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STREGONERIA - STORIA DELLE ERESIE
Testi tratti dal sito: www.eresie.it di Douglas Swannie

LA STREGONERIA - GLI ERETICI



Sozzini (o Socini, Sozini, Sozzino, Socino o Socinus), Fausto Paolo
(1539-1604) e Socinianesimo in Polonia



I primi anni
Il famoso teologo antitrinitario Fausto Paolo Sozzini (o Socini: per le
altre varianti del cognome, vedere il titolo), nome umanistico Faustus
Socinus,  nacque il 5 dicembre 1539 a Siena, primogenito del giurista
Alessandro Sozzini (1509-1541) [a sua volta primogenito del giureconsulto
Mariano Sozzini il giovane (1482-1556)] e di Agnese Petrucci, discendente di
Pandolfo Petrucci (1452-1512), governatore di Siena dal 1487 al 1512.
Il piccolo Fausto, dopo la nascita della sorella Fillide (1540-1568), rimase
nel 1541 orfano del padre, e dopo poco anche della madre. Egli fu allevato
nella famiglia paterna senza un'educazione regolare, con un interesse più
per le lettere che per la giurisprudenza (gli studi tradizionali della
famiglia Sozzini), sotto lo stimolo culturale di suo zio Celso, professore
di diritto a Bologna, e proprio in questa città Celso trasportò nel 1554
l'Accademia senese dei Sizienti, di cui S., pare, abbia fatto parte.
E' sicuro invece la sua adesione, nel 1557, all'Accademia senese degli
Intronati, dove egli entrò con il nome di Frastagliato, sempre al seguito
dello zio Celso, che aveva assunto il nome di Sonnacchioso. Le riunioni
degli Intronati, votati alle discussioni sulla letteratura, lingua e
religione furono per S. senz'altro più interessanti di quelle dei Sizienti,
dedicati solo ad argomenti giuridici. Comunque, per sua fortuna, non dovette
affidarsi ad un titolo di studi per vivere, perché, nel 1556, alla morte del
nonno Mariano, S. poté disporre (per più di trent'anni) di una certa
sicurezza economica, quando ricevette in eredità un quarto dei beni di
famiglia.


Lo sviluppo del pensiero religioso di S.
I primi interessi religiosi eterodossi di S. gli furono trasmessi dallo zio
Lelio, che, benché esule dal 1547 in Svizzera per motivi religiosi, ebbe la
possibilità di rivisitare Siena e parlare col nipote nel 1552.
Nel 1558 S. fu coinvolto nel processo per eresia a carico degli zii Celso e
Camillo, segno di un graduale schieramento a favore delle scelte protestanti
dei famigliari. Nel 1561 egli lasciò Siena per recarsi a Lione ufficialmente
per impratichirsi nell'arte mercantile, ma nella città francese egli spese
due anni della sua vita soprattutto ad approfondire le sue conoscenze
religiose e a mantenere i contatti con lo zio Lelio, che abitava a Zurigo.
Avvertito della morte di quest'ultimo, avvenuto il 14 maggio 1562, da parte
del mercante Antonio Mario Besozzi (m. 1567), S. accorse a Zurigo per
raccogliere gli scritti di Lelio, che poi usò per meditare e sviluppare la
dottrina del pensiero sociniano: già nell'aprile 1563, rielaborando concetti
di Lelio, S. aveva composto un commento all'incipit del Vangelo di San
Giovanni, dal titolo Explicatio primae partis primi capiti Evangelii
Johannis, dove però, rispetto allo zio, S. diede più forza al carattere
spirituale di Cristo.
In seguito S. si stabilì per un breve periodo a Basilea (sebbene il suo nome
fosse anche citato nell'elenco degli iscritti alla Chiesa degli Italiani a
Ginevra), dove conobbe Celio Secondo Curione, amico dello zio Lelio. S. si
recò anche a Zurigo, dove fu tuttavia coinvolto nell'espulsione, per le sue
idee antitrinitarie, antiecclesiastiche e contro i Sacramenti, di Bernardino
Ochino (da S. conosciuto nella città svizzera) da parte del riformatore
Johann Heinrich Bullinger nel dicembre 1563.
A questo punto S., nonostante fosse già abbastanza compromesso con la
Riforma, prese la sconcertante decisione di ritornare in Toscana. Sulla
strada di ritorno, passò per Chiavenna, dove fece visita all'amico e maestro
Ludovico Castelvetro.


Il periodo fiorentino (1563-1574)
Effettivamente non è del tutto chiaro perché S. decidesse di rientrare in
Italia, visto che poi, per la sua stessa incolumità, dovette poi osservare
una prassi fortemente nicodemitica: infatti per i successivi 11 anni (dal
1563 al 1574) si tenne per sé le sue intime elucubrazioni religiose.
S. si trasferì a Firenze ed entrò come segretario al servizio di Isabella
de' Medici(1542-1576), figlia del granduca Cosimo I de' Medici (duca di
Firenze: 1537-1569 e granduca di Toscana: 1569-1574), e del marito Paolo
Giordano Orsini (1537-1585), accompagnando la sua protettrice a Roma nel
1571 e componendo poemi e sonetti, di cui i più ispirati furono quelli
composto in onore della sorella Fillide, morta nel 1568 e di Ludovico
Castelvetro, morto il 21 febbraio 1571, in cui S. dichiarò che il modenese
gli aveva chiaramente mostrato la via da seguire: l'esilio (in terra
protestante) e la palese professione di fede.
Nel frattempo (1568) fu stampato, sotto lo pseudonimo del gesuita Domenico
Lopez, il suo scritto teologico De Sacrae Scripturae Autoritate, che,
applicando i metodi della filologia moderna, introdotti da Lorenzo Valla,
ribadiva l'autorità della Sacra Scrittura e l'eccellenza della religione
cristiana. L'uso di uno pseudonimo fu probabilmente frutto di un accordo
segreto con Cosimo I: il granduca avrebbe accordato la sua protezione, a
patto che S. non pubblicasse i suoi scritti con il proprio nome. L'accordo
proseguì anche con il successore di Cosimo, Francesco Maria (1574-1587) e
garantì il regolare afflusso di proventi verso il paese estero, dove S.
aveva, in volta in volta, stabilito la propria residenza.
Nonostante la dichiarazione in occasione della morte di Castelvetro e la
pubblicazione del De Sacrae Scripturae Autoritate, S. prese la decisione di
abbandonare per sempre l'Italia solo dopo la morte del Granduca Cosimo I de'
Medici, avvenuta nell'aprile 1574. Del resto, due anni dopo, nel giugno
1576, avvenne una tragedia che avrebbe rinforzato la sua decisione: la sua
protettrice, Isabella de' Medici, fu strangolata dal gelosissimo marito, che
aveva saputo dell'esistenza di un amante della moglie [sebbene avesse lui
stesso come amante Vittoria Colonna Accoramboni (1557-1585)]. Quindi nulla
poté il nuovo granduca, Francesco Maria, fratello di Isabella, per
convincere il senese a recedere dalla sua decisione. Tra l'altro, la scelta
di S. era dettata dalla necessità di vivere in un ambiente, che gli
permettesse di sviluppare con serenità e sicurezza i suoi studi sulle
Scritture.


S. in Svizzera
Nella seconda metà del 1574, quindi, S. emigrò in Svizzera, a Basilea, dove
i capi religiosi erano i tolleranti riformatori Theodore Zwinger (1533-1588)
e Basilio Amerbach (1533-1591): per quest'ultimo lo zio Lelio aveva scritto
una lettera di presentazione nel lontano 1547, quando lo svizzero aveva
espresso il desiderio di recarsi in Italia per completare i suoi studi di
giurisprudenza. A Basilea S. risedette per circa quattro anni, studiando le
Sacre Scritture e soprattutto il problema della redenzione, sul quale
argomento scrisse due trattati: la sua opera principale De Jesu Christo
Servatore (Gesù Cristo salvatore), finita nel 1578, pubblicata parzialmente
(ma senza il suo consenso) nel 1583 e interamente in Cracovia nel 1594, e il
trattato De statu primi hominis ante lapsum (Sulla condizione del primo uomo
prima della Caduta), sempre scritta nel 1578, ma pubblicata postuma nel
1610.
Il primo trattato, nato dalle discussioni con i riformatori Gerolamo
Marliano, Giovanni Battista Rota (pastore della Chiesa italiana a Ginevra),
Manfredi Balbani e Jacques Couët du Vivier (1547-1608), esponeva l'idea di
S. a riguardo della redenzione: il punto principale della dottrina
protestante della giustificazione per fede non era il sacrificio di Cristo
compiuto per espiare i nostri peccati, bensì la rivelazione divina
attraverso l'esempio della vita di Cristo, vero salvatore e redentore degli
uomini.
Il secondo trattato, invece, si inserì nella polemica in atto tra S. e
Francesco Pucci, il pensatore utopistico che rigettava il concetto di
peccato originale: secondo Pucci, l'uomo è immortale e si danna solo quando,
razionalmente, devia dalla legge divina. Per S., che si confrontò con Pucci
nel 1577 a Basilea in un incontro organizzato da Francesco Betti, l'uomo,
essere mortale, si deve invece conquistare l'immortalità con la fede attiva.


S. in Transilvania
Una copia del manoscritto del De Jesu Christo Servatore giunse fino in
Transilvania e attirò l'attenzione del riformatore antitrinitario e medico
Giorgio Biandrata, che invitò S. a recarsi a Kolozsvàr (oggi Cluj in
Romania) nel novembre 1578, per polemizzare con Ferenc Dàvid, il quale aveva
aderito alla fazione degli antitrinitariani non-adoranti, coloro i quali
negavano il ruolo di guida per i fedeli verso la salvezza del Cristo e
rifiutavano, conseguentemente, ogni forma di adorazione di Gesù Cristo. A
loro si contrapponevano gli antitrinitariani adoranti, che ponevano la
figura di Cristo come riferimento per la salvezza degli uomini. Da qui si
comprende l'interesse di Biandrata verso il trattato di S., che considerava
Gesù Cristo colui il cui compito era di rivelare Dio agli uomini, i quali
potevano così raggiungere la salvezza, seguendo il Suo esempio.
L'inattesa conclusione della discussione avvenne nel giugno 1579, quando, su
denuncia di Biandrata, Dàvid fu fatto arrestare in giugno e imprigionare
nella fortezza di Déva dove morì il 15 novembre dello stesso anno.


S. in Polonia
S. non prese comunque parte attiva alla tragedia umana di Dàvid, perché, già
nel maggio 1579, si era trasferito in Polonia, presso i Fratelli Polacchi,
l'ecclesia minor di fede antitrinitaria (o unitariana) che aveva mantenuto
le caratteristiche ariane (in particolare il concetto che Cristo era
pre-esistito alla creazione del mondo e quindi era giusto adorarlo) e
anabattiste, datale da Pietro Gonesio: fu soprattutto l'arrivo di S. che
contribuì ad uniformare la dottrina sui principi proposti dal senese.
S. pose la sua residenza a Cracovia, sebbene il centro di riferimento per
l'unitarismo polacco fosse la vicina cittadina di Raków, dove era stato
fondato un seminario di studi antitrinitari nel 1569 e dove, tra il 1603 ed
il 1605, sarebbe stato redatto il catechismo ufficiale della setta.
Curiosamente S. non fece ufficialmente parte della Chiesa antitrinitariana
di Cracovia, se non in tarda età, a causa del suo rifiuto di farsi
ribattezzare (l'influenza anabattista era ancora molto forte sugli
antitrinitariani polacchi) da parte del pastore Szymon Ronemberg.
Qui, però, riprese la polemica tra adoranti ed alcuni esponenti
non-adoranti, come Giacomo Paleologo, Jànos Sommer (1540-1574), e Andrea
Dudith Sbardellati: comunque, oltre alla solita diatriba se fosse giusto o
meno adorare Gesù Cristo, con il suo De Jesu Christi filii Dei natura sive
essentia, S. attaccò i non-adoranti come giudaizzanti, che volevano, tra
l'altro, santificare il sabato, secondo un uso sabbatariano, che si sarebbe
espanso in Inghilterra, portatovi proprio dagli antitrinitariani profughi
dalla Polonia.
Inoltre un altro punto di frizione con S. fu l'obbligo morale, secondo
Paleologo, del cristiano nella difesa, anche prendendo le armi, del paese
che offriva la sua ospitalità. S. era in totale disaccordo con questa tesi:
per l'antitrinitariano senese, il cristiano, secondo l'interpretazione del
Nuovo Testamento, non poteva versare il sangue di altri cristiani.
I toni della polemica furono così accesi che il medico Marcello
Squarcialupi, amico di Biandrata, nel 1581 scrisse una lettera a S. per
richiamarlo ad abbassare i toni della polemica, che danneggiava l'immagine
degli esuli italiani.
Comunque, a parte questo episodio, S. mantenne sempre buone relazioni
sociali con diversi esuli italiani in Polonia, soprattutto con Niccolò
Buccella, che diventò suo amico fraterno e che nominò S. come uno dei suoi
eredi, e con Prospero Provana, che lo ospitò spesso in sua casa.
Nel marzo 1583, temendo rappresaglie da parte del fronte cattolico polacco,
S. decise di andare ad abitare nel villaggio di Pawlikowice (oggigiorno
Roznów, sudest di Cracovia), ospite del nobile polacco Krzysztof Morsztyn, e
ne sposò la figlia Elizabeth nel 1586. L'anno dopo nacque l'unica figlia di
S., Agnese (1587-1654), ma, nello stesso anno morì la moglie. Il 1587 fu
anche l'anno della morte del suo protettore in patria, Francesco Maria de'
Medici, e, nonostante S. mantenesse apparentemente dei buoni rapporti con il
nuovo granduca, Ferdinando I (1587-1609), l'Inquisizione a Siena gli
sequestrò i beni, con l'accusa di eresia. Tuttavia la perdita di introiti
dalla madrepatria fu parzialmente compensata dalla possibilità di pubblicare
con il proprio nome le sue opere, poiché, come si è detto precedentemente,
l'anonimato era la conditio sine qua non imposta prima da Cosimo I, poi da
Francesco Maria de' Medici perché S. potesse continuare a ricevere i
proventi delle sue proprietà di famiglia.
Nel 1588 S. riuscì nell'impresa di unire tutte le fazioni antitrinitariane
al sinodo di Brest (Brzesc, in Lituania) e, in suo onore, da questo momento
gli antitrinitariani si denomineranno sociniani. Oltretutto la crescente
popolarità presso la nobiltà polacca e l'autorevolezza dei suoi interventi
fecero sì che nel 1596 S. fosse nominato capo della Chiesa sociniana
polacca.
Tuttavia la conseguenza fu che egli dovette fronteggiare una violenta
reazione, anche di piazza, dei cattolici: nel 1591 il suo punto d'incontro a
Cracovia fu devastato dalla folla, ma soprattutto, nel 1598, gli studenti
universitari, sobillati dai gesuiti, fecero irruzione nella sua casa di
Cracovia, mentre giaceva a letto ammalato: S. stesso fu malmenato e portato
davanti al municipio, dove vennero bruciati i suoi scritti e i suoi libri.
Richiesto di abiurare, rifiutò e fu quindi trascinato via per essere
annegato nel fiume Vistola, e solo il tempestivo intervento di un professore
universitario, Martin Wadowit, gli salvò la vita.
Temendo quindi per altri attacchi di fanatici, S. si trasferì da Cracovia a
Luslawice, un villaggio a nord di Tarnów, a 30 km. da Cracovia, ospite di
Abraham Blonski, e qui iniziò, senza poterla finire, la stesura della bozza
di un catechismo antitrinitariano, la Christianae religionis brevissima
institutio, per interrogationes et responsiones, quam catechismus vulgo
vocant, che fu la base del catechismo ufficiale, redatto, dopo la sua morte,
dal fedele discepolo Piotr Stoinski junior (m. 1605), assieme a Valentinus
Smalcius (1572-1622), Hieronymus Moskorzowski (m. 1625) ed altri, in polacco
nel 1605.
Il testo fu poi tradotto in tedesco nel 1608, in latino nel 1609, ed in
inglese, a cura di John Biddle, nel 1652 con il titolo di The Racovian
Catechisme (Catechismo di Raków), nome con il quale oggi è conosciuto nel
mondo anglosassone unitariano.
S., ormai vecchio e sofferente per ripetute coliche e calcoli renali, morì a
Luslawice il 4 marzo 1604. Dapprima sulla sua tomba fu posta la scritta Chi
semina virtù, raccoglie la fama, e vera fama supera la morte, ma nel 1936 i
suoi resti furono posti in un mausoleo, dove sulla sua tomba vennero scritte
queste significative parole: Crolli la superba Babilonia: Lutero ne
distrusse i tetti, Calvino le mura, Socini le fondamenta.


Il pensiero religioso
Secondo Marian Hillar, il nocciolo delle dottrine sociniane si riassumano in
dieci punti:
Antitrinitarismo, o negazione del concetto tradizionale della Trinità.
Unitarianismo, o negazione della pre-esistenza di Gesù.
Il concetto della redenzione attraverso atti morali.
Il dualismo radicale: Dio e l'uomo sono radicalmente differenti.
Il primo uomo, Adamo, era mortale prima della Caduta.
Il concetto della religione come pratica di principi etici, per esempio la
convinzione che gli insegnamenti morali di Cristo, tipo il Sermone della
Montagna, devono essere praticati.
La convinzione che l'uomo è capace di sviluppare la volontà di seguire
Cristo e così ottenere la salvezza.
L'opposizione al misticismo, che richieda qualche speciale illuminazione per
conoscere la verità religiosa.
La convinzione che la ragione dell'uomo è sufficiente per capire e
interpretare le Scritture.
La posizione empirica che tutte le nostre conoscenze derivano
dall'esperienza dei sensi.
Il pensiero di S., fortemente razionale, accettava un solo Dio, mentre Gesù
Cristo era semplicemente un uomo crocefisso, il cui compito era di rivelare
Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così la salvezza, seguendo
il Suo esempio. Per lui la Sacra Scrittura, redatta da uomini, non era
indenne da errori, e l'uomo doveva basarsi sulla propria etica per osservare
i comandamenti e non era quindi necessaria la grazia divina. Egli, inoltre,
negava l'esistenza dell'inferno, il peccato originale, la necessità dei
sacramenti, la predestinazione, e, rispetto ai Fratelli Polacchi, rifiutava
il secondo battesimo.


La fine del socinianesimo in Polonia
Pochi anni dopo, nel 1610, sotto il regno di Sigismondo Augusto III
(1587-1632), la potente organizzazione gesuita sbarcò in Polonia decretando
il rapido declino degli antitrinitariani (o unitariani) in Polonia: il 6
novembre 1611 fu bruciato sul rogo a Varsavia l'unitariano Jan Tyskiewicz,
un agiato cittadino di Bielsk, per essersi rifiutato di giurare sulla
Trinità e nel 1638 fu chiuso il seminario di Raków.
Il colpo finale per l'unitarismo in Polonia fu comunque, durante il regno di
Giovanni Casimiro (1648-1668), il bando di espulsione per tutti gli
unitariani polacchi, deciso nel 1658 e diventato esecutivo il 10 luglio
1660, che li costrinse o ad uniformarsi al cattolicesimo o ad emigrare in
altri paesi europei (in Olanda, dove la maggior parte si trasferì aderendo
alla Chiesa Arminiana dei rimostranti, in Germania, e in Transilvania, dove
però essi non aderirono alla Chiesa Unitariana Transilvana, ma formarono una
chiesa autonoma a Kolozsvàr estinguendosi nel 1793). Nel 1668 fu introdotta
la legge, che prevedeva la pena di morte per i cattolici battezzati, che si
fossero convertiti al protestantesimo.
L'ultima sacca di resistenza unitariana in Polonia si estinse nel 1811 e
solo nel 1921 furono riaccettate le congregazioni unitariane nella nazione
rinata dopo secoli di dominazione straniera. Ma la successiva occupazione
nazista nel 1939 e l'instaurazione del comunismo ha fatto sì che
l'unitarianismo polacco potesse incominciare a muovere nuovamente qualche
timido passo solamente dopo la caduta del muro di Berlino, negli anni '90
del XX secolo. L'attuale Chiesa unitariana in Polonia comprende solo qualche
centinaio di fedeli.
Per lo sviluppo del socinianesimo in altri paesi, vedi unitarianismo.


