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RIASSUNTO DELLA STORIA D'ITALIA DAI TEMPI PREISTORICI AD OGGI

LA STORIA D'ITALIA IN BREVE
 

Per "Storia d'Italia intenderemo per convenzione la storia dell'area geografica che comprende l'attuale Stato Italiano e le genti che l'hanno abitata sin da tempi remoti.
Antichi popoli di epoca preromana:
Le informazioni sulle genti abitanti la penisola in epoca preromana, sono in taluni casi incomplete e soggette a revisione continua. Popolazioni di ceppo indoeuropeo trasferitesi in Italia dall'Europa Orientale e Centrale in varie ondate migratorie (Latini, Liguri, Veneti, Etruschi, Tirreni, Umbri, Piceni, Latini, Volsci, Sabini, Sanniti, Campani, Iapigi, Messapi, Itali, Ausoni, Siculi, Bretii, Brutii, Enotri, Sicani, Siculi, Greci, Fenici.), si sovrapposero ad etnie pre-indouropee già presenti nell'attuale territorio italiano, o assorbendole, oppure stabilendo una forma di convivenza pacifica con esse. Presumibilmente queste migrazioni ebbero inizio in età del bronzo medio (e cioè attorno alla metà del II millennio a.c.), e si protrassero fino al IV secolo a.c. con la discesa dei Celti nella pianura padana. Fra i popoli di età preromana meritano una particolare menzione gli Etruschi che, a partire dall'VIII secolo a.c., iniziarono a sviluppare una civiltà raffinata ed evoluta che influenzò enormemente Roma e il mondo latino. Le origini di questo popolo non indoeuropeo stabilitosi sul versante tirrenico dell'Italia Centrale sono incerte. Secondo alcune fonti, la loro provenienza andrebbe ricercata in Asia Minore, secondo altre, avrebbero costituito una etnia autoctona.Certo è che già attorno alla metà del VI secolo riuscirono a creare una forte ed evoluta federazione di città-stato che andava dalla Pianura Padana alla Campania e che comprendeva anche Roma e il suo territorio. In Italia settentrionale accanto ai Celti (comunemente chiamati Galli), troviamo i Liguri (originariamente non indoeuropei poi fusisi con i Celti) stanziati in Liguria e parte del Piemonte mentre nell'Italia nord-orientale vivevano i veneti (paleoveneti) di probabile origine illirica o, secondo alcune fonti, provenienti dall'Asia Minore. Nell'Italia più propriamente peninsulare accanto agli Etruschi, cui abbiamo già fatto accenno, convivevano tutta una serie di popoli, in massima parte di origine indoeuropea fra cui: Umbri in Umbria, Latini, Sabini, Falisci, Volsci ed Equi nel Lazio; Piceni nelle Marche ed in Abruzzo Settentrionale, Sanniti nell'Abruzzo Meridionale, Molise e Campania, Apuli, Messapi e Iapigi in Puglia, Lucani e Bruzii nell'estremo Sud, Siculi, Elimi e Sicani in Sicilia. La Sardegna era abitata, fin dal II millennio a.c. dai Sardi, il risultato di un connubio tra le preesistenti popolazioni megalitiche presenti nell'Isola e il misterioso popolo dei Shardana. Alcune di queste popolazioni, stanziate nell'Italia meridionale e nelle isole, si troveranno a convivere, dall'VIII fino al III secolo a.c., con le colonie Greche e Fenicie (Puniche) successivamente assorbite dallo stato romano. Fra le popolazioni citate, oltre agli Etruschi, di cui si è già parlato, ebbero un ruolo importante in epoca preromana e romana i Sanniti, che riuscirono a costituire una importante federazione in una vasta area dell'Italia appenninica e che contrastarono lungamente (ed eroicamente) l'espansione romana verso l'Italia meridionale. Nell'area laziale, invece, un posto a se stante meritano i Latini protagonisti, assieme ai Sabini della primitiva espansione dell'Urbe e forgiatori, insieme agli Etruschi e ai popoli italici più progrediti (Umbri, Falisci ecc.) della futura civiltà romana.
