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STORIA DELL'ARTE DALLA PREISTORIA AD OGGI

Arte della Preistorica
La storia
La  Preistoria comprende un periodo di tempo lunghissimo, centinaia di migliaia di anni, conclusosi con l'apparizione della scrittura. Le più antiche testimonianze artistiche finora scoperte hanno circa trenta mila anni. Esse risalgono al periodo paleolitico (fino a 8000 anni fa; l'uomo vive di caccia, è nomade e si rifugia nelle grotte), al neolitico (fino a 6000 anni fa; l'uomo coltiva la terra, alleva il bestiame e vive in villaggi), all'età del bronzo (a partire dal III millennio a.C.; l'uomo elabora la tecnica della fusione del bronzo, segnando una svolta decisiva nella produzione di manufatti ed armi). Con l'età del bronzo si conclude la Preistoria, poiché a questo periodo risalgono le grandi civiltà del Medio Oriente - Egitto, Mesopotamia - di cui abbiamo testimonianze scritte. Tuttavia tale periodo non termina ovunque nello stesso momento: in Sardegna, infatti, persiste fino a tutto il IV secolo a.C. (civiltà nuragica), mentre in Grecia era già conclusa agli inizi dell'XI secolo a.C.
Arte: nella preistoria
La figura dell'artista ancora non esiste. L'attività espressiva dell'uomo preistorico è legata alla realtà della vita quotidiana ed è inserita nell'esperienza pratica della vita di tutti i giorni. Nel periodo paleolitico, l'autore dei dipinti delle caverne è considerato uno stregone. L'immagine, realizzata per i rituali magici, viene prodotta con lo scopo di propiziare il buon esito della caccia o la nascita dei figli. Essa è rivolta agli idoli e agli spiriti della natura, perché intervengano nella vita dell'uomo. Nel periodo neolitico e nell'età del bronzo, le pratiche magiche saranno invece affidate ad una nuova figura: quella del sacerdote. L'immagine acquista il valore di una rappresentazione ed interpretazione del mondo circostante ed entra nella vita come completamento e decorazione dell'ambiente. L'autore delle rappresentazioni, in questo periodo, non è una persona in particolare: tutti costruiscono manufatti, scolpiscono e dipingono, così come concorrono alla costruzione del villaggio. I dipinti e le sculture della Preistoria hanno esercitato un grande fascino sulla cultura moderna. Molti artisti, tra i quali Picasso, li hanno considerati perfetti nella loro istintività e vivacità espressiva. Per gli psicologi, inoltre, essi costituiscono la testimonianza dello sviluppo del pensiero umano. Nell'arco della Preistoria, infatti, l'uomo è partito da un'attività di tipo essenzialmente manipolatorio. In seguito la sua rappresentazione è divenuta naturalistica, cioè ispirata alle forme della natura, per giungere infine, attraverso la formulazione di segni grafici sempre più simbolici e convenzionali, alle soglie della scrittura.
Paleolitico
Le testimonianze più significative del periodo paleolitico sono costituite dai dipinti delle caverne (realizzati con le dita, con penne di uccello, con rozzi pennelli, utilizzando colori di origine vegetale e animale) e dalle piccole sculture femminili incise o scolpite con punte acuminate su pietra, corno, osso, o avorio. Osservando la localizzazione delle pitture nelle grotte, colpisce il fatto che esse non si trovano nelle grotte d'ingresso, ben illuminate, ma nelle parti più interne, buie e nascoste. Evidentemente lo scopo dei dipinti non era decorativo: infatti la rappresentazione di animali che forniscono carne, grasso e pelli era considerato di buon auspicio per la caccia. Nelle figure femminili scolpite nella pietra risultano particolarmente accentuati il seno, il ventre e i fianchi: attraverso l'accentuazione delle caratteristiche femminili lo scultore dell'età paleolitica sottolinea la fecondità della donna.
Neolitico
Al periodo neolitico risalgono i primi esempi di costruzione che, realizzate con grandi blocchi di pietra, vengono dette appunto megalitiche (dal greco mega = grande e litos = pietra). Le più significative sono i menhir, i dolmen e i cromlech. I menhir, massi dalla forma allungata conficcati nel terreno, costituivano probabilmente dei monumenti funebri e, così come le mani dipinte nelle grotte, rappresentano il bisogno umano di lasciare nel tempo un segno della propria esistenza. I dolmen sono costituiti da tre pietre conficcate nel terreno, sulle quali viene posta una grande lastra di copertura. La ristrettezza dello spazio coperto esclude l'uso del dolmen come abitazione, probabilmente era la tomba di un uomo valoroso. Il cromlech è una grandiosa costruzione di massi disposti in cerchi concentrici. Uno degli esempi più famosi si trova a Stonehenge, in Inghilterra. Probabilmente usata per osservare le diverse posizioni del sole durante l'anno, questa costruzione consentiva di stabilire l'alternarsi delle stagioni. All'interno di questo colossale calendario astronomico si celebravano riti propiziatori per il buon esito dei raccolti. Nel dolmen e nel cromlech viene utilizzato per la prima volta il sistema costruttivo trilitico (dal greco treis = tre e litos = pietra): due grandi pietre verticali ne sostengono una orizzontale. Tale sistema, sempre più perfezionato, sarà alla base di tutta l'architettura egiziana e greca: le due pietre verticali diverranno veri e propri pilastri o colonne e la pietra orizzontale sarà l'architrave.