Smyth (o Smith), John (ca. 1554-1610) e i battisti inglesi



Le notizie sull'infanzia di John Smyth (o Smith) [da non confondere con
l'omonimo, di poco più giovane, John Smith (1580-1631), fondatore della
colonia di Jamestown, in Virginia e famoso per il noto episodio di
Pocahontas] sono molto scarse: si sa che nacque circa nel 1554, ma non se ne
conosce la località di nascita.
E' invece noto che S. iniziò nel 1586 gli studi universitari al Christ's
College di Cambridge, dove fece la conoscenza del puritano Francis Johnson
(1562-1618), e dove si laureò come Maestro in Arti Liberali nel 1593.
Nel 1594 S. fu ordinato sacerdote anglicano dal vescovo di Lincoln, William
Wickham (vescovo 1584-1595), e divenne professore aggiunto nel suo collegio
universitario.
Nel settembre 1600 a S. fu chiesto di recarsi nella città di Lincoln, dove
fu nominato predicatore ufficiale e cappellano del sindaco. Ma i vigorosi e
franchi sermoni di S. non piacquero ai cittadini e nell'ottobre 1602 gli fu
revocato il mandato.
E' vero che fu compensato per la perdita dell'incarico, ma l'episodio fu
solo l'inizio dei suoi guai: l'anno successivo gli fu tolto la licenza di
predicatore e nel 1606 fu inquisito per aver letto le Sacre Scritture nella
chiesa parrocchiale di Gainsborough, nella contea del Lincoln(shire), dove
S. risiedeva e faceva il medico. Fu una palese ingiustizia perché il
volonteroso S. si era prestato a questa incombenza solo perché il prete
titolare, pagato per officiare, non era comparso in chiesa quel giorno.
Comunque ciò tolse ogni residua fiducia di S. nell'episcopato ed egli quindi
decise, insieme ad John Robinson, il futuro ideatore del viaggio dei Padri
Pellegrini, di fondare una congregazione separatista nella valle del fiume
Trent, alla confluenza delle contee del Lincolnshire, Yorkshire e
Nottinghamshire. Facevano parte del gruppo William Brewster, Richard
Clifton, Hugh Bromhead, Thomas Helwys e William Bradford (1590-1657).
Quest'ultimo sarebbe in seguito diventato il governatore della colonia dei
Padri Pellegrini a Plymouth nel Massachusetts.
A causa di divergenze interne (contrariamente a Robinson, S. voleva tagliare
ogni forma di amicizia con i puritani rimasti nell'ambito della chiesa
ufficiale), il gruppo ben presto si spezzò in due tronconi, anche per motivi
geografici: Helwys, Clifton e Bromhead rimasero con S. a Gainsborough,
mentre gli altri, che vivevano vicino a Scrooby (nella contea del
Nottinghamshire), scelsero Robinson come loro capo. Comunque ambedue i
gruppi decisero di emigrare in Olanda nel 1608, Robinson a Leida e S. ad
Amsterdam.
Ad Amsterdam S. rincontrò Francis Johnson, che aveva fondato una chiesa
separatista in esilio, dopo aver scontato quattro anni di prigione, fino al
1596, per aver fondato precedentemente una simile chiesa a Londra.
Tuttavia ben presto il focoso S. trovò la maniera di litigare anche con
Johnson su tre punti:
S. insisteva a leggere le Sacre Scritture in lingua originaria (ebraico e
greco) e traducendo a braccia, perché, secondo lui, la traduzione ufficiale,
già bell'e fatta, era un elemento di formalismo introdotto nel culto.
S. rimase sempre profondamente congregazionalista, mentre Johnson, visti i
suoi trascorsi, aveva ogni tanto delle nostalgie presbiteriane. Tuttavia,
come obiettava S., la chiesa può fare degli atti legali senza gli anziani,
ma gli anziani non possono fare niente senza l'approvazione della comunità,
o contro di essa. Questa argomentazione fu sufficiente per convincere Henry
Ainsworth (1571-1622), il teologo della chiesa di Johnson ad aderire alla
chiesa di S.
Ma soprattutto ci fu il rifiuto di S. del battesimo dei bambini, un punto
piuttosto originale per una chiesa protestante inglese. Ciò era inizialmente
derivato dal rifiuto di tutto quello che veniva celebrato dalla Chiesa
Anglicana, incluso il battesimo infantile e poi, secondo S., era
fondamentale credere per poter essere battezzati, una condizione
evidentemente impossibile per bambini neonati. Ma questa presa di posizione,
a quel tempo, suscitò scalpore perché faceva immediatamente venire alla
mente gli anabattisti e le atrocità della dittatura di Münster del 1534-36,
che avevano provocato tanti lutti e dolori in molte famiglie olandesi.
Comunque S. e i suoi seguaci decisero ugualmente di fondare una seconda
chiesa separatista in Olanda nel 1609 e di ribattezzarsi: dapprima S.
battezzò se stesso, poi battezzò Helwys e gli altri. Questo gesto di
se-battesimo, come fu chiamato l'auto-battesimo di S., fu aspramente
criticato da Clifton, che obiettò che se qualsiasi uomo poteva battezzarsi
da solo, allora sarebbero potuto esistere tante chiese quanti erano i
fedeli.
S., il cui se-battesimo poteva significare la mancanza di una vera chiesa,
rispose alle critiche cercando l'adesione ad uno dei rami più importanti
dell'anabattismo mennonita olandese: quello dei waterlanders di Hans De
Ries. Tuttavia questa subitanea decisione fu contestata da Thomas Helwys, il
quale, non volendo assimilare in toto la dottrina dei mennoniti, abbandonò
la chiesa di S., fondandone una nuova, denominata dei Battisti Generali, che
scomunicò S. e tagliò ogni relazione con lui entro il 1611. L'anno
successivo, Helwys decise, con un atto molto coraggioso, di far rientrare in
Inghilterra il proprio gruppo nel 1612.
In Olanda, nel frattempo, con molte esitazioni e polemiche interne, il
gruppo superstite di S., oramai ridotto a qualche decina di adepti, fu
finalmente ammesso e assorbito dalla chiesa mennonita dei waterlanders nel
1615, ma il loro fondatore era già morto di consunzione nel agosto 1612.
Secondo alcuni autori, S. si può definire il fondatore della corrente dei
battisti, la più diffusa confessione religiosa protestante attualmente
esistente, sebbene la linea che lo collega alle attuali chiese battiste
passi obbligatoriamente attraverso Thomas Helwys, più pronto a recepire, in
senso moderato, alcuni punti mennoniti, ma anche a respingere altri, come il
divieto di giurare o di occupare incarichi pubblici. In più Helwys accettò e
incorporò nella teologia della sua chiesa le dottrine del teologo olandese
Jacob Hermanzoon, detto Arminio.
Le due anime battiste (Battisti Generali inglesi e Mennoniti olandesi)
rimasero separate, nonostante un tentativo di unione, poi fallito nel 1626.
Due secoli dopo, nel 1815 i Battisti generali inglesi confluirono nel
movimento unitariano.



Sozzini (o Sozini, Sozzino, Socino, Socini o Socinus), Lelio (o Laelius)
Francesco Maria (1525-1562)



La famiglia Sozzini
Lelio Francesco Maria Sozzini (il cui cognome è riportato secondo svariate
grafie come Sozini, Sozzino, Socino o Socini, nonché nella forma latinizzata
completa Laelius Socinus) nacque a Siena il 25 marzo 1525, sesto dei sette
figli del giureconsulto e professore universitario Mariano Sozzini
(1482-1556), detto il giovane per distinguerlo dal più noto e omonimo nonno
(1401-1467), e della moglie fiorentina Camilla Salvetti (m. 1554).
Il primogenito dei due coniugi fu Alessandro Sozzini il giovane (1509-1541),
padre, a sua volta dell'altro famoso riformatore della famiglia, Fausto
Sozzini, mentre degno di nota furono anche altri quattro fratelli di Lelio,
tutti di fede antitrinitaria:
Cornelio: eretico processato dapprima a Bologna nel 1558 assieme al fratello
Celso, e poi a Siena nel 1560, assieme al fratello Dario, per aver messo in
dubbio l'autorità del pontefice e la validità del sacramento
dell'Eucaristia: fu liberato per interessamento del Duca Cosimo I de' Medici
(1537-1574).
Dario: incarcerato a Siena per gli stessi motivi di Cornelio (vedi sopra).
Dopo la liberazione, si recò con il fratello Camillo in Valtellina, ma,
accusati di antitrinitarismo, essi ne vennero espulsi nel 1563 per ordine di
Johann Heinrich Bullinger, riparando in seguito a Costanza. Alcuni autori
ipotizzano che, da questo momento, la figura di Dario Sozzini (da Siena)
coincida con quella di un certo Dario Senese, un antitrinitario attivo in
Moravia e Transilvania negli anni '70 del XVI secolo.
Celso (m. 1570): professore di diritto a Bologna, trasportò nella città
felsinea l'Accademia senese dei Sizienti nel 1554 e successe come
cattedratico al padre Mariano alla sua morte nel 1556. Fu processato a
Bologna assieme al fratello Cornelio ed abiurò. Morì a Bologna nel 1570.
Camillo: sfuggì alla cattura nel 1560, che coinvolse i fratelli Cornelio e
Dario, emigrando in Svizzera. A Zurigo fu ospite del mercante Antonio Mario
Besozzi (m. 1567): scoperto nel 1565, fu cacciato dalla città e il Besozzi
fu processato. Camillo si recò allora in Valtellina, cercando di stabilire
la propria residenza a Chiavenna, ma ne fu impedito dal pastore riformato,
Scipione Lentulo. Scelse allora di abitare a Piuro, in casa del pastore
riformato Girolamo Turriani (o Turriano), dove conobbe e divenne amico del
commerciante anabattista Niccolò Camulio. Tutto questo gruppo, compreso
Camillo, venne espulso dalla Valtellina nel 1571.


I primi anni
Iniziato agli studi di legge, secondo la tradizione di famiglia,
all'università di Padova, dove la famiglia era emigrata quando egli aveva
cinque anni, S. conobbe e strinse rapporti di amicizia con il collega del
padre Matteo Gribaldi Mofa.
Tuttavia , poco dopo, S. abbandonò i suoi studi giuridici per approfondire
la teologia evangelica: la tradizione lo vuole ispiratore (ma fu, più
probabilmente data la giovane età, un semplice partecipante) dei Collegia
Vicentina del 1546, le riunioni riformate eterodosse, alle quali
parteciparono i principali anabattisti e antitrinitari dell'epoca, tra cui
Paolo Alciati della Motta, Celio Secondo Curione, Francesco Della Sega,
Giovanni Valentino Gentile, Giulio Gherlandi, Matteo Gribaldi Mofa e
Francesco Negri da Bassano.


S. in esilio
Nel 1547 S. lasciò l'Italia, probabilmente perché già nel mirino
dell'Inquisizione come eretico, per recarsi in Valtellina, all'epoca parte
del Cantone svizzero dei Grigioni. Qui, a Chiavenna, egli conobbe e fu
fortemente influenzato da Camillo Renato, ma pur parteggiando per le sue
idee, cercò di mantenersi il più neutrale possibile nella diatriba che
quest'ultimo aveva intrapreso con il pastore locale Agostino Mainardi.
Nell'ottobre dello stesso 1547 egli si trasferì a Basilea, dove conobbe
Sébastien Castellion e Celio Secondo Curione (la presunta amicizia dei due
risalente ai Collegia Vicentina del 1546 non è documentata). Nella città
svizzera, S. si iscrisse all'università, il cui rettore era il cartografo
tedesco ed ex francescano passato (nel 1529) al luteranesimo, Sebastian
Münster (1488-1552).
Qui venne accolto da un collega svizzero del padre, Bonifacio Amerbach
(1495-1562), a sua volta genitore del futuro  riformatore Basilio Amerbach
(1533-1591): S. scrisse una lettera di presentazione per quest'ultimo, il
quale desiderava recarsi in Italia per completare i suoi studi di
giurisprudenza. Studi che evidentemente il nostro non perseguì più di tanto
poiché nel periodo 1548-49 la sua presenza viene segnalata prima a Ginevra,
poi in Francia, a Nérac, presso la corte di Margherita di Angoulême
(1492-1549), moglie di Enrico II di Navarra (re:1516-1555), protettrice di
riformatori come Guillaume Briçonnet, Jacques Le Fèvre d'Étaples e Giovanni
Calvino, e infine in Inghilterra, dove avrebbe conosciuto Pier Martire
Vermigli e Jan Laski.
In seguito S. rientrò a Basilea, dove visse, alternandosi con Zurigo, negli
ambienti universitari, ospite rispettivamente di Sebastian Münster e dello
zurighese Conrad Pellican (Pellicanus) (1478-1556). A Zurigo S. entrò in
contatto con Johann Heinrich Bullinger, che divenne quasi un padre per il
giovane senese e al quale egli espose i suoi primi dubbi religiosi: il
riformatore lo incoraggiò a scrivere a Calvino in persona ed in effetti S.
gli inviò due lettere con vari quesiti sulle pratiche nicodemiche, come la
possibilità di sposare una donna riformata, che non avesse abbandonato le
cerimonie cattoliche, oppure le implicazioni per i riformati nel dover
assistere ad una messa cattolica, se costretti, o su argomenti più
teologicamente impegnativi come il valore del Battesimo o il dogma della
resurrezione della carne. Le risposte ferme, ma aspre, di Calvino,
anticipavano le future battaglie epistolari fra i due.


S. in Germania e Polonia
Nel giugno 1550 S. si recò in Germania, a Wittenberg, per incontrare
Melantone e per iscriversi all'università, dove strinse amicizia con Flacio
Illirico.
Tuttavia, già esattamente un anno dopo (giugno 1551), l'avventuroso senese
partì, su invito del polacco J. Maczynski conosciuto a Wittenberg, per un
primo viaggio in Polonia, passando da Breslavia, e qui fece la conoscenza
del medico imperiale, cripto-calvinista, Johannes Crato von Crafftheim
(1519-1585), corrispondente epistolare di diversi riformati italiani, che
operavano in quelle terre, come Marcello Squarcialupi e Andrea Dudith
Sbardellati.
Da Breslavia S. si recò a Cracovia, conoscendo Francesco Lismanini
(1504-1566), all'epoca confessore cattolico della regina di Polonia, Bona
Sforza, moglie di Sigismondo II Iagellone, detto Augusto (1543-1572), ma in
seguito stretto collaboratore di Giorgio Biandrata.


Le accuse contro S. in Svizzera
S. rientrò, dopo essere passato dalla Moravia, in Svizzera, giusto nel
momento della disputa tra Calvino e Jèrome Bolsec, l'ex carmelitano, passato
alla Riforma e contestatore della dogma calvinista sulla predestinazione,
che decise di ritornare al Cattolicesimo. Agli inviti alla moderazione e
alla tolleranza di S., indirizzati al riformatore ginevrino, questi, in
maniera violenta e minacciosa, rispose a S. di guarire dalla sua curiosità
di questionare continuamente le cose religiose, prima che questo lo portasse
in grossi guai: del resto i crescenti dubbi dello senese sull'utilità dei
Sacramenti e sulla forza redentrice di Cristo iniziavano a mettere in dubbio
perfino i riformatori svizzeri a lui più favorevoli, come Bullinger.
Nella seconda metà del 1553 avvenne il famoso processo a carico di Michele
Serveto, conclusosi con il rogo, il 27 ottobre, del medico antitrinitario
spagnolo. Questo episodio fu l'occasione per i dissidenti della Riforma,
principalmente italiani, di far sentire la loro voce di protesta: infatti vi
furono prese di posizione molto polemiche da parte di Gentile, Gribaldi Mofa
e Curione, che dovettero emigrare successivamente da quella che a loro era
sembrata la città della tolleranza religiosa. Anche Castellion intervenne,
scrivendo, sotto lo pseudonimo di Martin Bellius, il suo libro più famoso,
De haereticis, an sint persequendi (Gli eretici devono essere perseguiti?),
un appassionato appello alla tolleranza ed alla libertà religiosa, alla cui
stesura pare avesse collaborato anche S., benché nel periodo 1552-53, quando
avvenne la tragedia di Serveto, egli si trovasse in Italia (nella natia
Siena dove iniziò alle sue idee religiose il nipote Fausto, a Bologna per
visitare il padre Mariano, e a Padova presso l'amico Gribaldi Mofa).
A questo punto fioccarono, sempre più fitte, accuse e segnalazioni a
Bullinger di eterodossia a carico di S.: il medico bergamasco Guglielmo
Gratarolo (1516-1568) segnalò che S. era in accordo con i difensori di
Serveto, il pastore Celso Massimiliano Martinengo, predicatore della Chiesa
Italiana a Ginevra, denunciò l'aperta critica di S. verso il dogma della
Trinità, e perfino Pier Paolo Vergerio scrisse da Tubinga per segnalare il
rafforzamento delle idee antitrinitarie di S. nei Grigioni, confermato in
loco anche da Giulio Della Rovere.
Bullinger fu quindi costretto ad insistere che S. scrivesse una confessione
di fede ortodossa: dopo qualche tentennamento il senese compilò un'ambigua
dichiarazione, senza una vera e propria confessione di fede. Egli dichiarò
di onorare i tre principali credi cristiani occidentali (Cattolicesimo,
Calvinismo e Luteranesimo), di seguire la Scrittura canonica e il Simbolo
apostolico, di voler abbandonare le discussioni e le inutili dispute per
poter "riposare nella stessa verità di Dio". Bullinger si limitò ad
introdurre delle correzioni nella suddetta dichiarazione e ad avvertire il
suo protetto di non propagandare le sue dottrine e i suoi dubbi. E S.
mantenne per un certo periodo la promessa, assumendo un atteggiamento
nicodemico in terra protestante: in questo tempo, l'unico suo intervento fu
quando egli fece delle osservazioni al proprio protettore a proposito dei
Commentaria dell'umanista antitrinitario Martin Borrhaus (nome umanistico:
Cellarius) (1499-1564).


Gli ultimi anni
Ma, nel 1554 morì sua madre, Camilla Salvetti, seguita dal padre nel 1556,
e, oltre ai lutti di famiglia, egli soffrì anche per la fine della sua
indipendenza economica a causa del sequestro da parte dell'Inquisizione dei
suoi beni di famiglia, in quanto condannato come eretico in contumacia. S.
decise quindi di intraprendere un nuovo viaggio in Polonia, probabilmente
per cercare un ambiente più tollerante alle sue idee eterodosse, rispetto
alla Svizzera, ed un protettore, che potesse garantirgli un salvacondotto
per un viaggio in Italia alla ricerca di come recuperare almeno parte del
patrimonio di famiglia.
Fu proprio Calvino che gli scrisse una lettera di raccomandazione per il
principe polacco Nicola Radziwill e il riformatore Jan Laski. S. si recò
dunque, passando dapprima dalla Germania, in Polonia nell'autunno 1558, dove
incontrò il medico Giorgio  Biandrata: l'azione degli antitrinitari polacchi
come Pietro Gonesio e Grzegorz Pawel fu rinforzata dall'arrivo dei due
riformatori italiani, i quali (soprattutto il Biandrata) aiutarono a formare
una comunità, soprattutto di esuli loro connazionali, a Pinczòw vicino a
Cracovia.
Dopo esser stato ricevuto benevolmente dal principe Radziwill e dal re
Sigismondo II Augusto, nella primavera del 1559, carico di raccomandazioni e
salvacondotti regali, S. partì per l'Italia, passando attraverso Vienna,
dove l'accolse il futuro imperatore Massimiliano II (1564-1578),
simpatizzante per la causa riformista, che gli fornì un ulteriore
salvacondotto per l'Italia.
Ma nonostante tutti le potenti presentazioni e raccomandazioni, S., giunto a
Venezia, non riuscì, neppure con l'aiuto del doge Girolamo Priuli
(1559-1567), a far dissequestrare i suoi beni, confiscati dall'Inquisizione.
Oltretutto i suoi fratelli Cornelio e Dario sarebbero stati da lì a poco
arrestati per le loro idee religiose eterodosse.
Deluso, S. rientrò nel 1560 a Zurigo, da cui non si mosse più e dove
ricevette varie volte la visita del nipote Fausto. A Zurigo S. dimorò presso
la casa di un tessitore di seta di nome Hans Wyss e vi morì il 14 maggio
1562, a soli 37 anni.


Le opere
S. pubblicò molto poco nella sua vita e quasi tutti i suoi appunti e
carteggi passarono al nipote Fausto, che, avvisato della morte dello zio da
parte di Antonio Mario Besozzi, si precipitò a Zurigo per raccogliere gli
scritti di Lelio, che poi usò per meditare e sviluppare la dottrina del
pensiero sociniano.
Solo due brevi trattati De Sacramentis e De resurrectione corporum furono
dati alle stampe, oltre ad un commentario sul primo capitolo del Vangelo di
San Giovanni, pubblicato nel capitolo 11 del libro II del trattato di
Biandrata e Ferenc Dàvid De vera et falsa unius Dei, Filii et Spiritus
Sanctii cognitione (Della falsa e vera conoscenza dell'unità di Dio Padre,
Figlio e Spirito Santo), la cui attribuzione alla penna di S. si deve allo
storico Delio Cantimori.


La dottrina
Il pensiero di S. risentì degli influssi dell'umanesimo filologico di
Lorenzo Valla, dell'esegesi del Nuovo Testamento di Erasmo, delle tesi
antitrinitarie di Michele Serveto (senza la sua concezione metafisica),
della spiritualità di Juan de Valdés e della polemica sui sacramenti di
Camillo Renato. Tuttavia fu un suo pensiero originale il desiderio di
richiedere continuamente risposte razionali a domande teologiche: questa
posizione non lasciava spazi per i dogmi, le Sacre Scritture erano viste
come un'autentica testimonianza e non un pretesto per l'invenzione di
ulteriori dogmi. Il ruolo della volontà e dell'intelletto umano veniva
elevato ai massimi livelli: l'uomo poteva controllare le sue decisioni
morali, partendo da una base razionale. Su queste premesse, la "vera" Chiesa
perdeva il suo supernaturalismo e diventava una società di credenti,
idealmente collegata alla Chiesa dei primordi o Chiesa primitiva.
L'altro punto fondamentale del pensiero di S. era la negazione della
divinità di Gesù: Cristo non era la seconda persona (o ipostasi) della
Trinità, ma solamente un uomo, sebbene con caratteristiche divine. Inoltre
la Sua umanità era identificata con la sofferenza, l'umiltà, la povertà del
mondo degli oppressi, che Egli voleva salvare, e non con il mondo dei ricchi
e potenti, un concetto radicale di ispirazione anabattista, che sarebbe
stato in seguito rielaborato dal nipote e da Biandrata.


