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I PROBLEMI DELL'ITALIA UNITA

LA QUESTIONE MERIDIONALE - STORIA DEL BRIGANDAGGIO

La questione meridionale fu uno dei grandi problemi nazionali dell'Italia unita. Il problema riguardava le condizioni di arretratezza economica e sociale delle province annesse al Piemonte nel 1860-1861 (rispettivamente gli anni della spedizione dei Mille e della proclamazione del Regno d'Italia). I governi sabaudi avevano voluto instaurare in queste province un sistema statale e burocratico simile a quello piemontese. L'abolizione degli usi e delle terre comuni, le tasse gravanti sulla popolazione, la coscrizione obbligatoria e il regime di occupazione militare con i carabinieri e i bersaglieri, creò nel sud una situazione di forte malcontento. Da questo malcontento vennero fuori alcuni fenomeni: il brigantaggio, la mafia e l'emigrazione al nord Italia o all'estero. Il brigantaggio: la risposta violenta alla politica sbagliata del governo Dopo l'unità d'Italia vi fu un rigetto nei confronti del governo da parte della povera gente del meridione. Tale rigetto si manifestò fra il 1861 e il 1865 con il fenomeno del brigantaggio. Il brigantaggio era localizzato in Calabria, Puglia, Campania e Basilicata dove bande armate di briganti iniziarono vere e proprie azioni di guerriglia nei confronti delle proprietà dei nuovi ricchi. I briganti si rifugiavano sulle montagne ed erano protetti e nascosti dai contadini poveri; ma ricevettero aiuto anche dal clero e dagli antichi proprietari di terre che tentavano, per mezzo del brigantaggio, di sollevare le campagne e far tornare i Borboni. Fra i briganti, oltre ai braccianti estenuati dalla miseria, c'erano anche ex garibaldini sbandati ed ex soldati borbonici. Non mancavano poi numerose donne audaci e spietate come gli uomini.
La repressione del brigantaggio
I briganti non furono "criminali comuni", come pensava la maggioranza al governo, ma un esercito di ribelli che non conoscevano altra forma di lotta se non quella violenta. Del resto, tenuti per secoli nell'ignoranza e nella miseria, i contadini meridionali non avevano ancora maturato una conoscenza politica dei loro diritti e quindi non avrebbero mai potuto agire con mezzi legali. La politica di repressione adottata nei confronti dei briganti fu durissima. Per debellare il fenomeno furono impiegati 120.000 soldati (pari alla metà dell'esercito italiano) comandati dal generale Cialdini. Si scatenò una vera e propria guerra intestina che portò ad un numero molto elevato di morti in particolare fra i briganti e i contadini che li appoggiavano. Fu tra prigioni a vita, fucilazioni e uccisioni varie che il fenomeno del brigantaggio venne debellato nel 1865. Le conseguenze furono un ulteriore aumento del divario fra nord e sud e un'esaltazione dei briganti la cui figura venne paragonata, nell'immaginario popolare, a quella di "eroi buoni".
Il fenomeno dell'emigrazione
Una volta debellato il brigantaggio le condizioni economiche e sociali dell'Italia meridionale non migliorarono. Anzi, il fenomeno dell'emigrazione si manifestò in maniera massiccia a causa delle difficili condizioni di vita nel sud Italia. Il motivo di tale fenomeno era perlopiù occupazionale. La difficoltà di trovare lavoro e di raggiungere un tenore di vita se non dignitoso almeno accettabile, portò ad un'ondata migratoria sia verso il nord Italia sia all'estero. "Si stima che fra il 1876, anno in cui si cominciarono a rilevare ufficialmente i dati, e il 1985 circa 26,5 milioni di persone lasciarono il territorio nazionale". (Fonte: http://www.pbmstoria.it/dizionari/storia_mod/e/e035.htm).
Quanto fin qui emerso ci fa comprendere meglio che l'emigrazione fu una delle pesanti conseguenze della mancata risoluzione, da parte dei governi italiani, della questione meridionale. Gli intellettuali che hanno studiato il problema
Furono diversi gli intellettuali (ma anche gli uomini di politica) che analizzarono le cause e denunciarono la questione meridionale. Fra i più importanti troviamo lo storico socialista Gaetano Salvemini (1873-1957). Egli denunciò l'arretratezza del Mezzogiorno se paragonata al decollo economico avviato nel nord soprattutto da Giolitti. Quest'ultimo venne da lui definito "il ministro della malavita" per il cinismo con cui, con l'aiuto della mafia, approfittava dell'arretratezza e dell'ignoranza del sud per raccogliervi consensi. Il 14 marzo 1909 infatti Gaetano Salvemini pubblicò sull'"Avanti" un articolo contro Giovanni Giolitti accusandolo di aver incentivato la corruzione nel Mezzogiorno e di essersi procurato il voto dei deputati meridionali mettendo "nelle elezioni, al loro servizio, la malavita e la questura". Salvemini considerava l'industrializzazione estranea alle condizioni economiche e geografiche del sud e avrebbe voluto invece che si valorizzasse la vocazione agricola del meridione. Egli attaccò inoltre il Psi e la Cgil accusandoli di favorire la classe operaia settentrionale a danno dei contadini meridionali. Salvemini avrebbe voluto che il governo promuovesse la vocazione agricola del sud Italia. Chi teneva in quel momento le redini del Paese tuttavia non fu dello stesso avviso e agì a modo suo optando per leggi speciali e per interventi localizzati. Le leggi speciali prevedevano la concessione degli sgravi fiscali alle industrie e l'incremento delle opere pubbliche. Questo portò ad una crescita della spesa statale che andò ad alimentare i ceti improduttivi e parassitari. Questi ceti garantivano voti alla maggioranza al governo e in cambio ricevevano appalti di opere pubbliche insieme ad altri favori. Un altro intellettuale di spicco, Antonio Gramsci (1891-1937), nel primo dopoguerra ideò una strategia che mirava all'alleanza tra operai del nord e contadini del sud al fine di realizzare una rivoluzione socialista italiana.
Articolo di Daniele Marescotti

 
Testo provvisorio - Revisione in atto a cura di Nino Gernone – Mino Errico

IL MANOSCRITTO: Le rovine del Brigantaggio dell'anno 1860, nelle province meridionale del Regno d'Italia, Scritto dal Capo Banda, CARMINE DONATELLO CROCCO, recluso nel Bagno penale di S. Stefano. Signori nell'anno 1867 fui catturato dalla pulizia francese nella Città di Marsifia, mentre io fornito di passaporto dello stato ponteficio, transitava alla volta d'Algeri Città dell'Africa Colonia Francese. Nel medesimo anno dopo molte dispute di gabbinetti, fui da Marsilia trasferito a Roma, qui acchiuse in orride prigione, vi restai sepolto fine al 15 Settembre 1870. Nella quale epica, il Regno d'Italia Sotto il vissillo di Suo Maesta Vittorio Emmanuele, Compi la grand'opra dell'unione di Roma, dibellante l'ultimo avanze di quella nefanta reazione. Il ditronizzato governo di Sua Santità pio nono mi sepellì nella torra della rocca di paliono, dove fui liberato da prossima morte, dai prodi e magnanimi figli della civiltà moderna, ai quali conservo finche vivo, eterna riconoscenza. Nell'anno 1871 da paliono fui trasferito nella Citta d'Avellino, poi alla Citta di potenza, quivi nell'anno 1872 il dì 15 del mese d'Agosto comparii avante alla Corte d'assia, da cui, per gravità e quantità dei delitti commessi per cieca reazioni, che io senza sapere cosa mi facessi, capitanai rabbiosamente, per 4 anni consicutivo. Il giorno 12 Settembre dello stesso 1872, posto fine alla causa mi trovai reo di 75 uomicidi, e di un Milione, e due centomile Lire di guasti, fra divastazione ingendii ed altri fatti che fanno rabrividire non solo l'onestà, ma pure i malfattorì... Al mondo tutto, Sarà l'unica causa fatta così enorma, e pure l'unica causa fatta così enorma, e pure l'unica che il delinguente vivo ancora Signori lo confesso da me, ma debbo pure dirvi che senza di me alla testa di una formidabile Banta di due mile e due centi uomini tutti istruito all'arma meglio dei soldati, dedidi alla ferocia dei meridionali, la storia conterebbe fatti sconosciuto ai più barbari della Terra. L'odia della plebba del Regno delle due Sicilie, Sotto alla dominazione borbonica, era terribile contro gli oppressori e degli traditori della patria, quindi le vendette private, spinse la cecità alla vendetta. La Signoria da prima tutti oppressori, poi divisi in due, L'una liberale, L'altra realista, questi, conoscendo il male che loro cadeva sopro, volendo tendari l'ultimo colpo di vendetto aizzava la misera plebba, la quale con faciltà si precipita nelle voragine, terribile sono le sue prime mosse, ma codarda nel sostenere il fine, ed è questa la maldizione avverato sopra la discendenza di Cani. (7 tuoi figli saranno servi dei servi) Guai ai prepotenti se L'uomo conoscesse che la forza sta nelle sue mani, guai agli oppressori se l'uomo conoscesse i suoi derittí e suoi doveri. Nel 1860 il 15 Agosto nella mia provincía Al grido di Viva Vittorio Emmanuele, Viva Garibaldi, Viva L'Italia, Viva L'unita, Viva la fratellanza, chi puole scrivere la gioia di quel popolo nessuno, come nessuno puole credere che dopo pochi mesi questo popolo festevolo, si doveva trucidare a vìcenta, e perche? Basta una sola parola, L'invidia e le turpitudine di pochi uomini che si facevano chiamare Signori, erano Signori, sono Signori, e saranno sempre Signori, imperocche la cecità del governo il quale faceva passare per le armi le Locertele, e metteva nel suo seno i Serpenti velenosi i quali avuto il pieno loro indente finivano di sterminare le Serpungole, uno dei quali sono io. Molte volte sono stato pregato da persone assennato, affinche scrivessi la mia Storia, ed io che sempre desiderava d'esporre la volontà dell'animo mio, con quella lealtà proveniente da singere pentimente del male che ho recato ai miei simili, e volendo fare sapere alle future generazione, che io non fui crudele, ne barbaro, poiche L'Italia generalmente parlando non ebbi, non ha e non avrà mai uomini barbari, o crudele, ma questa nobilissima patria ebbi sempre dei vile traditori, pei quali ha sofferto molte dominazione, ma ebbi sempre uomini eroici che dal nullo seppero disputare palmi a palmi la propria terra, ed è l'unica sul globbe che novere sulla storia il vespere di Sicilia, e la rivuluzione di Masaniello è tanti fatti che a me non vanno necessitati scrivergli Giova sapere però, che un popolo che si fa trucidare per il suo sovrano, se non merita lode, è sempre degno di commiserazione. Mi trovo schiavo, sotto il peso della catena, oppresso della miseria, derelitto dagli obbrobrii, Vecchio ed infermi, non istruiti, e pure se potessi parlare, a mio bellaggio, resterei ai posteri un'istoria, che gioverebbe ai figli della meseria, se non tutto almeno in parte, onde essere cauti. Nelle calamita dei tempi, accorrere pressi gli fautori per poi avere forca e catene... Imperocche chi è nato povere stia pure nella sua povertà, e vedrete che sarai felice più del ricco, chi governo lascia che faccia come gli pare, fa che l'uomo sia onesto e vedrai che il Giudice ha paura di te, non di Lui; In tutto questo scritto parlerò per voi misiri figli della miseria. Sappiate che per noi nessuno scrittore sprega inchiostro e carta, i nostri malanni, la nostra miseria, gli abusi, l'ingiustizia, che ci fanno, nessuno la scrive, mentre poi sono chiamati sommo scrittori, quelli che ci dispreggiano chiamandoci plebaglia, Miserabile, vermi, ed altri dispreggi che ci fanni comparire tanti schifosi animale, portano poi all'infenito le drute, le ruffiane, i traditori, ed altri che non torno dirgli, non pensate a questi lasciateli chiachierare, essi hanno le loro spine, la poca felicità sta nella onesta ed è questo quello che io mi dedica farvi sapere, onde non cadere nella trapola dove sono io ed altri per colpa di scellerati ed infami uomini... La Capanna del zio Coppa - La chiesa della Madonna di Pierno - Il popolo di S. Fele - La figlia dello zio Coppa- Il bello fanciullo. All'oriente della Montagna di S. Croce, all'ombra di una grande massa di Granito calcareo d'enorma altezza e derupatorio, in sito scelto a pie di questa montagna sta fabbricate una bella chiesuola dedicata alla Madonna ell'assunta, la quale cumunamente viene detto - La madonna di Pierno. Ogni anno il 15 Agosto dal clero di Sanfele, si festeggiava una cosi detta perdonanza accorrente anche da lontano paesi molto popolo divote, onde diporrere ai piedi della Vergina i loro voti, uno ai proprii peccati. La festa durava fine allottava, molti mercanduzzi v'accorreva colle sue baggatelle, che poi e divoti e mercandi, ciascuni tornava suddisfatto alla propria patria, non mi delunga più sopro a tal particolare poiche in Italia quaso in tutto le provinge si trova una simila pordonanza campestra. Giova sapere che il Luogo dove è situato la chiesa di cui si parla è un sito ameno ed ha per delizie rupe spaventevele, boschi di faggi, ed un boschetto di castagni con due sorgente d'acqua chiara e gelata, durante la festa e permesso fare le legna nel bosco onde fare il fuoco la notte, giacche sebbene d'agosto il fredo è potente la notta, bene contemplate bene una di quelle notte fra una quantità di fuochi, ed una massa di popolo accuvacchiate fra quei derupi, certemente chi possiede il dono della scenza, trova pascola alla sua filantropica fantasia. Correva L'anno 1842 quando per pura compinazione mi trovava mischiate in quella perdonanza, io non era, come non sono filosofo, ma pure, sebbene di poca età contemplai con meraviglia quella di massa di popolo, di si svariate, tipe, costume, dialetto, vestire, costume, e bellezza. Imperocche, colà v'erano della provincia di Salerno, d'Avellino, di Foggio, di bari, di Basilicata, e della stessa Napoli, vi era il ventitore di Santi e madonnelle nei loro scaravatti, come sapete, non mancava il ladro covaborse, ne la mala femina, ma il severo Marasciallo di Gendarmeria con una mezza dozzina di Gentarmi, unito ad un drappello di Guardia urbano, manteneva in rispetto l'un'e l'altro. La chiesa, bella parata, il clero tutto affaccendato, i confessionile tutti affollati, appena terminava una donna ecco si presentava l'altra, chi piangeva a pie dell'altara cercando Grazia alla Madonna, chi per il figlio zoppo, chi per lo sposo ammalato, chi per il padre ciechi, chi offriva Gambe, braccia, mammelle, di cera, trecce di capelli, ed altri doni che la Madonna tutto accettava. lo non aveva mai veduto una facenda cosi brillante, giacche la mia scellerata stella, fine dall'età di solo sei anni gettato m'aveva nei boschi a pasturare, bestie ed era divenuto bestiuola anche io, quandunque sapeva Leggere, e