Età del bronzo
All'età del bronzo risalgono le testimonianze della civiltà nuragica in Sardegna. Rispetto al dolmen e al cromlech, il nuraghe è realizzato con una tecnica costruttiva molto più avanzata. La sua forma, così come quella delle altra abitazioni del villaggio, è circolare, e le finestre aperte sulle pareti sono ridotte a semplici feritoie. Il nuraghe è costruito senza l'uso di malte cementizie: le pietre squadrate e sovrapposte costituiscono le pareti e, disposte in cerchi più stretti, chiudono la costruzione determinando una specie di cupola. Il nuraghe era la dimora del capo del villaggio, ma in caso di pericolo diventava il rifugio dell'intera tribù. Veniva costruito in posizione strategica, con la porta di accesso situata molto in alto (anche a 4 m. dal suolo), alla quale si accedeva tramite una scala di legno che, dopo essere stata utilizzata, veniva tolta. Sempre all'età del bronzo risalgono le prime testimonianze di lavori ottenuti con la tecnica della fusione dei metalli, come piccole figure a tuttotondo rappresentanti soprattutto guerrieri.


Arte Mesopotamica
La storia
La nostra civiltà trova le sue origini nell'occidente asiatico: la presenza dei fiumi che facilitano l'agricoltura e i commerci e le coste ricche di porti naturali hanno determinato una sorprendente fioritura di civiltà proprio nella fetta di terra che, situata tra due fiumi, il Tigri e l'Eufrate, viene chiamata Mesopotamia. In Mesopotamia non si sviluppò una civiltà unitaria: nel 3000 a.C. fu infatti occupata dai Sumeri, assoggettati nel 2500 a.C. dagli Accadi, spodestati a loro volta dai Babilonesi intorno al 2000 a.C. I Babilonesi, organizzati dapprima in città-stato autonome, verso il 1700 a.C. determinano la nascita del I impero. Babilonia ne diviene capitale e Hammurabi, il re, emana le prime leggi scritte, valide per tutta la Mesopotamia. I Babilonesi, sopraffatti dagli Assiri, che trasferiscono la capitale a Ninive, riescono in seguito a riconquistare il potere. Con il re Nabucodonosor, raggiungono il massimo splendore (II impero). Nel 538 a.C. i Persiani, guidati da Ciro il Grande, penetrano nei territori babilonesi e se ne impossessano. L'impero persiano, arricchito anche dalla conquista dell'Egitto (Cambise, 525 a.C.) viene consolidato e riorganizzato da Dario I, ma nel 330 a.C. la conquista da parte di Alessandro Magno ne determina la fine.
Arte: nella Mesopotamia
Di queste civiltà ci sono pervenute testimonianze scritte e resti di costruzioni (soprattutto templi e tombe). L'imponenza di questi resti contrasta con la scarsità di tracce relative alle abitazioni comuni: realizzati con materiali assai fragili, quali l'argilla cruda e il legno, esse sono state cancellate dal tempo. Per la scarsità della pietra, anche le testimonianze della scultura si riferiscono quasi essenzialmente ai rilievi destinati alle opere di maggiore importanza. Pressoché nulle sono le testimonianze giunte sino a noi della pittura. L'arte della Mesopotamia, che si sviluppa in un arco di circa 3000 anni, è caratterizzata da una particolare fissità e immutabilità, sia nelle rappresentazioni, sia nei tipi di costruzioni realizzati. Essa è esclusivamente al servizio del re e della religione, per cui non riflette i gusti e la vita della popolazione, ma soltanto i desideri del sovrano che nelle rappresentazioni vuole sottolineare ed affermare il proprio potere, immutabile nel tempo. L'artista non può certo avere alcun rilievo personale: nel codice di Hammurabi è citato insieme al fabbro e al calzolaio, è un semplice ed anonimo artigiano che esegue ciò che il re desidera sia fatto.