Unitarianismo (o unitarismo o antitrinitarismo) (XVI - XVII secolo)



Termine teologico per indicare la fede nell'unicità di Dio e nella
contemporanea negazione del dogma della Trinità. Ne consegue anche la
negazione della divinità di Cristo.
L'unitarianismo è stato, a parte l'anabattismo, la terza grande alternativa
nella galassia protestante, oltre al luteranesimo e allo
zwinglianismo/calvinismo.


La storia
La dottrina dell'unitarianismo viene fatta tradizionalmente risalire agli
inizi del Cristianesimo, ed in particolare agli eretici del periodo intorno
al Concilio di Nicene (325), come Ario (infatti gli unitariani furono
proprio chiamati ariani dai loro detrattori), Paolo di Samosata, Noeto di
Smirne, Prassea e Sabellio. Nel medioevo il concetto antitrinitario non
scomparì del tutto, ma rimase nella filosofia di Abelardo e Roscellino.
Venendo al periodo rinascimentale, i primi studiosi ad aver espresso
concetti antitrinitari furono nel 1527 Martin Borrhaus (nome umanistico:
Cellarius) (1499-1564), amico di Martin Lutero, e il predicatore anabattista
Ludwig Haetzer (1500-1529), ma fu soprattutto la pubblicazione a Hagenau, in
Alsazia, nel 1531, del famoso libro De trinitatis erroribus (Gli errori
sulla Trinità) del medico spagnolo Miguel Servet (Michele Serveto) a gettare
nello scompiglio i più famosi pensatori protestanti dell'epoca, da Lutero
("un libro abominevolmente malvagio") a Melantone, Ecolampadio, Bucero.
Quest'ultimo tuonò dal proprio pulpito che l'autore avrebbe meritato di
essere squartato! E proprio in seguito alla pubblicazione di questo libro
tutti i riformatori dell'epoca decisero di rinforzare l'importanza
dottrinale della Santa Trinità. Dopo una vita tribolata da continue
persecuzioni, Serveto finì i suoi giorni, messo al rogo a Ginevra nel 1553
da un altro dei pensatori riformisti, che più lo detestavano, Giovanni
Calvino.
Ma la morte di Serveto fece levare moltissime voci di protesta, tra cui
quelle dei protestanti italiani Giovanni Valentino Gentile, Matteo Gribaldi
Mofa, Giorgio Biandrata e Giovanni Paolo Alciati della Motta, i quali furono
costretti ad emigrare da Ginevra, portando, pur con sfumature diverse, i
germi della dottrina antitrinitaria soprattutto dal 1560 nell'Europa
orientale, cioè in Polonia, Moravia e Transilvania.


Antitrinitari in Polonia
Qui le dottrine antitrinitarie non erano totalmente sconosciute, tant'è vero
che già nel 1538 una anziana donna di 80 anni, Caterina Weygel (o Vogel),
era stata bruciata sul rogo a Cracovia per una sospetta eresia
antitrinitaria. Ma sotto il regno di Sigismondo II Augusto (1543-1572) si
crearono le premesse per lo sviluppo delle idee antitrinitarie in Polonia.
L'antesignano fu Petrus Gonesius (Piotr Z Goniazde), che aveva studiato a
Padova nel 1552-54 con Gribaldi Mofa e da lui era stato convertito.
Già nel secondo sinodo della Chiesa Riformata Polacca (fondata da Jan Laski)
del 1556, Gonesius espresse forti concetti antitrinitari, ma fu solo con
l'arrivo di Giorgio Biandrata e di Lelio Sozzini nel 1558 che la corrente
unitariana trovò dei veri leader e formò una comunità, soprattutto di esuli
italiani, a Piñczòw vicino a Cracovia.
Tuttavia, poco dopo, ci fu per loro un durissimo colpo quando i cattolici,
rappresentati dal nunzio apostolico cardinale Giovanni Francesco Commendone
(1523-1584), convinsero il re Sigismondo II Augusto ad emettere nell'agosto
1564 l'editto di Parczów, che stabiliva l'espulsione di tutti gli stranieri
non cattolici.
Agli antitrinitari italiani, compreso il famoso ex vicario generale dei
Cappuccini, Bernardino Ochino appena giunto in Polonia, non restò che
emigrare in Moravia o in Transilvania.


L'esilio in Moravia
Il margraviato di Moravia, pur facendo parte dei possedimenti assurgici,
godeva di una ampia autonomia, anche in campo religioso. Un esempio pratico
fu l'accoglienza positiva riservata per le comunità di anabattisti, guidati
da Balthasar Hübmaier e Jakob Hutter, perseguitati senza pietà in tutto il
resto dell'Europa.
Austerlitz (Slavkov in ceco), in particolare, fu una città dove fecero capo
diverse correnti religiose dissidenti, compresi gli antitrinitari: nel 1564,
scacciati dalla Polonia in seguito all'editto di Parczów, un gruppo di
antitrinitari italiani, comprendente Niccolò Paruta (che formò in seguito
delle comunità denominate seminaria veritas), Gentile, Alciati della Motta,
Ochino, si recò nella città morava. Furono seguiti nei successivi anni da
altri dissidenti come Marcello Squarcialupi, Andrea Dudith-Sbardellati e
Niccolò Buccella, che man mano, con il miglioramento della situazione
polacca, decisero di rientrare in Polonia.


Ripresa delle attività in Polonia
Già dopo la dieta di Piotrków della Chiesa Riformata Polacca del 1564 che
decretò l'esclusione degli antitrinitari, ci fu una separazione tra una
ecclesia major calvinista ed una ecclesia minor di fede antitrinitaria.
Gli antitrinitari, in quel periodo, si erano frazionati in quattro correnti,
qui riassunti dal nome dei capi-scuola:
Stanislao Farnowski (Farnovius, m.1615): come Gonesio, i suoi seguaci
pensavano che Cristo era pre-esistito alla creazione del mondo e quindi era
giusto adorarlo, ma non adottavano la stessa venerazione per lo Spirito
Santo.  Erano inoltre contrari al battesimo degli infanti. Nel 1568 il
gruppo di Farnowski si separò dalla chiesa unitariana polacca,
concentrandosi in una zona a cavallo del confine con l'Ungheria. La
secessione durò circa 50 anni e, dopo la morte del loro leader, i suoi
seguaci vennero riassorbiti dagli unitari o dai calvinisti.
Martin Czechowic: egli era un ariano molto radicale: Cristo era un uomo come
gli altri, ma essendo nato senza peccato, fu divinizzato e era giusto
adorarlo. Prendendo, come Gonesio, dagli anabattisti, Czechowic si opponeva
al battesimo dei bambini, all'uso delle armi, al coinvolgimento in incarichi
pubblici e alla proprietà privata.
Grzegorz Pawel: il gruppo di Cracovia di Pawel negava sia la pre-esistenza
di Cristo, sia la necessità di adorarlo. Come Gonesio e Czechowic, Pawel
aveva convinzioni anabattiste e in più era un millenarista.
Szymon Budny: per Budny Cristo era un uomo ed era idolatria adorarlo. Venne
scomunicato nonostante il suo vasto seguito in Lituania.
Un punto di svolta fondamentale per l'ecclesia minor fu l'arrivo in Polonia
nel 1579 di Fausto Sozzini, nipote di Lelio, che divenne ben presto la guida
di tutti gli antitrinitariani locali.
Socini pose la sua residenza a Cracovia, sebbene il centro di riferimento
per l'unitarismo polacco fosse la vicina cittadina di Raków, dove era stato
fondato un seminario di studi antitrinitari nel 1569 e dove, tra il 1603 ed
il 1605, sarebbe stato redatto il catechismo ufficiale della setta.
Nello stesso periodo Socini entrò nella polemica tra gli adoranti (al cui
pensiero lui aderiva) e i non-adoranti, come Ferenc Dàvid, Giacomo
Paleologo, Jànos Sommer e Andrea Dudith Sbardellati. (vedi capitolo
"Antitrinitari in Transilvania").
Socini, con il suo De Jesu Christi filii Dei natura sive essentia, attaccò i
non-adoranti come giudaizzanti, che volevano, tra l'altro, santificare il
sabato, secondo un uso sabbatariano, che si sarebbe poi diffuso in
Inghilterra, portatovi proprio dagli unitariani profughi dalla Polonia.
Il pensiero di Socini, fortemente razionale, accettava un solo Dio, mentre
Gesù Cristo era semplicemente un uomo crocefisso, il cui compito era di
rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così la salvezza,
seguendo il Suo esempio. Per lui la Sacra Scrittura, redatta da uomini, non
era indenne da errori, e l'uomo doveva basarsi sulla propria etica per
osservare i comandamenti e non era quindi necessaria la grazia divina. Egli,
inoltre, negava l'esistenza dell'inferno, il peccato originale, la necessità
dei sacramenti, la predestinazione.
Un bel programma in un secolo caratterizzato dal fanatismo religioso degli
opposti estremismi!
Nel 1588 Socini riuscì nell'impresa di unire tutte le fazioni unitariane al
sinodo di Brest (in suo onore, da quel momento gli unitariani si
denominarono sociniani), ma negli anni successivi dovette fronteggiare la
reazione, anche di piazza, dei cattolici: nel 1591 il suo punto d'incontro a
Cracovia fu devastato dalla folla e nel 1598 Socini stesso fu malmenato,
scampando per poco ad un linciaggio.
Egli morì nel 1604 e sulla sua tomba vennero scritte queste significative
parole: Crolli la superba Babilonia: Lutero ne distrusse i tetti, Calvino le
mura, Socini le fondamenta.
Pochi anni dopo, nel 1610, la potente organizzazione gesuita sbarcò in
Polonia decretando il rapido declino degli unitariani in Polonia: nel 1611
fu bruciato sul rogo a Varsavia l'unitariano Jan Tyskiewicz, un agiato
cittadino di Bielsk, e nel 1638 i sociniani furono espulsi da Raków e ne fu
chiuso il seminario.
Il colpo finale per l'unitarismo in Polonia fu il bando di espulsione per
tutti gli unitariani polacchi, deciso nel 1658 e diventato esecutivo il 10
luglio 1660, che li costrinse o ad uniformarsi o ad emigrare in altri paesi
europei (in Olanda, dove la maggior parte si trasferì aderendo alla Chiesa
Arminiana dei rimostranti, in Germania, e in Transilvania, dove però essi
non aderirono alla Chiesa Unitariana Transilvana, ma formarono una chiesa
autonoma a Kolozsvàr estinguendosi nel 1793).
L'ultima sacca di resistenza unitariana in Polonia si estinse nel 1811 e
solo nel 1921 furono riaccettate le congregazioni unitariane nella nazione
rinata dopo secoli di dominazione straniera. Ma la successiva occupazione
nazista nel 1939 e l'instaurazione del comunismo ha fatto sì che
l'unitarianismo polacco potesse incominciare a muovere nuovamente qualche
timido passo solamente dopo la caduta del muro di Berlino, negli anni '90
del XX secolo.
L'attuale Chiesa unitariana in Polonia comprende solo qualche centinaio di
fedeli.


Antitrinitari in Transilvania
Nel 1562 Giorgio Biandrata si recò in Transilvania, a Gyulafehérvár (Alba
Julia), dove fece la conoscenza e divenne amico di Ferenc Dàvid, vescovo
della Chiesa Riformata di Transilvania e cappellano personale del principe
Giovanni II Sigismondo Zapolya (1541-1571). Biandrata fece leggere a Dàvid
una copia della famosa Christianismi restitutio (La restaurazione del
Cristianesimo) di Miguel Serveto, convertendolo all'antitrinitarismo.
Il successivo sinodo nazionale a Gyulafehérvár del 1566 risultò un trionfo
per gli antitrinitari, sottolineato dalla pubblicazione del libro di Dàvid
De vera et falsa unius Dei, Filii et Spiritus Sanctii cognitione (Della
falsa e vera conoscenza dell'unità di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo),
nel quale il riformatore transilvano ridicolizzava la dottrina della Trinità
e perorava la causa della tolleranza religiosa per tutte le fedi.
Questo discorso venne poi ripreso durante la Dieta di Torda nel gennaio
1568, dove  Giovanni II Sigismondo Zapolya riconobbe la piena libertà a
tutte le confessioni religiose: fu la prima dichiarazione, al mondo, di
tolleranza religiosa mai pronunciata da un regnante. Oltre a questo, il re
aderì apertamente all'unitarismo con molti nobili della corte e Dàvid
divenne il capo della Chiesa Unitariana di Transilvania.
Nel 1570 Dàvid entrò in contatto, e ne fu influenzato, con lo studioso
italo-greco Giacomo Paleologo e il suo discepolo locale, il rettore del
ginnasio di Kolozsvár, János Sommer (1540-1574). Paleologo polemizzava con
un altro famoso antitrinitario, Fausto Socini, a riguardo della figura di
Gesù Cristo, che, per il Socini, era un vero uomo crocefisso, il cui compito
era di rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così la
salvezza, seguendo il Suo esempio. Il Paleologo, invece, negava il ruolo di
guida del Cristo, per i fedeli verso la salvezza, e rifiutava,
conseguentemente, ogni forma di adorazione di Gesù Cristo. Per questo, il
Paleologo e i suoi seguaci, tra cui si associò anche Dàvid, vennero
denominati antitrinitari non-adoranti in contrapposizione al pensiero
sociniano di tipo adorante. Alla corrente non-adorante aderì anche l'ex
vescovo cattolico e ambasciatore (di madre italiana) Andrea
Dudith-Sbardellati.
Purtroppo il momento magico per Dàvid finì solo tre anni dopo, nel 1571 con
la morte, a soli 31 anni, di Giovanni II Sigismondo e la salita al trono del
cattolico Stefano I Báthory (1571-1586), che tolse a Dàvid l'incarico di
cappellano personale del re e gli impedì di pubblicare altri scritti. Nel
1579 i suoi nemici riuscirono a farlo arrestare e imprigionare nella
fortezza di Déva dove, a causa del clima rigido e del fisico debilitato,
Dàvid  morì nel novembre dello stesso anno.
La Chiesa Unitariana di Transilvania, fondata da Dàvid, pur attraverso mille
traversie, spietate persecuzioni da parte degli Asburgo cattolici e feroci
pogrom da parte di fanatici ortodossi rumeni, esiste ancora oggi formata da
125 chiese, sebbene divisa dal 1949 in un troncone in Ungheria (25.000
fedeli),  ed uno di etnia ungherese in Transilvania/Romania (circa 80.000
fedeli).


Sociniani in Inghilterra
Attraverso l'Olanda, che accolse molti esuli sociniani, l'antitrinitarismo
giunse in Inghilterra, dove il principale esponente fu John Biddle, preside
del liceo di Gloucester, che pubblicò, nel 1647, il primo trattato
dell'unitarismo inglese, Twelve arguments against the Deity of the Holy
Spirit (dodici ragioni contro la divinità dello Spirito Santo) a uso privato
per pochi amici, uno dei quali lo tradì, facendolo rinchiudere in carcere
nel 1645 per ordine dei magistrati di Gloucester.
Nel 1646 Biddle fu convocato a Londra per essere giudicato da una
commissione di teologi, ma, nell'attesa della sentenza, fu confinato in
prigione a Westminster dove rimase per vari motivi per i successivi 5 anni.
Infatti, imprudentemente, nel 1647, Biddle fece pubblicare le sue Dodici
ragioni, suscitando un putiferio: a gran voce venne chiesta la sua condanna
a morte, prevista anche dalla recentemente approvata (nel 1648) legge
Ordinance for punishing heresies and blasphemies (ordinanza per punire
eresie e blasfemie), ma nel 1652, grazie alla Act of Oblivion (legge di
oblio), egli poté finalmente uscire di prigione.
Una volta libero, Biddle fondò una piccola congregazione sociniana a Londra,
traducendo testi base dei sociniani (o unitariani) polacchi, come il
Catechismo di Racow (in Polonia), la prima dichiarazione dei principi
sociniani, ma soprattutto pubblicò nel 1654 la sua opera più celebre, il
Twofold Catechism (Catechismo doppio), dove in 24 capitoli egli bandì tutte
le espressioni e dottrine non originarie delle Scritture, come
transustanziazione, peccato originale, Dio fatto uomo, Madre di Dio etc.
Insomma non ci fu un solo punto della teologia dell'epoca che non fosse
rimesso in discussione da lui, sebbene utilizzasse l'astuta tecnica delle
domande aperte, senza mai precisare la propria fede.
Nonostante ciò, per ordine del parlamento, le copie del suo libro furono
bruciate sul rogo e lui stesso imprigionato nel carcere di Newgate, ma, per
l'ennesima evoluzione della turbolenta situazione politica inglese (era
stato sciolto il parlamento), fu liberato.
Biddle continuò per tutta la vita a professare attivamente le proprie idee e
per questo venne più volte condannato al confino e al carcere fino alla sua
morte avvenuta nel 1662.
Il principale esponente dell'unitarismo inglese dopo Biddle fu Thomas Emlyn
(1663-1741), che fondò una congregazione unitariana a Londra nel 1705, ma va
anche citata l'attività del teologo neo-ariano Samuel Clarke con il suo
trattato Scripture Doctrine of the Trinity (Scrittura dottrina sulla
Trinità), del 1712.
In seguito si affermò Joseph Priestley (1733-1804), che divise il suo tempo
tra la chimica (individuò, tra l'altro, la molecola dell'ossigeno) e le
predicazioni unitariane, e Theophilus Lindsey che nel 1774 fondò la prima
chiesa ufficiale di ispirazione sociniana a Londra.
Nel 1791 un gruppo di teppisti distrusse sia la casa che il laboratorio di
Priestley, che qualche anno dopo prese la decisione di emigrare in America,
dove fondò una chiesa unitariana in Pennsylvania.
Nel frattempo, in Inghilterra si era formata nel 1825 la British and Foreign
Unitarian Association, che dovette lottare contro le leggi britanniche
varate per proibire agli unitariani di accettare lasciti donati dai
puritani, cosa che verrà aggiustata soltanto con una nuova legge nel 1844.
Nel 1840 avvenne una grave scissione nel movimento: i "cristiani liberi" di
James Martineau, convinti in una fede più intuitiva e meno "razionale", si
separarono fino al 1928, anno in cui le due anime dell'unitarismo inglese si
rifusero nella attuale General Assembly of Unitarian and Free Christian
Churches.

Unitariani in America
Come già detto, Joseph Priestley fu uno dei predicatori che aiutò la
diffusione dell'unitarismo negli Stati Uniti, dove la dottrina però si
sviluppò abbastanza lentamente: prendendo spunto dalle prediche in
Inghilterra di Priestley, due chiese di Boston, la West Church del pastore
Jonathan Mayhew (1720-1766) e la First Church del pastore Charles Chauncy
(1705-1787) divennero unitariane.
Nel 1825 si formò la American Unitarian Association, ma, come per la crisi
degli unitariani inglesi del 1840, anche il pensiero unitariano americano fu
fortemente scosso dalle idee di William Ellery Channing, che inserì elementi
pietisti e filantropici. Lo scontro tre le due anime, mistica-pietistica da
una parte e razionale dall'altra, avrebbe caratterizzato la storia degli
unitariani americani negli anni seguenti: per esempio, nel 1865 la
conferenza nazionale unitariana adottò una piattaforma programmatica
nettamente cristiana, provocando il distacco della minoranza razionalista
che fondò la Free Religious Association (associazione religiosa libera).


L'unitarianismo odierno
Venendo ai giorni nostri, nel 1961 avvenne la svolta con la fusione degli
unitariani statunitensi con il movimento dell'universalismo, fondato dall'ex
pastore metodista John Murray, che credeva nella salvezza di tutti gli
uomini e negava la dannazione eterna.
La fusione diede luogo alla American Unitarian Universalist Association, poi
solo Unitarian Universalist Association, che conta oggi 502.000 aderenti. 
Nonostante la diffusione relativamente bassa dell'unitarismo/universalismo,
ben 5 presidenti degli Stati Uniti hanno professato una fede unitariana e/o
universalista: Thomas Jefferson (che gli unitariani danno come loro seguace,
anche se una sua adesione ufficiale non c'è mai stata), John Adams, John
Quincy Adams, Millard Fillmore  William Howard Taft.
L'associazione, nella quale la corrente razionalista ha oramai preso il
sopravvento, è un movimento basato su congregazioni autogestite senza una
comune formula religiosa ufficiale, retaggio della sua travagliata storia e
dell'apporto di idee molto diversificate e perfino contrastanti: si nota un
interesse più nella libera ricerca della verità.
Infatti, da una statistica risulta che solo il 3% degli aderenti considera
Dio come un essere soprannaturale e il 40% come simbolo dell'amore o di
altri processi naturali. Inoltre 90% non crede nella immortalità dell'anima
e 64% ammette di non pregare mai o di farlo raramente.
In compenso, gli unitariani universalisti si sono sempre schierati in
battaglie civili contro la pena di morte, a favore del divorzio, l'aborto,
l'eutanasia, per il controllo delle nascite, per la riforma carceraria, per
l'educazione sessuale nelle scuole.
L'associazione mantiene contatti con simili organizzazioni in Inghilterra,
Irlanda, Filippine, Ungheria, Francia e Cecoslovacchia e fa parte della
International Association for (Liberal Christianity) and Religious Freedom
(IARF), che afferma di rappresentare 1.500.000 aderenti in 25 paesi.


