civile tra
cattolici e ugonotti e, mediante un viaggio avventuroso e pieno di pericoli,
si recò a Parigi. Qui egli tenne un ciclo di trenta lezioni alla Sorbona
sugli attributi divini secondo Tommaso d'Aquino (1221-1274), che suscitarono
l'ammirazione del re francese Enrico III (1574-1589), al quale B. dedicò il
suo De umbris idearum, un testo di arte mnemotecnica, ispirata alle dottrine
del francescano Raimondo Lullo (1235-1315). Il periodo molto favorevole per
B. gli permise di poter scrivere e pubblicare diversi altri trattati di
mnemotecnica, come Cantus circaeus e De compendiosa architectura et
complemento artis Lullii, oltre alla commedia in lingua italiana Il
candelaio.


B. in Inghilterra
Nell'aprile 1583, al seguito dell'ambasciatore Michel di Castelnau
(1520-1592), signore di Mauvissière, B. si recò in Inghilterra, a Londra,
dove, secondo lo storico John Bossy, svolse attività di spionaggio, sotto lo
pseudonimo di Henry Fagot, al servizio di Sir Francis Walshingham (m.1590)
proprio contro l'ambasciatore francese.
Comunque, a parte questo episodio alquanto oscuro, in Inghilterra B. conobbe
diversi personaggi famosi dell'epoca, come la stessa regina Elisabetta I
(1558-1603), John Dee, il nobile polacco Albert Laski (m. 1605), nipote del
riformatore Jan Laski, e il poeta Sir Philip Sidney (1554-1586), del quale
divenne amico, dedicandogli la sua famosa opera Spaccio della bestia
trionfante.
Pubblicò inoltre altre opere fondamentali come Ars reminiscendi, Explicatio
tringinta sigillorum, Sigillus sigillorum, De la causa, principio et uno, De
infinito, universo et mondi, La cabala del cavallo pegaseo con l'aggiunta
dell'asino cillenico e Degli eroici furori (anche quest'ultima dedicata a
Sidney). B. si recò anche ad Oxford, dove però si scontrò con il teologo
inglese, e futuro vescovo di Oxford, John Underhill (ca. 1545-1592) in un
dibattito sulla filosofia aristotelica, degenerata ben presto in una rissa
verbale. Nonostante l'incidente egli venne accettato come docente di
filosofia, tuttavia non era destino egli rimanesse per troppo nella città
universitaria: infatti alla terza sua lezione imperniata sulle teorie
copernicane, venne tacciato di plagio nei confronti di Marsilio Ficino
(1433-1499) e invitato ad andarsene.
Il filosofo nolano, offesissimo, lasciò Oxford per tornare a Londra, ma
anche qui fu protagonista di un ennesimo episodio di scontro con i
cattedratici inglesi. Infatti, durante una cena presso il nobile Sir Fulke
Greville (1554-1628), il 15 febbraio 1584 (Mercoledì delle ceneri), egli
entrò in polemica sulle sue idee sull'universo con due professori di Oxford,
tali Torquato e Nundinio [pseudonimi probabilmente del medico George Turner
(1565-1610) e del sopramenzionato John Underhill], A dir la verità, furono
proprio questi ultimi a provocare la rissa: il tutto venne descritto in uno
dei suoi più famosi libri La Cena delle ceneri, fortemente caustico nei
confronti della realtà inglese del momento. La pubblicazione dell'opera
provocò una tale reazione a catena (compresa la devastazione dell'ambasciata
francese) da costringere B. a ritornare in Francia nell'ottobre 1585.


B. nuovamente in Francia
Ma in Francia la situazione politica era cambiata: la tensione tra cattolici
e ugonotti era alle stelle e i Duchi cattolici di Guisa guidavano la Santa
Unione, o Lega, opponendosi al re Enrico III, che aveva nominato suo erede
al trono, nel 1584, il cognato protestante Enrico di Borbone. Da lì a poco
il confronto sarebbe sfociato in tragedia con la fuga del re da Parigi nel
maggio 1588, l'assassinio, su ordine del re, dei Duchi di Guisa nel dicembre
1588, e la morte del sovrano stesso, ucciso a sua volta dal pugnale di un
fanatico domenicano, Jacques Clément, nell'agosto 1589.
B. rimase in Francia solo nove mesi, ma in questo periodo il suo spirito
indomitamente polemico gli procurò altri guai in almeno due occasioni:
quando insultò un protetto dei cattolici Guisa, il matematico salernitano
Fabrizio Mordente, inventore del compasso differenziale, al quale dedicò il
sarcastico dialogo Idiota triumphans seu de Mordentio inter geometras deo
[il litigio era nato da una presentazione non molto lusinghiera di B.
(Dialogi duo de Fabricii mordentis salernitani prope divina adinventione ad
perfectam cosmimetria praxim) sull'invenzione del Mordente], e quando
pubblicò l'opuscolo anti-aristotelico Centum et viginti articuli de natura
ed mundo adversos peripateticos, suscitando la reazione risentita dei
cattedratici francesi del Collège de Cambrai, anche se la paternità
dell'opera fu prudentemente occultata come farina del sacco del suo
principale allievo, Jean Hennequin.


B. in Germania e in Boemia
Nuova emigrazione dell'inquieto filosofo, questa volta in Germania, nel
giugno 1586: dopo una veloce passata a Marburg (dove ebbe tempo di litigare
con il rettore dell'università, Petrus Nigidius!), B. arrivò a Wittenberg
nell'agosto 1586 e qui egli insegnò filosofia all'università per due anni e
poté pubblicare diverse opere, come De lampada combinatoria lulliana, De
progressu et lampada venatoria logicorum, Artificium perorandi,
Animadvertiones circa lampadem lullianam e Lampas tringinta statuarum.
Ma nel 1588 egli decise di lasciare Wittenberg per le mutate condizioni
religiose: infatti al luterano Augusto I, principe elettore di Sassonia
(1541-1586), era succeduto il figlio Cristiano I (1586-1591), che aveva
nominato suo cancelliere Nicholas Crell (o Krell), il cui pensiero religioso
era allineato con la dottrina dei filippisti, seguaci di Philipp Melantone,
cioè una forma di cripto-calvinismo con simpatie verso alcuni punti della
dottrina di Giovanni Calvino.
Grazie al suo potere, Crell favorì la promozione di calvinisti a posizioni
di rilievo e prestigio: la perdita dei riferimenti luterani accelerò la
decisione del nolano di abbandonare Wittenberg, dopo una dotta orazione
d'addio (Oratio valedictoria) pronunciato l'8 marzo 1588 davanti ai
professori e studenti della locale università.
Si recò allora a Praga, dove fece pubblicare i suoi Articuli centum et
sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos,
dedicati all'imperatore Rodolfo II (1576-1612). Questi donò a B. una borsa
di 300 talleri, ma non un incarico all'università al quale il filosofo
ambiva, ragione per cui B. decise di emigrare nuovamente, questa volta ad
Helmstadt, nel ducato del Braunschweig (Brunswick), dove poté insegnare, dal
gennaio 1589, come libero docente all'Accademia Giulia, fondata dal duca
Julius von Braunschweig-Wolfenbuttel (1568-1589), alla morte del quale B.
scrisse la Oratio consolatoria. Almeno formalmente egli aderì, in questo
periodo, al luteranesimo, ma ciò non impedì al sovrintendente della locale
Chiesa luterana Gilbert Voët (da non confondere con il teologo olandese
calvinista Gisbert Voët) di scomunicarlo, ufficialmente per filo-calvinismo,
ma più probabilmente per espressioni ingiuriose che B. aveva pronunciato
contro il pastore stesso.
La scomunica luterana (quindi, dopo quella cattolica e calvinista, anche
l'ultima delle tre maggiori confessioni cristiane occidentali lo aveva
scomunicato!) non impedì a B. di continuare a vivere a Helmstadt, anche per
la benevolenza del nuovo duca Heinrich Julius (1589-1613), fino alla
primavera 1590 e di concepire qui i suoi trattati sulla magia, come De
magia, Theses de magia, De rerum principiis et elementis et causis, Medicina
lulliana e De magia mathematica.
Il 2 giugno 1590 B. giunse a Francoforte, ma la richiesta di un permesso di
soggiorno venne respinta dal senato della città, e quindi il filosofo
alloggiò provvisoriamente presso un convento di carmelitani. Riuscì comunque
a pubblicare la sua importante trilogia di trattati filosofici in latino (De
triplice minimo et mensura, De monade, numero et figura e De innumerabilis,
immenso et infigurabili seu de universo et mundis), dedicati al duca
Heinrich Julius, e, dopo aver passato l'inverno a Zurigo come docente
privato di filosofia, rientrò a Francoforte nella primavera 1591 per curare
la pubblicazione del De imaginum, signorum et idearum compositione, una
rivisitazione dei suoi testi sulla mnemotecnica. Nella città tedesca egli fu
raggiunto dalla lettera del nobile veneziano Giovanni Mocenigo, che lo
invitava a recarsi a Venezia per insegnare l'arte della memoria. B. accettò
e nell'agosto 1591 partì alla volta dell'Italia.


B. ritorna in Italia
Perché il più volte scomunicato B. abbia accettato di rientrare in Italia è
stato oggetto di approfondite analisi di critici e storici e varie sono le
ipotesi formulate:
A livello europeo, B. era oramai isolato ed era stato scomunicato
ripetutamente, mentre, d'altra parte, Venezia era nota per una certa
autonomia ed indipendenza decisionale nei confronti del potere papale.
Il Mocenigo aveva offerto denaro e ospitalità per poter ricevere lezioni
sull'arte mnemotecnica (anche se il suo principale intendimento era di
essere iniziato alle arti occulte) e gli estimatori generosi di B. non erano
poi così numerosi.
Nella vicina Padova era vacante la prestigiosa cattedra di matematica e le
esperienze di Oxford, Praga e Francoforte avevano mostrato a B. come era
difficile vivere senza una rendita fissa.
Ma alcuni autori ipotizzano che B. si sentisse addirittura investito di una
missione: realizzare praticamente la nuova visione dell'uomo in senso
panteistico e magico e finalmente mondato dal dogmatismo e dall'intolleranza
della Chiesa.
Comunque nell'agosto 1591 B. giunse a Venezia, e dopo tre mesi si recò a
Padova, dove cercò inutilmente di ottenere la cattedra di matematica e dove,
con l'aiuto del suo discepolo Jerome Besler (1566-1632), scrisse il De
vinculis in genere e Lampas triginta statuarum.
Ritornato a Venezia, B. snobbò e trascurò il lavoro di precettore del
Mocenigo, un nobile sì ma di scarsa cultura, che, come già detto, era
probabilmente più interessato alle arti occulte, che a quelle mnemotecniche.
Deluso e sentendosi truffato, Mocenigo, dopo aver raccolto delle
informazioni sul suo conto presso un corrispondente a Francoforte, fece
arrestare B. la notte del 22 maggio 1592 e lo consegnò all'Inquisizione con
l'accusa di eresia e blasfemia.
Nei due mesi successivi B. venne sottoposto a 7 interrogatori (o costituti),
al termine dei quali B. chiese di abiurare e di essere perdonato e i giudici
veneziani sembravano perfino favorevoli a questa soluzione.


B. a Roma: il processo e la morte
Tuttavia il Santo Uffizio romano chiese a gran voce, il 12 settembre, la sua
estradizione: questo primo tentativo fu respinto dai giudici veneziani, ma
nulla essi poterono contro una seconda richiesta, motivata dal fatto che B.
comunque non era cittadino veneziano. Il 27 febbraio 1593 B. fu dunque
trasferito a Roma ed incarcerato nel palazzo del Santo Uffizio. I successivi
7 anni si trascinarono in interminabili interrogatori (e probabili torture,
soprattutto dal 1597) da parte di una Congregazione composta da sette
cardinali e otto teologi, che dovettero anche studiare le sue innumerevoli
opere.
Nel 1597, anno del rogo di Francesco Pucci e della condanna di Tommaso
Campanella, detenuti nella stessa prigione di B., nel processo di
quest'ultimo subentrò il cardinale gesuita Roberto Bellarmino (1542-1621)
(futuro persecutore di Galileo Galilei e del Campanella), il quale nel 1599
enucleò le seguenti otto proposizioni di B. ritenute eretiche dalla Chiesa:
1) L'anima mundi e la materia prima sono i due principi eterni delle cose,
2) Da una causa infinita deve derivare un infinito effetto,
3) Non esiste l'anima individuale,
4) Nulla si crea e nulla si distrugge,
5) La Terra si muove,
6) Gli astri sono angeli ed esseri animati,
7) La Terra è dotata di un'anima sensitiva e razionale,
8) L'anima non è la forma del corpo dell'uomo.
Dal 18 gennaio 1599 tra B. e gli inquisitori iniziò una complessa partita di
scacchi, basata su accuse, ripensamenti, colpi di scena e quant'altro.
Inizialmente gli venne richiesto ufficialmente di abiurare: egli cercò
dapprima di prendere tempo, e perfino cedette in febbraio per poi inviare un
memoriale difensivo in aprile. Si pensò di utilizzare nuovamente la tortura,
quando, il 10 settembre, egli dichiarò di volersi sottomettere alla Chiesa,
salvo poi rimettere in discussione solo una settimana dopo. Ma la situazione
precipitò dopo la denuncia di un anonimo che il principale bersaglio della
sua opera Lo spaccio de la bestia trionfante fosse il papa.
L'irrigidimento di ambedue le posizioni portarono infine alla inevitabile
condanna a morte di B. l'8 febbraio 1600 ed in quella occasione egli
pronunciò la famosa frase: Forse con maggiore timore pronunciate contro di
me la sentenza, di quanto ne provi io nel riceverla.
La mattina del 17 febbraio 1600 egli venne condotto a Campo dei Fiori, dove
venne spogliato dei vestiti, fu issato sul rogo, gli fu impedito di parlare
con una mordacchia in legno e infine fu bruciato vivo, in quanto impenitente
(quelli che si pentivano venivano strozzati prima del rogo).
300 anni dopo, il 9 giugno 1899, nonostante fortissime resistenze
cattoliche, venne inaugurato il monumento a lui dedicato in Campo dei Fiori:
fu un'occasione di riunione delle anime anticlericali dell'Italia umbertina,
massoni, repubblicani, radicali, positivisti, tutti debitori di questo
martire del libero pensiero filosofico e scientifico.