scrivere, ne più e ne meno di quando ne so adesso che sono d'anni sessanta... Ma pure non mi sfuggiva nullo, dagli miei occhi, come nulla mi sfugge dalla mia vecchia memoria. Qualcuno mi dirà, ma che cosa volete darci ad indentere con queste fantonie di feste voti perdonanze, elle sono cose che noi sappiamo, ed esistano, ancora poicche appartengono alla nostra religiona, scrivetici altri fatti ... ? Benone avete ragione, ma io però vi prego d'avere pazienza, e lasciarmi rovestare bene nella folla perche debbo fare le prime conoscenze con una ottantina di compagni, coi quali dobbiamo a meglior tempo fare qualche cosa poca gradita alla societa, ma necessaria e deve andare cosi e non altrimente. Ascolta fino dalla mattina io giravagai nella folla guardante or qua or là, ma terminate la processione, finito i sparatorii, entrato la madonna nella chiesa, suonò mezzo giorno tutto il popolo a gruppo a gruppo, si posere a mangiare ed a bevere tanta grazia di Dio. lo povaretto, forestiero, senza conoscenza, restai solo e vergognosi, ed il peggio si era che non aveva dove nascondermi, ondo non dare soggezione, molti mi guardavano, ma nessuno mi diceva o la, volendomi sottrarre prese la via del bosco e taccheggiava, quando una Legiadra Giovanetta dai 14 anni, menando a mano un fanciullo bello come quelli che ipinsi Raffaele, Maria felice cosi si chiama la giovanetta su riferita, mi si piantò dinanzi ed imperativamente mi dice, sono due ore che io vado incerca di te, vieno meco alla mia Capanna, perche mio padre vi cerca. Restai pietrificate ad una si strana dimanda, guardai la giovanetta dalla punta dei suoi scarpini, fine alla cima dei suoi capelli, guardai il fanciullo stupefatto senza dire verbo, Ma la giovanetta incomingiò a tempestarmi di preghiere e di rimprovere, ed io non mi risolveva a rispondere, finalmente mi risolvetti e gli dissi, Giovinetta voi sbagliata io non conosco chi ella sia... Ed io conosco chi siete voi ciò basta, è dovete venire meco, poicche lo desidere mio padre, non che tutto di mia famiglia... bbene verrò senza temo, ma mi dovete dire sel sapete chi sono io... Voi siete il figlio di Francesco Donatello Crocco di Rionero, Compare di mio padre, perche battezzò me, è questo figlio della Madonna lo vedete come è carino vè vè... Si che lo veggo, ed è bellino assai, ma scherzate... La madonna non puole avere altri figli fuorche G. Cristo... Sù andiamo non perdiamo tempo, riguardo poi alla vostra dimanda, vi sarà spiegata dopo perche io non conosco altro che il fanciullo e figlio alla Madonna, così dice mio padre, cosi dicono tutto, cosi dico anche io... t cosi dirò anche io andiamo, è dato la mano al fanciullo prendemmo la via della Capanna dello zio Coppa, la quale distava dalla chiesa un mezzo chilometro, passando per dentro il falto bosco di castagni chi era proprieta della Madonna, dalla cui rendita viveva il Sacrestano, all'ombra dei quali casta gni, vi erano una massa di popolo che spolpava un altra massa di creature di Dio, cotte a rifredi, vale a dire. Tacchini, gallucci, Capponi, piccioni, Castrati, Agnelli, e chi sa quant'altri cosarelle, che le belle mamme sanno preparare, quando si tratta di gire ad una festa lontano. Guardate di qua, e di là giungemmo alla Capanna, quivi trovai oltre di cinquanta persone di varii paesi poicche il zio Tonio Coppa aveva degli amici da per tutto, perciò vi era una famiglia baresa, una foggiono, due della provincia d'Avellino, ed altra della rovincia di Salerno. Chiama Capanna la masseria dello zio Coppa, per non assendarla dalle altre; Imperocche il popolo di Sanfele, come il pppolo d'Avigliano, i quali abbitanti montanari d'una falda degli appennini, alla porta orientale, usano che il condadino dove ha la terra da coltivare, là si costruisce la sua Capanna, ed ivi si situava colla sua famigliuola, le sue bestiuole, ed il suo campocello, ed io non posso dirvi quanta migliaja di capanne vi erano, so per certo, che v'erano unione di capanne, che acchiudeva novecent'anime, ed è impossibile trovere altro popolo che viveva felice come Sanfele ed Avigliano. I Sanfelesi alquanto più rozzi degli Aviglienesi ma laboriosi, fatigatori, fornito d'ottimo coraggio, senza Ladri, e di rade fra essi accadeva qualche assasinio, guardandosi a vicente ed amandosi scampievolmente... Viciverso gli Aviglianesi loro confinante di tenemente sono oppure erano meno rozzo, non aveva ladri, ma si scannavano a vicente come cani rabbiosi. I due paesi contava giù per sù un 25 Mila anime, fra i quali era conosciuto, fama, miseria, e paura. Io conobbe da fangiullo questi due popoli, stante nei due tenimente una parta dell'anno a pasturare ora le pecore, ora le cavalle, ed ora le vacche, e quandunque il mio paeso ch'è Rionero in Vulture, non distano che 12 mialia da Avigliano, e nove da Sanfele, avendo continuo commercio i tre popoli cui sono affratellati, ed imparentite da scampievole matrimonii, ed essendo stato molt'anni bandito, è con comettive risentite pure tuttavia non ci praticai mai fra essi. Nell'anno 1853 mi trovai fra quei monti con sei compagni, senza recargli alcune moleste, ma essi lo seppero, si unirono e mi dettero la caccia e sebbene mi era nascoste in orride rupe boscose, pure mi trovarano, furtuna per me che era verso sera, venemmo alle mani, e ci dettero tanta fucilate chè mai più, fatto notta tornai nelle puglie, e nel passare la vulture, giurai di mai passare più in quei luoghi mantenno ed ottenno il mio giuramente, sicche da me non ebbero nè male nè bene, gli ebbi sempre in stima, poicche, quel popolo chi non fa rispettare il suo tenemente, sono sempre uomini dappoca... Intanto torniamo alla Capanna dello zio Coppa, Io, Maria felice, ed fanciullo arrivammo alla masseria, quivi fui presentato allo zio Tonio, il quale con aria patriarcale mi fece sedere vicino a se ch'era in testa alla mezza o mensa, e se credete sontuosa, poicche il Coppa era un'agiato pastore e contadino, da prima mi obbligò a mangiare, poi Dolcemente mi rimprovirò il come essere venuto alla festa, e non essere ite a trovare il compare e vecchio amico di tuo padre... A cui rispose, e chi mai vi ha conosciuto gnor zio gli rispose... Come è possibile che compare Francesco vostro padre non v'abbia marlate mai di me... Ma vossignoria non sa che sono quaso quatt'anni che non veggo mio padre - Come mai? - eppure è propria cosi gnor zio, dacche gli accadde quella disgrazia, s'è rintanato nei boschi dell'agopesila da cui non esce neanche selle spara a palla infuocate, sono corioso sapere come avete fatto vostra signoria a conoscermi. - sono stato io, sono stato io che vi ha fatto la spia ed ho incaricato la commarella filicetta affinche vi portasse qui, salto a dire un'uomo grossotto che divorava un bel tocco dicastrate il quale era un mercando di cerreali mio paesano di paeso ed un poco parente, il quale io non aveva mai veduto ne conosciuto - Accui risposo è perche voi giacche vi dite paesano e parente, perche non sei venuto da me onde farmi paleso quanto ora mi è manifestato - Che volete io ho tanti affare... con degli amici... - avete torto, avete torto Compare Vincenzo, risposero il compare la commara e figli di loro, - E siccome io esitava di mangiare, sia per sorpresa, sia per vergogna, sia per dispetto dell'ingrata sorte, il buono compare la prudenta commara, i suoi figli, e specialmente felicetta si sforzavano a farmi convinto. Giovannino (cosi si chiamava il figlio della madonna) Giovannino vispo come una donala, mi saltava sulle ginocchie, mi offriva or questa or quell'altra cosa finalmente dovetti addatarmi onde fare onore alla tavola bandita all'ombra di un'annosa pergola... Terminate di pransare gli amici prendente comiate un dopo l'altro prendente ciascuno la sua via onde tornare alle proprie patrie, come fece pure il mio infamo parente che sebbene ottuagenario vive tuttora a mio dispetto che sia maldetto uno alla sua infama famiglia ricca col danaro da me rubbato ad un prete riccone... Come fecere gli amici cosi feci ancora io dopo avere baciato la mano al compare e la commara coppa baciandoci uno dopo l'altro coi figli e figlie, dante una dozzina di bacio a Giovannino il figlio alla Madonna, promettendo di tornare fra essi quando prima, e fra gli arrivederci me ne partii per i vicini monti per accutire alla costodia delle vacche coi miei compagni ch'erano colà rimasti, i quali non ebbero necessità di ricorrere alla madonna, come l'ebbe io. Mi conviene significare qual fii la mia necessità di ire a quella festa. Ecco come, nel mese di giugno di quel medesime anno essendosi smarrito una vacca, fui necessitato alla ricerca, dopo camminate per valle e monti una intiera giornata senza rinvenirla, trovandomi affamato, ed arrivate ad una vigna colla speranza di trovare il padrone, tirai ver un paglioso ch'era nel mezzo di detta vigna, ma oime non trovai nessuno. Chiamai, ma nessuno rispose, aprii il pagliaio e trovai già appolaiato una dozzina di galline, e senza dare tempo al tempo, diete un colpe di bastone, e giù due galline per terra, li prese e via di tutta fretta, dopo un'ora di cammino essendomi bene innoltrato nel bosco, acceso il fuoco spennate la prima gallina, l'infilzai ad uno spito di legna e metà cotta la divorai, l'altra la feci più comodamente, mangiandola col megliore gusto della prima, mi distantai non molto dal fuoco e mi straiaio per terra e dormi tutta Notta, sul fare del giorno principiaio la ricerca, finalmente sul mezzo giorno trovai la vacca, la quale dormiva ruminando io in campocello di pesielli avendone mietuto la metà, m'affrettai a cacciarla per tema di pagare il danno fatto, e con essa feci ritorno all'ovile, ecco due ladri per la pancia. Mi restava il rimorso della propria coscienza per le galline, cosi venuto la festa dove si perdonava ogni peccato, chiesi ed ottenno il permesso di Gire a confessarmi, difatto era giunto prima di fare giorno appena i preti principiarono a confessare mi gettai ai piedi d'un buone vecchio sacerdote, il quale dopo tanti avertimente paterno, si ricevetti 25 soldi per il scotto delle galline, mi detto l'assuluzione, presi la cumunione e detto pace al mio cuore giovanile, ritornando a timore di Dio. ed al rispetto della roba altrui. Chi mai poi pensava ch'io doveva cadere nell'inferno carico di tanta nefantezza, ed è altro amici miei che inferno la Galera in vita, dopo avere scampate la morte sulla furca per divino meracolo, che cosa era poi la rilegione, il timore dell'inferno, la religione era ed è la salvatrice di ogni male, è la benefattrice del genere umani... Lasciate chi ebbi la capanna del Compare Coppa, due ora dopo arrivai alla valla del tasso dove noi avevamo costruite una capanna di fascine, quivi dormivamo la notta trovai che gli miei tra compagni, uomini di famiglia, preparate avevano il pranso, avendo cotto un Lepre che caduto era nella trapola, dividemmo la carne e ciascuno mangiava la sua io mi era attrippate bene, bevuto meglio aveva portate una borraccia pieno di vino, cui posi a disposizione loro, e mentre dessi mangiavano io raccontava quando veduto aveva in quella giornata, di nulla essi restavano meravigliate, poicche, ne aveano veduto molte, ma quando parlai del figlio della madonna, che si chiamava giovannino, che camminava, che io dato gli aveva la mano, scoppiarono a ridere, e dalla risa alle beffe fu la stessa cosa, e siccome io era stizzoso, la sera fu gaia e dilettevela, finalmente dopo avermi pelate bene bene, il più vecchio disse basta mo non più, è rivolte a me mi disse, sapete figliuol mio chi sono i figli della Madonna -No zio Michele vel giuro... - Ebbene i figli della Madonna sono i mulacchi, vale a dire figli alle donne infame... Veremente delle male donne ho inteso parlare, ma dei mulacchi mai, per altro vi posso dire che il fanciullo da me veduto è bello più di un'Angelo, lo battezzo mio padre, è sta alla Capanna di Certo Tonio Coppa il quale, dice essere cunipare di mio padre, avendomi fatto molta buona accoglienza, ho promesso di tornare colà perciò quando tocca la mia quindicina, ritornerò da lui onde scoprire s'è possibile sapere qualche cosa di quel fanciullo per il quale vado pazzo della sua bellezza... hem corpo di bacca, se porterai unaltra borraccia di vino come questa che hai portata questa sera, va pure dimana, farò io per te il servizio tuo... si compare, ma potrebbe piombare il massaro... huni rispose l'altro se vieno il massaro troveremo una scusa qualunque, si tratta di giornate non d'anno, diavolo è poi... No caro zio Vito, domano non mi conviene perche troverei ancora il residuo della Festa, lasciamo passare una settimana, cosi troverò che il compare s'è calmato dallo stordimente della festa ed avrò megliore soddisfazione, riguardo poi alla borraccia del vino non dubitare che ne porterò di più, se poi volete mangiare funghi per due giorni: con il latto farò un poco di scamozze cui farne un presente, mentre voi sapete che andare dagli amici colle mani vuote, è lo stesso di tornare colle mani nelle seccocie del resto sarà mia la premura di ricompensarvi... Ebbene faremo cosi, per tre giorni sara tuo il latto lo quaglieremo, faremo quindici paia di scamazze, con la ricotta fare un poco di manteca cosi apparecchieremo un reale principesco restaimo cosi. sì sì ad una vocia... E’ col fatto i miei compagni entra tre giorni raccolsero il latto spettando alla nostra cena e fecero quei bei lavori di pasta di caciocavallo, che sono conosciuto da tutt'i meridionali vale a dire, scamozzelle, cavallucci, pupe, cervette, uccelle, trecce, e mantechelle. appaiate, fra il peso di 5 chile di formaggio caciocavallo avrete un brillante regalucci, cosi arrivate la giornata prefisse, di buono mattino calai a terra, e dopo due ora di sempre calare giu giunse dal compare zio Coppa, fui ricevuto cortesamente ma restò mortificato del reale da me portate, ma poi saputo il come si tranquillizò, dicento va bene, e sul momente stesso chiamo un suo garzone, fece bardare una mula, ed agiunte altra robba a quella da me portata, con due pingue tacchini, e fatto posto due righi di lettere, fece partire il garzone alla volta di potenzo diresse il reale all'avvocato Santaniello, il quale portava una sua causa per lite, sur un picolo fonte malamente impotegate. I miei primi pensieri furno sul fangiullo e la commarella felicetta, questa colla calza nelle mani faceva giocare i ferri a tutta velocita, Giovannino baloccava con uno cavalluccio che gli aveva dato da parte, la commara dava sesto alla partenza del reale