Soranzo, Vittore (o Vettore), vescovo di Bergamo (1500-1558)



Vittore (o Vettore) Soranzo, era nato a Venezia nel 1500, primogenito del
patrizio Alvise Soranzo e della moglie Lucia Cappello, ed aveva studiato a
Padova.
Uscito dall'università, egli intraprese la carriera ecclesiastica e fu
nominato cameriere segreto di Papa Clemente VII (1523-1534), ma in seguito
conobbe importanti figure dell'evangelismo e riformismo italiano, come
Giovanni Morone, Alvise Priuli, Pietro Carnesecchi, Vittoria Colonna,
attraverso i quali venne a contatto con le idee di Juan de Valdés.
Dopo la dissoluzione dei circoli valdesiani, S. abitò, tra la fine del 1541
e l'inizio del 1542, nella casa viterbese del cardinale Reginald Pole, dove
fece la conoscenza di altri pensatori eterodossi come Apollonio Merenda e
Marcantonio Flaminio, e studiò, apprezzandolo, il Beneficio di Christo di
Benedetto Fontanini da Mantova. Tuttavia, pur sentendo il fascino delle idee
dell'ambiente dei circoli di Valdès e di Pole, S. non avvertì mai la
necessità di doversi distaccare dalle istituzioni ecclesiastiche cattoliche,
e mantenne quindi un atteggiamento abbastanza nicodemitico.
Amico e allievo del cardinale Pietro Bembo, fu da questi delegato a
subentrare come vescovo della diocesi di Bergamo, nel cui ruolo si installò
nel 1544.
Pio, onesto e favorevole al dialogo con la Riforma, S. diede immediatamente
luogo ad una decisa svolta nella lotta contro gli abusi ed i vizi del clero
bergamasco, e chiamò a predicare un minorita itinerante alquanto eterodosso,
Bartolomeo Golfi Della Pergola, favorevole alla giustificazione per fede, ma
nel contempo le sue azioni gli inimicarono i Rettori, cioè le autorità
civili locali.
Infatti, benché nel 1549 S. avesse aperto e presieduto, lui stesso, un
tribunale dell'Inquisizione [venne, tra gli altri, condannato a morte in
contumacia nel 1551 il medico calvinista Guglielmo Gratarolo (1516-1568)],
ebbe comunque luogo una velenosa campagna di calunnia nei suoi confronti:
mediante anonimi opuscoli, lo si accusò di eresia luterana, assieme al
notaio Giorgio de Vavassori (o Vavassoribus) di Medolago (o più
semplicemente Giorgio Medolago) (1483-ca. 1551).
Questi era già stato inquisito per luteranesimo e imprigionato nel 1536 per
ordine del vescovo Pietro Lippomano, ma i familiari e amici (i Vavassori di
Medolago erano una conosciuta e potente dinastia di notai a Bergamo) avevano
assaltato la prigione di Santo Stefano, liberandolo e permettendogli di
fuggire a Venezia. Rientrato a Bergamo nel 1549, Giorgio de Vavassori si
trovò coinvolto appunto in questa campagna antiluterana contro il vescovo
della città, complicata dall'arrivo nel 1550 del fanatico Inquisitore fra
Michele Ghisleri, il futuro papa Pio V (1566-1572), il quale, in un primo
momento, dovette ignominiosamente battere in ritirata, abbandonando Bergamo
con un cavallo preso in prestito, poiché si trovò in grave pericolo di vita
a causa dell'ostilità dei bergamaschi. Questi erano stati sobillati dal clan
dei Vavassori, in seguito al nuovo arresto e trasferimento del loro
congiunto nelle carceri di Venezia, dove in seguito morì.
Tuttavia Ghisleri non era certo uno che mollava facilmente la presa, quando
sentiva odore di eresia: continuò quindi a raccogliere testimonianze e prove
contro S., che riuscì a far arrestare nel 1551 e rinchiudere a Castel
Sant'Angelo, a Roma. Particolarmente compromettente fu il ritrovamento di un
quaderno del vescovo, con la trascrizione dei testi della Confessio
Augustana e della Praefatio in Novum Testamentum di Lutero, le copie di
varie lettere, come quelle da Lutero a Baldassarre Altieri d'Aquila, o di
Bucero ai "fratelli italiani" e altre letture proibite.
S. fu processato a Roma, ma assolto dal Santo Uffizio, venne reintegrato
nella sua diocesi nel 1554. Tuttavia, dopo tre anni, egli fu nuovamente
inquisito in seguito all'arresto del cardinale Morone nel 1557. Nell'aprile
di quell'anno, il papa Paolo IV (1555-1559) dichiarò nulli tutti gli atti di
S. come vescovo di Bergamo e considerò la sede vacante dal 1547, in quanto
il privilegio a S., concesso dal Bembo ad beneplacitum nostrum, era venuto a
decadere con la morte di quest'ultimo in quell'anno.
Comunque S. morì nel 1558 senza che si potessero prendere ulteriori
provvedimenti contro di lui.


Spadafora, Bartolomeo (ca. 1510-1566)



Il nobile siciliano Bartolomeo Spadafora nacque a Messina nel 1510 circa,
secondogenito di Francesco Spadafora, 3° barone di Venetico, Mazzarrà
Sant'Andrea, S. Martino e Solanto e patrizio veneto, e di Melchiorra
Moncada, figlia del barone Giovanni Moncada della Ferla.
Ebbe un'ottima educazione umanistica e fu avviato dal padre alla carriera
diplomatica alla corte dell'imperatore Carlo V (1516-1556), che seguì nel
1536 a Napoli e qui egli iniziò a frequentare i circoli valdesiani,
conoscendo Giulia Gonzaga, Pietro Carnesecchi e Bernardino Ochino.
Nel 1546 S. accompagnò l'imperatore in Germania per partecipare alla dieta
di Ratisbona, dove fallì il tentativo di accordo tra cattolici e
protestanti. Al rientro in Italia nel 1547, S. si fermò a Roma, presso
Vittoria Colonna, che gli fece conoscere il grande artista Michelangelo
Buonarroti (1475-1564), ma qui lo raggiunse il mandato di comparizione per
eresia davanti al Tribunale siciliano dell'Inquisizione a causa dei suoi
trascorsi valdesiani.
S. non si presentò affatto e gli furono quindi confiscati i beni, tuttavia
il tentativo dell'Inquisizione siciliana di coinvolgere i colleghi romani
portò invece ad una breve di assoluzione per il nobile messinese da parte
del papa, Paolo III (1534-1549), soprattutto in seguito all'intercessione
del cardinale Reginald Pole.
In Sicilia, comunque, la situazione rimase off-limits per S., soprattutto
dopo l'arrivo del severissimo inquisitore Bartolomeo Sebastiani, vescovo di
Patti dal 1549 al 1568 e inquisitore di Sicilia dal 1549 al 1555: S. decise
di andare in esilio a Venezia, dove fu benaccolto dal Consiglio dei Quaranta
in ricordo dell'antenato Federico Spadafora, creato patrizio veneto nel 1409
e console di Venezia a Messina.
S. si inserì nella vita pubblica veneziana, entrando all'Accademia degli
Uniti nel 1552 e scrivendo, nel 1554, due orazioni per la morte del doge
Marcantonio Trevisan (doge 1553-1554) e per la successiva elezione a doge
dell'amico e protettore Francesco Venier (doge:1554-1556).
Nel 1553, per farsi restituire dignità e beni perduti, egli ritentò di
coinvolgere l'imperatore Carlo V, che intercesse senza buon esito presso
Sebastiani. Anche la stessa Repubblica di Venezia, attraverso il proprio
ambasciatore Antonio de Mula, cercò perlomeno di ottenere un salvacondotto
per il nobile messinese, ma il punto decisivo a suo favore S. lo segnò con
il parere favorevole del viceré di Sicilia Ferdinando de Vega (viceré:
1550-1557): il 13 maggio 1555 S. fu perdonato dall'imperatore e gli fu tolta
la confisca dei beni.
Tuttavia quello che sembrò il momento di gloria per S. si trasformò
all'improvviso in una tragedia: dietro istigazione del nuovo inquisitore
della Sicilia, Francesco Orosio, il papa Paolo IV (1555-1559)
(l'inflessibile ex cardinale Gian Pietro Carafa) fece riaprire il caso di
S., archiviato da Paolo III ed arrestare il nobile siciliano, traducendolo
nelle carceri dell'Inquisizione a Roma l'8 settembre 1556.
Stessa fine fecero anche Mario Galeota, il cardinale di Modena, Giovanni
Morone e Andrea Ghetti da Volterra: con quest'ultimo e con Giovanni
Francesco Verdura, ex vescovo valdesiano di Cheronissa, S. spartì la cella
per tre lunghi anni. Come Ghetti, anche S. riuscì finalmente a fuggire dalla
galera solo nel 1559, in seguito ai moti popolari del 18 e 19 agosto,
scatenatisi alla morte del papa Paolo IV.
Egli ritornò in Sicilia, fece liberare la sorella Matilde, imprigionata
probabilmente per motivi legati alle vicende del fratello, e si mise a
ricostruire il patrimonio di famiglia. Riuscì anche nell'impresa di farsi
accettare come console generale della Repubblica veneta a Messina.
Il 16 aprile 1566 il decesso della contessa Giulia Gonzaga e la contestuale
scoperta del suo ricco carteggio con molti esponenti dell'intellighenzia
evangelica italiana mise nei guai diversi riformatori, come Pietro
Carnesecchi: anche S. avrebbe potuto essere coinvolto in un nuovo processo a
suo carico, ma la morte, giunta nel luglio 1566, gli diede finalmente la
pace eterna.


Speciale (o Speziale), Pietro (1478-1554)



La figura di Pietro Speciale (o Speziale) si erge come un originale
precursore dei concetti luterani, ante-litteram, di giustificazione per
fede, attraverso la grazia di Dio.
Questo umanista e grammatico veneto, nato a Cittadella (Padova) nel 1478,
studiò infatti gli scritti di Sant'Agostino e di Erasmo da Rotterdam ed
approfondì le tematiche del libero arbitrio e giustificazione sola fide già
dal 1512, un anno prima, cioè, della nota "esperienza della torre"
(Turmerlebnis) di Martin Lutero.
In quell'anno S. si mise a comporre la sua grande opera, De Gratia Dei, che
però finì e pubblicò solamente il 17 ottobre 1542, ben trent'anni dopo. Nel
libro S. concordò con Lutero sulla giustificazione sola fide e nel rifiuto
della transustanziazione, ma ribadì energicamente la sua convinzione nel
libero arbitrio e nella struttura della Chiesa ufficiale, pur censurando gli
eventuali abusi.
Durante questi trent'anni, nei quali, tra l'altro, fu maestro (dal 1536) e
rettore della scuola di Cittadella, S. prese comunque parte attivamente al
panorama protestante nella Repubblica di Venezia del primo `500.
Iniziò alle idee riformiste l'avvocato Francesco Spiera ed il nipote
Girolamo Facio: Spiera sarebbe successivamente morto a soli 46 anni,
schiacciato dal rimorso di aver accettato di abiurare dalla fede
protestante. S. inoltre si aggiornò, leggendo gli scritti dei principali
riformatori tedeschi, come Lutero, Bucero e Melantone e mantenne contatti
con i dissidenti religiosi Baldo Lupetino e Francesco Negri e con il teologo
e storico francescano Bernardino Scardeone (1482-1574), autore del saggio De
Castitate Libri Septem (1542), la cui esaltazione della castità matrimoniale
venne condivisa anche dallo stesso S.
Ma nel 1543 l'anziano umanista fu arrestato con l'accusa di eresia e tenuto
per ben otto anni in prigione a Venezia, dove il grande delatore
dell'anabattismo veneto, Pietro Manelfi si vantò di averlo convertito alla
propria fede.
Oramai stanco, malato e povero per il sequestro dei propri beni, S. si
decise di abiurare il 14 luglio 1551, tuttavia, non contento dell'abiura, il
tribunale dell'Inquisizione veneta stabilì che il vecchio ex rettore di
Cittadella dovesse restare in carcere ancora sei anni. Ma, in seguito
all'aggravamento dello stato di salute, gli fu permesso di lasciare la
prigione e, ritornato a Cittadella, vi morì nel giugno 1554.



Spener, Philipp Jakob (1635-1705) e Speneriani e Pietismo



Introduzione
Dopo la morte di Martin Lutero nel 1546, tra i suoi seguaci si sviluppò un
acceso dibattito con la contrapposizione tra la scuola adiaforista di
Philipp Melantone e i gnesio-luterani, capeggiati da Nikolaus von Amsdorf,
che rigidamente seguivano l'insegnamento di Lutero. La divisione fu
faticosamente ricomposta solamente con la Formula (1577) e il Libro (1580)
di Concordia. Tuttavia, successivamente proprio i teologi luterani caddero
in quella cristallizzazione scolastica, che tanto avevano criticato nei
studiosi cattolici.
Contro questa cristallizzazione e contro un'osservanza rigida e superficiale
della vita religiosa reagì il movimento dei pietisti, una corrente luterana
sviluppatosi nel XVII e XVIII secolo in Germania grazie all'azione del
teologo alsaziano Philipp Jakob Spener, ispirato, a sua volta, dai lavori di
Johannes Arndt, il padre teologico del pietismo, e del mistico francese Jean
de Labadie.


La vita
Il teologo Philipp Jakob Spener, fondatore del movimento pietista, nacque il
13 gennaio 1635 a Rappoltsweiler, in Alsazia. Egli frequentò dapprima il
ginnasio di Colmar, e successivamente l'università di Strasburgo, dove
studiò filologia, storia e filosofia, ottenendo il titolo di Maestro di arti
liberali nel 1653. Dal 1659 al 1662 egli viaggiò visitando le università di
Basilea, Tübingen e Ginevra, ed iniziò i suoi studi di araldica, che portò
avanti per tutta la sua vita. A Ginevra, fondamentale per le sue future
scelte teologiche fu l'incontro con il riformatore Jean de Labadie.
Nel 1663 S. ritornò a Strasburgo come predicatore e oratore, ma solo tre
anni più tardi egli decise di accettare il posto di Pastore capo della
chiesa luterana di Francoforte sul Meno: qui riscossero un vivo successo i
suoi sermoni ispirati alla necessità di una fede più viva e alla
santificazione della vita quotidiana e qui, nel 1670, concepì i cosiddetti
Collegia pietatis (da cui il nome del movimento), riunioni in case private
per lo studio delle letture sacre e per approfondire le esperienze
interiori.
Nel contempo egli scrisse il suo lavoro principale: Pia desideria oder
herzliches Verlangen nach gottgefälliger Besserung der wahren evangelischen
Kirche (Pii desideri, o la viva aspirazione ad un miglioramento, gradito a
Dio, della vera chiesa evangelica) (1675), in realtà una lunga introduzione
della nuova edizione, voluta da S. stesso, dei Vier Bücher vom Wahren
Christhentum (Quattro libri sul vero cristianesimo) di Johann Arndt. Nella
sua prefazione S. ipotizzava una riforma della chiesa luterana basata su sei
pii desideri:
A causa dell'inadeguatezza dei sermoni, bisognava favorire lo studio delle
Sacre Scritture attraverso riunioni private.
Era necessario sviluppare un sacerdozio universale con laici accanto ai
pastori.
La conoscenza del Cristianesimo doveva essere accompagnate dalle virtù
cristiane della Carità e del Perdono.
L'attitudine verso i non credenti doveva basarsi non sulla polemica
virulenta, ma sul desiderio di convertirli.
Andava sviluppato negli studenti di teologia non solo lo zelo per lo studio,
ma anche verso una vita devota.
La retorica nella predicazione doveva essere abbandonata per favorire una
vita cristiana pratica, piena di fede, ma anche severa [tra il 1680 ed il
1690 S. pubblicò tre opere contro il gioco, il teatro e la danza, le
cosiddette adiaphora (cose, per Melantone, indifferenti dal punto di vista
morale, un pensiero evidentemente non condiviso da S.!)].
Nel 1686 S. accettò il posto di cappellano di corte a Dresda, presso il
principe elettore di Sassonia, Johann Georg (Giovanni Giorgio) III
(1680-1691), ma nel 1691, il principe, constatato lo scarso interesse di S.
al ruolo assegnatogli, riuscì a convincere i principi di Brandeburgo a farlo
nominare rettore della chiesa di San Nicola a Berlino e consigliere del
concistoro.
Qui S. fu tenuto in alta considerazione da parte del principe elettore di
Brandeburgo, Federico III (principe elettore: 1688-1701 e, come Federico I,
re di Prussia: 1701-1713) e fu decisivo nella scelta dei professori per la
facoltà di teologia della neonata università di Halle. Questa università
diventò ben presto il centro di riferimento del pietismo tedesco e il suo
sviluppo venne ulteriormente implementato dall'erede spirituale di S.,
August Hermann Franke, che vi fondò scuole di carità, orfanotrofi, case di
riposo per anziani, laboratori artigiani, centri di studio della Bibbia.
Tuttavia l'ortodossia luterana non abbassò mai la guardia contro S.: nel
1695 la facoltà teologica dell'università di Wittenberg lo accusò di 264
errori dottrinali e solo la sua morte il 5 febbraio 1705 lo liberò per
sempre da questi attacchi.


Il Pietismo
Già nell'anno di nomina (1686) di S. a cappellano di corte a Dresda, August
Hermann Franke e i colleghi Johann Kaspar Schade (1666-1698) e Paul Anton
(1661-1730) fondarono a Lipsia i Collegia philobiblica, scuole per la
spiegazione pratica e devozionale delle Sacre Scritture. Essi invitarono i
cittadini di Lipsia a parteciparvi, e nel 1689/90 a creare essi stessi i
loro collegi. Ma l'iniziativa fu ostacolata dall'ortodossia luterana e
tramontò solo cinque anni più tardi, nel 1691. A Franke fu revocato lo
stipendio e proibito di organizzare incontri di qualsiasi tipo: non gli
restò che recarsi ad Halle (poco dopo fu raggiunto da Anton) per diventarvi
professore e pastore nel 1692.
Franke, vero diffusore del pietismo in Germania, come già sopradetto, formò
una schiera di teologi pietisti, che si contrapposero al centro dei luterani
tradizionali, cioè l'università di Wittenberg. Tra gli altri teologi o
fondatori di movimenti religiosi, nati come pietisti, ma che hanno poi
sviluppato posizioni diversi si annoverano: Gottfried Arnold, Johann Konrad
Dippel, Johann Albrecht Bengel,(che operò proprio a Wittenberg) ed infine il
conte Nikolaus Ludwig Graf von Zizendorf, fondatore della Herrnhuter
Brüdergemeine (comunità dei fratelli a Herrnhut), nella quale confluirono i
discendenti dei Fratelli Moravi, fondati da Luca di Praga nel XV secolo, i
labadisti, ed alcuni schwenckfeldiani. Anche sul movimento fondato dal
mistico svedese Emmanuel Swedenborg fu forte l'influenza del pietismo.
La massima fioritura per il pietismo in Germania, che comunque non creò mai
una chiesa separata, si ebbe sotto Federico I di Prussia e il successore
Federico Guglielmo I (1713-1740), ma declinò ben presto sotto il famoso (e
scettico) Federico II, detto il Grande (1740-1786).
All'estero l'influenza del pietismo fu più duraturo, in Danimarca con il re
Federico IV (1699-1730), che nel 1705 scelse i primi missionari per le Indie
fra i pietisti, ma soprattutto in Inghilterra e Nord America, nei confronti
di movimenti religiosi protestanti come quello Anglicano, Puritano, Battista
e Metodista.


Speroni, Ugo (att. 1164-1185) e speronisti



Ugo Speroni nacque a Piacenza nella 1° ½ del XII secolo e studiò
giurisprudenza a Bologna, diventando successivamente un giurista di notevole
cultura della sua città natale.
Ebbe un ruolo attivo nella vita politica di Piacenza, diventandone il
console tra il 1164 ed il 1171 ed intervenendo nelle lotte cittadine tra il
comune ed il vescovo.
Nel 1177, S. pubblicò il suo lavoro Adversus Antichristum, nel quale egli
espose il suo credo religioso, basato sulla predestinazione ed il rifiuto di
ogni elemento materiale nella liturgia, della figura del sacerdote, degli
stessi sacramenti, come ad esempio il battesimo dei bambini: per S. tutto
ciò era inutile, perché, come scriveva San Paolo nella lettera ai Galati
(3,11) "il giusto vivrà in virtù della fede ".
Inoltre, S. teneva come unico riferimento valido la Sacra Scrittura, letta
comunque con un'ottica tipica della filosofia scolastica e rifiutando le
interpretazioni strumentali della Chiesa.
Insomma tutto l'impianto concepito da S. portava ad un rapporto diretto con
Dio, in comunione spirituale con il mondo, ed in questo S. si poteva
considerare un anticipatore di alcuni temi cari ai quaccheri.
Molte delle cose su di lui, le conosciamo attraverso la confutazione, Liber
contra multiplices et varios errores, scritta da un suo vecchio collega di
università, il maestro di giurisprudenza Vacario (m. ca. 1198) e pubblicata
dopo il 1170 in Inghilterra, dove Vacario era andato a vivere nel 1145.
Vacario decise di scrivere questa confutazione dopo che S. gli aveva inviato
degli scritti sul proprio credo religioso.
S., comunque, non fece mai predicazioni itineranti, come altri dell'epoca,
per esempio Pietro de Bruis, Enrico di Losanna, Tanchelmo di Brabante, Eon
de l'Etoile, sebbene alcuni punti propugnati da questi personaggi
coincidessero con i suoi.
Si ignora la data della sua morte.
Il movimento, che prese il nome da S., fu denominato dei speronisti, e si
crede abbia avuto inizio nel 1185, poiché prima di questa data non si ne
fece menzione. L'impegno missionario richiesto ai speronisti non fu mai
eccessivo, se è vero che ad essi non venne nemmeno ordinato di abbandonare
la propria famiglia. Tuttavia, pochi anni dopo, il movimento venne
condannato come eresia e i suoi seguaci fecero ritorno nella Chiesa
Cattolica solamente nel 1200.