Architettura
Le testimonianze lasciate dagli Assiri, dai Babilonesi e dai Persiani rivelano come alcuni tipi di costruzioni vengano edificati sempre in corrispondenza di determinate condizioni politiche. In ogni epoca, quando il potere è affidato ad un gruppo ristretto, appartenente alla stessa classe sociale, nascono sempre grandiosi palazzi reali, monumentali tombe, imponenti templi. E' sorprendente inoltre rilevare come certe forme espressive o certe costruzioni vengano realizzate, assai simili fra loro, in tempi diversi e in località molto lontane fra loro: i templi dei Maja e degli Aztechi ricalcano la forma della ziggurat dei popoli della Mesopotamia. Anche alcune rappresentazioni simboliche presenti, ad esempio, nei capitelli delle colonne del palazzo reale di Persepoli - il toro, l'aquila, il leone, l'uomo - si ritrovano nella simbologia cristiana per identificare i quattro Evangelisti. In Mesopotamia c'era poca pietra, con l'eccezione di qualche località dell'Assiria. Si costruiva con mattoni di argilla, seccati al sole, poco costosi perché fabbricati dagli schiavi. L'argilla stessa serviva da legante. Le fondamenta erano di sassi e ai muri veniva dato un intonaco di fango e calce. Non c'erano differenze sostanziali fra la pianta del tempio e quella del palazzo regio: uno o più cortili attorniati da stanze. Le mura erano di regola senza finestre, rotte magari da nicchie ornamentali e da torrette. La grande porta d'ingresso poteva essere fiancheggiata da leoni o tori alati, con testa umana. In genere gli edifici erano a un piano, sormontati da tetti a terrazza con finestrelle per l'illuminazione. La scarsità di pietra spiega anche l'assenza di colonne portanti, tranne nell'Assiria. Le pareti interne dei palazzi dei monarchi erano impreziosite da rivestimenti di alabastro, da bassorilievi e pitture celebrative. Alcune di queste costruzioni avevano dimensioni impressionanti, come la reggia di Mari, dell'inizio del II millennio, con 260 fra stanze e cortili. Non tutti i templi mesopotamici poggiavano direttamente sul terreno: la maggior parte poggiava su una piattaforma che assunse forme sempre più elaborate. Al termine di questo processo troviamo la ziggurat: una serie di terrazze degradanti, che si allargano via via verso il basso, collegate da scale dirette alla sommità, dove si trovava il tempio vero e proprio, il sacrario (era una ziggurat la biblica e mitica torre di Babele). E' probabile che il tutto rispecchiasse un'intenzione di avvicinare il tempio alla divinità, rendendoglielo più accessibile.
Scultura
Come l'architettura, anche la scultura ha un carattere eminentemente simbolico. La rappresentazione mesopotamica del dio è caratterizzata da piccole dimensioni e l'unico elemento a cui l'artista prestava attenzione era il viso: al resto della figura (in genere un tronco di cono da cui emergevano i piedi) e l'abbigliamento badava poco. Gli stilemi erano ripetitivi (le pose, le espressioni, le parrucche che scendevano ai due lati della faccia a congiungersi con la barba, gli occhi fatti di conchiglie e le pupille di lapislazzuli). Qualche scatto di vivacità, di evasione dalle convenzioni ovviamente si registra: ne è esempio una statuetta in bronzo e oro di Hammurabi in preghiera, del II millennio.
Pittura
Di maggiore interesse artistico sono i rilievi, che decoravano intere stanze dei palazzi reali, destinati anch'essi a illustrare e celebrare le gesta dei sovrani. Scene di guerra e di caccia, all'insegna di un realismo e di una cura del particolare che riscattano l'astrattezza, la staticità e la monotonia della statuaria a tutto tondo. Un certo impaccio si nota sempre nelle figure umane; non in quelle animali, rese con grande efficacia. Questi rilievi su pietra raggiunsero un livello artistico notevole nei palazzi assiri. I rilievi su mattoni smaltati nella Babilonia dell'ultima dinastia (II millennio a.C. circa) si segnalano più per raffinatezza ed eleganza che per forza rappresentativa.



L' Arte Egiziana
La storia
La civiltà egiziana si sviluppò in un ampio periodo storico, dal IV millennio al VI secolo a.C. Verso il 2850 a.C. il territorio dell'Egitto, inizialmente diviso in due grandi Regni, venne unificato da re Menes, che stabilì la capitale a Tinis, nel Medio Egitto. A partire da questo momento, la storia della civiltà egiziana si suole dividere in quattro periodi:
- Regno Antico (2850-2050 a.C.): la capitale, da Tinis, viene spostata a Menfi, nel Basso Egitto;
- Regno Medio (2050-1580 a.C.): durante il quale la capitale è Tebe, nell'Alto Egitto;
- Regno Nuovo (1580-663 a.C.): detto anche «secondo periodo tebano» perché la capitale è ancora Tebe. Durante questo periodo, lungo circa nove secoli, la civiltà egiziana raggiunse il massimo del suo splendore ed entrò in contatto con i popoli dell'Oriente.
- Bassa epoca (663-525 a.C.): detta anche «periodo saitico» perché la capitale è Sais, sul delta del Nilo.
Nel 525 a.C. il re persiano Cambise invase l'Egitto. Nonostante la conquista straniera, la cultura egiziana continuò a manifestare, ancora per lungo tempo, i suoi modi espressivi tradizionali.