da spedirsi, mentre i figliuoli picoli e grandi partivano chi colle pecore, chi colle capre, e chi coi bovi, restammo solo il compare, la commara, filicetta il fanciullo ed io. dopo avere fatto colazione uscimmo unito col compare entrammo nella vigna chi era vicino alla masseria, e ci ponemmo a sedere sotto ad un grossissimo castagno la cui frescuva rendeva suavo il nostro lungo dialogo che durò piu ora. Noi non facemmo uso di sedie nè tavolini, ma due sassi sopro dei quali ci ponemmo assedere, ed alla mia dimanda fatta di sapere come il compare Coppa aveva fatto amicizia con mio padre, e come Giovannino si trovava da lui, e il perche mio padre aveva premura di quel fanciullo, il dabbene uomo mi rispose calmo e sereno... La nefanda Storia del Capo Banda Giovanni Esposito alias Coppa ScTitta da CARMINE CROcco DONATELLO, recluso nel Bagno di S. Stefano in secola secoloro a men... Secondo mio padre, quanto sta alla mia conoscenza, Secondo mi disse lui Giovanni Coppa, Chiamerò sempre cosi poiche voi già sapete, come Antonio Coppa fu il suo padre di Latto il quale L'allevo come proprio figlio... Mio padre mi ha detto. Dalla mia infanzia conobbi un certo Vito Milono, il quale era fattore di campagna, del Barone z. Il detto Vito Milono, m'amò sempre e nella mia sciagura mi soccorso sempre, che se oggi godo la stima, e la feducia del mio eccellente padrone lo debbo a lui, solo a lui... Laonde io debbitore della sua cortesia, fidate suo a tutta pruova mi successo quanto vado a manefestarvi. Come sapete che in Montemilono, si fa quella Gran fiera il giorno di S. Lucia. cioè il 13 Decembre ogni anni - Benissimo - Ebbene nell'anno 1838 io scortai alla fiera i suini del padrone mio. Colà trovai Vito Milone, il quale mi chiamò in segreto e mi disse. Francesco, io debbo confidarvi un segreto di somma importanza, sei tu nel caso di farmi un faore, e promettermi di palesare ad anima vivente il mio affidatevi segrete... - Che volete il sanque - Ba coglioneria... un segrete che merita fedeltà, e delligenza, come pure, anima e coscienza... Ed avete scelto me per tanta gelosa facenda, delligenza non manca perche voi lo sapete, fedelta nemeno perche ve nè ho date pruova mille volte, forse qualche volta siete rimaste deluso della mia Fedeltà, tutti i furti da te Fatto al Barone, ed affidate a me, non sono stato sempre con esattezza consegnata alla tua moglie, con cui avete fabricata il tuo palazzotto. Forse ho detto mai qualche parola... vi ho denunziate qualche volta all'amministratore... Ora mi dite, Anima e coscienza, che diavelo mi dovete confidare un furto grosso da portare alla vostra casa, dà quà che io sono prondo a qualunque tuo comando fuorche al male fare... - Si tratta tutt'altro, ma tu chiama furto quello che si tratta di portare alla famiglia qualche cosella che non Si trova nei nostri paesi e che servono per comodita della famiglia, come sarebbe un poco di lana, un pò di formaggio, un paio di bovi, olio, amandorle, grano, orzo, fave, miele, cera, e che so io, piccole cosarelle che non valgano la minora sciocchezza dico bene... - Ma si, che cosa sono tre o quattro cantare di lano, nulla, cosi pure le amandorle, per esempio 5 cantare di lana a scudi cinquanta il cantare fanno 250 scudi cosa di nullo alla casa di un gran signore, una dozzina di cantare di amandorle sgusciate, venderle a scudi 30 il cantare che sono la miserabile somma di scudi 360 cosi facendo dall'A. alla z. alla fine dell'anno sì trovano quattruova nel paniere e si è sempre onorato quell'uomo che puole fare da fattore in quelle sfondate fattorie... - Ma tu però facevi da monotengolo - Certi guai, era giovanotto faceva il Vuttorino alla masseria, era comandate ubidiva e cheto voleto che facesse il delatore... - Mai meglio la morte... - Cosi va bene, e poi mi dava pure a me qualche cosa da rosicare, quando poi prendei moglie, lasciai di servire padroni feci da me, e fu la mia rovina, se non lasciava di servire non mi sarebbe accaduto quella sciagura. - Ma via non allongarla tanto raccondami che fu il segreto di Vito Milono di cui ho premura sapere con desia - Eccomi. Conchiudemmo che io era prondo di ubbidire a lui, ma senza sapere a che cosa, restammo d'accordo che m'avrebbe chiamato lui a megliore tempo, e difatto nel mese di febbrai, l'anno nuovo 1839. Arrivo da me un giovanetto, portandomi un magnifico cavallo od una letterina di fattore Vito che diceva Dresso a poco cosi. Caro Francesco l'ora e giunte di farmi quel faore, perciò mondate sul cavallo e giovanotto ha avuto l'ordine che deve fare, ma se vi bisogna, resto a tua disposizione finche ritorno tu quindi se ne verrà col medesimo cavallo. lo non feci altro, posi al mio posto il giovinetto e saltai in sella camminai tutta notta e il mattino era a pantanella quivi trovai lui, ci abbracciammo e facemmo colazione, dopo uscimmo alla campagna lontano dalla fattoria, e discorrendo mi disse così... - Francesco, voi dovete fare il sequente servizio e sarete ricompensato benone - sarebbe di presto Vito non farmi più lambeccare il cerivello ... - Ma è cosa santa matto non pensate a cosa cattivo ... questa notta verrai meco, vi sarà consegnato un fanciullo, tu lo porterai in Basilicata l'esporrai dove credete meglio, vedrete chi lo piglia, egli sarà consegnato alla cumuna voi vi fingete intefferente, ma dopo parlerai al trovatore, gli farai sapere che se alleva bene il fanciullo farà la sua furtuna, e cosi sarà pure per te capite... - Come diavelo v'è venuto nel cranio fattore Vito di delegare proprio a me di cotesta facenta, io sono un povero santo carico di madonne, chi sa fare cotesti pasticci, sono cose di ruffiane attrottato, non cose nostro, se mia moglie non fosse stata pazza poteva crescerlo lei cel porterei direi averlo trovato, sarebbe rimediarla ma cosi mi veggo tutto impicciate, ma perche giusto a me fattore Vito... - e dove volete ch'io avessi trovate un'altro uomo più fidate di te, che sappia scrivere quattro scarabocchi come li sapeti fare voi, se poi mi dite il perchè devi uscirre il fanciullo dalla provincia di foggio è per allontanarlo da qui per fare sparire ogni ombra di sospetto, per il quale potrebbero succedere chi sa quante cose brutto - Dove diasche e partorita questa donna in qualche caverna, come si fa per nascondere una femmina grosso gravide - hum che sproposito, sono deserti i palazzi dei ricchi, quel ch'è certo che finora nessuno lo sa forse la madre ed il medico, come pure una fidata vecchiarella di serva. dunque alle corte che dice volete o riò tentare la vostra furtuna. credami sarai condente se ci mette la tua capacità - Che, credete allevare uno vitello un capretto, dicendomi mettere la mia capacità, bisogna trovare una buona nutriccia, come si fa per averla, Basta cercherò il meglio che potrò dove sta il fanciullo - questa sere andremo a prenderlo, voi darete la parola di non confidare ad anima vivente, il mio nome, giacche da chi lo ricevete non sapreti chi essi soso. - ed io non voglio sapere nulla, se la legge mi obbligasse diro, Cammine facendo ho trovate questa creatura il raccolse come sta cosi consegna nelle mani dello uomo di legge pensateci voi, per farlo allevare, cosi ciancevano con il fattore Vito senza sapere che v'erano ordine da ricevere e pericoli di essere uccisi in caso di froda e di mancanze dì negligenza... Difatto sul cadere della giornata, Vito ed io mondammo in sella e di galoppa prendemmo la via della masseria detto perillo a te noto - Benissimo - Quivi giungemmo a due ora di notta vi era il segno di convensione, un sordillino ed un'uomo ci detto la buona sere, smondammo da cavallo, endrammo nel cortile tutto era bui e tetro silenzio, Vito disse all'uomo governa i cavalli hai capite - sisignore - Lui ed io salimmo la scalinata e fummo nella Galleria dove due signori stavano assedere all'ombra di due Lumi d'allabastro appannato - Vito salutato confedenzialmente i due signori, poi disse Eccelenza Eccomi l'uomo di cui potete fidare sulla mia responsabilità. - bene, bravissimo, il suo volto mi dà feducia risposo il più giovano. Come vi chiamate Francesco Crocco Donatello. Nativo di Rionero in vulture provingia di Basilicato circondario di Melfi. per servire le loro signorie III.w..a. - Sapete Leggere e Scrivere - Si ma poca lo sa - Vediamo Scrivete qui, nome Cognomi, e patria. - E mi dettero un foglio di carta Imperiala, bianca. io Scrivetti Cosi, lo Francisco Crocco Donatello di condizione pastore e contadino, nato e domiciliate in Rionero in vulture. Mi propongo addempire con coscienza l'opera pia che mi sarà confidato, da persone a me ignote, i quali, mi dicono essere Signori, ed io ubbidisco perche non v'è cosa malefica di cui vado superbo. - Benissimo qual nostr'uomo. Sapete per qual scopo noi vi abbiamo fatto scrivere questi pochi righi a tua volontà? - No signore - Ebbene ascolta voi prenderete la totela del fanciullo forse per pochi mesi, quella danna che gli sarà nutriccia gli sarà dato una piccola mesata di tre solo scudi al mese, con cui può mantenersi la donna. questi tre scudi li riceverai da Vito Milono, e per essere noi sicure di lui e di voi. Vi cerchiamo la firma con le ricevute annuole. Guai per voi se fraudate, cioè perderete il premio di mille scudi che avrete quando noi vi richiediamo il fanciullo avete capite... Adesso riceverai centoventi scudi venti sono per te Francesco e cento consegnerai alla furtunata nutriccia, che se farà il suo dovero da ottima Madre sarà bene ricompensate...Signori non dubitate di nulla, io farò di tutto per suddisfarvi, remetiamo a Dio l'esito felice e se verrà quel giorno che posso dire, ecco il vostro tesoro a me confidate quindi sarei superbo senza i milli scudi da lor signori offertomi, ora comprendo la delicatezza della cosa, sarà mia risponzabilita onde portare il fanciullo in una famiglia, in cui starà meglio che se fosse nella casa del Duca di Bisaccia, ma in campagna spiegamoci - Si si è meglio, è meglio in quei diliziosi villaggi della Città d'Avigliano lo spera - No in quei di Sanfele, dovo una mia commara di fresco partorita, ella darà il latto al fanciullo e la sua piccina sarà nutrita da altra donna ve nè sono tante - Sei sicure di ciò - Sicurissimo - Dunque non perdiamo tempo partite, ecco il danaro - No Signore, il danaro no, verrò dopo a prenderlo da Vito perche potrei avere qualche mal incontro ed io non potrei defendergli perche disarmate - Ebbene verrai da Vito dopo che avete situato il fanciullo, 120 scudi 20 per te cento alla nutriccia, tre scudi mensile, sempre col tuo, dichiara qui sotto scritto di avere ricevuto scudi... è consegnato alla N. - E per essere vossignoria più sicure vi farò pervenire anche la firma del mio compare che sara il padre del fanciullo - Benissimo partite, fedelta e giudizio brav'uomo arrivederci. Mi ricevetto il fanciullo dalle mani di Vito Milono, egli era bene fardellato, ebbi certi preparati da imbeccargli se vaggiva, mondai supra uno superbo cavallo e detto a Vito arrivederci preso la via di S. Carlo, passai l'ofante al ponte di Santa Venera, ed arrivai a Rionero l'orologio batteva ott'ora sicche in 5 ora percorso aveva 24 miglia, mi restava farne altri novi che posi altre due ora quindi ad ora dieci bussai alla porta della masseria del Compare Coppa... Colà vedemmo al lumo quella magnificenza discritta, facemmo con magnifica riuscita la detta consegna, ora mi conviene dirvi come, nel Battizare il fanciullo, la chiesa di San Nicola era zeppa di femmine, queste come vespe, appena seppero la notizia del trovatello, fù una vera rivuluzione, sel preso da prima una Signora, che il guardò non poco, e sel stava mangiante di baci, poi una dopo l'altra fecero la stessa cosa. La ricca Fasciature, la bellezza del neonato fece cadare il sospetto ad una monacella di casa, tanto e soporita la calunia, sopro l'innocenza... Finalmente potemmo Battezzare il fanciullo, il parroco, lesse sulla fascia porrai il Nome Giovanni, e cosi fu fatto. Io tutto intefferente mi offerso per compare c'era chi voleva contrastarmilo ma il paraco, disse il forestiero il forestiero tocca perche lo voglio io e silenzio. Fatta la divina cerimonia uscimmo dalla chiesa per tornare alla casa, macche le viottole ereno pieni di coriosi e coriose, ognuno voleva vedere e baciare il trovatello, per poi dire la sua. Finalmente arrivate alla piazza, qua mo vi sono tutti quei signori che si divertano nel caffè ci levano il fanciullo e fissano i loro occhiatini, poi arriciano il mostacchio e susurra all'orecchio del vicino, quel torce il muso e dice hoibo che... quando eccomi D. Antonio Santore mio conoscente, mi chiama sparte da parte è chiatto chiatto mi dice, Egli è figlio a D. Gennaro non è vero Francesco... Lo avete portate voi... Scherzato o dice da sonno D. Antonio, ma se io sono venuto qua per affare del mio padrone, mi sono incondrato col mio compare, il quale ha trovate quell'anima di Dio. ed io mi sono essibito di tenerlo alla fonte, credami parola da uomo. - Bravo il silenzio è la prima virtù dell'uomo da bene, scusami - Scusate vossignoria perche non posso dirvi la verità perche nulla so. In tanta ciarla e sospetti tanto i signori quanto le signore dissero la verità cioe che il trovatello era figlio di nobile, e non plebei... - Padre mio, facesto un brutto regale a quei poveri Sanfelesi, Vedete che bella lana è il tuo compariello, lo raccogliesti nella Puglia per fragellare la Basilicata e le puglie cornè se non avessi bastate io iste a cercarno un'altro che mi supra... Vedete, voi daste a me la vita, Battezaste Giovannino, Battezaste Donato Tortora, e figli e comparielli tuoi siamo il Fragello di queste contrate. Noi certemente andiamo all'inferno dopo essere stati uccisi, tu padre mio ti crede andare al paradiso con cotesta lunga corona dicente rosario... Siamo nel 1862 che facciamo cotesto descorso, quando io vi domandai nell'anno 1845, chi fosse Giovannino tu non mi dicesti quanto ora vi siete benignate dirmi, perchè forse temete qualche mancanza, di parlate chiare, e ditemi perche, e come fú che Giovannino non ebbi più l'assegno mensile - Riguarda al temere lo di te non ci ho mai pensate ne ci pensa, e quaso quaso mi sarebbe venuto il tecchio darvi quattro scappellotti perche avete derise la mia corona ed il mio santo rosario - hemma mettolo a nola che vivrai di rendita - Scherza tu coi Santi... In quanto al tenue mensile di Giovannino, nell'anno 1848, Andai per riscuture il semestro di Gennaio, mi fu detto che bastava, essendo il giovannino fatto grandocello, poteva