A proposito degli speronisti, diamo qui di seguito due convincimenti errati
o fantasiosi di alcuni autori stranieri, di lingua inglese:
Il collegamento tra speronisti e umiliati, facendo addirittura risalire la
fondazione del movimento di questi ultimi direttamente a S. stesso.
La fondazione di questa setta dovuta alla figura del vescovo cataro Robert
d'Espernon, italianizzato in un improbabile Roberto di Sperone, da cui il
nome speronisti o esperonistes.


Speciale (o Speziale), Pietro (1478-1554)



La figura di Pietro Speciale (o Speziale) si erge come un originale
precursore dei concetti luterani, ante-litteram, di giustificazione per
fede, attraverso la grazia di Dio.
Questo umanista e grammatico veneto, nato a Cittadella (Padova) nel 1478,
studiò infatti gli scritti di Sant'Agostino e di Erasmo da Rotterdam ed
approfondì le tematiche del libero arbitrio e giustificazione sola fide già
dal 1512, un anno prima, cioè, della nota "esperienza della torre"
(Turmerlebnis) di Martin Lutero.
In quell'anno S. si mise a comporre la sua grande opera, De Gratia Dei, che
però finì e pubblicò solamente il 17 ottobre 1542, ben trent'anni dopo. Nel
libro S. concordò con Lutero sulla giustificazione sola fide e nel rifiuto
della transustanziazione, ma ribadì energicamente la sua convinzione nel
libero arbitrio e nella struttura della Chiesa ufficiale, pur censurando gli
eventuali abusi.
Durante questi trent'anni, nei quali, tra l'altro, fu maestro (dal 1536) e
rettore della scuola di Cittadella, S. prese comunque parte attivamente al
panorama protestante nella Repubblica di Venezia del primo `500.
Iniziò alle idee riformiste l'avvocato Francesco Spiera ed il nipote
Girolamo Facio: Spiera sarebbe successivamente morto a soli 46 anni,
schiacciato dal rimorso di aver accettato di abiurare dalla fede
protestante. S. inoltre si aggiornò, leggendo gli scritti dei principali
riformatori tedeschi, come Lutero, Bucero e Melantone e mantenne contatti
con i dissidenti religiosi Baldo Lupetino e Francesco Negri e con il teologo
e storico francescano Bernardino Scardeone (1482-1574), autore del saggio De
Castitate Libri Septem (1542), la cui esaltazione della castità matrimoniale
venne condivisa anche dallo stesso S.
Ma nel 1543 l'anziano umanista fu arrestato con l'accusa di eresia e tenuto
per ben otto anni in prigione a Venezia, dove il grande delatore
dell'anabattismo veneto, Pietro Manelfi si vantò di averlo convertito alla
propria fede.
Oramai stanco, malato e povero per il sequestro dei propri beni, S. si
decise di abiurare il 14 luglio 1551, tuttavia, non contento dell'abiura, il
tribunale dell'Inquisizione veneta stabilì che il vecchio ex rettore di
Cittadella dovesse restare in carcere ancora sei anni. Ma, in seguito
all'aggravamento dello stato di salute, gli fu permesso di lasciare la
prigione e, ritornato a Cittadella, vi morì nel giugno 1554.



Spiera, Francesco (1502-1548)



La vita
Francesco Spiera nacque nel 1502 a Cittadella, vicino a Padova, dove studiò
legge, diventando in seguito un noto avvocato. Verso i quarant'anni, S. si
accostò, assieme al nipote Girolamo Facio, alle idee riformiste,
presentategli dall'amico umanista e grammatico Pietro Speciale (o Speziale),
maestro di scuola a Cittadella fino dal 1536.
Il 15 novembre 1547, su segnalazione di cinque sacerdoti e del vescovo di
Vicenza, S. e suo nipote vennero denunciati all'Inquisizione per idee
luterane. In particolare lo si accusò di aver tradotto il Padre Nostro in
italiano, di aver letto libri proibiti come il Beneficio di Cristo di
Benedetto Fontanini da Mantova, laTragedia del libero arbitrio di Francesco
Negri, il Pasquino in estasi di Celio Secondo Curione, e la Opera utilissima
intitolata dottrina vecchia et nuova dell'umanista Urban König (Regius)
(1489-1541), oltre ad aver propagandato idee luterane quali il rifiuto
dell'autorità papale, del rito della messa, del valore delle opere,
dell'intercessione dei santi, del suffragio dei morti, dell'esistenza del
Purgatorio ed infine di aver messo in dubbio il significato canonico del
Sacramento dell'Eucaristia.
Venne arrestato e messo nella stessa cella dove già era detenuto da quattro
anni un altro accusato di idee riformiste, Baldo Lupetino. Il 24 maggio 1548
iniziò l'interrogatorio davanti al Tribunale dell'Inquisizione: S. un po'
ammise gli addebiti, un po' si difese, ma, dopo soli cinque giorni di
processo, ebbe un crollo psichico (secondo la versione del Vergerio, pensò
alle possibili conseguenze per sua moglie e i suoi figli) e accettò di
abiurare pubblicamente il 26 giugno dello stesso anno nella cappella di San
Teodoro, in San Marco a Venezia, seguito da una seconda abiura a Cittadella
il 1 luglio.
A quel punto, subentrò nella mente dell'avvocato di Cittadella la
convinzione di aver tradito Gesù Cristo e il Vangelo, e di essere destinato
alla dannazione eterna. Egli entrò quindi in una profonda depressione, si
ammalò rapidamente e nonostante le cure dei medici e il conforto di Pier
Paolo Vergerio, accorso al suo capezzale e che si offrì di pagare le
relative spese mediche, le sue condizioni di salute peggiorarono
vistosamente in pochi mesi.
Nel tentativo di ottenere cure migliori, egli fu portato a Padova, in casa
di un parente, Giacomo Nardini, ma in dicembre rientrò a Cittadella, dove il
27 dicembre 1548, schiacciato dal rimorso, S. si spense a soli 46 anni.


Le reazioni in seguito alla sua morte
Il caso Spiera ebbe una grande diffusione negli ambienti protestanti del
Cinquecento grazie anche agli autorevoli personaggi, che, colpiti dal caso
umano e religioso, fecero resoconti molto particolareggiati noti anche
all'estero.
Già si è detto di Pier Paolo Vergerio, che dichiarò che dall'episodio
dell'avvocato di Cittadella aveva tratto la forza di prendere la via
dell'esilio. Fu, secondo alcuni autori, la sua "esperienza della torre"
(Turmerlebnis), di luterana memoria.
Ma l'agonia colpì anche i testimoni oculari Bartolomeo Fonzio e Matteo
Gribaldi Mofa, che scrisse a riguardo la Historia de quondam quem hostes
Evangelii in Italia coegerunt abijcere agnitam veritatem, influenzò Celio
Secondo Curione, che redasse una Francisci Spierae (.) historia, e infine lo
stesso Calvino, che ne fece riferimento in una polemica sorta con i
luterani, dopo che quest'ultimi avevano accusato i calvinisti di far morire
la gente disperata.
La polemica era sorta dopo la comparsa di un'epistola del 1550 di Giorgio
Siculo: Epistola di Georgio Siculo servo fedele di Jesu Christo alli
cittadini di Riva di Trento contra il mendatio di Francesco Spiera et falsa
dottrina de' Protestanti. Lo scritto aveva una valenza anti-protestante, non
certo cattolica, ma di stampo anabattista o tipicamente del filone di
pensiero di Miguel Serveto, e si inserì nella polemica del Siculo contro la
dottrina calvinista della predestinazione.


Spinola, Publio Francesco (m. 1567)



Umanista milanese, insegnante e poeta in latino, grande ammiratore e amico
di Aonio Paleario, al cui viaggio a Milano nel 1556, Publio Francesco
Spinola contribuì in notevole misura.
Come lo stesso Paleario, anche S. si fece mettere sotto la protezione del
cardinale Cristoforo Madruzzo (1512-1578), referente imperiale a Milano
negli anni 1556-1557 e protettore di altri dissidenti religiosi come Andrea
Ghetti da Volterra, Jacopo Aconcio, Bartolomeo Spadafora, Ortensio Lando e
Filippo Valentini da Modena.
Tuttavia, poco dopo, nel 1560, S. ebbe noie con l'Inquisizione e dovette
lasciare Milano per Brescia, dove trovò rifugio presso le famiglie Ugoni e
Martinengo, profondamente influenzate dalla Riforma, e dove rimase per un
anno come insegnante di latino nelle scuole pubbliche locali.
Fece amicizia anche con Giovanni Andrea Ugoni, al quale donò un libro dello
storico tedesco e annalista della Riforma, Johannes Sleidano (1506-1556), ma
che, in seguito, lo tradì, facendo il suo nome all'Inquisizione, quando
Ugoni venne processato nel 1564 a Venezia.
Nel 1561-62 S. si trasferì a Venezia per diventare precettore dei figli del
nobile veneziano Lunardo di Antonio Mocenigo.
Ma nel luglio 1564, in seguito alle rivelazioni dell'Ugoni, come già detto,
S. fu incarcerato a Venezia stessa con l'accusa di luteranesimo, sebbene, da
alcune testimonianze, pare che il suo pensiero sull'Eucaristia fosse più
allineato alle dottrine espresse da Zwingli.
Mentre era in carcere, S. continuò a fare propaganda religiosa per la
Riforma, ma la denuncia di alcuni suoi compagni di cella probabilmente
accelerò la condanna a morte eseguita per annegamento nella laguna veneta,
più precisamente nel Canale Orfano, il 31 gennaio 1567.




Manelfi, Pietro (ca. 1519-dopo 1552)



Pietro Manelfi (detto anche Pietro della Marca) nacque nel 1519 circa a San
Vito di Senigallia, nelle Marche. Fattosi sacerdote, M. fu però convertito
dapprima al luteranesimo e poi, nel 1540, all'anabattismo da Tiziano (capo
storico dell'anabattismo veneto, di cui si conosce solo il nome di
battesimo, da non confondere con il valdesiano Lorenzo Tizzano) e da Fra
Hieronimo Spinazzola. Fu ribattezzato a Ferrara e compì in seguito
un'intensa attività di proselitismo come ministro anabattista in Triveneto,
Lombardia, Emilia, Romagna, Toscana e Istria, diventando uomo di punta
dell'organizzazione anabattista veneta.
Nel Settembre 1550, M. partecipò ad un vero e proprio concilio anabattista a
Venezia, dove egli annotò le conclusioni finali alquanto radicali per
l'epoca: negazione della natura divina di Cristo, degli angeli,
dell'inferno, ma soprattutto un rifiuto del concetto cattolico di
giustificazione mediante le opere, ma anche di quello protestante di
giustificazione per fede, il tutto sostituito da una imperscrutabilità
divina.
Tuttavia, dopo anni di militanza anabattista, il 17 ottobre 1551 M. si
presentò spontaneamente all'inquisitore di Bologna, il domenicano Leandro
Alberti (o de Albertis) (1479-ca.1552), avendo preso la decisione di
abiurare e di denunciare tutti gli anabattisti e luterani da lui conosciuti.
L'occasione per l'Inquisizione era quanto mai ghiotta per assestare un colpo
mortale all'organizzazione anabattista italiana: M. venne trasferito a Roma
e durante gli interrogatori (riprodotti nel libro I costituiti di don Pietro
Manelfi di Carlo Ginzburg) del novembre 1551 fornì tali e tante notizie da
scatenare una repressione senza pari dell'anabattismo e dell'evangelismo
italiano, i cui pesanti effetti si sentirono per anni.
Inquisiti, vittime o esiliati famosi, in seguito alle sue rivelazioni,
furono, tra gli altri, Giulio Gherlandi, Francesco Della Sega, Antonio
Rizzetto, Bartolomeo Panciatichi, Pier Paolo Vergerio, Ludovico Manna e
Niccolò Buccella.
Esaurito il suo compito di delazione, M. letteralmente scomparve dalla scena
religiosa italiano (si ignora infatti dove e quando sia morto), non prima
comunque che l'Inquisizione gli assegnasse, nel maggio 1552, uno stipendio
mensile di cinque ducati d'oro, per i servizi resi.


Gubbio, Fra Bentivegna da (inizio XIV secolo)



Bentivegna, nato a Gubbio, aderì nel 1304 alla setta degli apostolici sotto
la guida di Fra Dolcino da Novara, ma successivamente alla repressione del
movimento attuata dalle truppe del vescovi di Novara e Vercelli, abbandonò i
dolciniani, entrando nell'ordine dei francescani.
Qui, però, l'irrequieto B. decise di aderire al movimento dei Fratelli del
Libero Spirito, una setta, diffusosi dal XII secolo, che professava
l'indipendenza dall'autorità ecclesiastica e la possibilità di vivere
secondo una vita apostolica e ascetica, poiché i propri adepti erano
convinti di essere pervasi dallo Spirito Santo.
Essi infatti ritenevano di essere talmente perfetti da poter commettere
qualsiasi atto senza correre il rischio di peccare, secondo il detto di San
Paolo: Tutto è puro per i puri (Lettera a Tito 1,15). Alcuni autori
cattolici riportarono che essi, forti di questo convincimento, si lasciavano
andare soprattutto ad atti contro la morale, come atti sessuali
extramatrimoniali.
B. fondò una sua variante dei Fratelli del Libero Spirito, denominata
Spirito di Libertà, ma i francescani, scandalizzati da questo atteggiamento
antinomiano, condannarono nel 1307 B. e i suoi seguaci ad essere confinati a
vita nelle loro celle. E, ironia della sorte, fu proprio Ubertino da Casale,
diventato poi uno dei leader storici del movimenti dei francescani
spirituali o fraticelli, a pronunciare la condanna.



Hubmaier, Balthasar (1480/1-1528)



La gioventù
Balthasar Hubmaier, il più famoso teologo anabattista, nacque nel 1480/1 a
Friedberg, vicino ad Augsburg (Augusta) in Baviera, da una povera famiglia
contadina. Nonostante ciò, egli riuscì con mille difficoltà a completare gli
studi universitari, dapprima a Friburgo e, in seguito, ad Ingolstadt,
seguendo il suo maestro, il più giovane, ma già affermato, teologo Johann
Eck (1486-1543).
H. divenne sacerdote nel 1510 e dottore in teologia nel 1512, iniziando
immediatamente a lavorare per l'università di Ingolstadt, di cui divenne
vice-rettore nel 1515.
Nel 1516 H. fu nominato predicatore della cattedrale di Ratisbona
(Regensburg), in Baviera, dove ebbe molto successo, ma dove si lasciò anche
coinvolgere in una violenta campagna contro gli ebrei, culminata con la loro
cacciata dalla città. In seguito a questo non edificante episodio, la sua
popolarità presso i cittadini cristiani salì comunque alle stelle,
suscitando l'invidia dell'ordine dei Domenicani e convincendolo quindi a
trasferirsi in un posto più tranquillo.
Prese dunque la decisione di recarsi nel 1521 a Waldshut, vicino al confine
con la Svizzera, nel sud del Baden Württenberg, allora (dal 1520 al 1534)
sotto il dominio degli Asburgo.


La conversione alla Riforma
Fino a quel momento H. era stato un cattolico osservante, ma dal soggiorno a
Waldshut in avanti si accostò sempre più alle idee riformiste, leggendo gli
scritti di Lutero e scambiando lettere con Zwingli ed Ecolampadio.
Con i due riformatore svizzeri H. si trovò spesso d'accordo, soprattutto nel
primato della Sacra Scrittura e nella lotta contro l'uso delle immagini e
contro la messa in latino, tuttavia incominciò anche ad essere sempre più in
contrasto con loro per quanto concerneva il battesimo dei bambini. A
riguardo man mano egli si accostò alle posizioni espresse dal gruppo
anabattista di Conrad Grebel.
Nel 1524 H. si impegnò a fondò per la conversione alla Riforma della
Germania meridionale: introdusse la messa in tedesco, abolì il celibato e il
digiuno, ma la sua azione venne contrastata dal vescovo di Costanza Hugo von
Hohenlandenberg (vescovo: 1496-1529, m. 1532) e dagli Asburgo, che tentarono
inutilmente di fare delle pressioni sulle autorità di Waldshut, acciocché lo
espellessero: fu comunque lo stesso riformatore che decise di rifugiarsi,
nel Settembre 1524 a Sciaffusa, in Svizzera, per evitare guai peggiori alla
città tedesca.
A Sciaffusa H. scrisse una delle sue opere migliori: Von Ketzern und ihren
Verbrennern (Sugli eretici e su coloro che li bruciano), contro le
persecuzioni dei suoi nemici, cattolici e Asburgo, che nuovamente, questa
volta al consiglio di Sciaffusa, chiesero la sua estradizione. Comunque H.,
anche qui, tolse le autorità dall'imbarazzo, ritornando a Waldshut in
Ottobre.


La conversione all'anabattismo
Qui egli riprese la sua azione riformatrice, ma con un forte connotato
anabattista, alla quale dottrina dichiarò di aderire nel Gennaio 1525, mese
in cui si sposò con Elsbeth Hügeline. In Aprile fu battezzato da Wilhelm
Reublin, e nei giorni successivi lui stesso battezzò circa trecento persone.
Dal Maggio 1525 H. entrò in una polemica sul battesimo, a colpi di opuscoli
dottrinali, con Zwingli: iniziò il riformatore di Zurigo con Vom Tauff,
Widertauff und Kindertauff (Del battesimo, contro-battesimo e battesimo dei
bambini), al quale H. rispose con Von dem Christenlichen Tauff der glaübigen
(Del battesimo cristiano dei credenti). Zwingli accusò il colpo pubblicando
il piccato e polemico Über dr. Balthazars Tauffbüchlin waarhaffte gründte
antwurt (Risposta all'opuscolo del dr. Balthazar sul battesimo), ma H.
rintuzzò l'attacco pubblicando Ein Gesprech auf Zwinglen Tauffbüchlein von
dem Kindertauff (Discorso sull'opuscolo di Zwingli intorno al battesimo dei
bambini). In questi scritti l'impianto dottrinale di H. sul battesimo si
fondava su una visione catartica del sacramento, purificatrice dei peccati,
che doveva seguire la confessione ed il pentimento ed evidentemente non era
applicabile ai neonati per ovvi motivi.
Nel frattempo il contrasto con gli Asburgo prese una piega molto drammatica:
nell'autunno 1525 Ferdinando d'Asburgo fece porre d'assedio Waldshut, con il
 pretesto della repressione della rivolta dei contadini, ma anche con
l'obiettivo di riportare il Cattolicesimo nella città.
Waldshut si arrese il 5 Dicembre 1525 e H., non volendo piegarsi ai voleri
del nemico, fuggì con la moglie e qualche amico a Zurigo.


H. a Zurigo
Qui H., perseguitato e lacero, entrò il 7 Dicembre di nascosto, ritenendo
saggiamente di non far sapere la cosa alle autorità, poiché era ancora viva
l'impressione per le polemiche anabattiste e la successiva condanna di
Grebel, Mantz e Blaurock. Tuttavia, qualche giorno dopo, egli venne scoperto
ed arrestato su ordine delle autorità cittadine, che rifiutarono
l'estradizione chiesta dagli Asburgo, ma accettarono la richiesta di un
confronto pubblico con Zwingli.
L'esito di questo dibattito fu scontatamente a favore di Zwingli, il quale
mise l'avversario di fronte ad un aut-aut: o ritrattare o abbandonare la
città. H., malato e stanco, scrisse la sua ritrattazione, ma quando il 5
Gennaio 1526 gli fu richiesto di leggerla pubblicamente davanti alla
cittadinanza, egli negò tutto lanciandosi in una appassionante quanto
pericolosa apologia del battesimo degli adulti, interrotta a forza dalle
guardie, che lo imprigionarono nuovamente nella famigerata Wasserturm.
Questa volta per essere più sicuro del pentimento di H., Zwingli lo fece
spietatamente torturare fino ad ottenere una piena ritrattazione, che fu da
H. reiterato pubblicamente per ben tre volte.