La Magna Grecia:
Tra l'VIII ed il VII secolo a.C., coloni provenienti dalla Grecia cominciarono a colonizzare le coste del sud Italia e della Sicilia. Le prime componenti stabilitesi in Italia furono quella ioniche e quelle peloponnesiache: gli Eubei e i Rodii fondarono Kymai, Rhegion, Parthenope, Naxos e Zankle , i Corinzi Syraka, i Megaresi Leontinoi, gli Spartani Taras, mentre i coloni provenienti dall'Acaia fondarono Sybaris e Kroton. I contrasti fra le colonie greche e gli indigeni furono frequenti, ma i Greci cercarono di instaurare rapporti pacifici con le popolazioni locali, favorendo in molti casi un lento assorbimento delle stesse. La ricchezza e lo splendore delle colonie furono tali da far identificare l'Italia meridionale dagli storici romani con l'appellativo di Magna Grecia. A partire dal III secolo a.C. le colonie cominciarono a declinare nel loro splendore, a causa dell'ascesa di Roma. Secondo recenti studi genetici condotto da Luca Cavalli Sforza, i greci lasciarono un pesante apporto genetico tra le popolazioni del sud Italia.
Roma:
La fondazione di Roma avvenne nell' VIII Avanti Cristo secondo la leggenda da parte di Romolo e Remo, mentre in realtà, la presenza umana nell'area centrale dell'Urbe è documentata fin dal X secolo a.C.. In epoca regia (date tradizionali 753-509 a.C.) la civiltà romana conobbe una prima fase di espansione. L'unificazione della penisola e delle isole principali venne completata nel periodo della repubblica (509-27 a.C.), e precisamente nel III secolo a.c.,dopo la vittoria nella I e II guerra punica su Cartagine. Nel I secolo d.C. Roma dominava il Mediterraneo, ma a seguito di alcune lotte interne, si ebbe l'evoluzione da repubblica ad impero. Il governo nei territori controllati da Roma fu caratterizzata dal rispetto delle culture locali e dallo sviluppo economico, anche grazie alla realizzazione di grandi infrastrutture. Sul finire del IV secolo iniziò una lunga serie di invasioni barbariche ad opera di Visigoti, Unni ed Ostrogoti. L'impatto di questo tragico evento dette un forte impulso alla divisione del mondo romano in un Impero Romano d'Occidente, che però si sfaldò ancor prima della fine de V secolo, ed in un Impero Romano d'Oriente (o Impero Bizantino), che sopravvisse per un ulteriore millennio.
Il Medioevo:
Dopo la perdita di unità politica a seguito della fine del controllo di Roma nel V secolo d.C., nella penisola continuarono le invasioni e le lotte interne, che portarono ad una rapida successione di piccoli stati, principati e regni, spesso vittime delle mire espansionistiche delle potenze straniere. L'unica potenza in grado di conservare e continuare la cultura latina fu la Chiesa, sia con il Monachesimo, sia con la creazione di un potere temporale concretizzatosi nel centro Italia con lo Stato della Chiesa. Questo si dimostrò in grado di contrapporsi a nuove invasioni, come quelle Longobardi, ed all'influenza di altre potenze europee, come quella dei Franchi, dell'Impero Bizantino e del Sacro Romano Impero. Per quanto riguarda il meridione, nell'XI secolo si ebbe un invasione da parte dei Normanni, i quali riuscirono a sviluppare un forte controllo del territorio, continuato con l'invasione spagnola, al contrario di quanto avveniva con il progressivo sfaldamento del Feudalesimo al nord.
Il Rinascimento:
A partire dall'inizio del XI secolo, le turbolenze politiche portarono ad una crescente autonomia delle città italiane del centro-nord, che fu la premessa per la ripresa del commercio e l'industria, con l'inizio di una nuova era di prosperità economica e culturale, che durò fino al XVI secolo e portò al grande sviluppo intellettuale ed artistico del Rinascimento. Per difendere la propria autonomia dall'Impero al nord e dalle invasioni arabe al sud, i Comuni iniziarono a costituire leghe che non furono mai, però, sufficientemente robuste per opporsi all'influenza papale o feudale a causa di forti rivalità interne. Si segnalarono, però, alcune città, come Milano (città del Regno d'Italia, e quindi dell'Impero) per quanto riguarda la lotta contro il potere imperiale e Forlì (città nominalmente compresa nello Stato della Chiesa) per quanto riguarda la lotta contro il dominio pontificio. Il protrarsi degli scontri tra impero e chiesa, poi, portò nel XIII secolo allo suddivisione di nobili e città nei due schieramenti dei Guelfi e Ghibellini. Altro fenomeno che vide unite motivazioni politiche e religiose furono le Crociate, spinte dalla volontà di contrapposizione verso il crescente potere islamico e di espansione verso i commerci con l'oriente. Per quanto riguarda le forme di governo, si assisteva all'affiancamento di governi legati a famiglie nobili e Signorie (come i Visconti e gli Sforza a Milano, i Gonzaga a Mantova, gli Este a Ferrara, gli Ordelaffi a Forlì, ed i Savoia, in realtà rappresentanti dell'antica feudalità) a forme di governo repubblicane (come a Venezia, Genova e Firenze, quest'ultima prima dell'avvento dei Medici).