Il pensiero
Il complesso pensiero di B. è stato per molti anni circoscritto all'ambito
ermetico, un po' equivocando sul termine di "mago" e molto grazie ai lavori
della studiosa inglese Francis Yates. Riscoperto recentemente, il pensiero
di B. è una miscela di filosofia antiaristotelica, magia naturale (la magia
divina, in contrasto con la magia diabolica), religione naturale,
mnemotecnica e panpsichismo (il mondo è vivo e sensibile, come anche per
Bernardino Telesio e Tommaso Campanella).
L'universo aristotelico finito e diviso in sfere celesti stava stretto a B.,
che contrapponeva un universo infinito e unico. Secondo B., la natura
animata del mondo (anima mundi), secondo un concetto tipicamente
neoplatonico, presenta due aspetti: la forma e la materia. La forma è
l'anima universale e la sua principale facoltà, l'intelletto, muove la
materia (materia prima) dall'interno.
E' quindi logico che egli si appassionasse alle teorie astronomiche di
Niccolò Copernico (1473-1543), sebbene non fosse tanto la loro portata
scientifica che lo interessava, bensì le speculazioni filosofiche che ne
potevano derivare: l'infinito superava perfino il concetto copernicano di
eliocentrismo e univa tutto, anche gli opposti, che, nell'unità
dell'infinito, coincidevano l'uno nell'altro, un concetto caro ad un autore
molto amato da B., cioè Nicola Cusano.
L'attacco ai metodi lenti e metodici della scolastica aristotelica  B. lo
portò sviluppando l'arte della mnemotecnica, un tecnica rapida e quasi
"magica" per impossessarsi del sapere. E questo sapere se ne impossessa
l'eroico e furioso ricercatore della verità, che ubbidisce solamente
all'istinto della razionalità nella sua cerca della vera conoscenza, cioè il
concetto del principio unico, da cui generano tutte le specie e tutti i
numeri. Quindi la religione propugnata da B. è una religione razionale o
naturale, privo di quel dogmatismo, intransigenza, ignoranza, ipocrisia,
fede cieca ed inconsapevole, tipici delle confessioni cristiane dell'epoca,
che l'avevano perseguitato per tutta la sua vita e che, alla fine, l'avevano
portato sul rogo.


Lollardi (XIV-XV secolo)



Il nome di lollardi venne dato ai seguaci di John Wycliffe e contraddistinse
un movimento eretico inglese del XIV e XV secolo.


Origine del nome
L'origine del nome è incerta: pare dall'olandese lollen, cantare o, secondo
alcuni autori, il soprannome, attribuito sarcasticamente ai lollardi dai
loro avversari cattolici, deriva dall'inglese to lollop, camminare
goffamente o to loll, sedere oziando.


Il movimento
A dir la verità, negli anni di Wycliffe, il termine di L. venne applicato a
diversi movimenti di dissenzienti religiosi, non necessariamente wycliffiti,
come ad esempio i begardi, i fratelli del libero spirito, i singoli
cavalieri in rotta con l'autorità della Chiesa, i parrocchiani che non
volevano pagare le decime, i seguaci del visionario gallese Walter Brute,
ecc.
Dopo la morte di Wycliffe nel 1384, divenne il leader del movimento il suo
segretario, John Purvey, che approfittò della schizofrenia del tirannico re
Riccardo II (1377- deposto 1399), per rinforzare la posizione del movimento,
protetto da diversi esponenti della nobiltà. Egli giunse anche a presentare
nel 1395 al Parlamento un progetto di riforma della Chiesa inglese, che fu
ovviamente respinto, in dodici punti, che ricalcavano i precetti di
Wycliffe.
Ma, in seguito alla deposizione di Riccardo da parte di Enrico di Lancaster
(il figlio di Giovanni, il protettore di Wycliffe), divenuto re Enrico IV
(1399-1413), la situazione per i L. cambiò radicalmente in peggio.
Infatti Enrico, per ringraziarsi la Chiesa, iniziò una energica azione di
soppressione del movimento L., contrassegnata dall'Atto De Hæretico
Comburendo (Del bruciare gli eretici) del 1401, che permetteva ai vescovi di
arrestare, imprigionare, torturare e consegnare al braccio secolare gli
eretici.
Il primo L. a pagare con la vita l'applicazione di questa legge fu il prete
londinese William Sawtrey, che dichiarò il suo rifiuto nel dogma della
transustanziazione e nell'autorità della Chiesa.
Anche all'estero si reagì al movimento L.: in particolare in Boemia, dove
nel 1403 l'università di Praga condannò gli scritti di Wycliffe, tradotte in
boemo dai suoi seguaci.
Nel 1408, il grande avversario del movimento, l'arcivescovo di Canterbury
Thomas Arundel, stabilì in un sinodo ad Oxford le regole (costituzioni) per
poter predicare in pubblico, tradurre le Sacre Scritture e insegnare
teologia nelle scuole.
Infine nel 1415 fu pronunciata postuma la condanna di Wycliffe per eresia al
Concilio di Costanza e nel 1428, dietro pressioni di Papa Martino V
(1417-1431), il suo corpo fu riesumato e bruciato sul rogo e le ceneri
sparse nel fiume Swift.
Tuttavia, già da prima, nel 1414, i L., vista minacciata la loro
sopravvivenza, avevano organizzato una insurrezione armata per rapire il re
Enrico V (1413-1422), sotto il comando di Sir John Oldcastle, l'anno
precedente processato e imprigionato per eresia, ma che era riuscito a
fuggire dalla famigerata Torre di Londra per mettersi a capo degli insorti.
La chiamata alle armi dei L. fu un vero insuccesso e ben pochi risposero
all'appello: secondo alcuni autori solo 300, di cui 80 furono catturati. Di
questi 69 (altri autori riportano 44) furono messi a morte. Oldcastle riuscì
a sfuggire alla cattura per 3 anni, finché non fu catturato nel 1417 e
impiccato su una forca sotto la quale bruciava un fuoco lento.
La persecuzione del movimento continuò per altri due decenni fino ad un
nuovo tentativo di insurrezione organizzato dal L. William Perkins, represso
nel sangue, nel 1431.
I L. continuarono a sopravvivere, ma anche essere perseguitati fino quasi
all'avvento della Chiesa d'Inghilterra nel 1534: perfino durante il regno di
Enrico VIII (1509-1547) ne furono bruciati sul rogo 2 nel 1511 e 4 nel 1522.
Nel 1523 furono infine fatti oggetto di un elogio di Erasmo da Rotterdam,
che li definì "conquistati, ma non estinti", e negli anni successivi furono
gradualmente riassorbiti dal Protestantesimo inglese, di cui avevano
promosso le idee due secoli prima.


Bruto, Giovanni Michele (1517-1592)



La gioventù
Il celebrato umanista e storico Giovanni Michele Bruto nacque a Venezia nel
1517 da una antica famiglia veneziana. Dopo aver compiuto gli studi
giovanili a Venezia, B. si iscrisse all'Università di Padova, nel 1539-40
circa, diventando allievo del famoso grecista e latinista Lazzaro Buonamici
(1471-1552), discepolo, a sua volta, di Pietro Pomponazzi.
Rientrato a Venezia, B. entrò nel convento dell'ordine dei canonici regolari
di S. Agostino [chiamati anche Canonici Lateranensi dal loro breve soggiorno
presso la basilica del Laterano durante il pontificato di Eugenio IV
(1431-1447)].
Tuttavia, poco dopo, egli poté lasciare il convento grazie ad una dispensa:
conobbe allora Pietro Antonio di Capua, arcivescovo di Otranto, che lo
introdusse ai circoli valdesiani e nel 1551 soggiornò presso il convento
benedettino di Maguzzano sul Lago di Garda, dove fece la conoscenza del
cardinale inglese Reginald Pole e dell'ecclesiastico italo-ungherese Andrea
Dudith Sbardellati, del quale divenne un buon amico.


Gli anni di peregrinazione attraverso l'Europa
Dopo la partenza del cardinale Pole, B. iniziò una vita errante attraverso
l'Europa: nel 1555 era ad Anversa, dove diventò amico del facoltoso mercante
genovese Silvestro Cattaneo, al quale B. dedicò un suo breve trattato
pedagogico La Institutione di una fanciulla nata nobilmente.
Nello stesso anno 1555 B. compose un'apprezzabile orazione in onore
dell'imperatore Carlo V (1516-1556) per richiamarlo alla difesa
dell'autonomia delle città italiane, strette tra le ambizioni
espansionistiche della Francia e del Papato.
Nel 1556 B. si recò a Madrid come segretario della delegazione veneziana,
tuttavia qui fu colpito da una malattia, che lo debilitò per quasi tutto
l'anno. Non appena ristabilitosi, si recò in Inghilterra, poi a Lione,
ritornando infine in Italia, dapprima a Genova, poi a Massa e quindi a
Venezia nel 1558, dove scoprì che il suo editore Paolo Manuzio (1512-1574),
divenuto nel frattempo stampatore ufficiale del Papa ed editore dei decreti
del Concilio di Trento (1545-1563), aveva censurato i nomi di autori
sospettati di eresia, fra i quali figurava lo stesso B.
Egli decise allora di recarsi a Lione per poter proseguire nella sua
attività letteraria, e qui curò la pubblicazione nel 1560 del De rebus
gestis dell'umanista spezzino Bartolomeo Fazio (1400-1457), di cui egli
possedeva un manoscritto, e dei Commentarii di Giulio Cesare, di cui era
riuscito ad ottenere un codice durante la sua breve permanenza a Massa, in
Toscana.
Sempre a Lione, nel 1562, egli si legò al circolo dei fuoriusciti toscani,
frequentati anche dopo il suo rientro a Venezia, dove concepì e pubblicò le
sue Historiae Florentinae, intrise di una forte ostilità anti-medicea e che
gli alienò i favori della potente famiglia fiorentina, la quale cercò di
boicottare la diffusione del suo libro, acquistando e distruggendo molte
copie del trattato.
Inoltre i Medici non si fecero scrupoli di scatenare gli strali
dell'Inquisizione contro lo storico veneziano, che fu ufficialmente invitato
a presentarsi davanti al Tribunale del Sant'Uffizio entro il 26 marzo 1562,
ma da questo primo procedimento egli riuscì a discolparsi, nonostante i suoi
trascorsi evangelisti e valdesiani.
Tuttavia, quando la Santa Inquisizione tornò nuovamente ad occuparsi di lui
il 10 marzo 1565, B. preferì la fuga a Lione e fu quindi condannato in
contumacia come eretico e gli fu posta una taglia sulla testa.