H. a Nikolsburg
Disprezzato dagli anabattisti e dai riformatori, per motivi ovviamente
diversi, e ricercato attivamente dalle spie degli Asburgo, H. lasciò
segretamente Zurigo nel 1526, dirigendosi verso Ausgburg (Augusta), dove
nell'Aprile dello stesso anno fondò una comunità anabattista e battezzò Hans
Denck.
Ma già nel Luglio 1526 H. se ne andò da Augusta e si diresse a Nikolsburg
(oggigiorno Mikulov), nella Moravia meridionale, invitato dai signori del
luogo, appartenenti ad un ramo della nobile famiglia dei Liechtenstein.
Il successo ottenuto da H. a Nikolsburg andò oltre ogni più rosea
previsione: non solo egli convertì sia i signori Leonhard e Johann von
Liechtenstein che i due predicatori luterani della città, Hans Spittelmaier
(1497-1528) e Oswald Glait (m. 1546), ma ribattezzò anche circa 6.000
persone durante la sua permanenza, creando a Nikolsburg quel centro di
riferimento, che gli anabattisti perseguitati in Europa anelavano
disperatamente. E i perseguitati risposero entusiasticamente alla
possibilità di rifugio in Moravia, affluendo talmente numerosi che la
popolazione di Nikolsburg crebbe fino a sfiorare le 12.000 unità.
A Nikolsburg H. si dedicò ad elaborare la dottrina anabattista attraverso la
pubblicazione di circa 18 opere tra scritti, trattati, brevi saggi, il più
famoso dei quali furono i Zwölf Artikel des christlichen Glaubens (Dodici
articoli della fede cristiana) del 1526.
H. era fautore di un coinvolgimento dei cristiani nella vita politica e
nella difesa con le armi, se necessario, della propria autonomia: i suoi
seguaci furono per questo detti Schwertler (i portatori di spada).
Questa posizione alimentò dei dissidi interni al movimento anabattista con
la corrente pacifista degli Stabler (i portatori di bastone), seguaci di
Jakob Wideman, detto Jakob il guercio (m.1535 ca.). La polemica peggiorò con
l'arrivo di Hans Hut, che diede un sapore apocalittico alle sue predicazioni
per aver fissato la data della parusia (seconda venuta di Cristo sulla
terra) per la Pentecoste del 1528.
Hut riuscì a spezzare il movimento anabattista, portando dalla sua parte gli
adepti più radicali, che mal tolleravano i compromessi di H. con le autorità
locali e propendevano per un anabattismo estremo secondo un concetto caro al
fondatore Conrad Grebel.


La fine
La situazione precipitò quando i signori di Liechtenstein fecero arrestare
Hut, poi evaso: i successivi tumulti creati dai seguaci di Hut misero anche
H. in cattiva luce presso i governanti stessi. Fu questo probabilmente il
motivo perché essi acconsentirono, nell'autunno 1527, all'estradizione di H.
e della moglie in Austria, su richiesta degli Asburgo, dove vennero
arrestati e imprigionati nel castello di Kreuzenstein, nell'Austria
inferiore.
Dapprima Ferdinando d'Asburgo adoperò la linea morbida, facendo parlare H.
nel Dicembre 1527 con il suo vecchio amico, il teologo cattolico Johann
Faber (1478-1541), che cercò di convincerlo, per la verità con un fare molto
brusco e prepotente, ad una parziale ritrattazione delle sue idee.
Ma gli Asburgo volevano una totale e incondizionata resa del teologo
anabattista, che egli, nonostante le torture, non volle dare: fu quindi
condannato a morte per eresia e sedizione.
Il 10 Marzo 1528 H. fu bruciato sul rogo a Vienna, perdonando i suoi nemici,
e pochi giorni dopo anche la moglie venne uccisa, gettata con una pietra al
collo nel Danubio.


La dottrina
Attraverso i suoi innumerevoli scritti, H. fu il primo teologo a cercare di
sistemare la nebulosa (fino ad allora) dottrina anabattista: la Chiesa era
vista come una comunità di rigenerati fondata su due patti con Dio: il
Battesimo e la Cena del Signore.
Egli infatti concepì il Battesimo come un voto, una pubblica testimonianza
della fede cristiana, un vero arruolamento nella Chiesa dei credenti.
La Cena del Signore (Eucaristia) era invece una pubblica testimonianza
dell'amore cristiano, non andava inteso come un sacrificio, ma come la
commemorazione della morte  e delle sofferenze di Cristo, che aveva dato il
Suo corpo per la nostra salvezza.
Tuttavia H. in polemica con i concetti protestanti della salvezza per fede e
della predestinazione, era convinto che i credenti fossero comunque tenuti a
vivere secondo gli ordinamenti di Cristo e che la comunità dovesse punire
pubblicamente il fedele per i suoi peccati commessi, anche come esempio per
gli altri.
Inoltre vi erano molti ruoli nella società che dovevano essere ricoperti,
anche se sgradevoli, come la difesa e l'esercizio della giustizia, e per H.
questo compito spettava alle autorità costituite. Questo concetto avvicinò,
pur con alcune sfumature diverse, la posizione di H. a quelle di Zwingli e
Lutero, differendo alquanto da quella degli altri anabattisti, come ad
esempio Michael Sattler.


Squarcialupi, Marcello (1538-ca. 1592)



La vita
Il medico Marcello Squarcialupi, nato a Piombino nel 1538, prima della
conversione alla dottrina riformista, divenne noto per un trattato, scritto
nel 1565, sulla prevenzione dalla peste, dal titolo Difesa contra la Peste,
che dedicò al capitano di ventura Camillo Castiglione (1520-1598).
Verso la fine degli anni '60, S. decise di emigrare nei Grigioni, a Piuro,
per motivi religiosi, anche se la sua fede non è di facile collocazione: è
stato bollato dagli studiosi come antitrinitario, tuttavia, secondo lo
storico Delio Cantimori, pare più semplicemente un'anima irrequieta in cerca
di fortuna.
Comunque nei Grigioni, nel 1571, parteggiò per le fazioni più radicali
(anabattisti e antitrinitari) e, nel contempo, si mantenne in contatto con
illustri personaggi dell'epoca, come il medico e studioso di Basilea,
Theodore Zwinger (1533-1588) e con Rudolf Gwalther (1519-1586), successore
di Johann Heinrich Bullinger, come capo della Chiesa di Zurigo.
Dal 1573 S. intraprese un viaggio in Moravia, dove rimase fino al 1576
abitando a Trebitsch e a Paskov (ospite di Andrea Dudith-Sbardellati) ed
esercitando la professione di medico. Qui egli tentò inutilmente di farsi
accettare nella comunità dei Fratelli Boemi e a riguardo scrisse una
professione di fede ortodossa in termini cristologici e trinitari, ma non
riuscì mai a superare una notevole diffidenza nei suoi confronti.
Dopo un breve rientro in Valtellina nel 1577, si trasferì l'anno dopo in
Polonia, a Breslavia, presso il medico imperiale Johannes Crato von
Crafftheim (1519-1585), con cui (oltre che con Niccolò Buccella e con
Giovanni Michele Bruto) era già in comunicazione epistolare dalla Moravia.
Tuttavia, poco dopo, lo troviamo in Transilvania, come medico della corte
del voivoda Istvàn (Stefano) I Báthory (1571-1586). Qui conobbe e divenne
amico di Giorgio Biandrata, con il quale non condivise le dispute
dottrinali, allineandosi comunque con il suo pensiero almeno una volta, cioè
quando nel 1581 scrisse una lettera a Fausto Socini per richiamarlo ad
abbassare i toni della polemica, che oltretutto danneggiava l'immagine degli
esuli italiani.
S., d'altra parte, mantenne comunque buone relazioni con i gesuiti locali a
tal punto che nel 1584 il rettore del collegio di Cluj fu perfino convinto
di riuscire a riportarlo nell'ambito del Cattolicesimo.
Stanco e deluso dell'ambiente di Gyulafehérvár (Alba Julia), non più la
corte ufficiale di Stefano Bàthory, da quando, nel 1575, questi era stato
nominato re di Polonia (re: 1576-1586), S. ottenne nel 1585 da Báthory
stesso una piccola somme per portare la moglie malata indietro nei Grigioni,
dove risedette, a Poschiavo, fino al 1586.
In quell'anno si trasferì in Polonia, dove a Cracovia prese parte alle
polemiche scaturite in seguito alla morte del re Stefano Bàthory. Infatti il
medico Simone Simoni, astioso e invidioso del successo di Buccella, medico
ufficiale di corte, non esitò a formulare la gravissima accusa della
responsabilità di quest'ultimo nella morte del sovrano. La polemica tra i
due coinvolse anche il S., amico di Buccella, che il toscano difese in un
suo violento libello, accusando il Simoni di ateismo, epicureismo e
religione della natura,
S. morì poco dopo, probabilmente nel 1592, o, secondo altre fonti, nel 1599.


Il pensiero religioso e scientifico
Mentre, dal punto di vista religioso, non è chiaro se S. possa essere
considerato un vero antitrinitario, come scienziato e ammiratore di Marsilio
Ficino (1433-1499), invece, S. era favorevole allo studio della natura senza
implicazioni aristoteliche, e in occasione del fenomeno celeste della cometa
apparsa nel 1577, ingaggiò una lotta dialettica contro le interpretazioni
soprannaturali dei teologi e le astuzie metafisiche degli astrologi.


Cecco d'Ascoli (Francesco Stabili) (ca. 1269-1327)



Francesco di Simeone Stabili, detto Cecco d'Ascoli, nacque per l'appunto ad
Ascoli Piceno nel 1269 ca.
Della prima parte della sua vita si sa molto poco. Si sa invece che, verso
il 1324, C. insegnava alla facoltà di medicina all'Università di Bologna e
in seguito ad alcune lezioni all'università, dove aveva parlato in senso
negativo della fede cattolica, fu condannato dal inquisitore domenicano
Lamberto da Cingoli ad una penitenza di tipo religiosa, oltre al sequestro
dei libri di astrologia e la sospensione dall'incarico di docente.
Nel 1325, C. venne reintegrato nel suo ruolo anche grazie all'intercessione
dei suoi studenti ed alcune brillanti lezioni, anche di astrologia, gli
portarono fama e gloria, a tal punto che Carlo, duca di Calabria e
primogenito del re Roberto d'Angiò (1309-1343), lo nominò nel 1326 medico di
corte.
Tuttavia l'incauto C., chiesto un parere sul futuro della figlia Giovanna di
due anni [la futura Regina Giovanna I di Napoli, detta la Pazza (1343-1381)]
da parte di Carlo, rispose che sarebbe stata "di lussuria disordinata".
Ovviamente Carlo non poteva sapere che Giovanna effettivamente sarebbe stata
un personaggio storico molto discusso, che avrebbe sposato ben quattro
mariti, sarebbe stata scomunicata da Papa Urbano VI (1378-1389) e avrebbe
finito i suoi giorni strangolata. Per Carlo, questa profezia era
un'insolenza gravissima da parte del medico/astrologo di corte.
Il Duca visitò quindi il frate Minore Inquisitore e Arcivescovo di Cosenza
Accursio, facendogli imbastire una serie di capi di accusa, tra cui "errori
contro la fede". In realtà, a parte la gaffe con Carlo di Calabria, C. aveva
compiuto dei discutibili studi di astrologia per determinare l'esatta data
della nascita e della morte di Gesù Cristo e oltretutto egli aveva elaborato
altri calcoli per predire la comparsa dell'Anticristo.
Il tutto quindi faceva parte di quella disciplina, l'astrologia, a quei
tempi tollerata con certe limitazioni dalla Chiesa Cattolica: per esempio
gli studi di C. potevano far pensare che le azioni di Gesù Cristo in terra
fossero dovute all'influenza degli astri e non perché Egli fosse il Figlio
di Dio incarnato.
C. fu quindi condannato al rogo, dove salì il 16 Settembre 1327: la sua
opera principale, il poema L'Acerba rimase quindi incompiuta.


Stancaro (Stancari), Francesco (ca.1501-1574)



La vita
Francesco Stancaro (o Stancari) nacque a Mantova nel 1501 circa, ma si hanno
pochissime notizie sulla famiglia d'origine e sulla sua gioventù, fuorché il
fatto che S. entrò in convento e successivamente diventò un prete,
dedicando, tuttavia, la maggior parte del suo tempo agli studi scolastici e
umanistici.
In breve tempo S. divenne un vero esperto della lingua ebraica e nel 1530
scrisse la sua opera De modo legendi Hebraice institutio brevissima. Nel
1540 fu assunto come professore di ebraico a Padova, dove si sposò e, con la
moglie, si convertì in quegli anni alla fede evangelista. Tuttavia poco dopo
S. fu arrestato dall'Inquisizione e detenuto per qualche mese a Venezia, da
dove però riuscì a fuggire prima che iniziasse il processo: il mantovano si
rifugiò a Chiavenna, aiutando Francesco Negri a creare una comunità
evangelista locale.
Nell'estate 1544 fece domanda di ammissione all'università di Vienna e qui
venne nominato docente di ebraico in ottobre, tuttavia nel marzo 1546
dovette lasciare la città per decreto imperiale, perché si era sparsa la
notizia che era ricercato per eresia. Nello stesso anno, S. incontrò
Bernardino Ochino ad un dibattito pubblico a Regensburg (Ratisbona) e questi
gli procurò un lavoro di docente ad Augsburg (Augusta).
Tuttavia, dopo la sconfitta dei protestanti della lega Smalcaldica nella
battaglia di Muhlberg il 24 aprile 1547, S. e Ochino fuggirono a Basilea,
dove S. ottenne un dottorato in teologia e perfino pubblicò una grammatica
di lingua ebraica, ma, nonostante i buoni offici di Celio Secondo Curione,
egli non riuscì a procurarsi un posto di docente all'università e dovette
quindi ritornare a Chiavenna. Vi giunse in piena polemica sull'opportunità
dei sacramenti tra il pastore riformato Agostino Mainardi e l'antitrinitario
Camillo Renato, nella quale S. intervenne, accusando Mainardi di troppa
ortodossia, e troppo poco dialogo.
Alla fine del 1548 S. fu raccomandato per un posto all'università di
Cracovia, in Polonia, dove si trasferì nell'autunno 1549, ma già nel marzo
1550 egli fu denunciato e arrestato a causa dei insegnamento eterodossi,
durante una lezione sui Salmi. Fu tradotto nel carcere di Lipowitz, ma ne
fuggì tre mesi dopo, dapprima presso un amico della nobiltà locale e poi a
Pinczów.
Qui, nell'estate 1550, S. iniziò la sua attività come riformatore nella
"Piccola Polonia" e stese il suo programma di riforma in 50 punti
riguardanti dottrina, stato ecclesiastico, scuola e sinodi, e noto come
Canones reformationis ecclesiarum Polonicarum, pubblicato a Francoforte nel
1552. Nell'ottobre dello stesso anno S. partecipò al sinodo di Pinczów, ma
venne espulso dal paese in seguito ad un editto del 12 dicembre 1550 del re
Sigismondo II Augusto (1543-1572).
S. emigrò quindi a Köningsberg, nel ducato di Prussia, creato nel 1525 da
Alberto di Brandeburgo-Ansbach, e qui nel maggio 1551 egli fu nominato
professore di lingua ebraica alla locale università, ma solo pochi mesi
dopo, egli fu coinvolto nella polemica sorta tra Andreas Osiander e Joachim
Moerlin (1514-1571) sulla giustificazione per fede. Non solo S. parteggiò
per Moerlin, ma osò anche confrontarsi con il duca Alberto per essersi
schierato con Osiander.
Il risultato fu che il 15 agosto del 1551, S. dovette cessare le sue lezioni
e nuovamente emigrare per andare a vivere a Kuestrin, vicino a Francoforte
sull'Oder, dove scrisse le proprie argomentazioni contro Osiander nella sua
Apologia contra Osiander. Le sue idee sul Cristo intermediatore incontrarono
immediatamente l'ostilità dei teologi brandeburghesi e il 10 ottobre 1552 S.
dovette dibattere pubblicamente la sua posizione con Wolfgang Musculus (nome
umanistico di Wolfgang Müslin o Mäuslin) (1497-1563).
Il mantovano cercò inutilmente alleanze con Melantone, ma isolato e
criticato, decise di lasciare Francoforte e ritornare in Polonia, ma anche
qui le inimicizie lo costrinsero nel novembre 1554 a cercare migliore
fortuna in Ungheria, dove poté finalmente vivere tranquillamente per i
cinque successivi anni, protetto da Péter Petrovics, tutore del giovane
Giovanni Sigismondo di Transilvania (1540-1571).
Ma alla morte del Petrovics, venendo a mancare il suo influente protettore,
S. decise di ritornare in Polonia nel maggio 1559. Eppure già poco dopo il
suo rientro S. pubblicò uno scritto (Collatio .. doctrinae Arrii, et
Philippi Melanchthonis), nel quale affermò che Melantone era d'accordo con
la dottrina dell'eresia ariana: si scatenò una reazione molto dura da parte
di vari personaggi (tra cui Francesco Lismanini (1504-1566), collaboratore
di Giorgio Biandrata), che fecero convocare un sinodo a Wlodzislaw il 28
giugno 1559 con l'ovvia conclusione che il lavoro di S. venne severamente
condannato e le copie bruciate pubblicamente.
S. reagì dichiarando che lui era l'unico non ariano in tutta la Polonia e
disse provocatoriamente che 100 Lutero, 200 Melantone, 300 Bullinger, 400
Vermigli e 500 Calvino, pestati per bene in un mortaio, non avrebbero
prodotto neanche un grammo di vera teologia!
Poco dopo, in agosto, Lismanini e Jan Laski (di cui si racconta che,
infuriatosi per le argomentazioni del mantovano, gli avesse lanciato contro
una Bibbia durante i lavori del sinodo!) convinsero i partecipanti al sinodo
di Pinców di condannare gli insegnamenti di S., nei quali essi ravvisavano
un revival dell'eresia modalista e di quella nestoriana e di respingere ogni
possibile disputa pubblica sull'argomento.
Nel frattempo S. sviluppò una sua propria Confessione di Pinców, ma dovette
lasciare la città polacca per mettersi sotto la protezione di Stanislaw
Stadtniecki in Dubiecko, che però lasciò nel 1562 per Stobnica.
Nonostante un'ulteriore condanna delle sue dottrine nel sinodo di Ksionz del
settembre 1560, S. concepì nella primavera 1561 la creazione di una comunità
autonoma, dalla vita però abbastanza breve, i.e. circa 10 anni. Infatti già
dal 1567 diversi fedeli della comunità di S. chiesero di ritornare
all'ortodossia e di essere riammessi nella Chiesa riformata, fino all'atto
finale nel 1570, quando anche gli ultimi sette pastori lo abbandonarono.
Visto il fallimento del suo esperimento, lo stesso S. abiurò le proprie idee
e si riconciliò con la Chiesa riformata alla convenzione di Olesnica.
Si ritirò in pensione poco dopo e morì a Stopnica il 12 novembre 1574.


La dottrina
Contro gli insegnamento sulla giustificazione per fede di Osiander, S.
sviluppò una dottrina basata sull'intermediazione di Cristo. Facendo
riferimento agli insegnamento di Pietro Lombardo (ca. 1100-1160), S. cercò
di dimostrare che Gesù poteva essere il Cristo, cioè il mediatore con Dio
Padre, solamente nella sua natura umana.
Ma, facendo così, S. venne accusato di nestorianesimo, la dottrina del
Patriarca di Costantinopoli del V secolo basata sul convincimento che
esistessero due persone separate nel Cristo incarnato, l'uno Divino e
l'altro umano, cioè le due nature erano solo congiunte, mentre veniva negata
sia l'unione ipostatica fra le due nature, come affermato dalla scuola
ortodossa alessandrina, che la prevalenza della natura divina, tipica del
monofisismo.
S. dovette anche subire l'accusa di modalismo, la dottrina del II-III secolo
che affermava che le persone della Trinità non erano altro che "modi" di
essere e di agire dell'unico Dio, a maggior ragione rinforzata dall'idea di
S. di reintrodurre il testo originario del Credo di Costantinopoli del 381,
dove si faceva menzione dello Spirito Santo discendente dal Padre, ma non
dal Figlio.
D'altra parte, pur insistendo sulla sua dottrina di Gesù Cristo
intermediario, comunque S. rimase sostanzialmente ortodosso nel suo credo
riformato e respinse sempre fermamente le teorie dei suoi compatrioti
anti-trinitari, come Fausto Sozzini, Matteo Gribaldi Mofa and Giorgio
Biandrata. S. era comunque, nonostante tutto, convinto sul dogma della
Trinità e dell'insegnamento sulla doppia natura del Cristo.


Storch, Nicholas o Niklas (m. 1525) e "Profeti di Zwichau" o abecedariani



Premessa
Il paese di Zwickau era, nel XVI secolo, una ricca città della Sassonia,
vicino al confine con la Boemia, ed aveva basato il suo sviluppo sulle
attività minerarie dell'argento. Questo orientamento dell'economia locale
aveva, tuttavia, portato in rovina la precedente fiorente industria tessile,
generando una vasta disoccupazione tra i lavoratori tessili.