Arte Egiziana:
La cultura egiziana ha lasciato testimonianze di un'arte assolutamente originale perché il territorio in cui si sviluppa, chiuso fra deserti e mare, impedì per lungo tempo i contatti con le altre civiltà. Tali testimonianze riguardano soprattutto grandiose costruzioni funerarie (tombe riunite in necropoli, piramidi) e monumentali templi, caratterizzati dall'uso di altissime colonne, con capitelli dalle forme assai varie, spesso ispirate ad elementi naturali, quali foglie e fiori. L'arte egiziana è l'espressione di uno Stato organizzato assai rigidamente. A capo di ogni cosa è il Faraone, sovrano e sommo sacerdote, dio in terra ed assunto fra gli dei dopo la morte. Accanto a lui, la casta sacerdotale è la più privilegiata e potente. L'arte egiziana, quasi sempre commissionata dall'autorità politica e religiosa, deve glorificare attraverso imponenti edifici la divinità e il faraone, incutere nel popolo rispetto sacro e venerazione per una classe politica forte e immutabile nel tempo. L'artista è un artigiano anonimo, spesso uno schiavo che non può esprimersi liberamente, ma obbedisce a precise disposizioni imposte dall'alto. Se il popolo può ammirare le grandi costruzioni, simbolo di potere sul territorio, pittura e scultura si trovano soprattutto in ambienti destinati alle classi che detengono questo potere. Le figure frontali e composte sono atteggiate rispettosamente nei confronti dell'osservatore che non può che essere un principe, un sacerdote, una divinità. Rigidezza e frontalità, quindi, dipendono da una volontà precisa e non da incapacità di rappresentazione; non mancano esempi molto significativi dell'abilità dell'artista di ritrarre con naturalismo scene di vita quotidiana, piante ed animali.
Architettura
Il tempio egiziano, casa del dio, e le piramidi, monumenti funerari, formavano complessi unitari. Gli Egiziani non consideravano la tomba solo un monumento per ricordare il defunto: era il luogo dove il corpo doveva conservarsi in eterno, assieme agli oggetti posseduti in vita, utilizzabili nell'esistenza ultraterrena. Le forme dei templi sono riconducibili a tre tipi: a ipetrale, periptero, a penetrale. Il primo, a cielo aperto, era riservato al culto del dio Sole; il secondo constava di una cella rettangolare aperta su entrambi i lati corti o su uno solo, attorniata da un porticato a colonne e a pilastri. Il più complesso era il terzo, con una sequenza di ambienti immutata dopo il II millennio: via d'accesso fiancheggiata da sfingi, porta monumentale con ai lati piloni e obelischi, cortile, atrio, vestibolo, cella. Al sacrario, al "luogo da non conoscere", al quale si giungeva con un percorso sempre più stretto, avevano accesso solo i sacerdoti e il faraone: si trattava di una saletta includente una cappella o tabernacolo di granito con la statua o i simboli del dio. Una cinta muraria racchiudeva il tempio e altri edifici (le abitazioni dei sacerdoti, i magazzini, ecc.). Sulle cause che portarono la piramide, cioè la tomba regale, ad assumere caratteri determinati e fissi, gli studiosi non sono concordi. Per alcuni può essersi trattato di una semplice evoluzione architettonica: dalla mastaba, un basso tronco di piramide sotto il quale un pozzo verticale, scavato nella terra, conduceva alla camera del sarcofago, alla piramide a gradoni e, infine, alla piramide vera e propria. Secondo altri la forma della piramide va fatta risalire a motivi religiosi, poiché richiama la pietra sacra simbolo di Ra, il dio Sole, padre del faraone, e potrebbe quindi essere un simbolo solare di ascensione (il termine egiziano mer, designante la piramide, significherebbe "luogo dell'ascensione"). Comunque, gli elementi fondamentali di tutti i complessi piramidali si trovano in quello di Giza. La località ospita le tre piramidi più famose, situabili intorno alla metà del III millennio. La più grande è quella di Cheope, seguono nell'ordine quelle di Chefren e di Micerino. Del complesso fanno parte piramidi minori per le regine, templi funerari, mastabe e la sfinge. La piramide di Cheope copre un'area di 52.400 kmq. Era alta 143.6 m. (la cima è andata distrutta). Nella costruzione si impiegarono fra 2,3 e 2,6 milioni di blocchi di granito rosso e di più pregiato calcare bianco. Alla camera funeraria interna, rivestita di granito rosso e coperta da nove lastre del peso di 44 t. ciascuna, si accede percorrendo una galleria lunga quasi 47 m. e alta 8,54: dati sufficienti per dare un'idea della grandiosità di queste opere.