B. in Transilvania e Polonia
A Lione, dove rimase fino al 1572, B. pubblicò svariati lavori di Cicerone,
ricuperati da antichi codici, ma, visto il clima dei violenza e di
intolleranza religiosa che aleggiava in Francia in quel momento (il 23
agosto avvenne il sanguinoso massacro degli ugonotti durante la tristemente
famosa notte di San Bartolomeo), dopo essersi momentaneamente trasferito a
Basilea, egli si decise di accettare, nel giugno 1573, l'incarico, offerto
dal voivoda di Transilvania Istvàn (Stefano) Bàthory (poi re di Polonia:
1576-1586), di storiografo ufficiale di corte, posto che comunque gli era
già stato offerto in precedenza (nel 1563) dal vescovo di Varadino, Ferenc
Forgach (ca. 1530-1577).
Dopo una tappa a Vienna, B. arrivò nel 1574 in Transilvania, e qui si dedicò
a raccogliere materiale per una Storia dell'Ungheria (Magyar historiàja),
concepita in chiave fortemente anti-asburgico e che suffragava la tesi della
legittimità di Giovanni I Zapolya (1526-1540), di rivendicare il trono di re
d'Ungheria per sé. Questo sposava le idee di Bàthory, che a Zapolya doveva
tutta la sua fortuna.
Nel 1576 B. si trasferì a Cracovia, in seguito all'elezione di Bàthory a re
di Polonia. Qui riprese i contatti con il vecchio amico Dudith Sbardellati e
per lui scrisse la prefazione del suo trattato sulle comete (De Cometis),
pubblicato nel 1579. Entrò inoltre in rapporti con diversi dissidenti
italiani in esilio, come Giorgio Biandrata, Niccolò Buccella e Prospero
Provana.
Tuttavia, con l'avvento di Bàthory sul trono di Polonia, la controffensiva
cattolica si fece sempre più pressante e gli stessi riformati tendevano a
distinguersi, isolando le frange più estreme. Infatti, già dopo la dieta di
Piotrków della Chiesa Riformata Polacca del 1564 che decretò l'esclusione
degli antitrinitari, ci fu una separazione tra una ecclesia major calvinista
ed una ecclesia minor di fede antitrinitaria.
Benché B. fosse tacciato di essere un eretico e frequentasse così
"pericolose" compagnie come i sopramenzionati dissidenti, il nunzio
apostolico in Polonia monsignor Giovanni Andrea Caligari, ex vescovo di
Bertinoro, non disperava, nel 1578, di poterlo riconvertire al
Cattolicesimo. Egli tentò di blandirlo, facendogli aumentare il suo
stipendio di storiografo di corte, chiedendo una dispensa a Roma per fargli
portare il vestito da chierico senza obbligarlo a rientrare nell'ordine,
proponendogli perfino un'abiura segreta.
La situazione si impantanò con il successore di Caligari, il cardinale
Alberto Bolognetti (nunzio: 1581-1585), anzi B., per qualche tempo, dichiarò
la sua fedeltà agli ideali evangelici. Tuttavia, nell'aprile 1585, capitolò
e abiurò davanti a Bolognetti.


Gli ultimi anni come cattolico e filo-asburgico
Dopo la sua riconversione, nell'ultimo periodo della sua vita, B. cambiò
rotta di 180 gradi rispetto alle sue precedenti idee religiose e politiche:
a parte la riconversione al Cattolicesimo, egli diventò filo-asburgico,
appoggiando nel 1586 la candidatura del principe Ernesto, figlio
dell'imperatore Massimiliano II (1564-1576) al trono di Polonia, e
diventando poi lo storiografo addirittura dell'imperatore Rodolfo II
(1576-1612).
Cercò inoltre di emendare la vena polemica delle sue opere, come le
Historiae Florentinae, dandogli un sapore un po' meno anti-mediceo, e la
Magyar historiàja (Storia d'Ungheria), del quale venne a sapere che il
nipote di Bàthory e nuovo voivoda della Transilvania, Sigismondo Bàthory
(1572-1602) stava per far pubblicare una copia. Preoccupato per il tono
anti-asburgico del testo originale, cercò in tutta fretta di recarsi a
Gyulafehérvár (Alba Julia), in Transilvania per apportare le correzioni del
caso, ma, arrivato sul luogo, morì nel 1592, a 75 anni.


Bruys, Pietro (Pierre de Bruys)(m. ca. 1132) e petrobrusiani



Sulla vita di Pietro, le notizie sono scarsissime e derivano quasi
esclusivamente da un trattato, Contra Petrobrusianos hereticos, scritto da
Pietro il Venerabile, abate di Cluny (1092-1156): egli era nato
probabilmente nell'omonimo villaggio di Bruys, nel cantone di Rosans (nel
sud est della Francia), alla fine del XI secolo ed era diventato prete,
sebbene fosse stato successivamente espulso dalla Chiesa.
Egli iniziò la sua attività come predicatore itinerante nel 1112-1113,
scendendo dalle Alpi, per vagare nella Francia meridionale, in particolare
in Provenza, nel Delfinato e in Linguadoca.
Per P., tutti avevano diritto ad un accesso diretto a Dio ovunque fossero,
anche in una stalla, e l'unico testo sacro era il Vangelo, mentre egli
rifiutò sia gli altri scritti del Nuovo Testamento, perché di dubbia
origine, che l'Antico Testamento.
Egli contestava violentemente qualsiasi forma esteriore della Chiesa
Cattolica, come le chiese, le croci, viste come lo strumento della tortura
di Gesù Cristo, i preti, le preghiere dei defunti o le cerimonie religiose,
rifiutava i sacramenti (eccetto il battesimo agli adulti), a cui attribuiva
un valore puramente simbolico e che non erano utili per la salvezza, la
quale infatti si poteva ottenere solo per fede personale del credente. In
particolare P. respinse ogni valore dato all'eucaristia come la
transustanziazione, forse riprendendo i concetti di Berengario di Tours.
Egli fondò una setta, chiamata, dal suo nome, dei petrobrusiani, i quali si
diedero ad intolleranze e provocazioni nei confronti della Chiesa, come
forzare i monaci a sposarsi o bruciare le croci in un falò sul quale cuocere
della carne, offerta poi ai presenti: il tutto naturalmente di Venerdì
Santo!
E fu proprio un Venerdì Santo, probabilmente nel 1132 (o perlomeno in un
anno non meglio precisato tra il 1131 ed il 1139) che la popolazione di
Saint Gilles, vicino a Nimes, esasperata dagli atteggiamenti estremisti di
P. e dei suoi seguaci, dopo una ennesima provocazione, lo assalì e lo bruciò
sul rogo.
Dopo la sua morte, le sue prediche furono riprese in forma modificata
dall'ex monaco Enrico di Losanna.
Alcuni autori ravvisano nelle prediche di P. elementi che ricordano il
furore iconoclasta di Claudio di Torino, altri vedono infiltrazioni
bogomile, come se egli fosse stato un precursore dei catari (sebbene
manchino completamente le caratteristiche dualiste), altri infine notano
nelle sue dottrine, ma non certo nei metodi, alcuni punti ripresi poi dal
pensiero protestante.


Buccella, Niccolò (m. 1599)



La vita
Niccolò Buccella nacque a Padova da una famiglia borghese (suo padre era
libraio e fornitore dell'università patavina) e poté, unico della famiglia,
studiare medicina all'università, diventando in seguito un medico di
prestigio.
Da giovane egli aderì, assieme ai fratelli Girolamo e Gian Battista,
all'anabattismo, in seguito al quale viaggiò nel 1557 ad Austerlitz, in
Moravia, presso le Seminaria veritatis, comunità di antitrinitari italiani
fondati da Niccolò Paruta e visitando le comunità hutterite, presso le quali
venne ribattezzato dal vescovo Leonard Lanzenstiel. Nel 1559 egli fece un
secondo viaggio in Moravia, dalla quale si recò, nel 1560-61, a Ginevra per
riportare i nipoti, orfani di madre, indietro a Padova.
Ritornato quindi in patria, B. fece proselitismo presso i ceti più umili
della popolazione locale, ma il 27 agosto 1562, in procinto di intraprendere
un ulteriore viaggio in Moravia, fu arrestato a Capodistria e subì un
processo da parte delle autorità della Serenissima. Dopo due anni di
detenzione nelle carceri veneziane, il 27 marzo 1564 abiurò, tentando, senza
successo, di indurre ad una simile azione, i suoi confratelli Francesco
Della Sega e Antonio Rizzetto.
Nei 9 anni successivi (1564-1573), coprendo il suo credo religioso mediante
un accurato e rigoroso nicodemismo, B. si dedicò totalmente alla sua
attività di medico e chirurgo, tuttavia si attirò dapprima le critiche e
successivamente perfino una scomunica, a causa degli esperimenti di
sezionamento dei cadaveri, compiuti privatamente (in casa sua) e senza le
necessarie autorizzazioni.
Fuggì, quindi, in Transilvania, su invito di Giorgio Biandrata e, grazie
alla sua fama di valente medico, fu assunto dal voivoda Istvàn (Stefano)
Bàthory nel luglio 1574 allo stipendio di 600 talleri all'anno. Nel 1575 B.
seguì Bàthory in Polonia quando quest'ultimo ne diventò il re (1576-1586).
In Polonia, B. accumulò una notevole fortuna economica: organizzò il
trasporto del sale in Lituania, impiantò una fabbrica di carta in Livonia,
praticò il prestito ad interesse e poté perfino comperarsi una tenuta reale
in Volinia. Fece anche venire ad abitare con lui il nipote Filippo, figlio
di un suo fratello (probabilmente Girolamo).
Dovette tuttavia difendere il suo status acquisito in momenti difficili,
come durante la polemica con Fabiano Nifo, con il quale ebbe un dissenso sui
suoi metodi terapeutici e di più ancora con l'altro medico di corte, Simone
Simoni, che era stato raccomandato al re da Andrea Dudith Sbardellati.
Infatti il Simoni, astioso e invidioso del successo di B., non esitò a
formulare la gravissima accusa della responsabilità del B. per la morte del
re Stefano Bàthory nel 1586. La polemica tra i due investì anche la sfera
religiosa, con risse verbali e reciproche accuse, alle quali partecipò anche
Marcello Squarcialupi, amico del B., e solo l'intervento del nuovo re
Sigismondo III Vasa (1587-1632) prosciolse B. dalle accuse: il sovrano lo
nominò inoltre suo medico personale, elevandolo successivamente perfino ad
un titolo nobiliare. Al Simoni, sconfitto su tutta la linea, non rimase
altro che riparare in Moravia.
Il B., per il resto della sua vita, si adoperò a favore di tutti gli eretici
perseguitati e, in particolare, degli esuli italiani, come Giovanni Paolo
Alciati della Motta, Giovanni Bernardino Bonifacio, marchese di Oria (che
ospitò nel 1584), o Fausto Sozzini, di cui diventò amico fraterno e che
nominò come uno dei suoi eredi.
Morì nel 1599.


La dottrina
E' molto difficile definire la dottrina del B., alquanto individualista,
razionalistica (gli argomenti razionali erano le uniche armi valide contro
gli eretici) ed estranea ad ogni dogma religioso. Era convinto che era
necessario vivere secondo coscienza, interpretando il Vecchio ed il Nuovo
Testamento a modo proprio, come ebbe a rilevare uno dei grandi avversari dei
riformatori italiani esuli in Polonia, il cardinale Alberto Bolognetti,
nunzio apostolico in Polonia dal 1581 al 1585, con il quale, seppur da due
posizioni ideologiche diverse, B. mantenne un rapporto di reciproca stima.


Butzer (Bucero), Martin (1491-1551)