da se lucrarsi del pane, allora mi feci lasciare il non più ultre mi giustificai col Compare Coppa, e di poi non se ne parlò più... - E gli milli scudi promessi a voi ed alla nutriccia - Che volete, ce li darà quando verrà per pigliarsi suo figlio forse - quando avete percipite voi fra tutto - Venti scudi - Null'altro -nulla più mai - è il fastidio delle vostre cure per la totela, non vi sono stato pagato mai - Mai - Siete sicure che Giovannino è figlio al Barone z. - Sicurissimo - Lo giurate - Sulla madonna del Carmine - Da chi avete sapute la verità - Da Vito Milono - Non da altro - hum mio Dio e figlio al Barone, ed alla Signora C? - Di cerignala - Sissignore - Ma io benche non dubito, di voi vorrei un'altra piccola provicella, poiche Vito Melono ha potuto servirsi del nome del Barone per essigere maggiore rispetto, e potrebbe essere il Giovannino figlio a qualche malscalzone, poiche, io mai posso credere che un gran Signore mancasse alla promessa fattovi non solo, ma d'avere abbandonato il Giovannino in punto chi era più orgente dell'infanzia cioè mantenerlo alla scuola capite - Lo dicemmo anche noi cosi, ma che fare, poteva continuore alla Scuola, ma che gli sarebbe giovate qualora egli doveva correre alla zappa ò alla postorizia, agiungete che ne volle sapere propria di Scrittura... Riguardo a qualche altra prova. potete domandare a massoro Gerardo Figlio di Vito Milono... Il quale Conosce più del padre cerca la nascita di Giovannino. - Eccone - Egli era incaricato della Somministrazione del mensile assegno, ed egli fu quello che middisse non più ultre. - allora va benissimo Guai a lui se mentissi vi dispiacerebbe se vi facessi fare una facciofronta - Mai, ma che vai cercando, che cosa credete di fare cose vecchie che nè puole ricavare... - Nulla, ma voi sapete che da piccino, io amai Giovannino, ebbene quando sarò sicuro. Lo chiamerò signore Barone. Ecco tutto. Se voi mi avessi detto questo fatto 15 anni primo ne io e ne Giovannino saremma qui oggi, nè voi, nè il compare Coppa avrebbe veduto tante stragge, come vi tocca uno giorno all'altro vederci scannate io e lui capite il vostro sbaglio è la causa della nostra rovina è volesse iddio che non fussavi fucilati voi o morire nelle carcere per colpa nostra... - Quando voi mi domandasti voi eravate giovanotti, erano fatti di palosare ai Ragazzi cotesti, e poi che avresti fatto - Non lo so neanche io, ma credami che non saremma qui ne io nè lui. ora non più a tempo. Ritornate alla Città e dite al Generale La Chiesa che tanto io penso a presentarmi da lui, quanto lui pensa di farsi frate. Ciò detto congedai mio padre, il quale venuto era per ordine del signore Generale, con la consolanta notizia di farmi presentare da lui. Non tardai che pochi giorni e mi portai da Gerardo Milono figlio del fu Vito nato e domiciliato in Bella Lucano citta del distretto di Melfi... chi sa qualcuno volesse levarsi la fantasia, troverà i soggetti, e se il Barone Z. è la Signora C. non fossere alla presenza del sommo Autore, gli sbiancherei lo stesso onde rinifacciare la loro inniqua avarizia, mentre con due mila scudi avrebbero fatto un patrimonio al proprio figlio, L'avrebbero liberato dalla Leva militare da cui venne la sua rovina. Quando fin dal soprodetto Gerardo Lo chiamai alla mia presenza e cosi lo parlai. Figlio del fu zio Vito. Io vi faccio una dimanda, trema dal mentire e rispondomi franco - Dite pure che non sono uomo di mentire salva qualche calunia - Non puole essere calunie per la quale è cosa vecchia. Voi conoscete il Capo Banda Coppa Giovanni esposto - Si - a chi è figlio - Al Barone Z. ed alla Signora C. - La Figlia di D. Francesco C. - precisamente - Grazio Gerardo vi sono riconoscente sapete, perche ho stimate sempre il Barono e da oggi principierò a stimarlo di più salvo però che rimette subito 1980 scudi promesso a mio padre, e 1000 scudi promesso alla nutriccia di Giovanni Coppa da voi conosciuto suo figlio. Mi spiegherete poi la ragione perche levaste la mesata dei tre scudi al mese da lui assignato al figlio - Qui siete in errore. Il Barone non ha cavato manche un grano era la madre che soccorreva il figlio, ma il caso volle che nel 1848, per paura di qualche visita furono nascoste tutto le carte, non so come fu, furono trovati quei biglietti di ricevuto di vostro padre. il marito della Signora che stava dubioso scoprì la verità, qui la Guerra fra marito e moglia, stetteri per dividersi, e sono sempre in guerra dichiarata, D. peppino quando pagherebbe se si trovasse chi uccidesso il suocero che il tradi, ecco le discordii di quelle due famiglie voi lo sapete - Mel hanno detto ma io che so -Laonde la disgrazia signora ha dovuta tralasciare l'opra ben principiata, tuttora piange sempre la sventura di suo figlio, ma nulla gli giova - Dunque il Barone nulla conosce di quella promessa fatta - Si la fece per contendare la Giovanetta la quale non voleva lasciare il figlio e si contendava restare mala femmina. Ma lui sempre lusinghiero per sposarla... Ma ritornati a Napoli la demanticò presto per sempre. Lui non è venuto più a Cerignola, nè verrà... La signorina si maritò ed ora ha preso di se tre figli due maschi ed una femmina, ed io sono con Lei di piena riconoscenza, ma è sempre dolenta ed inquieto col marito. - Dunque assumete di portare questa lettera all'amministratore, due mila scudi subito, resterò io debbitore di 20 scudi. Vediamo se sia intefferente con me, come fu colla signorina. Eccomi come mi fu raccondate la nascita del capo banta Giovanni Coppa, il quale chiamerò sempre cosi, per levare quell'esosa parola esposito io discorrerò con lui voi ascoltate quanto egli dice circa i suoi sensibile ricordi. Sarà or mai tempo di tornare alla mia Banta nella provincia di Bari, e lasciare quei miei cari Coratini. Comi ho detto che passai tutto il meso di Maggio, fra quelli ridenti masserie delle Murgio. Senza mai cementarmi colla forza, era necessario di non abbusare tanto, poi che tutta, la Cavalleria si era raunato sopra di me, onde prima di essere pellicciato a dovere, preso da me congeda, e tornai a Monticchio, dove i miei formatosi a piccole bantecelle, facevano la vita da signorotti. Giunti a Montemilono, osia nei boschi di Lui, Summo Giuseppe mi lasciò e tornò dalle sue montagne, Coppa Giovanni volle pure ritornare alle propria montagne, credendosi d'avere la stessa furtuna dell'anno prima, ma ciò non fù perche i Sanfelesi aveano pensate prima, ed avevano posto alle più grande masserie, forti drappelli di forza per sorvigliare il prossimo ricolto, ma ciò sarebbe stato nulla, se non avessero posto nelle mantagne, una grossa pattuglia, la quale come seppero il suo arrivo gli dettero le prime lezzione, pel ben venuto, Cercava lui farsi largo, ma piu si serrava da se stesso, quindi i compagni, principiare a pregarlo affinché cedesse di molestare la forza, e nascondersi appiattandosi or qua or la come fanno le altre bante, ma ciò non voleva saperne sicché una partita disertò, un'altra si ricusò un giorno di molestare una Compagnia che transitava per fatti suoi, ma lui ostinate, disse, e bene che vuole seguirmi venga meco, chi no resta pure qua ma io voglio andare a farmi uccidere poiche sono stufo di vivere da codardo, ciò detto saltò in sella, ma i Compagni saltarono pure e con rabbia si buttarono sulla Compagnia, onde sfuggire dalla detta codardia, Lesito fu bello ma la sua campana era sonata, imperocché era caduto uno e ferito altri due, restavamo il fratello del morto, il quale piangeva il suo fratello, ma fatto anima dai compagni, si poso a raccogliere legna per bruggiare il corpo del morto fratello, fatto ridurre tutto in cenere, se ne andarono in una montagna inaccessibile, qui piangeva sempre, ma confortato dai compagni, risposo cosa mi giovo il vivere a me senza di mio fratello, ucidetemi voi e fate sapere a mia madre che siamo caduto entrambo, hum rispose Coppa hai tutta questa paura, volete essere ucciso da qualcuno di noi, vi sono tanta belle cognetture, mangiate ora, che dopo andremo unito a trovare qualche buono fattore, avete qualcosa da dire circa la morte di vostro fratello, forse èstato abbandonate nel coniflitto, una palla scostumata, ecco la bella fortuna del bandito. - Si ma non deva Lui andare in cerca, la natura stessa dice fuggi l'occasione, quando poi vieno da se pazienza, se tu non forzava, mio fratello sarebbe qui ed io non piangerei, ma siccome tu hai principiato dal delegato, uccidesti il capitano contro la volontà di tutti, fu la nostra rovina, dove sono quelli nostri compagni, essi sarebbero qui se tu non ti fosse vestito di capricci, poi ci accusa di codardia se noi ricusiamo ai tuo capricci - E bene se aveto capite che io sono causa della vostra rovina, datemi il mal servito ed io vi lascio in pace, siete contendenti tutti parlate - Via da noi la sconcordia, il fatto è andate cosi pazienza baderemo meglio per l'avvenire. - Dunque resterò con voi o parte pei fatti miei, che dite voi pezza tosta. - lo e gli assesta una fucilata, e poi un'altra, Coppa Giovanni avuto i due colpi cadde, ma poi alzatosi ratto e con una fucilata fa saltare il cranio allo aversario, che stava infilante le spoletto al suo fucile fasciò, i 28 compagni piansero l'uno è l'altro compagno dopo avere soccorso il Coppa colla speranza di poterlo salvare, e niente disse lui e niente datemi un poco di acqua, ed è niente bevette quindi pregò di accompagnalo da me, cui fecero con tanta essatteza. Il giorno dopo, cioè sul fare del giorno La compagnia mi consegnò il ferito il quale dava poche fiocche parole, mi riconobbe, gli feci sentire raccondare il fatto come era successi, è udite la fina dissi colla testa si, domandate se voleva vendetta da qualche suo Compagno, raddopiò il no, no, colla testa, finalmente alla stessora dopo 24 ora che aveva ricevuto i due colpi. Spirò, quando vido che il polso non dava più battito, subito gli strappai tuttì panni lo chiuso bene gli occhi lavai bene bene il cadavero, taffettai bene le ferite, asciucato bene gli posi una cammicia di lino motente e calzette una scolla di seta ìncanna, gli pettinai bene i capelli, e lo poso sopra una coverta unaltra sopra lo Lasciai dormire... La notta scelso il luogo, desegnai la fossa e sei dei suoi più fidi cavarono alla profondita di 8 palmi un fosso in cui dovevo tumulare il campariello di mio padre il figlio della mala femmina, alla quale col mio debbole e rozzo scritto chiamo a vedere suo figlio. Ella è presenta io scopro il freddo cadavero, e dico Guarda infama, uno Giovine di 24 anni e pochi mesi di statura cinque, tre, e due, secondo la misura degli Artiglieri Napolitani. Bianco come l'alabastro la sua bocca mista alla risa, i suoi capelli ricci coloro velluto nero, la sua faccia rassomiglia all'Arcangelo Raffaele. Non vi commovate madra infama, nel vedere tuo figlio scannato, colpe la tua sozzosa libidine, e la tua compiacenza. Se poi aggiungete l'avarizia, e la negligenza siete infamissima. Eppure tuo figlio è furtunato, mentre tuttì figli delle pare tue hanno la stessa sorta, chi sa quanti milioni ne muiano di fame negli asili infantile, chi sa quanti ne vengono butta semi vivi, nei cammini collarinarii, e perche? per la vostra brutale sozzura, che differenza passa tra te, e la madre del mio furiero, cui per defendere la sua madre da una parola detta per scherza domanta suddìsfazione, non avete voi Gelosia della bella e virtuosa madrona Milanesa, la quale gode i gesti di suo figlio virtuoso come sua madre, e suo padre... Appena fatto giorno prendemmo nuovamente a contemplare il cadavero egli dormiva perfettamente, lo prendemmo bello bello, e lo ponemmo all'impiedi si reggeve perfettamente. Cammina Giovannino, Cammina meco all'ultima tua baronia, la tua furtuna è bella ed assicurata, non temere più, tutto hai pagato, vi resta solo il debito calla madre antica, viene da essa. La quale pietosamente v'aspetta. E prendendolo senza farlo smuovere lo portammo alla preparata fossa. quivi giunte lo ravvolgemmo in due coverte e il calammo giù poi fatti a pezzi tutte le sue arme, compresi gli speroni, ed il morso della briglia del suo cavallo, lo coprimmo di terra facendo scomparire ogni menoma traccia, finite il tutto dissi. Eccomi. miei cari compagni, dove va la superba dell'uomo, voi credete che sia solo per questo. Ma nò, ella è per tutto, ed il mio compare è furtunatissimo, non tutti avremo questa sorte, il giorno verrà pure per me, ma come? Iddio lo sà... lo miei Cari compagni conobbi quest'uomo quando ere piccino non andai incerca di lui ma, lui venne incerca di me, chi mai poteva credere, che io doveva sotterralo cadavero, chi mai pensava che doveva vedere distrutto, quella famiglia, che l'ebbe si caro. Ma le vicende del Genere umano sono cosi pernigiose, che solo Iddio le puole intendere. La morte del Coppa Giovanni alias esposte. Non tardò molto a sapersi nei paesi. potete comprendere qual condente dà per tutto, fuorche in Sanfele dove la viltà e sconosciuta... Non potete mai credere nè sapere quanto il fragello ebbe quel paeso dal Coppa, quanti ne ammazzo, quanti nè rovinò, io nollo sò la sa il governo, lo sa l'archìvio dove tutto è scritto. Considerate qual festa avranno fatto. Siete in gran sbaglio. essi Generalmente poveri, ricchi, nemici ed amici ebbero tutto dispiacere. Ma è perche mi risponderà qualcuno - lo nollo so, ne posso dirvi nulla riguardo a ciò. Sarà forse che i soli vili avranno piacere del male altrui perciò i Sanfelesi non sarebbero state Sanfelesi se avessero avuto piacere della morte del proprio loro nemico, c'è una altra considerazione la sempatia: e siccome il Coppa non faceva male all'uomo che si faceva i fatti suoi, ma bensi a quelli che si mischiavano nei fatti altrui per vile lucro, di cotesta brutta genia quando vengono trucidati nessuno ha dispiacere, per esempio,i se fate il tradimento a Coppa vi sono Vente Mila lire, e poi e poi. Il traditore accetto e si pone all'opra, gli riesce si fa ricco, ma non cessa mai essere traditore. E se qualcuno gli assetta una buona pugnalata, o una buona fucilata, e lo stento giù. tutti dicono bene gli sta, ha pagato il fio della sua scelleragina, Riguardo a me non saprei giudicare questa partita ne metto la responsabilita ad altri. ma vi dico solo che l'uomo intricante nessuno lo guarda di buonocchio e sono del parere che non tutti gli uomini sono degni di vivere. pei primi i briganti poiche, non si dovevano impicciate nei fatti dei Governi, vogliamo questo perché ci comanda con tre effa e non quello che ci