Scultura e pittura
La scultura e la pittura vengono utilizzate dagli Egiziani soprattutto per abbellire templi e tombe, con scene religiose o della vita quotidiana. Le rappresentazioni seguono regole fisse e la figura umana viene ripetuta secondo schemi uguali, rigida nei movimenti, priva di rilievo, con il busto in posizione frontale e gli arti di profilo. Appare evidente l'intenzione di mostrare con chiarezza tutte le parti del corpo, evitando sovrapposizioni fra braccia e gambe. Le proporzioni fra le parti sono definite in modo rigoroso e gli arti sono disposti con uno stesso orientamento, senza differenze fra destra e sinistra. Il colore non definisce illusoriamente, con luci ed ombre, il volume dei corpi, ma è dato a zone piatte. A differenza della scultura mesopotamica, cilindrica e conica, quella egizia è quadrata. Fra i tipi rappresentati, in pose statiche, prevalevano il personaggio seduto con gli avambracci piegati, le gambe parallele e verticali, e quello ritto con le braccia lungo i fianchi, con una gamba tesa davanti all'altra ed entrambi i piedi poggiati a terra con tutta la pianta. Anche nei bassorilievi non viene modellata la muscolatura; la figura si staglia come una sagoma piatta sul fondo scavato, o viene incisa sulla pietra - soprattutto nei bassorilievi in esterno - perché l'intensa luce del sole ne definisca meglio i contorni. Nelle sculture a tutto tondo il corpo viene ricavato definendolo dapprima separatamente sulle quattro facce del blocco; lo si lavora di profilo su due facce opposte, di fronte e di spalle sulle altre due. In fase di rifinitura si raccordano i piani delle quattro vedute. Ne deriva una figura solenne e composta nell'atteggiamento. Gli artisti si preoccupavano molto della somiglianza fisica della persona ritratta perché l'anima, che doveva trasferirsi nella statua, potesse riconoscere il corpo in cui aveva abitato nella vita terrena.
Con la riforma religiosa del faraone Akhenaton (1379-1362 a.C.) e alla lotta che egli condusse contro il clero tebano, opponendo Aton, il sole, ad Amon, appare per la prima volta nelle rappresentazioni egiziane un maggior realismo. Successo ad Amenofi III come Amenofi IV, Akhenaton prese il nuovo nome che significa "colui che è utile a Aton". Il risvolto politico della riforma era la riaffermazione dell'autorità centrale del sovrano minacciata dallo strapotere assunto dalla classe sacerdotale. La dottrina monoteistica di Akhenaton non toccò le classi umili della popolazione, rimase un fatto elitario e morì con il suo fondatore, ma dette uno scossone al sistema di valori imperante, presentandosi come spregiudicata ricerca della verità. Le opere d'arte del periodo mostrano in effetti una tensione realistica inconsueta: anche nelle rappresentazioni del faraone l'accento è posto sulla sua umanità non sulla sua divinità. Pittura, urbanistica e architettura (Akhenaton fondò una nuova capitale, Akhetaten, oggi Tell el Amarna, onde la definizione di "amarniana" per l'arte del periodo) confermano gli orientamenti della scultura. Amenofi IV non lasciò eredi maschi. Il trono toccò a Tutankhamon, marito della terzogenita del faraone, Anknesenpaaton ("colei che vive in Aton"). Di non grande levatura, il giovanissimo sovrano cedette presto alle pressioni del clero tebano, avido di rivalsa, e si fece protagonista di una controriforma che cancellò ogni traccia dell'operato del suocero. Riportò la capitale a Tebe, restituì ai sacerdoti gli antichi privilegi, rilanciò il culto di Amon. La memoria di Tutankhamon rimase affidata non al ruolo secondario e passivo che sostenne nel processo di restaurazione, ma alla sua tomba, la più ricca e la meno saccheggiata fra quelle faraoniche venute alla luce. La scoperta si dovette a un archeologo inglese, Howard Carter, sostenuto da lord Carnarvon. Parecchi archeologi prima di Carter avevano setacciato palmo a palmo la Valle dei Re, una gola rocciosa non lontana da Luxor, inaugurata come sepolcreto da Tuthmos I, morto nel 1518 a.C., trovando una sessantina di tombe saccheggiate. Carter scavò per sei anni, sgomberando una quantità impressionante di detriti. Nel novembre 1922, quando stava per abbandonare le speranze e l'impresa, anche perché il finanziatore si era stancato di profondervi mezzi, ebbe finalmente successo. La tomba conteneva una quantità incredibile di oggetti: letti, catafalchi, sarcofagi, cocchi, cofani, un trono, statue divine, umane, animali, armi, arnesi, gioielli e via dicendo. Essi dovettero essere in parte sottoposti a trattamento conservativo sul posto, prima di poter essere trasportati. Grande era anche la varietà di stili: accanto a pezzi sobri e lineari, altri sfarzosi e sovraccarichi di decorazioni. Nonostante questa discontinuità stilistica, il corredo di Tutankhamon contribuisce a testimoniare che la restaurazione politica e religiosa non implicò un ritorno dell'arte ai modi del passato. L'esperienza amarniana non andò perduta, continuò anzi a dare frutti.