La Dominazione straniera:
Nel XVI secolo gran parte degli stati italiani furono sconfitti e conquistati da potenze straniere, quali la Spagna al sud e l'Austria al nord. Tra gli effetti di queste dominazioni vi fu l'asservimento dei paesi locali con forti contributi, che minarono il loro tessuto economico. Inoltre, l'Italia soffrì lo spostamento dei commerci dal Mediterraneo all'Atlantico ed il blocco dello sviluppo culturale conseguente alla Controriforma, con il risultato dell'inizio di un lento declino. In questa situazione di crisi economica e sociale, la Rivoluzione Francese accese le speranze per un ritorno all'indipendenza dalla potenze straniere, aspirazioni che vennero deluse dal sostanziale assoggettamento alla Francia a seguito delle Campagne napoleoniche. La restaurazione vide la fine anche delle ultime realtà autonome, come Venezia passata all'Austria e la Liguria passata al Regno di Sardegna.
Il Regno di Sardegna:
Il "Regno di Sardegna e Corsica" fu il precursore del successivo Regno d'Italia. Ebbe inizio formalmente a Roma - nell'antica Basilica di San Pietro - il 4 aprile del 1297, allorché papa Bonifacio VIII, per risolvere la contesa tra Angioini e Aragonesi circa il regno di Sicilia (che aveva scatenato i moti popolari passati alla storia come Vespri siciliani e la conseguente guerra del Vespro), investì il re d'Aragona Giacomo II dello jus invadendi sulla Sardegna e sulla Corsica.
Nel 1297 nacque dunque lo Stato nominale del Regno di Sardegna, che fu poi realizzato giuridicamente e territorialmente dai Catalano-Aragonesi il 19 giugno 1324, uno Stato vero e proprio, con un territorio ben definito, con un popolo, ed un vincolo giuridico, ma comunque imperfetto, perché non ancora dotato di somma potestà, ossia della facoltà di stipulare autonomamente trattati internazionali. Il regno di Sardegna andava a far parte del variegato complesso di Stati che formavano la Corona d'Aragona e, dal 1479 in poi, la Corona di Spagna. Divenne unitario solo nel 1420, quando gli Aragonesi, sconfitto definitivamente il trono giudicale di Arborea, ultimo a capitolare, ne incamerarono i territori. In seguito alla Guerra di Successione spagnola, la necessità di riequilibrare il quadro politico europeo consegnò il regno sardo prima all'Austria asburgica, poi, dopo una breve rioccupazione spagnola, ai Savoia (1720), che così poterono fregiarsi del titolo monarchico. Il Regno di Sardegna sostituiva quello di Sicilia, precedentemente promesso alla casa sabauda, ma poi affidato ai Borbone. Ai Savoia rimasero anche gli altri territori ereditari della Casata: il Ducato di Savoia (culla della famiglia reale), il Principato di Piemonte con i ducati di Aosta e di Monferrato, la Signoria di Vercelli, la Contea di Nizza e di Asti, il Marchesato di Saluzzo e parte del Ducato di Milano. I possedimenti territoriali sabaudi divennero dunque un'entità composta, formata dall'unione di più Stati, uniti sotto la corona del re di Sardegna. Dietro richiesta delle borghesie liberali delle città sarde (ossia, nel contesto dell'Isola, un'esigua ma influente minoranza), il 3 dicembre 1847, il re Carlo Alberto concesse la fusione dello stato sardo con gli altri territori della terraferma. Si formò così un'entità statuale unitaria. Con la fusione (detta anche Unione Perfetta), cessarono di esistere il Parlamento Sardo (gli antichi Stamenti), la corte suprema (la Reale Udienza) e la carica viceregia. Fu così sancita la conclusione di diritto della statualità autonoma sarda. Il 4 marzo 1848, Carlo Alberto, dal palazzo regio di Torino, promulgò lo Statuto Fondamentale del Regno attraverso il quale il potere legislativo veniva esercitato dal re e da due camere: quella del Senato composta da persone nominate a vita dal sovrano, e quella elettiva, formata da deputati eletti nei collegi elettorali. Il 17 marzo 1861, con il compimento della prima unità d' Italia (mancavano ancora Roma e Venezia), con la legge 4671 del 17 marzo 1861, il re Vittorio Emanuele II proclamava il Regno d'Italia, assumendo per sé e per i suoi successori il titolo di re d'Italia. Secondo gli studiosi costituzionalisti, non vi fu mai costituzione ex-novo di una entità politica statale: l'appellativo di regno d'Italia fu solo il nuovo nome assunto dallo Stato Sardo per adeguarsi alla nuova situazione creata con le annessioni del 1859 e del 1860 e l'attuale Stato italiano non è altro che l'antico Regno di Sardegna.