comanda con le tre. p. p. p. Laonde miserabile figli della miseria siamo nati per la zappa, per le pecore, per servire, per ubidire, e per pagare, facciamo cosi ubbidiamo che ci troveremo, se non bene, ma con pochi male. Che se poi vi fate adescare in qualche compricola, capiterete peggio di noi e sarete macellati come noi e peggio ancora, la megliore cosa che posso avertirvi si è di fuggire dal male fare, pensandoci prima, non vi pentite dopo; Imperocchè a nulla giova il pentimento dopo avere comesse un delitto sia piccolo, cesate d'essere uomo, la macchia del male simile alla rugina vicino al ferro, roda senza che nessuno vi dica o la. Credetemi singeramente che a me nessuna cosa mi spaventa fuorche la vergogna, dessa mi fragella notte e dì, talvolta mi conduce a certa disperazione che non veggo piu me stesso, e se trova qualche conforte, mi trafige di piu, chi mi giova mi uccida; è perchè? perche conosco che non sono più uomo. lo da fanciullo fui sempre infelice, ma era ricco di pazienza, questa fuggi da me, non pel mio conto, ma bensi per sovvenire al pericolo del terzo, ciò non aveva bisogno perche da se bastava, ma tutto sta nel primo passo, ed è il primo che si deve evitare, ma non ebbi flemma, errai per essere sempre infelice morire infelice ed obbrobiato dopo morto... Esempio Luminoso ai Giovinotti. Era una bella giornata di ottobre quando mi recai ad una masseria per governare cavalli e cavalieri. quivi trovai una torma di Giovinotti che stavano lavorando nei campi, fra essi un bel Giovine riconobbe un Brigante suo paesano il quale vedendolo l'abbracciò cordialmente, quindi postosi a discorrere saporitamente, manciarono uniti, e tutta giornata bivivaccò unito. il brigante gli posi avante tante milanderia, e conchiuso l'utile che avrebbe avuto ponendosi nella banta. Il Ragazzo tendinnò da prima ma poi finì di adderire dicente si, il furbo suditore, subito lo condusso da me, dicendomi. Ecco qua signore un altro nostro soldato... Avendolo guardato gli domandai per quale motivo volete darvi bandite, è secco secco mi rispose forse avviziato dal suditore, sono stufo di campare voglio farmi uccidere per Francesco uno a due... Avete padre... no... Madre... si... sorelle una... fratelli - zero... Dunque non potete venire con me, perche faresti morire tua madre di colera e tua sorella corre il pericolo di andare nel bordello, perciò io sarei maledetto dalla tua madre e dalla tua sorella, perciò andate. Ma il diavolo era trasuto nelle corna, il si l'avava detto il mancare era delitto ed insisteva per avere l'arma la quale offriva il suo paesano aventola sopro piu, tornò di nuovo gli disse assalutemente no. ebbene me nè antrò da un'altra Banta da qua il fucile disso al suo paesano, cui detto subito. Vi era colà un'altro bel giovinotto suo paesano l'istesso, non potete immagginare mai dove giunsero le preghieri di quello per distorglierlo da quel passo, ma nulla giovò egli fu irrimovibile e si detto al male fare. Non dorò. che pochi mesi ed eccomi un giorno gli arrivò una palla scostumata e lo fece cadavero, e per mala sorte nello pottero prendere i compagni e lo portarono alla città quivi fu chiamate sua madre, onde conoscerlo, la quale vedendolo cosi malconge non ebbe fiato per profferire parole, indi a poco mori, la sorella rimaste orfina si dette pure al male fare, eccomi la distruzione di quella famiglia. Venuta per male consiglio, e per male giudizio di quello sciagurate giovinotto, perdette la vita Lui e la sua povera madre. quala differenza fra lui ed il compagno suo che tanto lo supplicava onde non dare quello brutto passo, egli atteso alla fatiga pei fatti suoi, prese moglie e con essa viveva contendo, L'anno appresso lo trovai che lavorava il suo campocello ed ebbi piacere di vedere sua una bella tocca di Giovinetta cui accuteva presso di lui le facente di campagna. ed avendomi raccondato tutto la storia della madre e della sorella del morto, mi disse - Non volle udire a ma che tanto amava, si è perduto lui, la madre e la sorellina, volle udire quello che da piccolo non fece mai cosa buona. Voleva pure a me tirarmi nella trapola ma non vi riusci, ed io ringrazio a Dio che m' liberò dalle sue furbe insidie, ora mi trova bene cosi spera per l'avvenire. ho sempre in memoria le vostre parole quando gli dicesti che la sua madre morrebbe di dolore e sua sorella cadrebbe nel peccate, cosi è stato proprio. - Vedete a quanto bisogna badare prima di commettere un passo cattivo, prima per se, poi per la famiglia. Quale vergogna fu per mio padre quando fu chiamato padre di un Ladrone, quale vergogna per le mie germane quando sono chiamate Serelle di Ladro Bandito. Lonta passa, passa sopro i miei Nepoti quando sono detti, via Nepoti di Galeotti, più in la va nella Galera dove è tuo zio, ancora di più, va nella Galera dove è morto tuo zio... Guardate che maledetta rugina si attacca ad una famiglia, e va fino agli ultimi parenti e si occorre a gli amici. Tutte queste reflessione sapete quando si fanno nella vecchiaia e nella miseria. A me però mi erano stato posto nella memoria degli vecchi antichi, lo sapeva per via delle savaie letture, ma nel furore dalla rabbia tutto scordai, è caddi nel delitto e muorirò con Lui e schifoso più di Lui, per ogni secolo dei secoli, amenno... Della Città d Avigliano Era Giuseppe Nicola Summo detto Ningo Nanghe. Poche parole sopro questo terribile uomo, Sua miseranda morte avvenuta il di 14 Marzo 1864. Egli mori circa 5 miglia discosto dalla sua nativa Città, tradito... Non posso assalutamente discrivere le belle qualità di quest'uomo, poiche manga la capacità del sapere, nè posso discrivere le sue brutalità, perche non ho tempo e non vego più con gli occhiali scaduto dall'età. Vi dirò poche parole cui basteranno a farvi conoscere che l'ente suprema ha gli strumenti della sua colera, gli uomini e se ne servo a megliori tempi per fragellare altri uomini, e finché non fa tutto lo giro la ruota dorme sempre , quindi mette per ultimo nel fuoco la ruota, ed è suddisfatto nella sua collera... Non conosco in che anno egli nacque, ma era più giovine di me, in età di circa 15 anni resto senza padre, e senza madre, in uno solo giorno, egli era il primo Genito d'altri 4 figlio, tre femine ed uno maschio, povero senza veruno bene di sorte alcune, abbracciò la crocia da padre di famiglia, e crebbe in remediabile stato, le sue Germane, ed il piccolo fratello a cui non fece mancare mai la Carchiòla nè gli feci esporre alla carità del prossimo (come capitai io). Suo padre prima di morire aveva costruito da se una Capanna di legnami sassi e paglia, dessa era nel basso della montagna del Carmine, dove la neva cresce i 5 a sei metri, e dura qualche paio di mesi dell'anno. Gennaio febraio. Qui dunque poggiato ad un macigno di granito il povero uomo si era accovacchiato colla sua famiglia, qui mori colla moglie, coltivava quanta terra poteva essendo robba cumunale, ed essendo di poco preggio, pagava poca pigione, morto che fu Giuseppe Nicola continuo nel retaggio paterno fatigava notto e giorno nella buona stagiona, raccoglieva la ricolta si faceva la provista di tutto fine le legna, e quando cadeva il crudo inverno di lui si burlava, in tal modo si fece uomo lui ed i suoi, arrivate da marito la sorella nata presso di lui gli rimedio pochi cenci, e la maritò, dopo maritò l'altra colla medesima dota di 5 tomoli di grano turco, quindi prese moglie lui senza ne anche lagonella, essendo una povaretta del tutto infelice. - Non puoi credere quando era condente mi disse un giorno. Fu una pessima invernata l'ultimo anno della sua filicita. Ed avvenno che dopo tre mesi di terribile assedio della neva, terminate aveva il sale non solo lui ma tutto gli altri prossimi Villicci, montanari, perciò appena potettero sprigionarsi si dettero la vocia, ed unitisi si rotolarono giù ver la città onde providersi del sale tanto nessario. Giuseppe non aveva nessuno soldo, pose nella Vertola due presciutti cui vendè subito, col ricavate comprò il sale L'olio, ed altra piccola spesa gli era rimasta una Publica colla quale preso una mezza di vino maggiato un pezzo di carchiola senza sale bevette, usci dalla cantina ed andava per unirsi coi compagni onde uniti fare ritorno alle loro capanne, ma via facente si inbattè in una torna di sfacendati ubbriaconi cui colla pazzia cercavano lo spassatempo. - Ecco, ecco lo scialpo disse uno di loro - Chi è cotesto scialpo rispose il secondo - Diavolo non conosce lo scialpo Ningo. Nanghe risposo il terzo - Si si si egli fa crepare della risa disse il quarto - Be scialpo vieni con noi Vogliamo ridere oggi e questa notta dovete cantare con noi - Do do do volete po po portarmi las Signo - Bi ba ha ha ha non vi ho detto io che fa crepare della risa come apre la bobbo - Bene andiamo vieno con noi alla cantina vino quanto ne volete, è canto quanto ne vogliamo ecco la Caparra, dandogli un sicari. Voi mo avete capite che ummo è scialpa, tartaglione, come meglio vi agrata chiamatelo, e che come apre la bocco fa crepare della risa, osia ridere, bene non parlerò osia scriverò da scialpa le sue parole quindi risponto, grazio buono cittadino io non fumo come non beve vino assai, verrei con voi se non avesso che fare, ma dovente tornare alla rnia capanna perche da venti giorni fa, che manciano sempre sale, ed appena ci reggiamo all'impiedi. - Ecco il sicari per caparra e cammina con me disse il donatore. - Viringrazio ottimo amico ma con te non posso venire ne vi vengo - E perche? il perche vell' disso lasciatemi peì miei affari. - è tieno disse il petolando, dandogli un sonoro schiaffo - paf una ben diretta cortellato alla cafonegna, dicendo ne volete più impeccilo, disse il cafone Ningo Nanghe. - to to scherzavamo... Ci... fa fi si... Ed una tempesta di percosse e coltellate cadeva sopro il mal capitate ma la sua Leonina forza fece si che non caddo vittima, ma ebbe pure le sue fra lè meglie un colpe di scura nella Gamba. Terminata la sanquinosa rattatughia, si trovarono tutto nel carcero. Dopo tanti mesi, veniva condannato sei anni di Relegazione il Summo, cui fù portato nell'isola di Ponza onde scontare la pena. da cosi piccola pene riportata dalla corta criminale risulta la sua ragione, a caso diverso gli avrebbero dato 25 anni per il solo uomocidi senza i lievi ferimenti... Arrivate a Ponza, trovò colà subito un padrone pel suo mestiero da contadino, si pose a lavorare, ed ebbe il nome di spacca montagna da qu i Isolani, il delegato, il lascio libero sotto la totela del padrone. quindi stava benissimo, ed aveva decise di mai più tornare in quei nevosi monti, dove semminate nel me d'agoste e miete a settembre. Tre anno dopo la sua co danna venno L'anno 1860. La Grazia fatta dal Re il sei settembre metteva in libertà tutti i delegati, perciò avendo avuto il rilasciò dovettero partire ciascuno alla sua patria, non gli fu concesso rimanere nell'isola, rilascio e passaporto erano pel suo paeso dové andare qui dunque, come va, va, la facenda. Liberato da Ponza, sbarcava nel porto di Napoli si ricò alla prefettura per il visto a partire cui ebbe, dopo mondò sulla ferrovia ed alla volta di Salerno parti, qui trovò i Battaglioni Lucani, che bello bello si accostavano alla Capitalo onde liberare la parteppa dall'oppressore straniere. In uno dei detti Battaglioni trovo suo Fratello Francesco il quale militava sotto il Sacerdote D. Nicolino Manguso d'Avigliano, veduto avente il fratello si rivolse fargli compagnia quindi presentava dal Manguso chiedente essere ammesso nel suo Battaglione, onde sequire la sorte del fratello defendente la patria. Ma trovate avente pretesi il Manguso, non fu ammesso nel Battaglione, perciò dividentosi piangente col fratello, il quale gli era più padre che fratello, avendolo cresciuto lui da piccino... Giuseppe Summo arriva in Avigliano, si giustifica colla legge, la quale Lo spedisce nell'esilio per evitare la rabbia della famiglia del morto, cui era impicciosa non poco. Ebbe le carte per la Citta di Gravino, in terra di Bari. quivi formare il suo domicilio. A gradì con gioia la data traslocazione, baccio la mano al sindaco e si dispose a partire mediatamente. e per maggior sicurezza il sindaco lo fece accompagnare da 8 Guardia Nazionali, cui condussero libero fine fuore il tenemente, poi lasciato, continua il suo cammino e giunge in Gravino, si presenta dal sindaco, costui lo ricevo paternamente gli trova un buono padrone cui rimanda nei suo vasti fondi dove si metto a lavorare, da contadino, ed è felice del suo stato. Da qui olla accettare. un ciottolino di attone gli fu posto sul petto ed il Summo ruppe fl salvacondatto, campiò strada, e venno da me portando suo fratello ed altri 12 in tutti 14 fra essi, suo fratello ed altri tre che da poco erano tornati congedati da Garibaldini, con il premio di scudi trenduno ciascheduno, ed il fucile che portato aveano dalla rivuluzione. La bandocella bene armata venno da me, che accolse cortesemente, li fecì riconoscere daì miei, gli poso a parte del regolamente, quindi disso loro guardato come faccio io cosi farete voi. e vedrete che fra poco ne saprete piu di me Gìudizio e sarete felice per tutta la vostra vita. Ma si riesce, altrimente colla vita sì paga il debito della nostra audacia, Laonde coraggio e fede nella difficila impresa di cui ci siamo esposte. fac et Speramus... Non voglio perdere tempo, col dire qualche cosa sulla delicatezza del Governo che cercava sulla persona di un povero cavaterra, poiche conosco che il Governo non pensava nè a lui nè ad altri, ma faoriva le vendette private, causa primiera del Brigandaggio. Dirò che i Summo non volevano prendere la Libertà, uno va alla Guerra con Garìbaldi, l'altro vieno posto in libertà da quello Re che a furia di popolo vieno detronizato, il vincetore ammazza uno e l'altro per suddisfare la vendetta del terzo... Dirò di questi due figli della miseria tutto quello che alla mia conoscenza, a datare 9 Febbraio 1861, epoca in cui vennero da me i due fratelli Summo già inneziati alla contra rivuluzione, la quale fa cenno la Storia d'Italia. Voi avete saputo il sito dove nacquero questi due fratelli, da chi avevano essi apprese l'arta di comandare uomini, farsi amare, ubbidire, e temere, dove attinsero quìste tre subblìmi virtù, tanto difficile, a godersi, quanto ifficile a possedersi, eppure uno rozzo contadino, senza conoscere neanche la z. Tartaglione, rozzo, e selvaggio, ero temuto ubbidite ed amate da una banda furmidabile, Cui riponeva la feducia in lui per la loro salvezza