Il corredo funerario di Tutankhamon
I reperti più famosi dello splendido corredo funerario del faraone Tutankhamon sono il trono e il sarcofago del re. Il trono in legno è rivestito d'oro; le gambe sono in basso zampe leonine e nella parte superiore recano due musi di leone. Cobra alati decorano i pannelli dei braccioli. Ma l'elemento che più attrae è lo schienale, la cui parte interna reca intagliata la raffigurazione del re e della regina in vesti da cerimonia sormontati da un sole rappresentato, secondo l'iconografia amarniana, con un disco da cui partono raggi che terminano con mani. Il re è seduto e la regina lo sta aspergendo con un unguento, che attinge da un vaso sorretto dalla mano sinistra. Il sarcofago del re, o meglio, il sarcofago più interno di una serie di quattro incastrati l'uno nell'altro. Lungo 1,85 m. e spesso 8 mm. era d'oro massiccio, avvolto da una resina profumata e da un sudario di lino, e raffigurava il faraone come Osiride, con nelle mani gli emblemi del dio, il pastorale e il flagello. La mummia regale si presentò agli archeologi, quando sollevarono il coperchio, con il volto e le spalle coperte da una magnifica maschera d'oro con intarsi di vetro blu. Sul sarcofago e addosso alla mummia, fra le bende che l'avviluppavano, una profusione di preziosi: oggetti d'uso personale, collari, collane, pendagli, braccialetti, anelli, amuleti. Un campionario esaustivo dell'oreficeria egiziana, che aveva raggiunto un altissimo livello.



L' Arte Cretese
La storia
La civiltà cretese si sviluppò lungo le coste e nelle isole dell'Egeo dal II millennio al 1400 a.C. e prende il nome dall'isola di Creta, dove gli scavi archeologici, in epoca moderna, hanno portato alla luce le testimonianze più rilevanti di questa civiltà. Due grandi città, Knosso e Festo, si dividono inizialmente il territorio dell'isola che viene poi unificato sotto il dominio di Knosso. La civiltà cretese è agricola e marittima. Dotata di una potente flotta e governata da sovrani amici fra loro, Creta gode di prosperità e pace, che, grazie anche ad un fluente commercio, le consentono di raggiungere una grandissima ricchezza.
Arte Cretese
Posta al centro del Mediterraneo, punto di collegamento fra l'Europa, l'Egitto e l'Oriente, Creta diviene il centro di un'arte raffinata, che riflette una splendida vita di corte. Rispetto alle manifestazioni artistiche dell'Egitto e della Mesopotamia, l'arte cretese appare meno monumentale e solenne ed i soggetti rappresentati nei dipinti hanno un significato più profano che religioso. L'arte è legata alla decorazione o a scopi pratici: terrecotte e manufatti in metallo hanno valore soprattutto perché costituiscono una merce di scambio. L'artista è perciò considerato solo un abile artigiano e gode di scarsa importanza; il suo lavoro è ritenuto una semplice attività manuale. Fu Arthur Evans, autore dei primi scavi che misero in luce i resti del palazzo di Knosso, a proporre la suddivisione della civiltà cretese o minoica (da Minosse, mitico re dell'isola) in tre periodi: antico, dall'epoca dei primi insediamenti nel IV millennio fino al 2100, medio dal 2100 al 1580, recente dal 1580 al 1200. Il minoico medio è il più brillante: il rame è stato sostituito dal bronzo, l'economia è fiorente, proprietari, produttori, commercianti vivono nel benessere o nell'opulenza, in belle e confortevoli case, circondandosi di oggetti d'arte. Una società edonistica, che poco si preoccupa dell'aldilà, nella quale le donne godono di una libertà, di un prestigio e di un'autorevolezza inconsueti nel mondo antico (troveremo l'equivalente nel mondo etrusco). La religione non ci è perfettamente nota: sono oggetto di culto pietre sacre considerate dimore di spiriti, piante come simboli del ciclo vitale; nel toro e nella colomba si riconoscono i principi maschile e femminile. Intorno al 1750 a.C. i palazzi di Knosso e Festo furono distrutti, forse da un terremoto, e subito riedificati. Le pareti interne dei palazzi erano ampiamente affrescate. Pitture molto belle sono state ritrovate a Knosso, Haghia Triada, Thera. Uno dei migliori affreschi del palazzo di Knosso (1500 a.C.) rappresenta una tauromachia (dal greco tâuros = toro e mache = lotta), esercizio non cruento che consisteva in volteggi che un atleta compiva sulla schiena di un toro lanciato al galoppo. Intorno al 1400 a.C. l'invasione da parte degli achei cancella i più importanti centri e la civiltà cretese.
La scultura monumentale è praticamente assente da Creta. Abbondano invece gli oggetti artistici di dimensioni ridotte: statuette maschili e femminili alte dai venti ai trenta cm. in terracotta, bronzo, avorio; sigilli, monili, vasi di terracotta, coppe decorate a sbalzo, tazze e pugnali ageminati (si praticavano incisioni negli oggetti e vi si inserivano fili o lamine sottili di metallo prezioso). Compare già nel minoico antico il rhyton, un contenitore di liquidi a testa di toro con occhi di cristallo di rocca e corna di legno dorato.