Nicholas Storch
Nicholas (o Niclas) Storch, era, per l'appunto, uno di questi ex-tessitori,
discendente di una ricca e potente famiglia mandata in bancarotta dai
proprietari minerari.
Nel Maggio 1520, era giunto a Zwickau il noto predicatore riformatore Thomas
Müntzer, chiamato come sostituto del precedente pastore della Chiesa di
Santa Maria, Johannes Egranus. La retorica di Müntzer fu forte e radicale,
soprattutto quando, diventato pastore della Chiesa di Santa Caterina
nell'Ottobre dello stesso 1520, si scagliò contro i monaci francescani
locali. Tra i suoi parrocchiani, i più attenti alle sue argomentazioni
erano, oltre a Storch, l'ex studente di Wittenberg Markus Stübner e un terzo
personaggio, che le varie fonti indicano o come Thomas Drechsel oppure come
Markus Thomä.
I tre, denominati "Profeti di Zwickau", furono fortemente influenzati dalle
dottrine dei Fratelli Boemi con una decisa impronta millenaria -
apocalittica, derivata dagli hussiti taboriti: essi predicavano l'imminenza
dell'avvento della "Chiesa degli Eletti", ricusavano lo studio della
teologia e consideravano gli uomini istruiti come manipolatori della parola
di Dio. Per questo erano convinti che era necessario essere totalmente
ignoranti, persino delle prime lettere dell'alfabeto (ABC), da cui il loro
nome di abecedariani.
Erano infatti convinti che Dio avrebbe illuminato i suoi eletti e dato loro
la conoscenza della verità tramite lo Spirito Santo. S. affermava inoltre
che l'arcangelo Gabriele gli era apparso, ordinandogli di diventare capo
della "Chiesa degli Eletti" e di nominare 12 apostoli e 72 discepoli.
Finché i "profeti" potettero godere della benevolenza di Müntzer, non ci
furono problemi, ma il 16 Aprile 1521, quest'ultimo fu espulso dal consiglio
cittadino di Zwickau, nonostante le manifestazioni di piazza inscenate per
solidarietà dai "profeti". Il nuovo pastore, Nicolaus Hausmann, non fu
affatto tenero con il movimento e il 16 Dicembre 1521 fece accusare gli
abecedariani di ripudio del battesimo infantile.
A questa data, quindi, si fa risalire la prima comparsa di un movimento
radicale, in realtà più anti-pedobattista (contrario al battesimo dei
bambini) che anabattista (ri-battesimo degli adulti), concetto,
quest'ultimo, espresso da Conrad Grebel ed i suoi seguaci in Svizzera.
S., Stübner e Thomä (o Drechsel), espulsi da Zwickau, cercarono di esportare
le loro idee a Wittenberg: furono ascoltati dai principali collaboratori di
Martin Lutero, Nikolaus von Amsdorf, Philipp Schwarzerd (Melantone) e
Andreas Bodenstein (Carlostadio) e riuscirono ad impressionare
favorevolmente Carlostadio e perfino ad installare dei dubbi in Melantone,
colpito dalla loro conoscenza della Bibbia.
La situazione, precipitata in seguito ad una serie di episodi di
iconoclastia provocati da Carlostadio, divenne così critica che Lutero
stesso dovette lasciare il suo rifugio nel castello di Wartburg e,
travestito da cavaliere, tornare a Wittenberg il 7 Marzo 1522.
Le tesi dei "profeti" furono prontamente respinte da un suo diretto ed
energico intervento, riassunto nell'opuscolo Contro i profeti celesti, dove
attaccò duramente anche il suo ex-amico Carlostadio. Quest'ultimo fu
esiliato nel 1524 dal principe Federico III di Sassonia, detto il Saggio
(1486-1525) e si stabilì perfino per un certo periodo nella città mineraria
sassone.
S. e i profeti furono espulsi da Wittenberg: in particolare S. viaggiò tra
il 1522 e 1524 in Turingia e Slesia, per propagandare le sue dottrine,
nonostante Lutero nel Settembre 1522 tentasse inutilmente di convincerlo a
ricusare le sue idee.
All'inizio del 1525, con un piccolo esercito di seguaci, S. raggiunse a
Mühlhausen Müntzer, che capeggiava, assieme a Heinrich Pfeiffer, la nota
Rivolta dei contadini.
Questa rivolta aveva tuttavia i giorni contati in quanto venne soppressa il
15 Maggio 1525 dalle truppe di Filippo, langravio di Hesse, durante la
battaglia di Frankenhausen, risoltasi in una orrenda carneficina dei
contadini, 5.000 dei quali furono fatti immediatamente a pezzi dai cavalieri
e soldati meglio equipaggiati e dotati di artiglieria, mentre altri 20.000,
che si arresero, furono sgozzati senza pietà. Sia Müntzer che Pfeiffer
furono catturati, torturati e decapitati.
Pare che S. fosse sfuggito alla morte in battaglia, ma che, giunto
gravemente ferito a Monaco di Baviera, fosse morto in un ospedale della
città nello stesso 1525.

Nayler, James (1618-1660)



Il quacchero James Nayler nacque nel 1618 a Andersloe (oggi Ardsley), vicino
a Leeds, nella contea inglese del West Yorkshire, da una famiglia di piccoli
proprietari terrieri.
Nel 1642, allo scoppio della guerra civile, N. si arruolò come
quartiermastro (furiere) nella cavalleria dell'esercito parlamentare, ma nel
1650 dovette ritirarsi a vita privata a causa delle sue cattive condizioni
di salute.
Ritornato a casa, ebbe un giorno una visione, mentre arava i suoi campi: una
voce che lo esortava a vendere tutto e ad andarsene dalla casa del padre. Ma
non prese decisioni drastiche finché non ebbe incontrato nel marzo 1652 il
fondatore del movimento dei quaccheri, George Fox. A quel punto N. vendette
tutti i suoi averi e divenne uno dei primi, ed il più dotato come eloquenza,
dei predicatori quaccheri. Il suo pensiero era abbastanza radicale e
nell'esercizio della predicazione, amava inserire concetti cari ai ranters e
ai familisti, ma fu imprigionato diverse volte per blasfemia tra il 1653 ed
il 1655.
Nel 1656, però, N. passò il segno prestandosi ad una rappresentazione che lo
mise nei guai seri con le autorità anglicane. L'anno prima, il 1655, infatti
N. si era recato a Londra, dove aveva conosciuto un gruppo di signore della
setta, affascinate dal suo aspetto e modo di fare. Quando poi, recatosi
nell'ovest del paese, N. era stato arrestato ad Exeter, queste donne, tra
cui Martha Symmonds e Hannah Stranger, erano andate a trovarlo in carcere,
iniziando ad adorarlo come un novello Cristo. Una terza adepta,
particolarmente emotiva, tale Dorcas Erbury, alla vista di N., svenne e
questo svenimento fu esageratamente descritto come una morte improvvisa, per
cui il semplice rinvenimento, avvenuto in presenza di N., fu interpretato
come un vero e proprio miracolo della resurrezione operata dal predicatore
quacchero.
Fox stesso visitò N. in carcere per controllare e reprimere questa
preoccupante divinizzazione del suo ex pupillo, derivata probabilmente da
una interpretazione un po' troppo letterale di una frase di Fox stesso, Dio
è in ogni uomo, ma N., irretito dalle sue seguaci e convinto da loro di
essere lui stesso Gesù Cristo, lo trattò con sufficienza.
Poco dopo il suo rilascio nell'ottobre 1656, il misfatto: preceduto dalla
Symmonds e dalla Stranger, che cantavano: "Santo, Santo, Santo, il Signore
Dio di Israele" e stendevano vesti per terra davanti al corteo, N. entrò a
Bristol a cavallo di un asino, appunto come un novello Gesù Cristo, ad
imitazione dell'entrata in Gerusalemme, descritta nei Vangeli.
Immediatamente arrestato con il suo seguito, egli fu inviato a Londra per
essere interrogato dal parlamento inglese, dominato in quel momento dalla
fazione puritana.
Qui N. fu condannato per blasfemia: egli non avrebbe potuto essere messo in
prigione per più di sei mesi, secondo la legge contro la blasfemia (Blasfemy
Act), se non fosse stato per i conservatori puritani che prima tentarono
inutilmente di farlo condannare a morte e poi concepirono per lui una
tremenda punizione.
Infatti, dopo essere stato esposto per due ore alla gogna, N. fu legato ad
un carro e frustato a sangue per tutto il percorso durante il suo
trasferimento ad un altro luogo di condanna, rimesso alla gogna, gli fu
bucata la lingua con un ferro rovente e fu marchiato a fuoco sulla fronte
con la lettera B (blasfemia).
Non soddisfatti di questo trattamento, i suoi giudici ordinarono che N.
fosse in seguito condotto a Bristol per essere portato in giro per la città,
in segno di scherno, seduto all'incontrario su un cavallo senza sella,
nuovamente frustato ed infine gettato nella prigione di Bridewell a Londra,
dove rimase per due anni e mezzo.
Perfino il Lord Protettore Oliver Cromwell (1599-1658) fu sconvolto da tanta
severità della condanna, ma non riuscì a fermare la punizione.
In prigione, comunque, nonostante la proibizione di ricevere penna e carta,
N. riuscì a scrivere diversi trattati. Finalmente l'8 settembre 1659 N. fu
liberato per ordine del nuovo parlamento e nel gennaio 1660 si riconciliò
con Fox e gli altri quaccheri.
Nell'ottobre 1660 egli si mise in viaggio da Londra per andare a visitare la
sua mai dimenticata, ma un po' trascurata, famiglia che abitava ancora nello
Yorkshire.
Purtroppo non ci arrivò mai: dopo qualche giorno fu trovato legato e
bastonato in un campo di Kings Ripton, vicino a Huntingdon, nella contea del
Cambridgeshire, probabilmente vittima di banditi di strada, e, nonostante i
soccorsi portati da Thomas Parnell, un medico quacchero locale, N. morì a
Kings Ripton il 21 ottobre 1660 per le gravissime ferite riportate al capo.


Stregoneria (dal XIV secolo)



Origine della stregoneria come eresia
Contrariamente ad altre eresie, che si basavano su riletture
dell'insegnamento cristiano, oppure movimenti riformatori nell'ambito della
Chiesa, oppure riformulazioni della dottrina cristiana, la stregoneria è
sempre sfuggita ad una classificazione precisa, sebbene alcuni autori
moderni propendono per un proseguimento di antichi riti pagani precristiani.
Altri ipotizzano addirittura che la stregoneria fosse stata "inventata"
dall'Inquisizione, quando, alla metà del XIV secolo, debellati i grandi
movimenti eretici come i catari, o presunti tali come i templari, gli
inquisitori, per non rimanere disoccupati, avevano creato questa nuova
eresia.
Effettivamente, fino a quel momento, vigeva la posizione ufficiale,
stabilita dal Canon Episcopi, un documento ecclesiastico scritto intorno al
906 da Regino di Prüm, abate di Treviri (in Germania), che affermava che la
vera eresia stava nel credere all'esistenza della stregoneria, e non la
stregoneria in sé.


Il caso di Lady Alice Kyteler
Questo fu uno dei primi casi di processi per stregoneria del Medioevo che si
ricordi.
Alice Kyteler (o Kettle), una facoltosa nobildonna irlandese di Kilkenny, fu
accusata nel 1324 di stregoneria ed eresia, ed in particolare di aver ucciso
i suoi tre (o forse quattro) mariti e di aver compiuto le solite cose,
rinfacciate alle streghe per tutti i secoli successivi: aver avuto rapporti
sessuali con il diavolo (apparso a lei sotto il nome di Robin Artisson),
aver compiuto sacrifici di animali, aver parodiato cerimonie religiose, aver
fatto delle profezie attraverso i demoni e aver preparato delle pozioni
magiche, facendole bollire nel teschio di un ladro decapitato sopra un fuoco
di legno scuro.
Essa, pur scomunicata, si difese contrattaccando e riuscendo perfino a
convincere le autorità a far imprigionare per 17 giorni il suo accusatore,
il vescovo di Ossory, Riccardo di Ledrede. Tuttavia Ledrede lanciò
l'interdizione sull'intera diocesi (nessuno poteva ricevere alcun
sacramento) e quindi Alice, aiutata da alcuni nobili locali, pensò bene di
fuggire in Inghilterra per chiedere protezione al re Edoardo II (1307-1327).
Non così bene andò alla sua cameriera, Petronilla de Meath, che fu
catturata, torturata e bruciata sul rogo il 3 Novembre dello stesso 1324.


L'Inquisizione e la stregoneria
Nello stesso periodo, durante il papato di Giovanni XXII (1316-1334), il
pontefice esortò gli inquisitori a perseguitare stregoni e maghi come
eretici e i casi di processi per stregoneria si moltiplicarono negli anni
successivi: nel 1390, in Francia, fu trascritto agli atti il primo processo
ufficiale con questa causale.
L'interesse degli inquisitori incrementò con l'aumento delle pubblicazioni,
che, soprattutto nella seconda metà del XV secolo, trattavano di
stregoneria, come Fortalicium fidei, scritta nel 1459 dal francescano
Alfonso de Spina, Flagellum Haereticorum Fascinariorum, scritta dal
domenicano Nicholas Jacquier nel 1458, ma soprattutto il famigerato Malleus
Maleficarum (martello delle streghe), scritto in Germania dai domenicani
Heinrich Krämer e Jakob Sprenger intorno al 1485.
Quest'ultimo testo, un vero e proprio manuale per l'inquisitore alle prese
con casi di stregoneria, fu stampato per ben 28 volte e fu usato dai giudici
cattolici, ma anche da quelli protestanti, nella caccia alle streghe, che
seguì nei secoli successivi e che portò alla morte di 200.000/300.000
persone, soprattutto donne. Tuttavia, secondo altri testi, ben 3 milioni (o
addirittura 9!) di vittime caddero in 5 secoli di persecuzioni contro la
stregoneria.
Un caso molto famoso si ebbe anche nelle colonie inglesi dell'America: nel
1692 nella cittadina di Salem, nel Massachusetts, il puritano Cotton Mather
guidò una serie di processi, nei quali 20 persone furono uccise con l'accusa
di stregoneria.


Mather, Cotton (1663-1723) e la caccia alle streghe a Salem



Uno degli episodi più truci di intolleranza accaduti nelle colonie inglesi
nel New England fu quello della caccia alle streghe a Salem, nella colonia
del Massachusetts Bay, esplosa improvvisamente nell'estate 1692. Il fenomeno
della caccia alle streghe era purtroppo ricorrente nella storia delle
religioni: basta ricordarsi gli episodi di streghe in Irlanda del 1380.
Una parte non trascurabile in questa vicenda lo ebbe la pubblicazione nel
1689 del libro Memorable Providences (atti della Provvidenza degni di
memoria), scritta dal pastore Cotton Mather, i cui sermoni, assieme a quelli
del padre Increase Mather, infiammarono gli animi più del dovuto.


Increase e Cotton Mather
Increase Mather nato nel 1639, dal 1664 fu ministro di culto della North
Church a Boston e, dal 1685, presidente dell'università di Harvard. Morì nel
1723.
Il figlio Cotton Mather, nato nel 1663, ebbe il nome di battesimo dal
cognome del nonno materno, il famoso predicatore puritano John Cotton,
mentore spirituale di Anne Hutchinson. Egli si laureò ad Harvard nel 1678,
fu assistente ministro di culto nella chiesa del padre, e morì solo quattro
anni dopo quest'ultimo nel 1727.
Nel 1689 Cotton pubblicò il suo libro, che descriveva un caso di presunta
stregoneria avvenuta a Boston l'anno precedente: tre bambini avevano
iniziato a comportarsi in maniera strana dopo un litigio con una lavandaia
irlandese di nome Mary Glover, che, secondo Cotton, aveva lanciato un
sortilegio sui minori. L'intollerante Cotton era così convinto della
presenza della stregoneria da dichiarare che si sarebbe subito spazientito
con chiunque avesse osato negare l'esistenza dei diavoli o delle streghe.


La caccia alle streghe di Salem
Nel gennaio 1692, due bambine di Salem (nel Massachusetts), Elizabeth Parris
ed Abigail Williams, iniziarono a comportarsi in modo strano, con bestemmie,
attacchi epilettici, stati di trance. Dopo pochi giorni questo comportamento
si estese ad altre ragazzine della cittadina. Vista l'impossibilità dei
medici di diagnosticare il tipo di malattia (oggigiorno il fenomeno sarebbe
stato probabilmente diagnosticato come una miscela di epilessia, senso di
colpa e stato di depressione adolescenziale), il padre di Elizabeth, il
pastore Samuel Parris, trovò delle similarità tra l'episodio della figlia e
quello descritto nel suddetto libro di Cotton Mather e accettò la
discutibile tesi di un medico locale che fosse stato un intervento
soprannaturale di Satana.
Ben presto si trovò il capro espiatorio: la schiava caraibica di Parris,
Tituba e altre due donne, la mendicante Sarah Good e l'anziana e litigiosa
Sarah Osborne, ma, mentre queste ultime due protestarono la loro innocenza,
Tituba peggiorò la sua situazione, riferendo di incontri con un uomo alto di
Boston (ovviamente Satana per i giudici) e dell'esistenza di una
cospirazione di streghe a Salem.
Tra marzo e giugno, il caso si allargò a macchia d'olio: centinaia di
persone furono accusate di stregoneria e decine e decine di esse languirono
in prigione per mesi senza processo.
Il governatore Phips decise di istituire un tribunale per decidere sul caso,
ma Cotton Mather riuscì ad influenzare il parere di tre giudici sui cinque
preposti ad organizzare i processi, esortandoli a considerare valide le
prove soprannaturali e di dare massimo rilievo alle confessioni delle
streghe.
La prima vittima fu Bridget Bishop, una anziana donna accusata di mandare in
giro il proprio fantasma per tormentare le persone e di potersi trasformare
in un gatto: Bridget fu impiccata il 10 giugno 1692.
Seguì un impiccagione di cinque donne il 19 luglio, tra cui una pia donna,
tale Rebecca Nurse, in un primo momento assolta, ma successivamente
condannata a causa di indegne pressioni da parte dei giudici sulla giuria.
E non solo donne vennero condannate a morte: persero la vita sia John
Proctor, un taverniere, ironia della sorte!, intransigente contro la
stregoneria [la sua vicenda ispirò il drammaturgo Arthur Miller nella sua
opera The Crucible (La prova del fuoco)], che l'ex pastore del villaggio,
George Burroughs, che si difese strenuamente, protestandosi innocente fino
all'ultimo e dimostrando il 19 agosto, davanti alla forca, di conoscere il
Padre Nostro perfettamente (si supponeva che le streghe non fossero in grado
di recitarlo): solo l'intervento dell'implacabile Cotton, giunto
appositamente, il quale affermò che spesso il Diavolo poteva trasformarsi in
un Angelo di Luce, fece proseguire l'esecuzione capitale.
Una sola vittima non fu impiccata, ma la sorte riservatale fu anche peggio:
si trattava dell'ottantenne Giles Corey, il quale si rifiutò di farsi
processare. La pena in questo caso fu tremenda: fu fatto schiacciare da
pesanti lastre di pietra, mentre, tre giorni dopo, la moglie e altre otto
presunte streghe furono impiccate. Furono le ultime vittime di questo
attacco di isteria collettiva: in tutto furono uccise 20 persone e altre 4
morirono in carcere.
Solo in autunno la voglia di spargere sangue passò di colpo e iniziarono a
circolare lavori che criticavano i metodi addottati e perfino uno dei più
accaniti, il padre di Cotton, Increase Mather scrisse un lavoro intitolato
Cases of Conscience (casi di coscienza), nel quale affermò che era meglio
che dieci presunte streghe fossero rilasciate piuttosto che un innocente
fosse condannato.
Ma il lavoro che diede un colpo mortale alla credibilità dei Mather fu la
pubblicazione nel 1700 del More wonders from the invisible world (altre
meraviglie dal mondo invisibile) del mercante di tessuti Robert Calef
(1648-1719), il quale dipinse l'operato di Cotton Mather come così
spietatamente crudele e palesemente tendenzioso che a quest'ultimo venne
negata la presidenza di Harvard e a nulla servì il rogo pubblico (nel
cortile del college di Harvard) di questo libro, organizzato da un
inviperito Increase.


Stribo, Jakoubek di (m. 1429)



Negli anni successivi la morte del loro caposcuola Jan Hus, da subito
venerato come martire della riforma in Boemia e del nazionalismo ceco, gli
hussiti si organizzarono sotto vari predicatori, come Vaclav Koranda, capo
dei taboriti, Jan Zelivsky o Martin Huska, che sarebbe diventato
successivamente il capo della setta degli adamiti, brutalmente eliminata da
una azione militare dei taboriti, al comando di Jan Zizka.
Ma il più importante dei predicatori fu senz'altro fu Jakoubek di Stribo,
successore di Hus alla Cappella di Betlemme nel 1418.
J. è infatti noto soprattutto per aver pubblicato nel 1420 i Quattro
articoli di Praga, manifesto del credo hussita:
Libertà per i preti di predicare le Sacre Scritture in lingua locale.
Comunione eucaristica sotto ambedue le forme, il calice contenente il vino e
il pane, data sia agli adulti che ai bambini.
Espropriazione dei beni ecclesiastici e povertà del clero.
Pene temporali per i peccati mortali commessi da membri del clero.


J. morì nel 1429  e quattro anni dopo, durante il Concilio di Basilea
(1431-1439) si arrivò ad un accordo tra hussiti e cattolici per la stesura
delle Compactata, una serie di deroghe dottrinali, che sostanzialmente
riproducevano i suoi Quattro Articoli di Praga.



Storch, Nicholas o Niklas (m. 1525) e "Profeti di Zwichau" o abecedariani



Premessa
Il paese di Zwickau era, nel XVI secolo, una ricca città della Sassonia,
vicino al confine con la Boemia, ed aveva basato il suo sviluppo sulle
attività minerarie dell'argento. Questo orientamento dell'economia locale
aveva, tuttavia, portato in rovina la precedente fiorente industria tessile,
generando una vasta disoccupazione tra i lavoratori tessili.