Martin Kuhhorn o Butzer (nome umanistico Bucero) nacque a Schlettstadt
(Sélestat) in Alsazia l'11 Novembre 1491.
Dopo aver ricevuto una prima educazione di base alla scuola di latino della
sua città, B., all'età di quindici anni (nel 1506) entrò nell'ordine
domenicano, dove proseguì gli studi diventando prete. Successivamente fu
inviato all'università di Heidelberg dove si iscrisse alla facoltà di
teologia nel 1517.
L'anno seguente (1518) durante un incontro dell'ordine agostiniano, B. ebbe
l'opportunità di ascoltare Martin Lutero, che esponeva la propria dottrina e
ne fu talmente conquistato che nel 1521 chiese al Papa Leone X (1513-1521),
ed ottenne, la dispensa dai voti monastici.
Sempre nel 1521 B. si trasferì a Magonza (Mainz), diventando cappellano di
corte del principe elettore del Palatinato, Luigi V, detto il Pacifico
(1508-1544), ma già l'anno dopo fu nominato pastore a Landstuhl, vicino a
Kaiserslauten: qui si sposò con l'ex suora Elizabeth Silbereisen.
Tuttavia a causa della sua intensa attività di predicazione riformista, egli
fu scomunicato e trovò un primo rifugio nel castello di Weissenburg
(Wissembourg), in bassa Alsazia, di proprietà del cavaliere Franz von
Sickingen (1481-1523), difensore di molti riformisti e dissidenti, come
Johannes Reuchlin e Johannes Ecolampadio.
Successivamente, nel 1523, B. si trasferì a Strasburgo, dove la Riforma era
stata da poco introdotta con successo dal predicatore Mathias Zell
(1477-1548), nonostante diversi tentativi di assassinarlo.
A Strasburgo B. lavorò per venticinque anni come principale predicatore
della città, collaborando con gli altri noti riformisti, come il già citato
Zell, Wolfgang Capito (1478-1541) e Caspar Hedio (1491-1552). Egli si attivò
anche per una riforma della vita non solo ecclesiastica, ma anche sociale
della città, ed in questo fu sorretto da Jacob Strum (m. 1553), che divenne,
a livello del consiglio cittadino, il più accesso sostenitore della causa
protestante.
Nel 1527 B. pubblicò un libro di teologia, che influenzò notevolmente
Calvino, con il quale aveva in comune le stesse idee sulla predestinazione e
sul ruolo dello Spirito Santo.
Nel Giugno 1528 si tenne a Berna i cosiddetti Colloqui, con una massiccia e
qualificata partecipazione protestante svizzera (Zwingli, Berthold Haller,
Ecolampadio, Franz Kolb, Capito e B. stesso), alla quale i cattolici
contrapposero una delegazione non di grande rilievo, scelta dettata da una
serie di rifiuti alla partecipazione da parte degli ecclesiastici e dei
teologi cattolici più noti, come ad esempio Eck. Il risultato fu una
scontata vittoria dei riformatori e la redazione, a cura di Haller, delle
dieci tesi di Berna.
Come pensiero riformatore, B. aderì alla corrente zwingliana, ma ciò non gli
impedì, in varie occasioni, di cercare di agire come mediatore tra le
posizioni svizzere e quelle tedesche luterane. B. fu infatti uno degli
artefici dei colloqui di Marburg del 1529 tra Lutero e Zwingli per dirimere
la questione dei valore attribuito al sacramento dell'Eucaristia, pur
conclusisi con un nulla di fatto.
Nell'anno successivo, 1530, egli fu uno dei protagonisti della prima dieta
di Augusta, dove, assieme ai riformisti delle città di Costanza, di
Memmingen e di Lindau, presentò la Confessio Tetrapolitana (cioè, per
l'appunto, delle quattro città). La riunione si concluse con la
conciliatoria Confessio Augustana, tracciata da Philipp Melantone, che
tuttavia B. non accettò.
Ciò nonostante, la pace, almeno formale e di breve durata, tra Lutero e
Zwingli avvenne nel 1536 alla Concordia di Wittenberg, dove perlomeno si
ottenne un accordo, per quanto concerne l'Eucaristia, tra i luterani
tedeschi del nord e i riformatori della Germania del sud, capitanati da B.
stesso. Alla stesura dei cosiddetti Capitoli di Concordia, B. fu aiutato dal
riformatore italiano Bartolomeo Fonzio, un suo fedele collaboratore.
Dal 1538 al 1541, B. ebbe la possibilità di confrontarsi con Calvino, che
risiedeva a Strasburgo, dopo essere stato mandato in esilio da Ginevra.
Nel 1540, B. fu purtroppo protagonista, assieme a Lutero e Melantone,
dell'assenso alla bigamia del Langravio Filippo di Assia (Hesse)(1504-1567),
fatto che provocò un grave scandalo.
L'anno successivo (1541) la moglie Elizabeth Silbereisen morì di peste e B.
sposò la trentanovenne Willibrandis Rosenblatt, precedentemente vedova di
ben 3 riformatori: Ludwig Keller (Cellarius), Johann Ecolampadio e Wolfgang
Capito! Willibrandis gli diede 3 figli.
Negli anni successivi, B. partecipò a diverse conferenze tra cattolici e
protestanti (Hagenau 1540 e Regensburg 1541) e tentò inutilmente, nel 1542,
assieme a Melantone, di portare la Riforma a Colonia (Köln).
Nel 1548 B. respinse l'interim di Augusta, la formula dottrinale provvisoria
fra protestanti e cattolici in attesa delle risultanze del Concilio di
Trento. In seguito a ciò, dovette lasciare Strasburgo: diversi riformatori
come Calvino e Melantone gli offrirono ospitalità, ma egli decise di
accettare l'offerta dell'arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer di
stabilirsi in Inghilterra, dove si recò nel 1549.
Qui B. fu altamente apprezzato sia da Cranmer che dal re Edoardo VI
(1547-1553) e finì i suoi giorni come professore di teologia a Cambridge,
dove lavorò alla sua opera De regno Christi e contribuì alla stesura del
Book of Common Prayer (il fondamentale libro delle funzioni religiose
anglicane).
B. morì il 28 Febbraio 1551 a Cambridge, ma non ebbe vita tranquilla,
neanche da morto: infatti nel 1556, sotto il regno della regina Maria Tudor
la Cattolica (detta la Sanguinaria) (1553-1558), la sua tomba fu distrutta e
le sue ossa bruciate sul rogo.
Toccò alla sorellastra di Maria, la regina Elisabetta I (1558-1603) di far
restaurare la tomba di B. con tutti gli onori dovuti.
B. fu, dopo Lutero e Melantone, il più influente dei riformatori tedeschi,
presso i quali si distinse nel tentativo di conciliare posizioni spesso non
coincidenti. Si può inoltre attribuire a B. il ruolo di ponte tra la Riforma
tedesca e quella inglese, che lui poté influenzare negli ultimi anni della
sua vita.



Budny, Symon (1533-ca.1584)



Symon Budny, nato nel 1533 da una famiglia di religione ortodossa vicino a
Zabludnae, in Bielorussia (oggi Belarus, ma allora parte del regno
polacco-lituano), studiò e si laureò all'università di Cracovia. Filosofo
umanista e uomo dotato di vasta cultura, B. parlava fluentemente svariate
lingue, tra cui il bielorusso, polacco, ceco, italiano, latino, greco ed
ebraico.
Dopo aver completato gli studi, nel 1562 B. fu chiamato ad occupare il posto
di pastore calvinista a Kleck (in Bielorussia) dal duca Nicola Radzivil,
detto il Nero (1515-1565), gran ciambellano della corte del re Sigismondo II
Iagellone, detto Augusto (1548-1572) e sostenitore del calvinismo. Qui nel
1562 B. diede alle stampe il suo Cathehesis (Catechismo), il primo del
genere scritto in bielorusso e con evidenti aspetti polemici contro la
religione ortodossa e contro i suoi preti, colpevoli di non saper spiegare
le idee cristiane ai fedeli, abilità che egli riconobbe sempre ai rabbini
ebrei.
Nel 1572 B., cambiando lingua, B. pubblicò in polacco una traduzione della
Bibbia in quanto non riteneva che le versioni circolanti fossero state
preparate in accordo ai testi originari.
Poco dopo, però, B. abbandonò la fede calvinista per accostarsi alle idee
antitrinitariane, che presentò nel suo libro O opravdanii greshnogo
cheloveka pred Bogom (Della giustificazione dei peccatori davanti a Dio).
Inoltre, non avendo apprezzato le correzioni apposte, ma non autorizzate da
lui, nel testo della sua Bibbia del 1572, B. pubblicò nel 1574 una
traduzione solo del Nuovo Testamento, evitando riferimento alla Trinità
secondo il suo nuovo credo religioso. Questi atti gli costarono la condanna
e la revoca del posto come pastore da parte del sinodo calvinista e il
brusco congedo da parte del suo protettore Radzivil.
A quel punto, senza appoggi ed in una condizione economica disperata, B.
lasciò Kleck per recarsi nei territori del potente magnate o atarost
(proprietario terriero) della Samogizia (regione occidentale della
Lituania), Jan Stanislawowicz Kiszka (1579-1589), protettore di pensatori
antitrinitariani, come Petrus Gonesius. Nei territori di Kiszka, B. fece un
proselitismo molto diffuso.
Per B., caposcuola di una delle quattro correnti antitrinitariane polacche
(gli altri erano Stanislao Farnowski o Farnovius, (m.1615), Martin Czechowic
e Grzegorz Pawel) credeva che Cristo fosse stato un uomo come tutti gli
altri ed che fosse idolatria adorarlo.
A causa di questo e nonostante il suo vasto seguito in Lituania, B. venne
scomunicato sia dai cattolici che dai calvinisti.
B. morì nel 1584 ca.


Fanini, Fanino (o Fannio, Camillo) (ca. 1520-1550)



La vita
Fanino Fanini (o Camillo Fannio) nato a Faenza nel 1520 circa da una agiata
famiglia di fornai, era il primogenito dei tre figli di Melchiorre Fanini
(m. 1546) e Chiara Brini. Nel 1542 F. sposò Barbara Baroncini, da cui ebbe
due figli, Giovanni Battista e Giulia, ed intraprese il mestiere di
famiglia, ma poco dopo iniziò ad interessarsi alle idee calviniste,
probabilmente in seguito alla lettura del Beneficio di Christo di Benedetto
Fontanini da Mantova e della Tragedia intitolata libero arbitrio di
Francesco Negri da Bassano, e, dopo la conversione, si diede ad un'intensa
attività di propaganda.
Fu arrestato nel 1547 e processato dall'inquisitore Alessandro da Lugo, ma
fu liberato "per pietà" e bandito da Faenza e dallo Stato della Chiesa.
Tuttavia F. rimase in Romagna e, associatosi agli evangelisti Barbone
Morisi, Giovan Matteo Bulgarelli, Alessandro Bianchi e Nicola Passerino,
fece una massiccia propaganda calvinista a Lugo, Imola e Bagnacavallo, dove
fecero proselitismo perfino nel convento femminile di Santa Chiara.
I punti principali delle prediche semplici, ma efficaci, di F. furono la
negazione dei sacramenti dell'Eucaristia e dell'Ordinazione, della messa e
dell'intercessione dei santi, della recita del rosario e della pratica del
digiuno, ma a Bagnacavallo il 27 febbraio 1549 F. fu arrestato per la
seconda volta e recluso nella rocca di Lugo per diciotto mesi, ed in seguito
venne trasferito a Ferrara per il processo. Tuttavia immediatamente dopo
l'arresto il cardinale Alessandro Farnese (1520-1589), nipote del Papa Paolo
III (1534-1549), chiese l'estradizione del prigioniero a Roma: era l'inizio
di un lungo tira e molla tra il papato e il duca di Ferrara Ercole II d'Este
(1543-1559), geloso della sua autonomia giudiziaria. Anche durante il
processo, il duca riuscì infatti a far affiancare l'inquisitore di Ferrara
Girolamo Papino da un domenicano, un francescano, ma soprattutto da tre
giudici "laici" nominati dalla corte ducale.
Il processo, comunque, si concluse il 25 settembre 1549 con la condanna al
rogo di F., eppure il duca fu notevolmente recalcitrante nel far eseguire la
sentenza, anche per una inusitata corsa alla solidarietà con tentativi di
far liberare il fornaio faentino da parte di illustri personaggi dell'epoca,
come il famoso capitano di ventura Camillo Orsini(1491-1559), la nuora
Lavinia Franciotti della Rovere Orsini e Olimpia Morato: le ultime due,
probabilmente sollecitate dalla duchessa Renata, moglie di Ercole II,
cercarono di intercedere presso il duca nella primavera 1550 e visitarono il
prigioniero in carcere per portargli l'elemosina della duchessa.
Perfino Renata in persona cercò di intervenire presso il marito, tuttavia
essendo già in odore di eresia calvinista (sarebbe stata poi relegata nel
palazzo di San Francesco, denominata per questo Palazzo della Duchessa), il
suo tentativo fu vano, se non ulteriormente compromettente per la sua
posizione a corte.
Dopo l'elezione del nuovo papa, Giulio III (1550-1555) nel febbraio 1550, il
duca fu fatto oggetto di pressioni e ricatti da parte del famigerato
inquisitore cardinale Giovanni Pietro Carafa, poi Papa Paolo IV (1555-1559):
Carafa alluse che se Ercole non avesse acconsentito all'esecuzione di F.,
l'Inquisitore Generale avrebbe aperto un procedimento contro la duchessa
Renata d'Este.
A questo punto, per scaricarsi la responsabilità, Ercole si fece mandare da
Giulio III una breve di autorizzazione alla condanna a morte di F.: il
povero fornaio, nonostante un tentativo della moglie e dei figli di
convincerlo ad abiurare, fu giustiziato mediante impiccagione, seguita dal
rogo, a Ferrara il 22 agosto 1550.


Le reazioni all'esecuzione
F. fu subito eletto ad esempio di martire protestante da parte di diversi
riformatori, come Francesco Negri, che scrisse nel 1550 De Fanini faventini
ac Dominici bassanensis morte (..) in merito all'esecuzione capitale del
fornaio di Faenza e di Domenico Cabianca da Bassano, conterraneo di Negri.
Anche Giulio Della Rovere esaltò la figura di F. nella seconda edizione
della sua popolare Esortazione alli dispersi per l'Italia, titolo poi
modificato in Esortazione al martirio, testo in cui spingeva i potenziali
martiri della fede riformata ad affrontare la morte.
Anche all'estero, e più precisamente a Ginevra, la vita ed il martirio di F.
furono descritti nel martirologio calvinista Actiones et monimenta martyrum
e nelle Icones di Théodore de Bèze.