e non restavano mai delusi. Circa due mesì fu sempre con me, apprese cosi bene l'arta del deludere dell'incannare, e del sorprendere, che non ebbe simile, veloce come il lampo nella defesa, sapeva cosi bene scegliere le posizione defensive ed offensive che una volta prese, non ce la levava senza grave contusione, con tal tattica e sempre riuscite a soprafare forze due volte superiore alla sua, ed io stima che non vi puole essere megluiore sensìbìlità per uno uomo dedide alla Guerra, fuorché la scelta del terreno da manovrare. Giuseppe, e Francesco Summo, sono stato bandite tre anni e trentacinque giorni, cioè dal 9 Feb braìo 1861 al 14 Marzo 1864, giorno in cui furono uccisi uno dopo l'altro. In tutto questo tempo ebbero una seria di fatti di non pochi rilievi, che io non riporto perche sono ammalato con gli occhi, e non ho tempo, ma se qualche persona volesso intrapprendere dalla processura di quest'uomo fra le brutalità, scorgerà fatti piacevoli di Generosita, per esempio dopo avere trucidato 21 Cavallegieri, perdonava un Luogotenente, ed un sergente e sei soldati, solo perche si erano bene defesi. Altra volta avendo macellato una intiera compagnia di Guardia mobilizata, Lasciava poi la vita al fratello di cului che l'aveva fatto dare quel passo di perdizione, Dicendogli va dalla tua povera Madre, non voglio che piange più quella donna, per causa di voi miserabile ozziosi vagabondi, e lo lasciava vivere, da stupire tutto la città cui conoscevano le brutalita di quel forsennato da Lupinare, e spia mercenaria... Aggiungete che mai tolse la vita ad un sodato preso preggionìero, ed avrete L'uomo terribile solo per la propria defesa, per la quale cosa godeva nei tanti rami di forza pubblica, una stima particolare, causa che tante volte era scansate e se volete qualche volta venia avìsate dalla forza medesima... Eccomi dove sta quel talismanno. che uomini si fanno amare dai più accoriti nemici. gli uomini brutali stante al potere, vogliono essere amato coll'opprìmere il simile suo, cioè l'uomo a se sobordonato, cui l'odia vieno dall'istinte di natura, cotesti mostri sono amate dai soli addolatore. Sul principiare dell'anno 1864 fá una pessima invernate, tutte le grosse commettìve, uno dopo la altre eravamo stato distrutto. restava illesa solo quella di Giuseppe Nicola Summo e fratello. Ningo Nanghe, dessi da una provincia passava nell'altra, finalmente dopo avere percorso di Lungo e di Largo le province di Avellina, Foggia, Bari, Lecce, Venno a morire nella Basilicata, sua provincia, in una parte dove tutti gli abbitanti armati pure le donne bastava un solo bandito a metterli sottosopre. tanto e pacifico quel popolo che temano l'ombra loro stesso. ma i Summi non ci sapevano un palmo di terreno di quel cumune, ed essendosi unito con due fugiasco di quel paeso, costori gli assicurarono che nulla doveva temere, perche nel loro paeso v'era un capitano assai buono, che nulla celava dei banditi, lo portarono alla bella masseria del capitano della Guardia Nazionale, e gli dissero. qui non avete timore, perche il capitano della truppa sta in casa sua se cosa vi sia manderà subbìto l'avviso e noi ce la daremo alla gamba prima che Lui venga qua. La masseria del Signore Capitane della Guardia Nazionale era bella e granda non mancava nulla, sia per le persone sia pei cavalli, erano entrato di notta nessuno sapeva il loro arrivo colà, la notta passo tranquilla, ma fatto giorno, contemplò il site dove si trovava, e vide che per sortire di là v'erano due solo sbocco i quali chiuso da pochi soldati non potevano sortire più con i cavalli, ed a piedi non re' stava che buttarsi nel fiummo quivi annegarsi, poiche racchiuso in uno anse del ripido fiumo. Il paeso distava circa due miglia, il presidio era una bella compagnia, bene amaestro alla caccia dei briganti, dunque la posizione era critìchìssima. conoscendo in qua] pericolo si trovava ingomincio a sospirare, ma il capitano della truppa è buono non v'è paura (Ciò dissero il vero che il capitano era buonissimo) Lo so che non ci è paura rispose Summo, ma ci potrebbe venire la paura, e con essa la bella morte. Il capitano buono è colui che io tema' che se fosso cattivo non avrei paura, daltronde che fare, la giornata era pessima il fiumo straripava, i torronti muggivano la terra eretosa il pericolo, non e piccolo, vediamo come va per finìre, ristrinse tutte le persone non fece sortire nessuno si pose ad una finestra puntò il binocolo alle porte del paeso vide tutto tranquillo, vedeva camminare per le strade i soldati nulla novita. più tardo arrivò il muluttiero, domandato costui che cosa si fa Nel paeso, rispose il mio padrone ho lasciato dormente, gli ufficiale della compagnia giocano colle signorine, i soldati giocano nelle cantine, il paeso e placito, che avete paura che vengono qui mai, è perche? Che volete che il mio padrone mandasse la forza, qua per poi essere bruggiate la masseria... Anche il molattiero disse la verità, poìche in tutto la santa giornata la compagnia non andò per disturbare la commettiva... Come fanno a sapere mo nel paeso che alla masseria v'è la banda, mentre nessuno è uscito, ne il mulattiero e tornato e doveva ritornare a casa subito. qui sta la convinzione, il mulattiero non ritornando, assicurava che alla masseria v'erano i briganti, se erano pochi andava alla fontana con uno solo mulo, e se molti andava con tre colla pretesa di beverare chi poteva pensare a questa bagatella, la fontana era discoste una ventina di metri dal portone della masseria, non fu impedite di andare e venire coi muli alla fontana, dal balcone del palazzo stavano puntate i canochiali, padrone ed ufficiali seppero che alla masseria ci era la commettiva e molti. Ma sono intefferenti, fa notta la giornata era passata molta agitata, ma il buono capitane era stato indulgente tutto il giorno, cosi però non fu la sera, poiche di buonora fece segretemente avvertire la compagnia, postale sott'all'arme fece citare la Guardia Nazionale, tuttì i signori, ed unìto due centi armati; è ad ora avansate si mosso ed andò a fare un'imboscata, che gli riusci ameraviglia. Il Summo appena fece scuro salta in sella ringrazia la foresaglia fa piccoli regali, ordina di ringraziare il padrone della masseria, gli cerca scusa dell'incomodo recategli e certamente parte, passa una gola pericolosa e si crede salvo, si uniscono tutti essendo passato due per volta, fatto alto in una pianura netta. - Siamo tutti - si - il mulattíero è qui si. - dategli cinqui scudi, vieno con noi fino alla strada rotabile, quindi sìa licenziate, avante. non v'è piu temore avante, tre dietro tu Francesco resta qui alla testa della compagnia, io vado avante cento passo con altri due per esplorare, il santo ed accorte finche avremo raggiunte il sentiero di... Da li a due centí metri c'erano duecenti uomini appiattati dìetro un muro di pietre a secchi ombregiate da folte ulive Giuseppe coi due passò libero da vante alle bocche di sessanta fucile a doppia canne, e stava fuore dall'imboscata, quando Francesco fu colla compagnia nel mezzo. I dormienti posato i fucili sul muro ed a bruggiapeli dettero la prima scarica, frattante i soldati saltanto il muro chiusero avante ed a dietro a calata baionetta, sicche i banditi non ebbero scampo, e mano mano che givano rozzolando vinivano uccisi dall'imboscata di fiango, cavalli e cavalieri restavano una mucchia di cadaveri compreso il mulattiero del capitano della Guardia Nazionala di Tricaroco, cosi chiamasi il paeso dove peri la piu ferocia banda capitanata da due fratelli Summa. Francesco chi era il primo uomo alla testa, ebbe una in tiera fucilata a cignale, cioè una palla e nove ciciotti, il cavallo ebbe la medesima botta. Ma il Generoso animale sento lo sprone, atterra una mano di soldati che si erano possessato della briglia e fugge, Giuseppe torno verso il fratello l'incontra fra una tempesta di fucilate, lo soccorre, lo regge in sella, e si dilegua dal periglio, non molte discoste il cavallo del fratello cade, ma lo fa montare sopro il suo, pone un giovanotto alla groppa per mantenerlo, lui cavalche il cavallo del giovinotto, è tutti e quattro vanno in luoghi salvi. Della commetiva se ne salvaro pochi, dalla straggia notturna, i quali furono preso il dì vegnente, essendo tutto non pratico del luogo, ed alle forte pattuglie non sfuggirono, solo uno si fece uccidere da Leone, gli altri si arresero tutti... Gìuseppe Nicola Summo cognomminato Ningo Nanghe, era salvo, il capitano buono aveva fatto la sua fortuna col massacrare la sua banda, c'è un'altro che deva essere fatto cavaliero mediante la sua morte, vi sono altre persone che sì debbano devidere il suo fuorbante, di 20 Mila Lire. Iddio ha segnato l'ora, la sua parola è irrivocabile, fin qui e non più ultre... Cosi fu. il giorno 12 Marzo Moriva Francesco suo fratello, dalla ferita riportata in quella fatale inboscata. Lo sotterrò ìn orride luogo, quindi affrante dal dolore si pose in cerca d'altri compagni, spedì a me un corriero, per sapere dove mi trovava, fece ricerca di un bandito e lo trovò, era costui un certo Nicola Carciuso suo paesano di paeso, il quale nell'anno 1861 aveva ricivuto una palla nella gamba ed era restato poco zoppo, l'aveva fatto guarire il Summo, poi assendato dalla banda, se nè stava soletto nei boschi, senza che nessuno lo cercava, dovunque andava, a nome di Summo aveva ciocche gli bisognava per vìvere e vestire. Da tanto in tanto Summo andava da lui per avere notizie e lettere, di cui era incaricato, tutte le volte gli dava la sua tangento in danaro ed altro. Giuseppe da quella lettera chì ebbe dal suo protettore, la quale lettera con sfacciata mensogna chiamava Galeotto il Delegato, e per le sua calunnie venne la morte degli otto ufficiali, ed avendo avuto da me quella lezione, m'aveva udìte, e si era da luì allondanato, il perfido temendo qualche vigliaccheria, cerco una trama con Nicola Carciuso, promettendogli lìbertà e premio se lui facesso il tradimente a Summo L'infamo Carciuso, disse che era impossibile ad effetuarsi, poiche la commettiva stava in formidabile viggilanza per la sicurezza dei due fratelli Summo, percio era inutile a pensarci. Ma se si fosso dato qualche caso allora glie nè avrebbe fatto aviso. Il caso venne egli ne approfittò, dapprimo attirò il Summo in una capanna dove teneva un nascondiglio, molto bene costroito, il Luogo era dissabitato, poco nascosto dal bosco, qui lo porto per passare una notta essendoci molta neva, diffatto Summo approvò di restarvi finche aggiornasso. Il Carciuso essendosi assicurato, con altro pretese fece sapere ad un'altro suo amico, costui volò alla citta e portò la notizia dell'ordito tradimente. Il Signore, appena ebbe sentore fece chiamare il maresciallo dei Reali Carabinieri, chiamò altrì quattordici suoi conoscendi, èin 21 persone tutti armati di fucile a doppio canne, segretemente partì. non senza difficoltà sormandò le montagne cui erano coverte di neva, fù faorito da una notta stellate e rigida colla Luna brillante e colgelo durissimo, quindi dopo circa otto meglia di forzata marcia due ora prima di fare giorno giunse alla desolata capanna dove stava il Summo, con una febra ardentissima, il portatore aveva condotto la forza per sentieri non sospetto a mode che piombarono in un lambo alla porta della capanna, cui senza perdere tempo posero il fuoco. La fazziona chi era uno dei due compagni di Summo sparò sopro i nemici e fuggi, Summo, Carciuso, ed il compagno restarano chiuso nelle fiamme, restava fra loro la scelta del morire. Il Carciuso sicuro del fatto suo propose di arrendersi perche... diceva v'è il Signore... sentò che ci chiama... udite ciò Summo lo preso pei capelli gli spiccò il capo colla cortella e la butto fuore dicente... Eccoti la testa del traditore infamo... poì disse all'altro compagno, ch'era uno ragazzo víntenno rinitente di leva che da poco si era fatto bandite, gli disse, arrendoti figliuol mio potrai avere la vita, ciò fece, appena fuore il Raggazzo, il Summo si fece saltare il Cranio con due fucilate, puntante la duppìetta nella tempìa, e scottando i due grilletti, la sua figura era orrenda... Eppure lo trassero fuore uno a Carciuso i quali posero sopro i muli e condussero alla Città di Avigliano con sommo trionfo del signore Cavaliere il quale era stato il fragello dì quella Città... Fù tanto faorevelo la furtuna di quello scellerato, che per miracolo arrivò salvo alla Citta. Imperocche io Carmine Donatello Crocco mi trovava un scarso miglia discosto dalla Capanna dove morì Summo? Ecco come, sul fare notta il giorno 13 Marzo, era giunto da me il corriero speditami da Summo, il quale mi raccondò la sua rovina, non perdei un minbuto di tempo, mondai a cavallo con altri miei 50 compagni e camminai tutta notta, ed arrivai al luogo del convegno ad ora undice, quivi mi fermai ed atteso il giorno. Nel mentre aspettava di vedere arrivare il Summo, vide tornare il corriero solo tutto spaventato' il quale mi raccondo con poche parole la catastrofo succeduto, e che la forza non erano che solo 21 ed erano ancora alla masseria di Paolo doce, che portavano i cadaveri alla città. Avete veduto mai qualche sorta di Lupi quando si scaglia entro un brango di Angnelli... Mi direte no. ma Domandate chi ha veduto, e sentirete con terrore... Cosi coi miei mi scagliaio sopro gli uccisori dì Summo. Eravamo alla loro vista, aveva scorto il loro disordine, la loro confusione, il loro no so che fare, ma stando alla vista del castello dell'acupesela, dove presidiava una compagnia di soldati, costori appena ci videro corsero alla mia volta come tanti Leopardi, e tagliandomi la strada dovetto retrocedere. Il signore Capitano Borbonico vecchia nostra conoscenza, non sapeva nulla che quelli portavano Giuseppe Nicola Summo ucciso, ma lo seppe dopo avere tagliato a me la via dell'insiquimente. Lascìò subito dall'insequirmi e corso dietro di coloro che portavano la preda fatta. Forse colla speranza di guadambiare anche lui qualche ossarello sopre le 20 Mila lire del fuorbanda. Intanto per me fu una fortuna, che mi lasciò altrimente chi sa come andava quella giornata, se quel diavolotto mi dava la caccia, poteva battere nelle altre pattuglie da cui poteva portare la testa rotta. Viciverso passai la giornata calma, sebbene arrabbiato per la perdita del compagno Giuseppe Nicola Summo detto Ningo Nanghe lo scialpo, nativa dei monti del Carmine Tenemente della Città di Avigliano. In funere cipressi è Laori Altere... Fine della storia di Summo e fratello.