Nicholas Storch
Nicholas (o Niclas) Storch, era, per l'appunto, uno di questi ex-tessitori,
discendente di una ricca e potente famiglia mandata in bancarotta dai
proprietari minerari.
Nel Maggio 1520, era giunto a Zwickau il noto predicatore riformatore Thomas
Müntzer, chiamato come sostituto del precedente pastore della Chiesa di
Santa Maria, Johannes Egranus. La retorica di Müntzer fu forte e radicale,
soprattutto quando, diventato pastore della Chiesa di Santa Caterina
nell'Ottobre dello stesso 1520, si scagliò contro i monaci francescani
locali. Tra i suoi parrocchiani, i più attenti alle sue argomentazioni
erano, oltre a Storch, l'ex studente di Wittenberg Markus Stübner e un terzo
personaggio, che le varie fonti indicano o come Thomas Drechsel oppure come
Markus Thomä.
I tre, denominati "Profeti di Zwickau", furono fortemente influenzati dalle
dottrine dei Fratelli Boemi con una decisa impronta millenaria -
apocalittica, derivata dagli hussiti taboriti: essi predicavano l'imminenza
dell'avvento della "Chiesa degli Eletti", ricusavano lo studio della
teologia e consideravano gli uomini istruiti come manipolatori della parola
di Dio. Per questo erano convinti che era necessario essere totalmente
ignoranti, persino delle prime lettere dell'alfabeto (ABC), da cui il loro
nome di abecedariani.
Erano infatti convinti che Dio avrebbe illuminato i suoi eletti e dato loro
la conoscenza della verità tramite lo Spirito Santo. S. affermava inoltre
che l'arcangelo Gabriele gli era apparso, ordinandogli di diventare capo
della "Chiesa degli Eletti" e di nominare 12 apostoli e 72 discepoli.
Finché i "profeti" potettero godere della benevolenza di Müntzer, non ci
furono problemi, ma il 16 Aprile 1521, quest'ultimo fu espulso dal consiglio
cittadino di Zwickau, nonostante le manifestazioni di piazza inscenate per
solidarietà dai "profeti". Il nuovo pastore, Nicolaus Hausmann, non fu
affatto tenero con il movimento e il 16 Dicembre 1521 fece accusare gli
abecedariani di ripudio del battesimo infantile.
A questa data, quindi, si fa risalire la prima comparsa di un movimento
radicale, in realtà più anti-pedobattista (contrario al battesimo dei
bambini) che anabattista (ri-battesimo degli adulti), concetto,
quest'ultimo, espresso da Conrad Grebel ed i suoi seguaci in Svizzera.
S., Stübner e Thomä (o Drechsel), espulsi da Zwickau, cercarono di esportare
le loro idee a Wittenberg: furono ascoltati dai principali collaboratori di
Martin Lutero, Nikolaus von Amsdorf, Philipp Schwarzerd (Melantone) e
Andreas Bodenstein (Carlostadio) e riuscirono ad impressionare
favorevolmente Carlostadio e perfino ad installare dei dubbi in Melantone,
colpito dalla loro conoscenza della Bibbia.
La situazione, precipitata in seguito ad una serie di episodi di
iconoclastia provocati da Carlostadio, divenne così critica che Lutero
stesso dovette lasciare il suo rifugio nel castello di Wartburg e,
travestito da cavaliere, tornare a Wittenberg il 7 Marzo 1522.
Le tesi dei "profeti" furono prontamente respinte da un suo diretto ed
energico intervento, riassunto nell'opuscolo Contro i profeti celesti, dove
attaccò duramente anche il suo ex-amico Carlostadio. Quest'ultimo fu
esiliato nel 1524 dal principe Federico III di Sassonia, detto il Saggio
(1486-1525) e si stabilì perfino per un certo periodo nella città mineraria
sassone.
S. e i profeti furono espulsi da Wittenberg: in particolare S. viaggiò tra
il 1522 e 1524 in Turingia e Slesia, per propagandare le sue dottrine,
nonostante Lutero nel Settembre 1522 tentasse inutilmente di convincerlo a
ricusare le sue idee.
All'inizio del 1525, con un piccolo esercito di seguaci, S. raggiunse a
Mühlhausen Müntzer, che capeggiava, assieme a Heinrich Pfeiffer, la nota
Rivolta dei contadini.
Questa rivolta aveva tuttavia i giorni contati in quanto venne soppressa il
15 Maggio 1525 dalle truppe di Filippo, langravio di Hesse, durante la
battaglia di Frankenhausen, risoltasi in una orrenda carneficina dei
contadini, 5.000 dei quali furono fatti immediatamente a pezzi dai cavalieri
e soldati meglio equipaggiati e dotati di artiglieria, mentre altri 20.000,
che si arresero, furono sgozzati senza pietà. Sia Müntzer che Pfeiffer
furono catturati, torturati e decapitati.
Pare che S. fosse sfuggito alla morte in battaglia, ma che, giunto
gravemente ferito a Monaco di Baviera, fosse morto in un ospedale della
città nello stesso 1525.

Butzer (Bucero), Martin (1491-1551)



Martin Kuhhorn o Butzer (nome umanistico Bucero) nacque a Schlettstadt
(Sélestat) in Alsazia l'11 Novembre 1491.
Dopo aver ricevuto una prima educazione di base alla scuola di latino della
sua città, B., all'età di quindici anni (nel 1506) entrò nell'ordine
domenicano, dove proseguì gli studi diventando prete. Successivamente fu
inviato all'università di Heidelberg dove si iscrisse alla facoltà di
teologia nel 1517.
L'anno seguente (1518) durante un incontro dell'ordine agostiniano, B. ebbe
l'opportunità di ascoltare Martin Lutero, che esponeva la propria dottrina e
ne fu talmente conquistato che nel 1521 chiese al Papa Leone X (1513-1521),
ed ottenne, la dispensa dai voti monastici.
Sempre nel 1521 B. si trasferì a Magonza (Mainz), diventando cappellano di
corte del principe elettore del Palatinato, Luigi V, detto il Pacifico
(1508-1544), ma già l'anno dopo fu nominato pastore a Landstuhl, vicino a
Kaiserslauten: qui si sposò con l'ex suora Elizabeth Silbereisen.
Tuttavia a causa della sua intensa attività di predicazione riformista, egli
fu scomunicato e trovò un primo rifugio nel castello di Weissenburg
(Wissembourg), in bassa Alsazia, di proprietà del cavaliere Franz von
Sickingen (1481-1523), difensore di molti riformisti e dissidenti, come
Johannes Reuchlin e Johannes Ecolampadio.
Successivamente, nel 1523, B. si trasferì a Strasburgo, dove la Riforma era
stata da poco introdotta con successo dal predicatore Mathias Zell
(1477-1548), nonostante diversi tentativi di assassinarlo.
A Strasburgo B. lavorò per venticinque anni come principale predicatore
della città, collaborando con gli altri noti riformisti, come il già citato
Zell, Wolfgang Capito (1478-1541) e Caspar Hedio (1491-1552). Egli si attivò
anche per una riforma della vita non solo ecclesiastica, ma anche sociale
della città, ed in questo fu sorretto da Jacob Strum (m. 1553), che divenne,
a livello del consiglio cittadino, il più accesso sostenitore della causa
protestante.
Nel 1527 B. pubblicò un libro di teologia, che influenzò notevolmente
Calvino, con il quale aveva in comune le stesse idee sulla predestinazione e
sul ruolo dello Spirito Santo.
Nel Giugno 1528 si tenne a Berna i cosiddetti Colloqui, con una massiccia e
qualificata partecipazione protestante svizzera (Zwingli, Berthold Haller,
Ecolampadio, Franz Kolb, Capito e B. stesso), alla quale i cattolici
contrapposero una delegazione non di grande rilievo, scelta dettata da una
serie di rifiuti alla partecipazione da parte degli ecclesiastici e dei
teologi cattolici più noti, come ad esempio Eck. Il risultato fu una
scontata vittoria dei riformatori e la redazione, a cura di Haller, delle
dieci tesi di Berna.
Come pensiero riformatore, B. aderì alla corrente zwingliana, ma ciò non gli
impedì, in varie occasioni, di cercare di agire come mediatore tra le
posizioni svizzere e quelle tedesche luterane. B. fu infatti uno degli
artefici dei colloqui di Marburg del 1529 tra Lutero e Zwingli per dirimere
la questione dei valore attribuito al sacramento dell'Eucaristia, pur
conclusisi con un nulla di fatto.
Nell'anno successivo, 1530, egli fu uno dei protagonisti della prima dieta
di Augusta, dove, assieme ai riformisti delle città di Costanza, di
Memmingen e di Lindau, presentò la Confessio Tetrapolitana (cioè, per
l'appunto, delle quattro città). La riunione si concluse con la
conciliatoria Confessio Augustana, tracciata da Philipp Melantone, che
tuttavia B. non accettò.
Ciò nonostante, la pace, almeno formale e di breve durata, tra Lutero e
Zwingli avvenne nel 1536 alla Concordia di Wittenberg, dove perlomeno si
ottenne un accordo, per quanto concerne l'Eucaristia, tra i luterani
tedeschi del nord e i riformatori della Germania del sud, capitanati da B.
stesso. Alla stesura dei cosiddetti Capitoli di Concordia, B. fu aiutato dal
riformatore italiano Bartolomeo Fonzio, un suo fedele collaboratore.
Dal 1538 al 1541, B. ebbe la possibilità di confrontarsi con Calvino, che
risiedeva a Strasburgo, dopo essere stato mandato in esilio da Ginevra.
Nel 1540, B. fu purtroppo protagonista, assieme a Lutero e Melantone,
dell'assenso alla bigamia del Langravio Filippo di Assia (Hesse)(1504-1567),
fatto che provocò un grave scandalo.
L'anno successivo (1541) la moglie Elizabeth Silbereisen morì di peste e B.
sposò la trentanovenne Willibrandis Rosenblatt, precedentemente vedova di
ben 3 riformatori: Ludwig Keller (Cellarius), Johann Ecolampadio e Wolfgang
Capito! Willibrandis gli diede 3 figli.
Negli anni successivi, B. partecipò a diverse conferenze tra cattolici e
protestanti (Hagenau 1540 e Regensburg 1541) e tentò inutilmente, nel 1542,
assieme a Melantone, di portare la Riforma a Colonia (Köln).
Nel 1548 B. respinse l'interim di Augusta, la formula dottrinale provvisoria
fra protestanti e cattolici in attesa delle risultanze del Concilio di
Trento. In seguito a ciò, dovette lasciare Strasburgo: diversi riformatori
come Calvino e Melantone gli offrirono ospitalità, ma egli decise di
accettare l'offerta dell'arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer di
stabilirsi in Inghilterra, dove si recò nel 1549.
Qui B. fu altamente apprezzato sia da Cranmer che dal re Edoardo VI
(1547-1553) e finì i suoi giorni come professore di teologia a Cambridge,
dove lavorò alla sua opera De regno Christi e contribuì alla stesura del
Book of Common Prayer (il fondamentale libro delle funzioni religiose
anglicane).
B. morì il 28 Febbraio 1551 a Cambridge, ma non ebbe vita tranquilla,
neanche da morto: infatti nel 1556, sotto il regno della regina Maria Tudor
la Cattolica (detta la Sanguinaria) (1553-1558), la sua tomba fu distrutta e
le sue ossa bruciate sul rogo.
Toccò alla sorellastra di Maria, la regina Elisabetta I (1558-1603) di far
restaurare la tomba di B. con tutti gli onori dovuti.
B. fu, dopo Lutero e Melantone, il più influente dei riformatori tedeschi,
presso i quali si distinse nel tentativo di conciliare posizioni spesso non
coincidenti. Si può inoltre attribuire a B. il ruolo di ponte tra la Riforma
tedesca e quella inglese, che lui poté influenzare negli ultimi anni della
sua vita.



Gomar (o Gomarus), Franz (o Francois) (1563-1641) e gomaristi



Il teologo Franz Gomar nacque a Bruges, in Belgio, il 30 gennaio 1563, da
una famiglia, che nel 1578 abbracciò la fede protestante e fu per questo
costretta ad emigrare nel Palatinato, in Germania.
G. studiò a Strasburgo, sotto l'insegnamento dell'educatore riformato
Johannes Sturm (1507-1589), successivamente a Neustadt con i professori
riformati Zacharius Ursinus (Zaccaria Ursino)(1534-1583) e Girolamo Zanchi,
cacciati da Heidelberg perché non luterani, ed infine nel 1582 in
Inghilterra, e più precisamente ad Oxford con il puritano John Rainolds
(1549-1607) e a Cambridge con il calvinista William Whitaker (1548-1598). In
quest'ultima università G. si laureò nel 1584.
Tra il 1587 ed il 1593 G. fu pastore di una chiesa riformata olandese a
Francoforte, ma nel 1594 gli fu offerto il posto di professore di teologia
all'università di Leida, in Olanda.
Nel 1602 divenne suo collega Jacob Arminius, successore del professore di
teologia Franz Junius (1545-1602): lo scontro ideologico fra Arminio,
fautore dell'introduzione del libero arbitrio nel calvinismo e G., rigido
osservante della forma più estrema del calvinismo, il cosiddetto
supralapsarianismo, fu immediato e senza quartiere. La leadership di G. fu
tale che i suoi seguaci assunsero il nome di gomaristi.
Nonostante la strenua opposizione di G., alla morte di Arminio nel 1609,
diventò suo successore alla cattedra di teologia, il suo seguace Konrad von
der  Vorst (Vorstius) (1569-1622), che pubblicò nel 1610 il Tractatus
Theologicus de Deo, ritenuto da G. un testo eretico [Vorstius sarebbe stato
poi condannato da sinodo di Dort (1618-19) ed espulso dall'Olanda].
Nel 1611, però, amareggiato per le polemiche sorte con l'elezione di
Vorstius, G. decise di rassegnare le dimissioni per ricoprire di seguito i
ruoli di predicatore di una chiesa riformata a Middleburg nel 1612, poi
professore di teologia a Saumur nel 1614 ed infine, dal 1618 fino alla
morte, professore di teologia e lingua ebraica a Groningen.
Ciò non gli impedì, comunque, di partecipare al sinodo di Dort (Dordrecht)
nel 1618-19, dove, grazie alla sua influenza, venne condannata ufficialmente
la dottrina arminiana, e di contribuire alla traduzione in olandese del
Vecchio Testamento nel 1633.
G. morì a Groningen l'11 gennaio 1641.


Subordinazianismo (II - III secolo)



Teoria della dottrina trinitaria che considerava il Figlio come subordinato
al Padre e lo Spirito Santo come subordinato ad ambedue. In particolare,
quest'ultimo punto sarebbe diventato una delle principali divergenze tra
Chiesa cattolica e Chiesa orientale.


Questo pensiero fu presente in varie forme di "dissidenza" cristiana nel II
e III secolo:
Origene credeva che il Figlio fosse un attributo del pensiero del Padre.
I  docetisti credevano che Cristo fosse solo apparenza nella Sua
incarnazione, cioè che avesse un corpo solo apparente oppure etereo.
Noeto e Prassea erano convinti che il Figlio fosse un modo (da cui il
termine di modalisti) con cui il Padre si manifestava al mondo.
Sabellio ribadì lo stesso concetto modalista: la trinità di Dio risultava da
modi di rivelazione o attributi, che venivano dati ad un unico Dio, ad un
unico principio (in greco mòne arché), da cui il nome di monarchianismo,
nella fattispecie, modalista.
I due precedenti gruppi modalisti, insistendo su un'unica persona divina,
affermavano che, se il Cristo era stato crocefisso, allora era il Padre
stesso che aveva sofferto la Passione e da questo concetto venivano
denominati  patripassianisti.
Teodato di Bisanzio propose la dottrina adozionista (o monarchianista
dinamica), che propugnava l'idea che Gesù fosse un uomo in tutto per tutto e
che fosse stato "adottato" solo al momento del battesimo.
Sant'Ippolito credeva che il Figlio fosse stato creato (non generato) da Dio
e che la sua essenza umana fosse subordinata all'essenza divina.
I pneumatomachi (popolari intorno al 380) negavano la divinità dello Spirito
Santo.
Gli ariani credevano che il Figlio non fosse identico, nella sostanza, a
Dio, cioè non fosse affatto consustanziale e che, inoltre, fosse stato
creato e non generato.


In generale, la maggior parte delle dottrine subordinazianiste scomparvero
progressivamente dopo il Concilio di Nicea del 325.



Nayler, James (1618-1660)



Il quacchero James Nayler nacque nel 1618 a Andersloe (oggi Ardsley), vicino
a Leeds, nella contea inglese del West Yorkshire, da una famiglia di piccoli
proprietari terrieri.
Nel 1642, allo scoppio della guerra civile, N. si arruolò come
quartiermastro (furiere) nella cavalleria dell'esercito parlamentare, ma nel
1650 dovette ritirarsi a vita privata a causa delle sue cattive condizioni
di salute.
Ritornato a casa, ebbe un giorno una visione, mentre arava i suoi campi: una
voce che lo esortava a vendere tutto e ad andarsene dalla casa del padre. Ma
non prese decisioni drastiche finché non ebbe incontrato nel marzo 1652 il
fondatore del movimento dei quaccheri, George Fox. A quel punto N. vendette
tutti i suoi averi e divenne uno dei primi, ed il più dotato come eloquenza,
dei predicatori quaccheri. Il suo pensiero era abbastanza radicale e
nell'esercizio della predicazione, amava inserire concetti cari ai ranters e
ai familisti, ma fu imprigionato diverse volte per blasfemia tra il 1653 ed
il 1655.
Nel 1656, però, N. passò il segno prestandosi ad una rappresentazione che lo
mise nei guai seri con le autorità anglicane. L'anno prima, il 1655, infatti
N. si era recato a Londra, dove aveva conosciuto un gruppo di signore della
setta, affascinate dal suo aspetto e modo di fare. Quando poi, recatosi
nell'ovest del paese, N. era stato arrestato ad Exeter, queste donne, tra
cui Martha Symmonds e Hannah Stranger, erano andate a trovarlo in carcere,
iniziando ad adorarlo come un novello Cristo. Una terza adepta,
particolarmente emotiva, tale Dorcas Erbury, alla vista di N., svenne e
questo svenimento fu esageratamente descritto come una morte improvvisa, per
cui il semplice rinvenimento, avvenuto in presenza di N., fu interpretato
come un vero e proprio miracolo della resurrezione operata dal predicatore
quacchero.
Fox stesso visitò N. in carcere per controllare e reprimere questa
preoccupante divinizzazione del suo ex pupillo, derivata probabilmente da
una interpretazione un po' troppo letterale di una frase di Fox stesso, Dio
è in ogni uomo, ma N., irretito dalle sue seguaci e convinto da loro di
essere lui stesso Gesù Cristo, lo trattò con sufficienza.
Poco dopo il suo rilascio nell'ottobre 1656, il misfatto: preceduto dalla
Symmonds e dalla Stranger, che cantavano: "Santo, Santo, Santo, il Signore
Dio di Israele" e stendevano vesti per terra davanti al corteo, N. entrò a
Bristol a cavallo di un asino, appunto come un novello Gesù Cristo, ad
imitazione dell'entrata in Gerusalemme, descritta nei Vangeli.
Immediatamente arrestato con il suo seguito, egli fu inviato a Londra per
essere interrogato dal parlamento inglese, dominato in quel momento dalla
fazione puritana.
Qui N. fu condannato per blasfemia: egli non avrebbe potuto essere messo in
prigione per più di sei mesi, secondo la legge contro la blasfemia (Blasfemy
Act), se non fosse stato per i conservatori puritani che prima tentarono
inutilmente di farlo condannare a morte e poi concepirono per lui una
tremenda punizione.
Infatti, dopo essere stato esposto per due ore alla gogna, N. fu legato ad
un carro e frustato a sangue per tutto il percorso durante il suo
trasferimento ad un altro luogo di condanna, rimesso alla gogna, gli fu
bucata la lingua con un ferro rovente e fu marchiato a fuoco sulla fronte
con la lettera B (blasfemia).
Non soddisfatti di questo trattamento, i suoi giudici ordinarono che N.
fosse in seguito condotto a Bristol per essere portato in giro per la città,
in segno di scherno, seduto all'incontrario su un cavallo senza sella,
nuovamente frustato ed infine gettato nella prigione di Bridewell a Londra,
dove rimase per due anni e mezzo.
Perfino il Lord Protettore Oliver Cromwell (1599-1658) fu sconvolto da tanta
severità della condanna, ma non riuscì a fermare la punizione.
In prigione, comunque, nonostante la proibizione di ricevere penna e carta,
N. riuscì a scrivere diversi trattati. Finalmente l'8 settembre 1659 N. fu
liberato per ordine del nuovo parlamento e nel gennaio 1660 si riconciliò
con Fox e gli altri quaccheri.
Nell'ottobre 1660 egli si mise in viaggio da Londra per andare a visitare la
sua mai dimenticata, ma un po' trascurata, famiglia che abitava ancora nello
Yorkshire.
Purtroppo non ci arrivò mai: dopo qualche giorno fu trovato legato e
bastonato in un campo di Kings Ripton, vicino a Huntingdon, nella contea del
Cambridgeshire, probabilmente vittima di banditi di strada, e, nonostante i
soccorsi portati da Thomas Parnell, un medico quacchero locale, N. morì a
Kings Ripton il 21 ottobre 1660 per le gravissime ferite riportate al capo.