Punto di forza dell'arte cretese era la ceramica, che raggiunse ottimi risultati già prima dell'introduzione del tornio. I vasi, dalle pareti sottili e lisce, inizialmente decorati con vivacissimi colori, in una fase successiva furono quasi sempre dipinti con un colore bruno su fondo chiaro.
Tornando al palazzo di Knosso, il grande edificio venuto alla luce grazie agli archeologi inglese e in particolare ad Arthur Evans, era sede del potere civile, militare, religioso e di molteplici attività, gestite con grande oculatezza ed efficienza dal signore del luogo e dai suoi funzionari, che tenevano una ordinatissima contabilità. Vi si producevano manufatti di ogni genere e vi si conservavano le derrate alimentari. Le doppie pareti realizzavano una sorta di condizionamento negli stessi magazzini colmi di casse e di grandi vasi (pithol) in cui si stipavano le merci. I lavoratori avevano nel palazzo vitto e alloggio, e se non erano schiavi percepivano una paga per più in natura. Il palazzo di Knosso testimonia che la ricchezza cretese era concentrata nelle mani di pochi signorotti, che possedevano le terre e gli strumenti di produzione. Nel grande edificio Evans trovò una serie di tavolette di terracotta smaltata (soprattutto modellini di case minoiche) che diedero un contributo  determinante alla conoscenza del carattere e dell'aspetto della città minoica. Il palazzo non aveva nulla della fortezza, segno che i suoi proprietari si sentivano sicuri. Il complesso era enorme: intorno a un grande cortile rettangolare si disponevano circa 400 locali collegati da scale, corridoi, cortili più piccoli. Quanto è rimasto delle strutture fa ipotizzare l'esistenza di più piani. Le stanze erano raggruppate per funzioni (rappresentanza, abitazione, servizio). I muri erano costruiti con blocchi di pietra e mattoni crudi, ma notevole era anche la presenza del legno. Gli impianti idraulici erano avanzatissimi: condotti fognari nascosti sotto terra o nei muri che scaricavano in mare, grondaie, tubi per portare negli appartamenti l'acqua piovana, quella proveniente da sorgenti montane o estratta da pozzi. Gli interni erano ben areati e illuminati con porte e finestre. I simboli del giglio e della doppia scure o bipenne abbondavano. Non stupisce che un tale intrico edilizio abbia fatto nascere la leggenda del labirinto (il termine labyrinthos, ossia palazzo, fu utilizzato dai Greci per designare un luogo in cui è difficile orientarsi), costruito dal mitico re Minosse per rinchiudervi un mostro, il Minotauro, uomo con testa di toro, frutto degli amori di sua moglie Pasifae con un tori inviato dal dio del mare Poseidone, che la leggenda vuole ucciso da Teseo con l'aiuto di Arianna.



Arte Micenea
La storia
Verso il 1400 a.C. in seguito alle invasioni dei popoli costieri della penisola ellenica, la potenza cretese declina e si afferma la supremazia di Micene, che governerà sul territorio del Peloponneso fino al 1100 a.C., (per la pressione e la superiorità militare dei dori gli Achei furono costretti ad abbandonare le loro sedi concentrate nell'Argolide, una regione montuosa del Peloponneso, per l'Asia minore), spostando sulla terraferma il centro della cultura dell'Egeo. A contatto con le popolazioni indigene, gli Achei, bene organizzati e bellicosi, fecero presto ad assorbire la più raffinata cultura e, nulla sapendo del mare, divennero in breve valenti marinai in grado di avventurarsi su rotte anche lontane per commerciare con l'Egitto, con l'Asia minore, con località del Mediterraneo occidentale. Tracce minoiche e achee si sono trovate persino nella Britannia, fonte primaria di approvvigionamento dello stagno (profili di armi e di altri oggetti sulle pietre di Stonehenge, il disegno di un labirinto di tipo minoico, ecc.). La società achea era di tipo patriarcale, in cui aveva grande importanza la famiglia monogamica. La donna godeva di rispetto e prestigio, e di moderata libertà. La religione contemplava il Fato, arbitro di tutte le cose, superiore anche al dio solare Zeus.