 
ALLE ORIGINI DEL BRIGANTAGGIO LEGITTIMISTA: Sull’esempio della Francia rivoluzionaria e napoleonica (1789-1815) ogni nazione assurta a Stato ha elaborato una sua retorica. C’è stata la retorica dell’Inghilterra imperiale, quella della Grande Germania, quella dell’Impero del Sol Levante, quella dell’Unione Sovietica, paese guida di tutti i comunisti del mondo. Oggi è sui teleschermi di ogni famiglia occidentale la retorica della libertà “a stelle e strisce” che, dagli Stati Uniti d’America, s’irradia dovunque trovi ascolto. E c’è anche una retorica dell’Italia unita, la quale un tempo si esprimeva nel culto di Casa Savoia e oggi si esprime nella Resistenza al tedesco invasore, nella Guerra Partigiana, nell’antifascismo, nella Costituzione repubblicana, senza, peraltro, dimenticare il tricolore, la fanfara dei bersaglieri, l’Inno di Mameli, le imprese di Garibaldi, in modo che sia salva la continuità dello Stato unitario passato da Regno a Repubblica, e con tali valori nazionali anche alcune falsificazioni storiche, tipo “l’odiato borbone” o “il brigantaggio”, che al tempo dell’unità trovavano qualche pratica giustificazione nell’esigenza di formare un pensiero nazionale italiano, ma oggi non più. Infatti, nella costruzione della retorica patriottica i paesi stranieri, di regola, mitizzano un primato nei confronti di altre nazionalità, mentre in Italia unita la negazione colpisce all’interno della stessa nazione, e precisamente al Sud, i Napoletani (così al tempo degli ex Stati erano indicati tutti i Meridionali) e i Siciliani. Un esempio, forse il più doloroso, di tale mistificazione è proprio il Brigantaggio napoletano. Il dolore e, con esso, la mortificazione vengono dal fatto che, su cento meridionali che leggono questo opuscolo, almeno uno non sa di avere un antenato morto in quella guerra, e non meno di due (sempre su cento) non sanno di discendere da un combattente schierato con i Briganti. Infatti i nomi dei circa 150 mila morti nella resistenza all’esercito piemontese, sono stati cancellati da ogni memoria storica, allo stesso modo degli italiani trucidati nelle foibe jugoslave. Ma la retorica patriottarda è dovunque e sempre incline a rimozioni del genere. Se prendiamo in considerazione l’area in cui il Regno d’Italia, per reprimere la sollevazione popolare, istituì dei tribunali speciali di guerra in tutte le province del Sud, meno Napoli e Reggio, e la consistenza della truppa impegnata in tale operazione, più di 100 mila uomini, nonché la durata dello scontro che si protrasse dal 1861 al 1874, la guerra del Brigantaggio fu un duro e lungo scontro fra italiani, che richiama alla memoria la lunga guerra che si svolse tra i Romani e gli Italici al tempo dei Gracchi, di Gaio Mario e di Cornelio Silla. Di tale antico conflitto la guerra del Brigantaggio ripeté i caratteri e gli scopi. Diversa - anzi contraria – fu invece la conclusione. Infatti gli Italici ebbero ciò per cui combattevano, mentre, duemila e duecento anni dopo, i Napoletani furono in tutto e per tutto perdenti. Per risolvere i problemi a loro creati dall’incorporazione delle Due Sicilie nello Stato italiano, intrapresero la sconosciuta via dell’emigrazione in America (sette milioni di espatri tra il 1883 e il 1914). Si disse allora: “o briganti o emigranti!” La storia della penisola è lunga e spesso incoerente. Seconda soltanto dopo la Grecia, l’Italia è la più antica formazione sociale d’Europa. Fino agli albori del secolo XIX fu il paese più densamente popolato al mondo e Napoli la città più grande. Nessun paese, neppure la Cina, ha una storia altrettanto ricca e altrettanto prodiga di esempi positivi a favore degli altri popoli. Eppure nella storia degli Italiani c’è una ricorrente e negativa interfaccialità, quasi una vendetta degli dei. Infatti, quando al Sud le cose vanno bene, al Nord vanno male, e viceversa. Nella fase ellenica, mentre il Sud era civile, il resto d’Italia viveva ancora in modo primitivo. All’opposto nella fase romana: mentre il Centronord progredisce rapidamente, il Sud declina altrettanto rapidamente. Nell’Alto Medioevo, un’altra inversione: per il Nord sono i secoli bui; al Sud, invece, il sistema mercantile e gli elementi della cultura classica resistono. In appresso, con la conquista normanna, e soprattutto con quella angioina, le facce si rovesciano ancora una volta: il Sud s’imbarbarisce e il Centronord si avvia verso la fase storica del suo massimo splendore, il Rinascimento. Nella sua Storia del Regno di Napoli, Benedetto Croce rileva che nei secoli compresi tra la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.) e la conquista normanna (1059 d.C.), con cui prende avvio il Regno napoletano, la parte meridionale d’Italia, in qualche modo difesa dalla presenza dell’esercito bizantino (Impero Romano d’Oriente), conserva gli elementi della tecnologia, dello scambio mercantile e del diritto privato, elaborati in età greca e romana, e ancora sopravviventi nel bacino orientale del Mediterraneo. Del tutto splendida appare la Sicilia del tempo, dominata dagli Arabi. I geografi contemporanei parlano di Palermo come della perla del mondo, per l’abbondanza di fontane, per le sue bellezze naturali e lo splendore degli edifici, per la sua civiltà raffinata e la sua ricchezza. Questo mondo ancora vivace - e del tutto progredito in Sicilia - viene bloccato dall’arrivo dei Normanni, i quali vi introducono il sistema feudale elaborato dai Franchi, al tempo vigente nella regione francese di Normandia, da dove essi provengono, e in tutta l’Europa, meno il Sud della Spagna, anch’esso in mano ai califfi arabi, e appunto il Sud italiano. La barbarie non aveva risparmiato invece l’Italia da Roma in su. Durante i secoli dell’Alto Medioevo - quelli di Teodorico, di Carlo Magno, di Ermengarda, dei Longobardi - le splendide e funzionali città fondate ed edificate dai Romani, a eccezione di Ravenna, caddero in rovina e rimasero quasi disabitate; la popolazione delle campagne non raggiungeva un decimo della popolazione esistente nella precedente età romana. Le carestie e le malattie epidemiche falcidiavano ricorrentemente le contrade. Gli italiani del Centronord si erano ridotti a non saper leggere e scrivere, a non avere memoria del passato, a non contare più sulla certezza della legge, a non saper battere un chiodo nella forgia, a ignorare l’arte del muratore, a coltivare i campi proprio come lo si faceva millenni prima, al tempo di Assur e di Osiride. Un secolo o due prima dello scontro tra i Comuni Lombardi e l’imperatore tedesco Federico Barbarosa, l’antica civiltà, tenuta in vita dai Bizantini e dagli Arabi prende a riconquistare le popolazioni regredite di Roma e dell’Italia toscopadana. Dei monaci basiliani vengono chiamati a Roma dai papi per insegnare a leggere e a scrivere ai preti latini (abbazie di Grottaferrata e di Monte Cassino). In virtù di tali apporti culturali e tecnologici, la vita urbana e la manifattura rifioriscono nelle città portuali. Un po’ dovunque rinasce il ceto mercantile e il capitale di rischio. Ricominciano a prosperare i piccoli possidenti e il ceto medio, che erano stati il punto di forza della civiltà greca e romana. Appaiono le prime libertà cittadine, c’è come un ritorno alla polis. Ma mentre Venezia, Genova, Milano, Firenze sanno difendere la propria indipendenza, Palermo, Messina, Napoli, Amalfi, Salerno, Bari non lo sanno fare e vengono irreversibilmente sconfitte dai Normanni. A favore di un Centronord libero e, simmetricamente, contro la libertà del Sud agisce forse la più potente delle forze emerse in Europa dopo la caduta di Roma, sicuramente la più duratura, la Chiesa romana. Al fine di conservare la propria indipendenza, essa impone la divisione della Penisola in due aree politiche: a nord di Roma una frantumazione del paese in signorie regionali e municipi, in modo che da quel lato non partano minacce imperiali; a sud il regno unitario creato dai Normanni non dovrà mai più produrre tentativi come quelli di Federico II e di suo figlio Manfredi. La Spagna si fa garante dell’equilibrio politico italiano per sei secoli e passa. Roma e le province adiacenti, lo Stato di San Pietro, sarebbero state (e storicamente saranno) implicitamente difese dalla non convergenza politica e statuale tra italiani del sud e del nord. Già nel XIII secolo Milano Venezia, Genova, Firenze, Roma sono al centro dell’Europa nascente. Contemporaneamente il Napoletano e la Sicilia inaugurano una secolare marcia a ritroso. L’arrivo in Sicilia e a Napoli dei baroni angioini (francesi) e subito dopo di quelli aragonesi (spagnoli) snatura il volto del Sud, il quale era ricco di manifatture, coniava monete eleganti e apprezzate in tutta l’area mediterranea (una specie di dollaro medievale), contava su una borghesia istruita, commercialmente vivace, aperta ai traffici mediterranei. I fondaci amalfitani sono diffusi dalla vecchia Costantinopoli ad Alessandria d’Egitto, dalle sponde del Libano a Cadige e Lisbona. La flotta amalfitana combatte al largo di Ostia una dura battaglia navale contro i saraceni, li sconfigge e salva Roma da un ulteriore saccheggio. Le Tavole Amalfitane sono il codice della navigazione rispettato da tutti i naviganti e sopravviveranno fino al secolo XVIII, cioè ben oltre l’Atto di Navigazione di Cromwell. Ma i baroni che vengono da altre nazioni non hanno alcun interesse a tenere in vita le classi urbane, ciò che oggi chiamiamo borghesia attiva. Impadronitisi di grandi feudi, del cui governo non debbono dar conto ad alcuno, essi puntano ad avere il massimo possibile di produzione agricola da vendere ai mercanti liguri, toscani e veneti. Nel Sud si sviluppa una triplice sudditanza: verso il re straniero che incassa tributi erariali, verso il barone e i prelati che incassano tributi feudali, verso gli usurai fiorentini e genovesi che prestano danaro a un tasso d’interesse che va dal 35 al 48 per cento. ********* Quando, nel 1860, il Sud venne incorporato nel Regno di Sardegna, il paese era un po’ avanti agli altri ex Stati (compreso il Regno sabaudo) nel campo bancario, commerciale – specialmente nel commercio marittimo, in quanto disponeva di una flotta mercantile seconda solo a quella inglese e a quella statunitense – e nel campo industriale (le Reali Officine di Pietrarsa fornivano locomotive, carrozze ferroviarie, motori marini, e i cantieri di Castellammare navi agli altri ex Stati). Era però alquanto indietro nel settore agricolo, che era al tempo il settore portante di ogni nazione, tranne la Gran Bretagna, dove l’industria già prevaleva sull’agricoltura. Gli storici sono spesso riottosi a ricordare il piccolo primato commerciale e industriale dell’ex Stato borbonico che costituiva il nocciolo della politica borbonica, volto ad offrire un diverso e più moderno tipo di occupazione alle masse diseredate. Insistono invece sul tema dei residui feudali esistenti nelle campagne meridionali al tempo dell’unificazione. E lo fanno anche in modo così generico da apparire tendenzioso. Per tal motivo, l’argomento merita d’essere chiarito. I residui feudali a cui gli storici si riferiscono sono le decime e le corveé a cui il contadino era tenuto, e che certamente ne mortificavano l’esistenza materiale e morale. Per esempio, la prestazione di un certo numero di giornate lavorative, i frequenti donativi di danaro, di polli, di uova, di frutta, di formaggi; l’obbligo di pagare un pedaggio quando si attraversava un ponte o una via, quello di macinare il grano nel mulino del signore e le olive nel suo frantoio; anche il divieto di cacciare nel bosco baronale o di pescare nel suo stagno. A causa di tali angherie la famiglia contadina si toglieva il pane di bocca e viveva una vita miserabile, con la fame compagna quotidiana dell'esistenza. Esse furono un nocciolo duro del feudalesimo, che sopravvisse alla sua abolizione, ma sicuramente non furono la causa scatenante del brigantaggio antipiemontese e antiunitario. Oggi tutti hanno le idee chiare a proposito della proprietà. Non è necessario essere un giurista per avere la consapevolezza che la proprietà è un diritto privato e personale che esclude gli altri dalla disponibilità della cosa. Anche il sistema feudale conosceva detta forma di proprietà (detta