Dal 19 giugno 1324 al 10 giugno 1326, la prima capitale del Regno fu la roccaforte aragonese di Bonaria (oggi completamente inglobata nella città di Cagliari). Poi, ininterrotamente, dal 10 giugno 1326 fino al 17 marzo 1861 - quando il Regno di Sardegna confluì nel nascente Regno d'Italia - la capitale fu la città di Cagliari[1]. I sovrani in realtà non vi risiedettero stabilmente, preferendo Barcellona o Saragozza durante il periodo Catalano-Aragonese, o Torino, quando il Regno passò invece ai Savoia, ma nominarono al governo del regno un Viceré il quale governava in nome e per conto del sovrano, con pieni poteri tra cui la facoltà di convocare e presiedere gli Stamenti. Nel palazzo regio di Piazza Castello soggiornarono, per brevi o lunghi periodi, vari re tra i quali Pietro IV il Cerimonioso dal 6 gennaio al 26 agosto 1355; nel 1421 Alfonso IV il Magnanimo; Carlo I di Spagna(Carlo V Imperatore) nel 1533, mentre i Savoia vi si trasferirono completamente durante l'occupazione napoleonica del Piemonte. Nonostante i documenti storici indicano sempre Cagliari come capitale ufficiale del Regno, in epoca moderna alcuni scrittori preferiscono indicare Torino, in quanto nella città piemontese si concentravano tutte le funzioni politiche dello Stato.
Il Regno ebbe come emblema lo scudo con quattro teste di Moro inquartate in croce rossa in campo bianco. Nel regno di Sardegna e Corsica questo stemma apparve per la prima volta nel 1370, con le teste dei Mori sprovviste di bende. L'origine del simbolo non è ben documentata ma si possono trovare tracce storiche già dal 1281. L'avvenimento che sembra dare una valida spiegazione, risale al 1096, quando il re Pietro I d'Aragona, nella battaglia di Alcoraz, sconfisse una coalizione di quattro re arabi. Il Re attribuì quella vittoria all'intervento provvidenziale di San Giorgio. Sulla croce rossa in campo bianco - simbolo del santo - comparvero più tardi negli stendardi del regno d'Aragona, quattro teste nere con le bende sulla fronte, a simboleggiare i quattro re sconfitti. Lo stemma fu adottato anche durante l'amministrazione sabauda e comparve nelle bandiere e negli stendardi del Regno di Sardegna con l'aggiunta dell' aquila sabauda fino all'adozione del tricolore durante il Risorgimento.