Bullinger, Johann Heinrich (1504-1575)



Johann Heinrich Bullinger nacque nel 1504 a Bremgarten, nel cantone di
Argovia, in Svizzera.
Studiò per quattro anni con i monaci certosini ad Emerich (Germania), ma fu
successivamente convertito alla Riforma da Ulrich Zwingli, di cui divenne un
fervente seguace, sposandone la figlia e subentrando a questi nella guida
della Chiesa riformata di Zurigo, dopo la tragica morte di Zwingli durante
la battaglia di Kappel del 1531.
Il suo principale impegno fu quello di evitare il riassorbimento del
pensiero del suo maestro nel più popolare calvinismo, di cui non condivideva
la dottrina della predestinazione (non che lo rifiutasse in toto, ma non
poteva credere che Dio volesse la dannazione dei peccatori), i rapporti
troppo stretti con l'autorità civile, e il concetto di una partecipazione
reale di Cristo nell'Eucaristia.
A proposito di quest'ultimo argomento, nel 1549 B. firmò il Consensus
Tigurinus assieme a Calvino e Farel: nell'accordo non si faceva menzione del
termine substantia, (sebbene il termine presenza reale fosse rimasto nel
testo) un successo comunque per B, che era riuscito a portare Calvino su
posizione più vicine all'interpretazione simbolica dell'Eucaristia, cara a
Zwingli. Tuttavia resta sempre il dubbio che i riformatori ginevrini abbiano
accettato il compromesso dottrinale per un'opportunità politica: quella di
non isolare la loro città dal resto della Svizzera riformata. Nuovamente,
dopo la morte di Calvino, anche il suo successore, il diplomatico Théodore
di Béze, impegnato in una disputa sull'Eucaristia con B., preferì non
insistere sulle sue posizioni per mantenere l'unità della Chiesa riformata.
Nel 1563 B. fu favorevole al Catechismo di Heidelberg (1563): questo testo,
benché scritto dai calvinisti Caspar von der Olewig (Olevianus o Olevian)
(1536-1585) e Zacharias Beer (Ursinus) (1534-1583), non faceva menzione alla
dottrina delle predestinazione e per quanto concerne l'Eucaristia, si
allineava più sulle posizioni zwingliane. Il Catechismo di Heidelberg
influenzò poi il testo della Seconda Confessio Helvetica del 1566, scritto
da B. stesso, in risposta ad una richiesta dell'Elettore-Palatino Federico
III, detto il Pio (1559-1576), che aveva annunciato la sua adesione al
calvinismo nel 1563.
B., saggio e moderato, godeva di grande prestigio all'estero, presso la
Chiesa riformata scozzese di John Knox, in Francia con l'amico filosofo
Pierre de la Ramée (Ramus) (1515-1572), nei Paesi Bassi, dove i suoi scritti
erano molto popolari, e, grazie all'amico John Hooper, negli ambienti
anglicani: quando Pio V (1566-1572) confermò la scomunica di Elisabetta I
d'Inghilterra (1558-1603), fu B. ad aiutare la regina inglese a preparare
un'adeguata risposta. Del resto proprio il riformatore zurighese ospitò
alcuni vescovi riformati inglesi profughi in Svizzera, in occasione delle
persecuzioni durante il regno della sorella cattolica di Elisabetta, Maria
Tudor, detta la Sanguinaria (1553-1558).
L'atteggiamento di B. nei confronti delle frange radicali fu non sempre
costante: da una parte amico dell'antitrinitariano Lelio Sozzini, dall'altra
dapprima ammiratore, ma successivamente avversario del movimento
anabattista, soprattutto dopo le atrocità compiute a Münster.
B. morì a Zurigo nel 1575.



Bunyan, John (1628-1688)



John Bunyan
Lo scrittore religioso John Bunyan nacque a Harrowden, nella parrocchia di
Elstow, vicino a Bedford (Inghilterra) nel novembre 1628. Dopo un breve
periodo di studi presso la scuola locale, B. iniziò a praticare il mestiere
di stagnino, lo stesso del padre.
Nel 1644 B. si arruolò nell'esercito parlamentare, dove rimase fino al 1647;
ritornato a casa, egli si sposò nel 1649 andando a vivere a Elstow fino al
1655, anno in cui morì la moglie. Nel frattempo egli incominciò a leggere
libri ad argomento religioso e ad approfondire lo studio della Bibbia: poco
dopo B. aderì ad una congregazione battista indipendentista e fu
ribattezzato per immersione nel fiume Ouse nel 1653.
Iniziò la sua carriera religiosa come diacono nel 1655 ed entrò in polemica
con i quaccheri di George Fox, diventando scrittore per difendere le proprie
idee religiose. In seguito B. divenne un predicatore laico, ma nel 1658 fu
accusato di predicare senza una licenza. Avendo insistito nonostante il
richiamo precedente, B. fu arrestato e incarcerato a Bedford, dove rimase in
prigione per 12 anni.
Durante il periodo di carcerazione, B. scrisse nove libri, dei quali il più
conosciuto fu Grace abounding to the Chief of Sinners (grazia che abbonda al
capo dei peccatori), una sorta di autobiografia spirituale.
Nel gennaio 1672 B. fu liberato e nello stesso mese fu nominato pastore
della chiesa battista di Bedford, ma nuovamente nel 1675 venne imprigionato,
come la volta precedente, per il solito motivo, ma per sua fortuna trascorse
questa volta solo sei mesi in carcere. In questo secondo periodo di galera,
B. scrisse la prima parte del suo più famoso libro The Pilgrim's Progress
from this world to that which is to come (il viaggio del pellegrino da
questo mondo verso quello che deve ancora venire), più noto semplicemente
come Pilgrim's Progress e considerato uno dei grandi capolavori della
letteratura inglese.
Nell'agosto 1688, mentre si recava a Londra, B., a causa di un acquazzone,
prese un colpo di freddo, che gli risultò fatale: morì infatti il 31 agosto
1688 a Snow Hill.


Pilgrim's Progress
Il libro fu scritto sotto forma di romanzo allegorico che descriveva le
tribolazioni subite e le persone incontrate dal pellegrino cristiano nel suo
viaggio dalla Città della Distruzione alla Città Celeste. Ebbe un successo
incredibile: situazioni descritte come il Pantano dello scoramento (Slough
of Despond), e personaggi come il Signor Saggio-mondano (Mr. Wordly-Wiseman)
entrarono nel linguaggio comune dell'Inghilterra dell'epoca.
La prima parte venne pubblicata nel 1678 e nei seguenti sette anni, venne
ristampata per ben otto volte, mentre la seconda parte venne completata nel
1684. Il romanzo fu un vero bestseller dell'epoca (si calcola che giravano
più di centomila copie del libro), letto non solo in Inghilterra, ma anche
nelle colonie americane, in Olanda e presso gli ugonotti francesi.


Buonagrazia, Girolamo (1470-1541)



Il medico Girolamo Buonagrazia, nato a Firenze nel 1470, entrò, da giovane,
nel partito dei piagnoni, i sostenitori del domenicano Girolamo Savonarola
(il nome derivava dalle lacrime che versavano ad ogni sermone del
predicatore ferrarese).
Nel 1494 Savonarola creò la repubblica teocratica di Firenze, cacciando
Pietro de' Medici (l'indegno figlio di Lorenzo il Magnifico): l'attivo B. fu
anche firmatario di una petizione inviata nel luglio 1497 da 365 fiorentini
a Papa Alessandro VI (1492-1503) in difesa delle dottrine del Savonarola.
Comunque, anche dopo la tragica morte di quest'ultimo nel 1498, B. rimase
nell'animo profondamente savonaroliano e repubblicano, nonostante che i
Medici riprendessero il potere in città nel 1512.
Negli anni successivi, B. si dedicò alla professione medica, ma anche alla
lettura entusiasta, fin dal 1523, degli scritti di Martin Lutero.
Il 6 maggio 1527 avvenne il Sacco di Roma e, dieci giorni dopo, Firenze
insorse, cacciando nuovamente i Medici, questa volta nella figura del duca
Alessandro, pronipote di Lorenzo il Magnifico, al potere dal 1525. Per la
sua fama di convinto repubblicano, B. fu subito investito di alte cariche
nella neonata repubblica.
In questo periodo B. scrisse una lettera (andata persa) a Lutero, ormai
sostituitosi nella sua mente al Savonarola come colui che poteva attuare la
rennovatio ecclesiae del Cristianesimo.
Ma, nell'ottobre 1530, Alessandro de' Medici (duca 1525-1527 e 1530-1537)
riconquistò Firenze con l'aiuto delle truppe imperiali, e l'anno dopo B. fu
accusato di eresia luterana, ma in realtà si voleva fargli pagare la sua
partecipazione alla cacciata dei Medici dalla città. Durante gli
interrogatori, B., amareggiato per la fine della repubblica, si sfogò con il
camaldolese Domenico Bencivenni, manifestando la sua intenzione di emigrare
in Germania da Lutero, se fosse stato esiliato.
Il processo si concluse nel dicembre 1531 con la condanna ad una consistente
penitenza e all'esilio da Firenze, dove però ritornò, dopo essere stato
graziato, e dove morì nel 1541.


Galilei, Galileo (1564-1642)



I primi anni
Il famoso scienziato Galileo Galilei nacque a Pisa il 15 febbraio 1564,
primogenito dei sette figli di Vincenzo Galilei (ca. 1525-1591), un nobile
caduto in miseria, di origine fiorentina, che si era guadagnato una certa
notorietà come liutista, teorico della musica e matematico, e di Giulia
Ammannati (1538-1620). Nonostante che il giovane G. si interessasse ben
presto alla matematica e alla meccanica, il padre decise, nel 1581, di
iscriverlo alla facoltà di medicina dell'università di Pisa, che il figlio
frequentò per quattro anni senza però ottenere alcun titolo accademico.


I primi studi fisici e matematici
G. proseguì invece privatamente nei suoi studi preferiti con il matematico
della corte medicea Ostilio Ricci (1540-1603), che convinse Vincenzo Galilei
di permettere al figlio di abbandonare medicina per intraprendere gli studi,
per l'appunto, di matematica, nella quale il giovane ottenne brillanti
risultati. Infatti, come racconta un noto aneddoto, nel 1583 osservando le
oscillazioni di una lampada nella cattedrale di Pisa, G. formulò la sua
teoria sull'isocronismo delle oscillazioni della pendola.
Nel contempo egli fu influenzato dal pensiero del suo professore Francesco
Buonamici (ca. 1530-1603), che gli instillò la convinzione che solo
l'esperienza fisica poteva stabilire la verità o la falsità delle tesi
formulate in maniera teorica. Nel 1586 G. realizzò una stadera idrostatica
per la determinazione del peso specifico (gli studi vennero pubblicati nel
trattato La bilancetta) e nel 1588 un trattato sulla gravità nei solidi gli
permise di occupare una cattedra di matematica all'università di Pisa dal
1589, ma poco dopo entrò in conflitto con gli studiosi aristotelici
dell'università, quando dimostrò, pare dall'alto della torre di Pisa, la
falsità della teoria che la velocità di caduta di un solido fosse
proporzionale al proprio peso, dimostrando invece che dipendeva dalla
diversa resistenza all'attrito dell'aria.
Le polemiche che ne seguirono convinsero G. di trasferirsi dapprima a
Firenze, e poi, grazie all'interessamento di amici nel Senato di Venezia, a
Padova, dove fu nominato nel 1592 cattedratico di matematica, posto che
mantenne fino al 1610. Il periodo di G. a Padova fu inoltre allietato dalla
nascita, tra il 1600 ed il 1606, dei suoi tre figli, Virginia, Livia e
Vincenzo, avuti dalla sua compagna, la veneziana Marina Gamba.


Gli studi astronomici
Nell'estate 1609, G. mise a punto un telescopio (seguito nel periodo 1619-24
dal microscopio o occhialini, come li chiamava lui), che tuttavia non fu
inventato, come spesso si crede, dal matematico pisano, bensì  dal
fabbricante di occhiali olandese Hans Lippershay, o Lipperhey (m. 1619), che
ne aveva depositato il brevetto il 2 ottobre 1608. Comunque, con questo
strumento G. iniziò una serie di osservazioni astronomiche che lo resero
celebre. Vide infatti che la Luna non era affatto una sfera perfettamente
liscia, ma della stessa natura della Terra, che la Via Lattea non era altro
che un ammasso di stelle, che Giove aveva un sistema di satelliti, da lui
denominati "stelle medicee" in onore di Cosimo II de' Medici (1609-1621). In
seguito egli scoprì gli anelli di Saturno, le fasi di Venere e le macchie
solari.
Tutte queste scoperte, riassunte nel Sidereus Nuncius del 1610 e
nell'Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari del 1612, misero in
crisi la tesi aristotelica della fissità della Terra e dell'unicità del
centro dei movimenti cosmici e rafforzarono la convinzione di G. nella bontà
della criticata teoria eliocentrica di Niccolò Copernico (1473-1543).
Nonostante ciò, G. fu ammirato, anche dalla stessa Chiesa, per le sue
scoperte e nel 1610 accettò la cattedra di matematica all'università di
Pisa.