burgensatica), ma accanto a questo esisteva una seconda tipologia di potere sulla cosa: i diritti promiscui, a seconda dei casi, universali o feudali. L’istituto che si avvicina alla nostra idea di uso civico (libero) di una cosa immobile senza padrone, tipo il sentiero di campagna, la fonte ai limiti di un bosco, la pozza fluviale in cui, un tempo, le popolane risciacquavano i panni, le canne cresciute lì attorno, la passerella che permette di superare un rivolo, etc. Bisogna ricordare che detti beni non sono nel demanio indisponibile e universale dello Stato o di un Comune, come le vie pubbliche, la spiaggia, il mare, i pubblici lampioni, le pubbliche fontane, etc., il cui uso è disciplinato da norme giuridiche scritte. L’uso dei comunisti (così venivano chiamati) viene invece dall’antica consuetudine o da antichi patti sottoscritti dal barone e dai borghigiani. I diritti promiscui dell’età feudale (demani) spezzavano orizzontalmente il diritto di proprietà su una terra, su un fondo, assegnandolo contemporaneamente a due soggetti: il signore (dominus) e gli abitanti del luogo. Essi avevano il diritto di trarne tutte le utilità che l’agricoltura e l’allevamento davano, o solo qualcuna di esse, per esempio pascolarci le pecore ma non le capre, raccogliere i rami caduti, ma non tagliarli dall’albero. Il titolare del diritto eminente poteva essere lo stesso re (per esempio, il Regio Demanio della Sila), il feudatario del luogo, una parrocchia, un’abbazia, un vescovo, un monastero (titolari di un regio beneficio), un comune libero da vincoli feudali (universitas). Con il consenso del re, il feudatario poteva vendere la terra, o donarla. Alla sua morte era normale che il feudo passasse al suo primogenito. Di regola il re autorizzava la successione. Anche l’universitas poteva perdere il diritto eminente, o perché il re l’infeudava o perché essa stessa chiedeva al re d’essere infeudata. In ogni caso, però, il diritto all’uso seguiva il bene, a simiglianza di un diritto naturale collettivo. Il nostro sistema giuridico conosce gli istituti dell’uso, dell’usufrutto, dell’abitazione (di una casa altrui), ma si tratta di diritti che si estinguono con la morte del beneficiario. Al contrario l’uso feudale era anonimo (quasi sempre legato alla residenza) e atemporale. Come già esemplificato consisteva nel diritto degli abitanti di un feudo determinato o di un determinato demanio comunale di accedere al campo per farvi legna, per pascolarvi gli animali e persino per coltivarne un piccolo lotto, per un ciclo o più cicli produttivi. In un mondo in cui la famiglia contadina non sempre riusciva a sfamarsi, questa forma di usufrutto collettivo offriva qualche soccorso alla povertà. Ma a un certo punto della sua esistenza il sistema feudale si scontrò con la crescita della produttività del lavoro e con il livello dei consumi. Quando il lavoro era poco produttivo e persino i signori vivevano di poco, la concessione di terre in uso ai contadini serviva ad attrarre braccia nel feudo. In appresso, cresciuta la produttività della terra e diffusasi gli scambi mercantili, i baroni presero a consumare di più e ad aspettarsi una rendita sempre più consistente. Per conseguirla, a cominciare dall’Inghilterra, essi propugnarono e ottennero l’abolizione delle promiscuità e la trasformazione del feudo in proprietà. Per due secoli le enclosures inglesi (chiusure, chiudende, recinzioni, non necessariamente erette, ma soltanto giuridicamente poste) furono la causa di una spaventosa miseria contadina e di un devastante inurbamento (pauperismo, questione sociale). Anche gli studiosi e i governi degli altri paesi europei cominciarono a ritenere che la crescita del prodotto nazionale si legava a un’agricoltura condotta dalla mano esperta e dura del padrone o dei suoi fattori. Alla conclusione del processo anche i contadini avrebbero visto migliorare la loro condizione, ma – come accade sempre ai deboli – essi avrebbero pagato i costi della transizione da un sistema all’altro con la perdita delle provvidenze che venivano loro dai diritti d’uso. Intorno al 1740 i costi umani sopportati dai contadini inglesi non erano ignoti a Napoli. Gli illuministi napoletani, i quali avevano parecchio ascolto presso il nuovo governo - quello di Carlo di Borbone-Farnese, re di uno Stato finalmente indipendente dopo la secolare dominazione straniera - erano favorevoli alla formazione della proprietà piena, ma erano anche preoccupati per i duri contraccolpi che la transizione provocava sulla condizione dei contadini. Perciò propugnavano una maggiore diffusione del contratto d’enfiteusi, che favoriva (e favorisce) la formazione della piccola proprietà coltivatrice. Però il governo non intervenne con misure a ciò favorevoli. Lasciò che la classe baronale vendesse le proprie terre, sia quelle non feudali sia quelle feudali, soggette all’uso contadino. La sostituzione del grande feudatario, che in genere viveva oziosamente a Napoli senza granché darsi da fare per sfruttare a fondo i suoi villani, con il nuovo padrone emerso fra i compaesani e fortemente solerte nello sfruttamento del colono, innescò un fiero contrasto tra i contadini e i nuovi padroni. Bisogna doverosamente aggiungere che la presenza dello Stato sul territorio, attraverso la forza pubblica (le stazioni dei carabinieri), era ancora di là da venire, per cui, a quel tempo, nei villaggi e nelle borgate le prepotenze e i soprusi signorili erano quasi una regola. Sintetizzando, vennero alla luce del sole due ideologie: quella del nuovo padronato, frettolosamente definita liberale, e quella dei contadini, che difendevano i loro antichi diritti sulle terre comuni e che, se aspiravano a qualcosa, era il proprio beneficio e non certamente quello dei galantuomini del borgo, arricchitisi non sempre limpidamente. A dirla sinteticamente, i contadini napoletani si opponevano fieramente alla soppressione dei diritti promiscui sia per quel che davano nell’immediato sia perché la loro esistenza costituiva la premessa logica per arrivare alla divisione delle terre comunali, ecclesiastiche e feudali. L’opposizione esplicita dei contadini alla trasformazione dai diritti promiscui in proprietà perfetta, invocato dalla borghesia ricca, riecheggiava alla corte borbonica. Per il re era in gioco il consenso delle masse popolari e il futuro della dinastia. Ciò frenava il re, la Chiesa meridionale e il governo sulla strada delle riforme borghesi. Storicamente, la comprensione che la dinastia borbonica ebbe per gli interessi popolari sta alla base della popolarità di cui godettero i cinque sovrani della casata succedutisi sul trono delle Due Sicilie. ********* Il brigantaggio politico napoletano è un aspetto dello scontro secolare tra la borghesia in ascesa e i contadini, che il processo storico di sviluppo mette ai margini del sistema capitalistico emergente. Gli svolgimenti più noti di tale lotta sono: (uno) la guerra di Santa Fede e l’abbattimento della Repubblica Partenopea ad opera delle bande contadine del Cardinale Fabrizio Ruffo; (due) la guerra partigiana contro l’occupazione francese del Regno di Napoli tra il 1804 e il 1814; (tre) la sollevazione contadina antipiemontese e antiunitaria del 1860/1874. In tutti questi casi la storiografia parla di reazione, ma il giudizio è improprio in quanto nessuna legge morale imponeva ai contadini di parteggiare per la borghesia in ascesa e di porsi contro sé stessi, i loro interessi materiali e le libertà di cui godevano nell’ambito del sistema feudale. In tutti i tre casi è la borghesia liberale che accende lo scontro. La Repubblica Partenopea nasce nel clima rivoluzionario innescato in Italia dall’occupazione francese da parte dell’esercito guidato da Napoleone Bonaparte. Nell’inverno tra il 1798 e il 1799 le truppe francesi occupano Roma e subito dopo si dirigono verso Napoli. I liberali napoletani si sollevano e proclamano la Repubblica. Il re delle Due Sicilie, Ferdinando IV, fugge impotente a Palermo. Meno remissivo, il Cardinale Fabrizio Ruffo sbarca a Bagnara e solleva i contadini contro i francesi e i liberali napoletani. Con una velocissima marcia attraverso la Calabria e le altre regioni del Sud, raggiunge Napoli, che le truppe francesi hanno già abbandonato e restaura sul trono il re. Questi, nonostante gli opposti ammonimenti del Cardinale, asseconda la decisione dell’ammiraglio britannico, Horacio Nelson, la cui flotta protegge Napoli, e si lascia andare a una dura vendetta. I Francesi tornano in forze nel 1804. La monarchia napoletana non è in condizione si opporvisi. Il re si rifugia ancora una volta a Palermo. Sul campo, a combattere gli occupanti, rimangono i contadini, i quali inaugurano una guerra partigiana che impegna severamente i francesi. La reazione francese è feroce. Non riuscendo a battere un nemico sfuggente, l’esercito francese brucia i villaggi e fa ardere nel rogo i loro abitanti. Le forche stanno al centro della piazza in ogni villaggio. Dovunque uomini, donne, vecchi vengono trucidati sulla base di un sospetto. Da parte loro, i briganti, non essendo in condizione di fare una guerra frontale, assaltano le pattuglie disperse, scannano, impiccano i collaborazionisti, fanno scempio dei loro corpi. Qualche volta i cosiddetti briganti riescono a penetrare in una città filofrancese e ammazzano brutalmente gli invasori e i loro fiancheggiatori. Nel decennio francese si ha l’abolizione formale della feudalità, la conversione delle terre comuni in proprietà privata, viene promessa una loro parziale lottizzazione. Ma è così elusiva che non darà luogo alla formazione di una diffusa proprietà contadina. Meno feroce ma ancora più lunga è la resistenza all’occupazione piemontese. Essa nasce sotto la guida dell’ultimo re delle Due Sicilie, il giovanissimo Francesco II, che si era asserragliato nella fortezza di Gaeta più per difendere il suo onore, dopo il tradimento dei suoi generali, che per opporre una seria resistenza all’invasore. Il comando borbonico sa di non avere alcuna via d’uscita, ma intende egualmente combattere fino all’ultimo. Per contrastare l’arrivo di altre truppe piemontesi in appoggio a quelle con cui Vittorio Emanuele Savoia cinge l’assedio, chiede ai reparti rimasti fuori le mura di spingersi ai confini del Lazio, e ingaggiare contro i rincalzi piemontesi delle azioni di guerriglia. Si ripete l’esperienza di sessant’anni prima. Il Brigantaggio napoletano nasce alla partenza come una lotta politica di carattere legittimista e popolare contro i piemontesi. I successivi sviluppi non si allontanano dall’originario carattere politico, però si connotano ogni giorno anche con il carattere di una guerra sociale, o forse meglio di una guerra civile tra i galantuomini, sostenuti dall’invasore, e contadini espropriati dei loro antichi diritti. A partire dal 1861, la guerra infiamma tutte le province napoletane. Gli studiosi hanno registrato l’attività di ben 388 bande partigiane, di cui alcune parecchio numerose. Lo scontro tra l’esercito regolare piemontese e le bande è durissimo, senza esclusione di colpi. I piemontesi risuscitano la tattica francesi della terra bruciata; non fanno prigionieri; bruciano e radono al suolo centinaia di villaggi, massacrano i contadini senza molto badare se nemici o amici. La legge marziale viene proclamata ufficialmente nel 1864, ma in effetti era già in atto sin dal 1861. Si tratta, infatti, di orpello legale. Nel corso della guerra contro i cosiddetti briganti l’esercito italiano si macchiò di atrocità non minori di quelle commesse durante la conquista della Libia, della Somalia, dell’Etiopia. Contemporaneamente alle operazioni repressive, l’Italia ufficiale procedeva alla svendita delle terre comuni e ne incassava il prezzo. La sconfitta contadina può essere calcolata a ritroso. Tra il 1808 e il 1875 due milioni e mezzo di ettari di terre comuni furono tolti ai contadini e svenduti alla nascente borghesia redditiera, ovvero illecitamente appropriati della stessa attraverso le cariche comunali. Due milioni e cinquecentomila ettari sono pari alla superficie territoriale della Calabria e della Basilicata messe assieme. Associazione Culturale DUE SICILIE - GIOIOSA JONICA (RC)
 
 
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