Durante il XIII secolo, al tempo di Pietro il Grande, la corona di Aragona era protesa verso un'audace espansione politica e mercantile su tutta l'area mediterranea, in netta concorrenza con le marinerie pisane, genovesi e veneziane alle quali contendeva il predominio sui ricchi mercati orientali. Grazie ad una rotta d'altura (ruta de las islas), attraverso le isole Baleari, la Sardegna, la Sicilia, la Grecia e Cipro, e per mezzo di empori lungo queste tappe intermedie, i catalani riuscivano a dimezzare i tempi di percorenza delle navi mercantili, con un gran risparmio sui costi sulla tratta da Barcellona a Beirut. La Sardegna, per la sua posizione strategica, era una base indispensabile per questo audace progetto in quanto i suoi porti costituivano un approdo ideale per le navi che percorrevano quelle rotte. Da quando poi - Giacomo II d'Aragona - ricevuta la corona del regno di Sardegna e Corsica, si trovò nella condizione di non poter sostenere economicamente la dispendiosa conquista militare e si trovò nella necessità di invocare l'aiuto dei suoi sudditi, allora l'Isola rappresentò per i catalano-aragonesi una terra che prometteva facili arrichimenti. Rispondendo positivamente al loro sovrano, contribuirono in prima persona al finanziamento delle spedizioni militari, spinti dalla certezza di una lauta ricompensa. A conquista avvenuta, infatti, il re ricompensò e premiò generosamente chi aveva contribuito al successo, distribuendo cariche, prebende, terre e privilegi. La presa di possesso del Regno - come di consueto a quei tempi - fu dunque un'operazione militare vera e propria e si verificò solamente nel 1324, sottraendo i territori della Gallura e del cagliaritano ai pisani. In quell'anno, nei pressi dell'attuale Cagliari, nacque il primo nucleo territoriale del regno di Sardegna. Ecco i principali avvenimenti che portarono alla sua unificazione:
Le due isole in realtà erano già stabilmente conformate politicamente e fu in totale spregio della loro autonomia che il Papa dava al re d'Aragona piena licentia invadendi, cioè il permesso di occuparle militarmente per dare vita al Regno di Sardegna e Corsica. I quattro Regni Sardi nell' Età dei Giudicati I quattro Regni Sardi nell' Età dei Giudicati I Regni di Calari, di Arborea, di Torres e di Gallura erano Stati sovrani, ciascuno dei quali superiorem non recognoscens, formatisi come conseguenza dell'isolamento cui fu costretta l'Isola in seguito all'espansione islamica nel Mar Mediterraneo, tra VIII secolo e IX secolo d.C., ed al conseguente ritiro da parte dei Bizantini. Dopo la conquista araba della Sicilia, il territorio sardo si ritrovò già diviso in più entità autonome, sull'orma della suddivisione amministrativa bizantina. Ben presto queste entità amministrative presero fisionomia in quattro regni indipendenti, i loro territori corrispondevano infatti a quelli dei quattro lociservatores che l'amministrazione bizantina aveva lasciato in eredità. L'origine storica dei regni sardi medievali risiederebbe, quindi, nell'evoluzione delle antiche circoscrizioni bizantine in entità sovrane autonome.
Le Repubbliche Marinare di Pisa e di Genova avevano aiutato i Sardi a liberarsi dalle scorrerie barbaresche, ma l'aiuto prestato ebbe come conseguenza una loro sempre più crescente ingerenza, fino a quando non la occuparono militarmente e si spartirono tre dei quattro regni, fino ad allora rimasti indipendenti: il Guidicato di Cagliari, quello di Gallura e quello di Torres. Estese aree costiere, lungo tutta la costa orientale, dal Cagliaritano fino alla Gallura, costituivano invece i territori d'oltremare del Comune di Pisa, mentre vasti erano i possedimenti delle ricche famiglie dei Doria, dei Malaspina e dei Donoratico nella parte nord occidentale. La Corsica, dal 1299 apparteneva stabilmente alla Repubblica di Genova e, nonostante i vari tentativi di invasione, non fu mai conquistata.
Il regno di Arborea, più forte e meglio organizzato degli altri, rimase sempre indipendente. Gli arborensi, fieri e coraggiosi, difesero strenuamente la loro autonomia e aspre furono infatti le guerre che gli aragonesi sostennero per unificare l'isola. Il Regno di Sardegna fù svariate volte sul punto di soccombere definitivamente e di scomparire. Per lunghi periodi si era ridotto unicamente alle città fortificate di Cagliari e di Alghero, mentre tutto il restante territorio isolano era in mano arborense.