Le accuse
Eppure una parte del mondo accademica aristotelico e del clero mal
sopportavano i suoi enunciati e lanciarono una campagna di pesanti accuse
contro il pisano. Iniziò il filosofo anti-copernicano Ludovico delle Colombe
(1565-ca. 1616), al quale seguì nel 1612 il predicatore domenicano Niccolò
Lorini, che accusò G. di eresia, e l'anno dopo, un altro domenicano Tommaso
Caccini (1574-1648) si recò perfino a Roma per esporre all'Inquisizione le
sue accuse contro G.
Quest'ultimo incominciò a preoccuparsi di questa situazione e scrisse, tra
il 1613 ed il 1615, quattro lettere (le cosiddette "lettere copernicane")
rispettivamente una all'amico Benedetto Castelli (1578-1643), due a
monsignor Pietro Dini (futuro arcivescovo di Fermo: 1621-1625) e una alla
granduchessa madre Cristina di Lorena (1565-1636), in cui egli si difese,
affermando l'autonomia della scienza dalla metafisica, e ribadendo che
alcuni punti delle Sacre Scritture erano stati scritti in forma volutamente
allegorica per i lettori culturalmente più semplici e che il testo non
sempre doveva essere preso alla lettera, in particolare per quanto
concerneva la natura.
Nonostante le argomentazioni di queste lettere e benché il Duca di
Acquasparta, Federico Cesi (1585-1630), fondatore dell'Accademia dei Lincei
nel 1603, lo mettesse in guardia di non esporsi troppo, nel febbraio 1616 G.
fu convocato a Roma per ordine del Papa Paolo V (1605-1621) ed il cardinale
gesuita Roberto Bellarmino (1542-1621) (persecutore di Giordano Bruno e di
Tommaso Campanella) lo ammonì ufficialmente, attraverso un decreto del
Tribunale dell'Inquisizione, a non difendere l'astronomia copernicana in
quanto contraria alle dottrine della Chiesa: G. dovette obtorto collo
adeguarsi alle direttive papali.


Nuove accuse ed il processo
Tuttavia sette anni dopo, nel 1623, approfittando di una situazione
all'apparenza meno repressiva [nel 1621 era morto Bellarmino ed era salito
al potere nel 1623 il nuovo papa, amico di G. e senz'altro di visioni più
ampie di Paolo V, Urbano VIII (1623-1644)], G. scrisse Il saggiatore,
dedicandolo proprio al nuovo pontefice. Il libro, prendendo spunto da una
polemica con il matematico e architetto gesuita Orazio Grassi (1583-1654)
circa la natura delle comete, riportava invece la sua teoria della
conoscenza, dove, tra l'altro, venne ribadita la superiorità della natura ed
il rifiuto metodologico a riferirsi ad autorità precostituite o a sacri
testi, una vera stoccata polemica non tanto contro Aristotele, quanto contro
la scuola aristotelica dell'epoca e contro i gesuiti.
Poiché l'accoglienza del libro sembrò positiva, G. osò spingersi oltre,
arrivando a pubblicare nel febbraio 1632 il suo capolavoro, il Dialogo sopra
i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano: il dialogo,
articolato in quattro giornate, riportava le discussioni in tema di
astronomia, moto dei corpi e fenomeno delle maree, di tre studiosi,
l'aristotelico e tolemaico (quindi per G. altamente criticabile) Simplicio,
il giovane acuto e imparziale Sagredo e il copernicano Salviati (nel quale
si può identificare lo stesso G.). Tuttavia nelle conclusioni del libro G.
riportò, per bocca di Simplicio, il pensiero di Urbano VIII, secondo il
quale Dio, nella sua onnipotenza, può fare sì che i fenomeni osservati
convalidano (o meno) una teoria, e che quindi l'osservazioni degli eventi
non può condurre per forza di cose alla verità.
La reazione del papa stesso non si fece attendere: non potendo essere
attaccato per il contenuto del libro, regolarmente accettato dalla censura
ecclesiastica, nell'ottobre 1632 G. fu convocato a Roma da parte del Santo
Uffizio con l'accusa di non aver rispettato l'ordine di Bellarmino del 1616
di non difendere la teoria copernicana.
G. fu quindi processato e, sotto la minaccia della tortura, dovette abiurare
il 22 giugno 1633 in Santa Maria della Minerva. Secondo la leggenda, G.,
alzatosi in piedi dopo l'abiura, pronunciò a bassa voce la frase E pur si
muove, con riferimento al moto della Terra.


Il confino e la morte
Lo scienziato fu condannato al carcere perpetuo e venne trasferito dapprima
a Siena, sotto la custodia dell'amico e protettore arcivescovo Ascanio
Piccolomini (1597-1671), ma, pochi mesi più tardi, gli fu permesso di
trasferirsi nella sua villa di Arcetri, vicino a Firenze, dove visse fino
alla sua morte.
Riuscì ancora a far pubblicare nel 1638 a Leida, in Olanda, i suoi Discorsi
e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, attinenti alla
meccanica e i movimenti locali, e a ospitare alcuni allievi, come il suo più
fedele allievo Vincenzo Viviani (1622-1703), autore della Vita di Galileo,
ed Evangelista Torricelli (1608-1647), l'inventore del barometro, ma gli
ultimi anni furono resi dolorosi sia dalla morte nel 1634 della figlia
Virginia (1600-1634), diventata una religiosa carmelitana con il nome di
suor Maria Celeste e unico suo conforto durante il processo e nel periodo
immediatamente successivo, che dalla cecità progressiva, divenuta totale da
partire dal 1638.
G. morì ad Arcetri l'8 gennaio 1642.


Colonna, Vittoria, marchesa di Pescara (1490-1547)



La vita
Vittoria Colonna, "la più famosa donna nell'Italia del `500", secondo una
definizione condivisa da molti autori, nacque nell'aprile 1490 (altri testi
citano il 1492) a Marino (in provincia di Roma), figlia primogenita del
famoso condottiero Fabrizio Colonna (1460-1520), Duca dei Marsi e di
Paliano, Marchese di Manopello e Gran Conestabile di Napoli [personaggio
immortalato nel dialogo Dell'arte della guerra di Niccolò Machiavelli
(1469-1527)], e di Agnese da Montefeltro (1470-1506), figlia del Duca di
Urbino, Federico II Maria da Montefeltro (1422-1482).
A cinque anni C. fu promessa in sposa a Ferrante Francesco d'Avalos
(1490-1525), figlio del marchese di Pescara, Alfonso d'Avalos d'Aquino e nel
1509 i due si sposarono a Ischia Castello senza praticamente essersi mai
visti: ciò nonostante, tra di essi nacque ben presto un grande amore,
perlomeno da parte di C.
I due sposi risiederono ad Ischia [la signoria dell'isola fu il loro dono di
nozze da parte del re di Napoli Ferdinando III d'Aragona (1503-1516)] fino a
1511, quando d'Avalos si arruolò nella Lega Santa contro la Francia: fu però
catturato durante la battaglia di Ravenna dell'aprile 1512 e inviato
prigioniero in Francia.
Dopo la sua liberazione, d'Avalos diventò uno dei più brillanti capitani
dell'esercito di Carlo V (1519-1558): il culmine della sua carriera militare
si ebbe con la famosa battaglia di Pavia del 24 febbraio 1525, durante la
quale fu però ferito gravemente. Egli morì a Milano nel novembre 1525,
proprio quando C. era in viaggio per raggiungerlo. Saputo della morte del
marito, C. cadde in una profonda depressione, meditando perfino il suicidio
[il poeta Francesco Berni (1497-1535) le scrisse perfino un sonetto per
dissuaderla dall'insano gesto].
Dopo il suo rientro ad Ischia, C. decise di ritirarsi in convento dapprima a
Roma presso le monache clarisse di San Silvestro in Capite, e , in seguito,
a Orvieto, nel convento di San Paolo. In quegli anni, C. entrò in rapporti
di amicizia con diversi ecclesiastici, che premevano per la riforma della
Chiesa, come Gaspare Contarini, Bernardino Ochino, Gian Matteo Giberti,
Pietro Bembo e Giovanni Morone, e riformatori che dibattevano sulla
giustificazione per fede, come Juan de Valdès.
Nel 1537 la marchesa si stabilì a Ferrara, dove aiutò Bernardino Ochino a
fondare un monastero di clarisse cappuccine, mentre nel 1539 C. rientrò a
Roma, dove conobbe e diventò grande amica di Michelangelo Buonarroti
(1475-1564), il quale, pur già abbastanza anziano per l'epoca (61 anni),
ebbe una vera passione spirituale per lei e le dedicò diversi suoi sonetti e
disegni: non è stato mai accertato però se il grande artista avesse anche
condiviso l'interesse per la Riforma di C., sicuramente, se lo fece,
mantenne comunque uno stretto atteggiamento nicodemitico.
Tuttavia la permanenza di C. a Roma fu bruscamente interrotta nel 1541 dalla
rivolta fallita di suo fratello Ascanio Colonna (1495-1555) contro il papa
Paolo III (1534-1549). Il pontefice aveva infatti esteso la tassa sul sale
anche alle terre che ne erano esenti per antichi privilegi, come ad esempio
quelle soggette ai Colonna. La protesta sfociò in una vera guerra, ma alla
fine il comandante delle truppe pontificie e figlio del pontefice stesso,
Pier Luigi Farnese (1503-1547), ebbe la meglio e Ascanio dovette andare in
esilio fino alla morte di Paolo III nel 1549.
Naturalmente questa sconfitta della sua famiglia costrinse C. a rientrare
nel suo convento di San Paolo a Orvieto. Dopo qualche mese, però, la
poetessa si trasferì a Viterbo nel convento di Santa Caterina. E lì che
conobbe il cardinale inglese Reginald Pole (a cui essa fu molto devota) e la
cerchia di riformatori che frequentavano la sua casa, come Marcantonio
Flaminio, Alvise Priuli e Pietro Carnesecchi, con i quali la marchesa di
Pescara poté liberamente discorrere di problemi di fede e maturare le sue
convinzioni negli ideali valdesiani.
C. ritornò a Roma nel 1544 e continuò a mantenere contatti con riformati,
come il suo lontano parente Bartolomeo Spadafora, di passaggio a Roma nel
gennaio 1547, dove, presso la marchesa, conobbe Michelangelo Buonarroti, ma
dove venne purtroppo raggiunto da un mandato di comparizione per eresia
davanti al Tribunale siciliano dell'Inquisizione a causa dei suoi trascorsi
valdesiani.
Infine, C.  morì il 25 febbraio 1547 nel suo convento di San Silvestro in
Capite e la sua morte le risparmiò la grande stagione delle persecuzioni
contro gli spirituali, che iniziò durante il papato di Paolo IV (1555-1559).
Le sue ultime volontà furono di essere seppellita nel convento di Sant'Anna
de' Funari a Roma, ma è più probabile che il suo corpo sia stato traslato
accanto a suo marito a San Domenico a Napoli.
Poco dopo la sua morte, Benedetto Varchi scrisse il sonetto (Donna, che,
come chiaro a ciascun mostra .), dedicato a Caterina Cibo, ma dove la
duchessa di Camerino veniva associata a Juan de Valdés, Pietro Bembo e C.
come cercatori fortunati sulla strada della salvezza eterna dell'anima.


Le opere
C. è conosciuta più per essere stata un famoso personaggio sulla scena
dell'Italia del XVI secolo che per i suoi meriti come poetessa.
I suoi poemi elegiaci e d'amore per il marito (pubblicati a Parma nel 1538)
non mostrano un particolare talento, mentre le sue Rime spirituali, i
sonetti della maturità, come il Trionfo di Cristo, e la meditazione in prosa
Pianto sulla Passione di Cristo sono decisamente più interessanti,
soprattutto da un punto di vista religioso, e mostrano non solo l'influenza
dei padri della letteratura italiana, come Dante e Petrarca, ma anche del
pensiero di riformatori del `400, come Girolamo Savonarola, oltre,
naturalmente a quello di Valdès.