Architettura
E' nell'architettura che emergono le principali caratteristiche della civiltà micenea, una civiltà guerriera, lontana dallo spensierato edonismo della cultura cretese. Le principali costruzioni architettoniche del periodo miceneo sono le mura e i tholos. A Creta i grandi palazzi, compresi quelli di Knosso e di Festo, erano aperti, privi di opere difensive. Segno che i signori cretesi si sentivano sicuri e non temevano aggressioni né dall'interno e né dall'esterno. La realtà micenea era sotto questo profilo molto diversa: gli achei erano per tradizione e temperamento guerrieri e aggressivi. I loro maggiori centri erano fortezze, costruite su alture. Le mura delle città achee non appartengono alla prima fase della loro storia, ma all'ultima, quando le minacce dall'esterno sono aumentate. A Tirinto vennero edificate mura imponenti perché, nonostante fosse situata su una collinetta, era posta solo a un paio di chilometri dal mare e quindi abbastanza attaccabile. Otto metri mediamente lo spessore, sette l'altezza di questa muraglia, che a buon diritto gli antichi, come quella di Micene, chiamarono ciclopica. I costruttori usarono pietre, in parte squadrate in parte lasciate irregolari, fino a una certa altezza, semplicemente sovrapponendole e affidandone la stabilità al peso. Sopra questo basamento veniva posti i mattoni seccati al sole. Non diversa la tecnica costruttiva delle mura di Micene, città di superficie quasi doppia di quella di Tirinto (30 000 mq) e in posizione più sicura. La muraglia poligonale aveva uno spessore variante fra i sei e gli otto metri, e due ingressi, di cui uno, la porta dei Leoni, presentava un bastione sporgente, con quattro massicci pietroni a formare soglia, stipiti e architrave. Sull'architrave una lastra con ai lati due leoni separati da una colonna. Dalla porta dei Leoni partiva una scalinata che raggiungeva il palazzo reale costruito su terrazze ricavate nella roccia. Nel palazzo non c'era il cortile centrale come in quello cretese, ma un ampio locale allungato, il megaron, coperto da un soffitto sorretto da colonne lignee con basi di pietra nel quale un'apertura lasciava uscire il fumo del focolare centrale. Si accedeva al megaron attraverso un ingresso, un porticato e un'anticamera. Ai lati di questi locali, stanze d'abitazione, servizi, uffici, archivi, magazzini. Il gineceo era al piano superiore. Come materiali si usavano pietrisco, mattoni seccati al sole, legname, e come legante argilla. Gli impianti fognari e idraulici erano un po' meno sofisticati di quelli cretesi, ma efficienti. Molto disadorni in un primo tempo, questi palazzi si arricchirono via via di bei pavimenti, di eleganti pitture, di fini manufatti artistici e artigianali. Un'altra importante testimonianza dell'architettura micenea è il tholos, tomba dedicata alle sepolture regali; in essa appare uno dei primi esempi di cupola dell'antichità. Costruito tagliando una collina e disponendo grandi pietre in cerchi concentrici sovrapposti, fino a chiudere completamente la sommità dell'ambiente conico che ne deriva, il tholos viene successivamente ricoperto di terra, che ricostituisce la collina originaria. Un corridoio, lasciato libero fra due pareti di pietra, conduce all'accesso della tomba. All'interno in un piccolo ambiente scavato accanto al grande vano con la cupola. è collocato il sarcofago del re. A Micene, gli scavi archeologici del tedesco Schliemann, alla fine dell'800, hanno portato alla luce un ricchissimo corredo funerario, costituito da maschere d'oro lavorate a sbalzo, pettorali, gioielli, suppellettili varie, inizialmente ritenuto di Agamennone e dei suoi familiari, ma in realtà assai più antico. Dall'analisi di queste opere appare evidente la grandissima abilità raggiunta dagli Achei nella lavorazione del metallo, che già nel loro tempo, li rese famosi forgiatori di armi.
Arti minori
Possiamo individuare diverse fasi di sviluppo dell'arte micenea. I reperti situabili fra il XVIII e il XVI secolo a.C. denunciano una cultura ancora modesta: ceramiche, per esempio, molto semplici, a forma di globo, con fondi rosso lucidi oppure con fondi chiari ed elementari decorazioni rosso brune. Sul finire del XV secolo si afferma lo stile efireo, da Efira, la moderna Korakou presso Corinto, luogo dei ritrovamenti: si tratta di coppe con una decorazione floreale stilizzata. I reperti del secolo XIV a.C. attestano una situazione di grande benessere o addirittura di opulenza nel mondo acheo. I motivi della caccia e della guerra prevalgono nella pittura. E' possibile che parecchie di queste opere si dovessero ad artisti venuti da Creta. Un tema nettamente minoico per esempio si osserva nelle due splendide tazze auree rinvenute in una tomba a tholos di Vaphiò: la cattura e la doma di tori. Colpisce nei manufatti artistici achei la profusione di oro. Con la fine del XIV secolo a.C. si nota un ripiegamento, che corrisponde a un declino politico e militare. Dai grandi crateri, grossi vasi a bocca larga decorati con motivi guerreschi, si passa a oggetti più modesti, con ornamentazioni scheletriche, astratte, lineari.
La scultura non ebbe presso gli Achei grande sviluppo. Assente, si può dire, la grande statuaria; modesta la presenza di statuette in terracotta. Un po' più raffinate certe statuine in avorio, fra le quali famoso un gruppo con due donne e un bambino rinvenuto a Micene (XIII secolo a.C.). Con l'avorio si facevano anche contenitori di vario uso (per gioielli, per cosmetici). Un buon livello tecnico aveva raggiunto l'oreficeria.




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