L'alleanza con Ugone II Scaturito da un errato calcolo politico, il contributo militare dato dai Sardi arborensi alla realizzazione di una testa di ponte sull'isola, per conto del regno di Sardegna e Corsica, fu determinante. Ugone II infatti si alleò con Giacomo II di Aragona con l'intenzione poi di diventare suo luogotenente nei territori conquistati al Comune di Pisa. Anche se già legittimamente sovrano del suo regno, ambiva governare direttamente ed indirettamente tutta la Sardegna e la Corsica. Prima ancora dell'arrivo degli Aragonesi, l' 11 aprile 1323, le sue truppe attaccarono autonomamente i pisani nei pressi di Sanluri. Chiese poi aiuto al re di Aragona che prontamente il 15 maggio inviò nell'isola tre navi cariche di soldati al comando di Gherardo e Dalmazzo de Rocabertì. Queste truppe costituivano l'avanguardia di quella che sarebbe stata la forza di invasione vera e propria, formata da 53 galere e undicimila soldati, che sbarcò nel Sulcis il 13 giugno. Il l2 marzo 1324, le truppe arborensi collaborarono alla presa di Castel di Castro che si arrese il 19 giugno. Nel trattato di resa, sottoscritto da vincitore anche da Ugone II, i pisani consegnarono al regno di Sardegna e Corsica tutti i loro possedimenti nel cagliaritano e nella Gallura, tenendosi però la città di Cagliari.
Gli anni che seguirono lo sbarco sull'isola furono per il regno assai tormentati. Nel 1347, con la salita al trono di Mariano IV di Arborea, figlio di Ugone II Cappai de Baux e fratello di Pietro III che lo precedette nel trono, iniziò un lungo periodo di guerre accompagnato da terribili epidemie di peste. Intelligente e colto, Mariano IV si rese ben presto conto che l'Isola era troppo stretta per due Stati sovrani. La guerra fu dichiarata dalla Corona de logu nel settembre 1353. Il suo esercito invase il cagliaritano, catturò in uno scontro Gherardo Della Gherardesca, comandante dei Catalano-Aragonesi e assediò Castel di Castro non riuscendo comunque ad espugnarlo. Nel nord dell'isola le sue truppe, insieme a quelle alleate dei Doria, riuscirono invece a prendere Alghero e posero sotto assedio la città di Sassari. Il re Pietro il Cerimonioso reagì inviando in Sardegna una spedizione militare. Giunta nell'isola fallì però miseramente l'intento di fermare i Sardo-giudicali. L' 11 luglio 1355 fu firmata la pace di Sanluri: Alghero fu restituita al re di Sardegna e Corsica. Dopo un decennio di pace, Mariano IV munito di una licenza invadendi rilasciata dal pontefice Urbano V in quanto il re d'Aragona non pagava alla Chiesa in censo pattuito al momento dell' incoronazione, il 18 ottobre 1365, riprese la guerra sempre più deciso ad unificare l'isola per diventarne l'unico sovrano. Per fronteggiare la nuova minaccia, Pietro il Cerimonioso allestì prontamente una nuova spedizione militare, al comando di Pietro Martinez de Luna. Sbarcati sull'isola, dopo una furiosa e sanguinosa battaglia nei pressi di Oristano, nel giugno 1368, gli iberici furono duramente sconfitti. Ormai padrone della Sardegna, portò avanti il suo disegno unificatore, continuò la guerra e mise sotto assedio la città di Sassari, questa volta espugnandola. Al Regno di Sardegna e Corsica non restavano che le sole città di Cagliari e di Alghero, che resistevano ancora, rifornite via mare. Non riuscì però a coronare il suo sogno: proprio mentre si apprestava a dare la spallata finale, nell'estate del 1376, all'età di 57 anni morì di peste.
Alla morte di Mariano IV Cappai de Baux salì al trono il figlio Ugone III. Ricordato come un sovrano crudele, continuò la politica di ostilità nei confronti del regno di Sardegna. Fu comunque un abile diplomatico, riusci infatti a far sposare la sorella Eleonora con Brancaleone Doria, erede delle terre logudoresi dei Doria. Ugone fu ucciso dal popolo in rivolta perché divenuto crudele e tiranno (il bannus-consensus) e la Corona de Logu chiamò a regnare Federico Doria Cappai, figlio primogenito di Eleonora e di Brancaleone. Avendo però 6 anni, governò per suo conto la madre. Eleonora fu dunque una regina-reggente e lo fu anche per l'altro figlio, Mariano V Doria Cappai, divenuto re quando morì Federico all'età di 10 anni. La sua fama oltrepasserà i confini dell'isola e diventerà per il popolo sardo un simbolo di indipendenza e di libertà. Nel 1395 promulgò la Carta de Logu, un insieme di leggi che nel codice civile e in quello rurale, sintetizzavano la concezione statale che i sardi si tramandavano - secondo alcuni - sin dall'epoca della civiltà nuragica.