Burckhardt, Georg (Spalatino) (1484-1545)



Georg Burckhardt (nome umanistico: Spalatino), nacque il 17 Gennaio 1484 a
Spalt (da cui il suo nome umanistico), vicino a Norimberga. Studiò a Erfurt,
con il grande umanista Mutiano Rufo [nome umanistico del Conrad Mudt
(1471-1526), canonico di Gotha, in Turingia, e amico di Pico della Mirandola
e dello stampatore veneziano Aldo Manunzio] e a Wittenberg, laureandosi in
legge a Erfurt nel 1505.
Nello stesso anno, B. iniziò a lavorare come bibliotecario di un monastero a
Georgenthal, vicino a Gotha, mentre nel 1507 divenne pastore a Hohenkirchen,
nella Frisia orientale, ed infine, nel 1508, fu consacrato sacerdote, ma
considerò quest'ultimo atto come semplicemente la base per una maggiore
sicurezza economica.
Nel 1509, B. divenne tutore del giovane principe Giovanni Federico di
Sassonia alla corte di Federico III, detto il Saggio (1486-1525), il quale
apprezzò sempre più le sue caratteristiche, assegnandogli via via nuovi
incarichi: tutore dei principi Otto e Ernst di Brunswick-Luenenburg nel
1511-16, bibliotecario di corte nel 1512, fino a consigliere di maggiore
fiducia del Principe elettore di Sassonia dal 1516, con funzioni di
segretario, storiografo, confessore e cappellano di corte.
Nel frattempo B. conobbe Martin Lutero, probabilmente nel 1513, ed ebbe un
ruolo fondamentale per il successo della Riforma, avendo una notevole
influenza delle decisioni di Federico il Saggio.
Quando il 7 Agosto 1518 (10 mesi dopo l'affissione delle 95 tesi sulle
indulgenze) il Sacri Palatii Magister, il domenicano Silvestro Mazzolini da
Priero (1456-1527), invitò Lutero a recarsi a Roma per discolparsi, B. fece
delle pressioni perché il dibattito fosse mantenuto in Germania: infatti
questo invito venne variato da un "breve" del papa del 23 Agosto, che ordinò
a L. di recarsi ad Augusta (Augsburg) per farsi interrogare dal cardinale
domenicano Tommaso Caietano (1469-1534).
L'incontro avvenne il 12 Ottobre, ma Lutero non ritrattò nulla delle sue
affermazioni e Caietano cercò di farlo catturare o espellere dai territori
del principe di Sassonia, il tutto inutilmente grazie all'influenza di B.,
che fu decisivo anche dopo la bolla di scomunica Decet Romanum Pontificem
comminata nel 1520 a Lutero in seguito al rogo, davanti agli studenti di
Wittenberg, della precedente bolla Exsurge Domine di Papa Leone X
(1513-1521). B. infatti convinse Federico il Saggio a negare ogni richiesta
di estradizione per il riformatore.
Anche l'anno dopo, nel 1521, quando Lutero partecipò alla dieta di Worms, il
cui editto imperiale finale (8 Maggio) lo condannò, ordinando ai principi di
catturarlo e consegnarlo all'autorità imperiale e ordinando il rogo dei suoi
scritti, Federico il Saggio e B. architettarono il piano per portare Lutero
al sicuro nella rocca di Wartburg, mediante il suo finto rapimento eseguito
il 4 Maggio.
Nel 1525 B. divenne pastore di Altenburg (in Turingia), posto che egli
mantenne per 20 anni, fino alla sua morte.
Negli anni successivi, B. divenne un membro influente del Luteranesimo,
partecipando all'introduzione della Riforma in Sassonia nel 1526 e alla
stesura della Confessione di Augusta (Augsburg) del 1530, scrivendo gli
Annales reformationis, un elenco di fatti e personaggi della Riforma e
infine partecipando nel Dicembre 1536, su invito di Lutero assieme a
Johannes Schneider (Agricola) e Nikolaus von Amsdorf,  alla stesura degli
articoli di Smacalda, sollecitati dal principe elettore di Sassonia,
Giovanni Federico I (1532-1547) come risposta alla bolla papale Ad dominici
gregis di Papa Paolo III (1534-1549), e che diedero origine al trattato
omonimo.
B. morì il 16 Gennaio 1545 ad Altenburg.


Burlamacchi, famiglia



Famiglia di riformatori esuli lucchesi del XVI e XVII secolo.
La situazione di Lucca, centro di diffusione di testi luterani, introdotti
attraverso i contatti dei mercanti della seta e luogo di predicazione di
noti riformatori, come Bernardino Ochino, fu menzionata nella bolla papale
Licet ab initio di Papa Paolo III del 21 Luglio 1542, quella che istituì la
Congregazione del Santo Ufficio, o Inquisizione, come è più nota.
La pesante repressione che ne seguì mise in fuga svariati dissidenti, come
Pier Martire Vermigli, Celio Secondo Curione, Niccolò Balbani, Giovanni
Diodati ed intere famiglie, come, appunto, quella dei Burlamacchi.
Di questa famiglia si ricordano:


1) Burlamacchi, Michele (1532-1590)
Michele, figlio di Francesco Burlamacchi (accusato di un fallito complotto
anti-mediceo e decapitato a Milano il 14 febbraio 1548), riparò, assieme
alla moglie Chiara Calandrini, nel 1567, presso la duchessa Renata d'Este,
simpatizzante della causa calvinista, confinata nel suo castello di
Montargis, in Francia, in seguito alle accuse di eresia da parte del marito
Ercole II (1543-1559), e successivamente del figlio Alfonso II (1559-1597).
Dopo varie vicissitudini in Francia, culminate con la strage degli Ugonotti,
la notte di San Bartolomeo (23 Agosto 1572), M., assieme a Pompeo Diodati,
decise nel 1575 di recarsi a vivere a Ginevra. Morì a Saint Denis (vicino a
Parigi) nel 1590.


2) Burlamacchi, Filippo (1575-1644)
Uno dei 7 figli di Michele, di cui sono degne di menzione 3 delle figlie:
Renata (o Renea, in onore di Renata d'Este), nata a Montargis il 25 marzo
1568, autrice delle memorie del padre Michele e sposa di Cesare Balbani,
Camilla, moglie di Francesco Turrettini, e Maddalena, moglie di Giovanni
Diodati.
F. diventò famoso, non tanto per il credo religioso, quanto per la sua
professione di banchiere in Inghilterra, dove emigrò nel 1605 e da dove
intervenne per fornire mezzi e finanziamenti alla causa protestante durante
la Guerra dei Trent'anni.
Sposò, a Londra, Elisabetta, figlia di Giovanni Calandrini.


3) Burlamacchi, Vincenzo (1598-1682)
Vincenzo nacque a Ginevra nel 1598 ed era figlio di Fabrizio (1553-1598),
morto di peste quando il figlio aveva solo 2 mesi e capostipite dell'altro
ramo della famiglia Burlamacchi emigrato a Ginevra.
Nel 1618 V. partì per un lungo viaggio, dapprima per accompagnare un ormai
malato Giovanni Diodati, inviato in rappresentanza della città e della
chiesa di Ginevra, al sinodo di Dort (o Dordrecht), dove il pensiero
religioso di Arminio (Jacob Hermanzoon) fu duramente condannato. In seguito
V. soggiornò in Germania, Francia, Paesi Bassi e Inghilterra, dal quale
rientrò a Ginevra solo nell'aprile 1621.
Al suo rientro, V., dal 1622, iniziò la stesura del Libro di ricordi
degnissimi delle nostre famiglie, il libro che narrava delle vicende della
famiglia Burlamacchi, e che sarebbe stato aggiornata dagli eredi fino al
XVIII secolo.
Nel 1625 egli sposò Zabetta Turrettini, figlia di Francesco Turrettini,
genero di Michele Burlamacchi, come già sopra ricordato.
Egli si inserì attivamente nella vita pubblica di Ginevra, dal 1631 entrò,
assieme a suo figlio Fabrizio, a far parte ufficialmente della borghesia
cittadina, fu diacono e tesoriere della Borsa Italiana (la struttura
assistenziale della Chiesa Italiana) e fece parte anche del Consiglio dei
Duecento.
V. morì a Ginevra il 18 febbraio 1682.


Burlamacchi, famiglia



Famiglia di riformatori esuli lucchesi del XVI e XVII secolo.
La situazione di Lucca, centro di diffusione di testi luterani, introdotti
attraverso i contatti dei mercanti della seta e luogo di predicazione di
noti riformatori, come Bernardino Ochino, fu menzionata nella bolla papale
Licet ab initio di Papa Paolo III del 21 Luglio 1542, quella che istituì la
Congregazione del Santo Ufficio, o Inquisizione, come è più nota.
La pesante repressione che ne seguì mise in fuga svariati dissidenti, come
Pier Martire Vermigli, Celio Secondo Curione, Niccolò Balbani, Giovanni
Diodati ed intere famiglie, come, appunto, quella dei Burlamacchi.
Di questa famiglia si ricordano:


1) Burlamacchi, Michele (1532-1590)
Michele, figlio di Francesco Burlamacchi (accusato di un fallito complotto
anti-mediceo e decapitato a Milano il 14 febbraio 1548), riparò, assieme
alla moglie Chiara Calandrini, nel 1567, presso la duchessa Renata d'Este,
simpatizzante della causa calvinista, confinata nel suo castello di
Montargis, in Francia, in seguito alle accuse di eresia da parte del marito
Ercole II (1543-1559), e successivamente del figlio Alfonso II (1559-1597).
Dopo varie vicissitudini in Francia, culminate con la strage degli Ugonotti,
la notte di San Bartolomeo (23 Agosto 1572), M., assieme a Pompeo Diodati,
decise nel 1575 di recarsi a vivere a Ginevra. Morì a Saint Denis (vicino a
Parigi) nel 1590.


2) Burlamacchi, Filippo (1575-1644)
Uno dei 7 figli di Michele, di cui sono degne di menzione 3 delle figlie:
Renata (o Renea, in onore di Renata d'Este), nata a Montargis il 25 marzo
1568, autrice delle memorie del padre Michele e sposa di Cesare Balbani,
Camilla, moglie di Francesco Turrettini, e Maddalena, moglie di Giovanni
Diodati.
F. diventò famoso, non tanto per il credo religioso, quanto per la sua
professione di banchiere in Inghilterra, dove emigrò nel 1605 e da dove
intervenne per fornire mezzi e finanziamenti alla causa protestante durante
la Guerra dei Trent'anni.
Sposò, a Londra, Elisabetta, figlia di Giovanni Calandrini.


3) Burlamacchi, Vincenzo (1598-1682)
Vincenzo nacque a Ginevra nel 1598 ed era figlio di Fabrizio (1553-1598),
morto di peste quando il figlio aveva solo 2 mesi e capostipite dell'altro
ramo della famiglia Burlamacchi emigrato a Ginevra.
Nel 1618 V. partì per un lungo viaggio, dapprima per accompagnare un ormai
malato Giovanni Diodati, inviato in rappresentanza della città e della
chiesa di Ginevra, al sinodo di Dort (o Dordrecht), dove il pensiero
religioso di Arminio (Jacob Hermanzoon) fu duramente condannato. In seguito
V. soggiornò in Germania, Francia, Paesi Bassi e Inghilterra, dal quale
rientrò a Ginevra solo nell'aprile 1621.
Al suo rientro, V., dal 1622, iniziò la stesura del Libro di ricordi
degnissimi delle nostre famiglie, il libro che narrava delle vicende della
famiglia Burlamacchi, e che sarebbe stato aggiornata dagli eredi fino al
XVIII secolo.
Nel 1625 egli sposò Zabetta Turrettini, figlia di Francesco Turrettini,
genero di Michele Burlamacchi, come già sopra ricordato.
Egli si inserì attivamente nella vita pubblica di Ginevra, dal 1631 entrò,
assieme a suo figlio Fabrizio, a far parte ufficialmente della borghesia
cittadina, fu diacono e tesoriere della Borsa Italiana (la struttura
assistenziale della Chiesa Italiana) e fece parte anche del Consiglio dei
Duecento.
V. morì a Ginevra il 18 febbraio 1682.


Filadelfi, Società dei (Philadelphian Society) (1670-1730)



Una setta di mistici religiosi operanti a Londra nella seconda metà del
1600, fondati dal reverendo John Pordage e dalla behmenista Jane Leade (o
Lead).


John Pordage (1608-1681)
John Pordage, un uomo di chiesa molto devoto, era il rettore della chiesa di
Bradfield, vicino a Reading, nella contea inglese del Surrey,
Egli fu influenzato dalle idee del movimento familista di Henrik Niclaes, ma
soprattutto si appassionò agli scritti di Jacob Boehme, leggendoli
avidamente, man mano che venivano tradotti e pubblicati tra il 1644 ed il
1662.
Per queste sue idee, nel 1655 a P. furono sospesi i benefici per ordine dei
Triers, un corpo di commissari, fondato da Oliver Cromwell (1599-1658) e
preposto ad esaminare ed approvare predicatori e professori universitari
prima del loro insediamento. Solo nel 1660, con la restaurazione del re
Carlo II (1649-1685), egli fu reintegrato nella sua precedente funzione.
Nel 1663 P. incontrò Jane Leade e, insieme a lei, proprio per promuovere un
maggiore interesse verso il pensiero di Boehme, P. fondò nel 1670 il circolo
teosofico dei Filadelfi (The Philadelphians) dal nome della chiesa
menzionata nel seguente passo dell'Apocalisse di San Giovanni (Ap. 3,7):
All'angelo della Chiesa di Filadelfia scrivi:
Così parla il Santo, il Verace,
Colui che ha la chiave di Davide:
quando egli apre nessuno chiude,
e quando chiude nessuno apre.
Dopo la morte di P. nel 1681, Leade divenne, a tutti gli effetti, capo del
circolo.


Jane Leade (1623-1704)
Nata nel 1623 da una famiglia agiata di Norfolk, Jane Ward, nel 1638 all'età
di 15 anni, ebbe un'esperienza mistica quando, ballando durante una festa di
Natale, sentì una voce che le diceva: "Cessa tutto questo, Io voglio
condurti ad un altro ballo, poiché questo è solo Vanità". Da questo momento
L. divenne melanconica e si isolò dal mondo esterno, assumendo di fatto un
pensiero simile a quello della corrente dei quietisti, tutto ciò fino al
1643, quando sposò il mercante William Leade, con il quale ebbe quattro
figlie ed un matrimonio tutto sommato felice durato 27 anni.
Nel 1663 L. incominciò a frequentare il reverendo Pordage e nel 1670, dopo
la morte del marito, con lui fondò a Bradfield il circolo teosofico dei
Filadelfi (The Philadelphians) [in seguito Società dei Filadelfi per la
promozione della pietà e della filosofia divina (The Philadelphian Society
for the Advancement of Piety and Divine Philosophy)] diventandone la
profetessa.
Infatti nello stesso 1670, L. ebbe, per ben tre volte, una visione di una
dama, che si definiva la Vergine Sapienza (Sophia). In seguito annotò le sue
esperienze mistiche nel suo diario, dal titolo A Fountain of Gardens (una
fontana di giardini), dove tracciò le regole del circolo (dette Leggi del
Paradiso dal titolo di uno dei suoi numerosi libri) il cui scopo era di
"promuovere il Regno di Dio migliorando la vita, insegnando la moralità più
eccelsa e facendo valere il dovere della fratellanza universale, della pace
e dell'amore".
La dottrina di L. era una miscela di quietismo, come già detto, e di
dualismo behmenita. Inoltre ella credeva nella rigenerazione e nella
resurrezione delle anime, nella parusia (secondo venuta di Cristo) e
nell'apocatastasi (la salvezza per tutto il creato: angeli e uomini, anche
se peccatori o dannati, e demoni).
Nelle riunioni del circolo, gli aderenti praticavano, come i sufi
nell'Islam, una meditazione silenziosa o un ballo ritmico e armonico per
migliorare la disciplina spirituale.
L. pubblicò molti libri sulle sue esperienze, come Heavenly Cloud (la nube
celeste) del 1681, The Revelation of the Revelations (la rivelazione delle
rivelazioni) del 1683, anno in cui L. si occupò anche di far pubblicare,
postumo, il libro di Pordage, Theologica Mistica. In 23 anni, tra il 1681 ed
il 1704, L. scrisse e pubblicò circa 15 libri.
Dal 1693 i libri di L. furono tradotti in olandese e tedesco, stimolando la
diffusione delle sue idee anche sul continente. In Germania Eva von Buttlar
fondò nel 1697 il ramo tedesco della Società dei Filadelfi sotto forma di
una comunità rigorosamente regolamentata, dove beni e relazioni sessuali
(sic!) erano a disposizione di tutti i membri. L'esperimento tedesco fallì
ben presto, chiudendo le attività nel 1706.
Dal 1694 L. iniziò ad essere aiutata dal giovane medico Francis Lee
(1661-1719), professore di Oxford, che divenne in seguito suo genero e suo
successore nella guida della Società dei Filadelfi.
Infine, dopo 65 anni di attività, L. morì il 19 agosto 1704 all'età di 81
anni.
L'anno prima (1703) sotto la spinta di Lee, i filadelfi avevano tracciato la
loro confessione scritta di fede, tuttavia, dopo la morte della fondatrice
e, nel 1719, quella di Lee stesso, la setta rapidamente declinò scomparendo
intorno al 1730.


Butzer (Bucero), Martin (1491-1551)



Martin Kuhhorn o Butzer (nome umanistico Bucero) nacque a Schlettstadt
(Sélestat) in Alsazia l'11 Novembre 1491.
Dopo aver ricevuto una prima educazione di base alla scuola di latino della
sua città, B., all'età di quindici anni (nel 1506) entrò nell'ordine
domenicano, dove proseguì gli studi diventando prete. Successivamente fu
inviato all'università di Heidelberg dove si iscrisse alla facoltà di
teologia nel 1517.
L'anno seguente (1518) durante un incontro dell'ordine agostiniano, B. ebbe
l'opportunità di ascoltare Martin Lutero, che esponeva la propria dottrina e
ne fu talmente conquistato che nel 1521 chiese al Papa Leone X (1513-1521),
ed ottenne, la dispensa dai voti monastici.
Sempre nel 1521 B. si trasferì a Magonza (Mainz), diventando cappellano di
corte del principe elettore del Palatinato, Luigi V, detto il Pacifico
(1508-1544), ma già l'anno dopo fu nominato pastore a Landstuhl, vicino a
Kaiserslauten: qui si sposò con l'ex suora Elizabeth Silbereisen.
Tuttavia a causa della sua intensa attività di predicazione riformista, egli
fu scomunicato e trovò un primo rifugio nel castello di Weissenburg
(Wissembourg), in bassa Alsazia, di proprietà del cavaliere Franz von
Sickingen (1481-1523), difensore di molti riformisti e dissidenti, come
Johannes Reuchlin e Johannes Ecolampadio.
Successivamente, nel 1523, B. si trasferì a Strasburgo, dove la Riforma era
stata da poco introdotta con successo dal predicatore Mathias Zell
(1477-1548), nonostante diversi tentativi di assassinarlo.
A Strasburgo B. lavorò per venticinque anni come principale predicatore
della città, collaborando con gli altri noti riformisti, come il già citato
Zell, Wolfgang Capito (1478-1541) e Caspar Hedio (1491-1552). Egli si attivò
anche per una riforma della vita non solo ecclesiastica, ma anche sociale
della città, ed in questo fu sorretto da Jacob Strum (m. 1553), che divenne,
a livello del consiglio cittadino, il più accesso sostenitore della causa
protestante.
Nel 1527 B. pubblicò un libro di teologia, che influenzò notevolmente
Calvino, con il quale aveva in comune le stesse idee sulla predestinazione e
sul ruolo dello Spirito Santo.
Nel Giugno 1528 si tenne a Berna i cosiddetti Colloqui, con una massiccia e
qualificata partecipazione protestante svizzera (Zwingli, Berthold Haller,
Ecolampadio, Franz Kolb, Capito e B. stesso), alla quale i cattolici
contrapposero una delegazione non di grande rilievo, scelta dettata da una
serie di rifiuti alla partecipazione da parte degli ecclesiastici e dei
teologi cattolici più noti, come ad esempio Eck. Il risultato fu una
scontata vittoria dei riformatori e la redazione, a cura di Haller, delle
dieci tesi di Berna.
Come pensiero riformatore, B. aderì alla corrente zwingliana, ma ciò non gli
impedì, in varie occasioni, di cercare di agire come mediatore tra le
posizioni svizzere e quelle tedesche luterane. B. fu infatti uno degli
artefici dei colloqui di Marburg del 1529 tra Lutero e Zwingli per dirimere
la questione dei valore attribuito al sacramento dell'Eucaristia, pur
conclusisi con un nulla di fatto.
Nell'anno successivo, 1530, egli fu uno dei protagonisti della prima dieta
di Augusta, dove, assieme ai riformisti delle città di Costanza, di
Memmingen e di Lindau, presentò la Confessio Tetrapolitana (cioè, per
l'appunto, delle quattro città). La riunione si concluse con la
conciliatoria Confessio Augustana, tracciata da Philipp Melantone, che
tuttavia B. non accettò.
Ciò nonostante, la pace, almeno formale e di breve durata, tra Lutero e
Zwingli avvenne nel 1536 alla Concordia di Wittenberg, dove perlomeno si
ottenne un accordo, per quanto concerne l'Eucaristia, tra i luterani
tedeschi del nord e i riformatori della Germania del sud, capitanati da B.
stesso. Alla stesura dei cosiddetti Capitoli di Concordia, B. fu aiutato dal
riformatore italiano Bartolomeo Fonzio, un suo fedele collaboratore.
Dal 1538 al 1541, B. ebbe la possibilità di confrontarsi con Calvino, che
risiedeva a Strasburgo, dopo essere stato mandato in esilio da Ginevra.
Nel 1540, B. fu purtroppo protagonista, assieme a Lutero e Melantone,
dell'assenso alla bigamia del Langravio Filippo di Assia (Hesse)(1504-1567),
 fatto che provocò un grave scandalo.
L'anno successivo (1541) la moglie Elizabeth Silbereisen morì di peste e B.
sposò la trentanovenne Willibrandis Rosenblatt, precedentemente vedova di
ben 3 riformatori: Ludwig Keller (Cellarius), Johann Ecolampadio e Wolfgang
Capito! Willibrandis gli diede 3 figli.
Negli anni successivi, B. partecipò a diverse conferenze tra cattolici e
protestanti (Hagenau 1540 e Regensburg 1541) e tentò inutilmente, nel 1542,
assieme a Melantone, di portare la Riforma a Colonia (Köln).
Nel 1548 B. respinse l'interim di Augusta, la formula dottrinale provvisoria
fra protestanti e cattolici in attesa delle risultanze del Concilio di
Trento. In seguito a ciò, dovette lasciare Strasburgo: diversi riformatori
come Calvino e Melantone gli offrirono ospitalità, ma egli decise di
accettare l'offerta dell'arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer di
stabilirsi in Inghilterra, dove si recò nel 1549.
Qui B. fu altamente apprezzato sia da Cranmer che dal re Edoardo VI
(1547-1553) e finì i suoi giorni come professore di teologia a Cambridge,
dove lavorò alla sua opera De regno Christi e contribuì alla stesura del
Book of Common Prayer (il fondamentale libro delle funzioni religiose
anglicane).
B. morì il 28 Febbraio 1551 a Cambridge, ma non ebbe vita tranquilla,
neanche da morto: infatti nel 1556, sotto il regno della regina Maria Tudor
la Cattolica (detta la Sanguinaria) (1553-1558), la sua tomba fu distrutta e
le sue ossa bruciate sul rogo.
Toccò alla sorellastra di Maria, la regina Elisabetta I (1558-1603) di far
restaurare la tomba di B. con tutti gli onori dovuti.
B. fu, dopo Lutero e Melantone, il più influente dei riformatori tedeschi,
presso i quali si distinse nel tentativo di conciliare posizioni spesso non
coincidenti. Si può inoltre attribuire a B. il ruolo di ponte tra la Riforma
tedesca e quella inglese, che lui poté influenzare negli ultimi anni della
sua vita.



Buzio (o Mollio), Giovanni da Montalcino (m. 1553)



Giovanni Buzio, detto il Mollio, nato a Montalcino, in provincia di Siena,
era un francescano minorita conventuale ed un predicatore, che ebbe,
all'epoca, un vasto seguito.
Negli anni '30 del XVI secolo, egli frequentò i circoli erasminiani di
Brescia e nel 1538 si convertì alla dottrina luterana. Fu per questo,
processato intorno al 1540, quindi trasferito nel convento di San Lorenzo, a
Napoli, dove partecipò ai circoli valdesiani, ma successivamente lo troviamo
a Ravenna, dove incontrò Pietro Manelfi.
Nel 1552 egli fu nuovamente arrestato e tradotto a Roma per essere giudicato
dalla temibile Inquisizione Romana del cardinale Giovanni Pietro Carafa, poi
Papa Paolo IV (1555-1559).
Il processo si svolse contro undici eretici, dei quali solo B. non abiurò e
quindi fu ricondotto in carcere in attesa della sentenza di condanna a
morte.
Nel frattempo, i governanti di Siena cercarono inutilmente di fare un
tentativo di intercedere per il loro conterraneo, ma B. fu impiccato, poi
bruciato sul rogo, il 4 settembre 1553 a Campo dei Fiori, a Roma, assieme ad
un tessitore di seta, detto il Perugino.
Secondo Theodore Elze, testimone oculare della sentenza, che descrisse gli
ultimi attimi di B. in una lettera del 1553, pubblicata l'anno seguente a
Strasburgo, B., ottenuto la possibilità di dire le sue ultime parole davanti
al patibolo, rese grazie a Dio per il fatto di dover soffrire il martirio
per il nome di Dio e della universale Chiesa cristiana.
Esortato a nominare la Chiesa romana, B. avrebbe risposto che la Chiesa di
Cristo non poteva essere divisa in chiese locali, ma era unica e unita per
la fede, sposa diletta di Cristo.