Fu il marito Brancaleone - però - che condusse la guerra contro il regno di Sardegna e Corsica, continuando il sogno unificatore di Mariano IV. Il 1° aprile 1391 ricusò la pace del 1388 e alla testa del suo esercitò, il 16 agosto, occupò Sassari. Sempre con il figlio Mariano al fianco, invase i territori aragonesi della costa nord orientale, prendendo il castelli della Fava, di Galtellì, di Pedreso e di Bonvehì. Ben presto conquistò tutta la Sardegna settentrionale, rimase in mano aragonese solo Alghero e Longosardo. A settembre si diresse verso Sud e il 3 di ottobre con il suo esercito entrò a Villa di Chiesa e occupò tutto l'Iglesiente: in meno di sei mesi, il regno di Sardegna e Corsica si era nuovamente ridotto alle sole città di Alghero e di Cagliari. Tutto il resto era nuovamente Sardegna arborense.
Verso la fine del XIV secolo e gli inizi del XV secolo, la Sardegna subì i devastanti effetti della Morte nera che già aveva seminato morte in tutta Europa. L'epidemia si diffuse in tutta l'isola decimando città e villagi già fortemente provati dalle estenuanti guerre. Ovunque regnava morte e disperazione e in questo scenario apocalittico anche le operazioni militari si fermarono. Morì Eleonora, mori anche il figlio Mariano V senza lasciare eredi. Alla Corona de Logu non restò che affidare il Regno agli eredi di Beatrice Cappai de Baux, figlia di Mariano IV e moglie di Amerigo VI, visconte di Narbona; suo nipote, Guglielmo III di Narbona, fu allora designato giudice. Intanto, approfittando dei problemi di successione al trono arborense, il 6 ottobre 1408, un potente esercito, al comando di Pietro Torrelles, generale di Martino I il Giovane, re di Sicilia ed erede alla corona di Aragona, sbarcò a Cagliari. L'8 dicembre arrivò sull'isola anche Guglielmo III di Narbona ed il 13 gennaio 1409 fu incoronato ad Oristano re di Arborea. Dopo svariati tentativi di trovare un accordo diplomaticamente, non riuscendo a trovare nessun compromesso, la guerra fu inevitabile. I primi scontri avvennero in mare, quando il 1° giugno 1409, nel Golfo dell'Asinara la flotta catalano-aragonese distrusse 6 galere genovesi mandate in aiuto agli arborensi, mentre il 30 giugno, le campagne di Sanluri furono teatro della battaglia[2] decisiva tra il regno di Sardegna e Corsica ed il regno di Arborea. L'esercito di Guglielmo III di Narbona era conposto da 17 mila fanti arborensi, duemila cavalieri francesi e mille balestrieri genovesi. L'esercito del regno di Sardegna e Corsica era composto invece da ottomila fanti e tremila cavalieri siciliani, aragonesi, valenzani e balearini. Meglio armati ed organizzati, sfondarono la parte centrale dello schieramento arborense, dividendolo in due tronconi. La battaglia fu durissima e si risolse in una vera disfatta per i sardo-giudicali.
Venticinque giorni dopo la battaglia, Martino il Giovane morì improvisamente di malaria ed al suo posto, Pietro Torrelles, già suo luogotenente, continuò la guerra. Il 17 agosto 1409, nei pressi di Santa Giusta, si svolse la Seconda battaglia e questa volta furono i catalano-aragonesi a subire gravissime perdite, sul campo lasciarono più 6.500 morti. Ma inspiegabilmente, Pietro Cubello, comandante degli arborensi al posto di Guglielmo di Narbona - andato in Francia per cercare rinforzi - non sfruttò appieno il vantaggio militarmente acquisito e si ritirò in Oristano. Intanto affluivano ingenti rinforzi dalla Spagna e ben presto, riorganizzatisi, gli iberici espugnarono Bosa e misero sotto assedio Oristano. A questo punto della guerra, per motivi sconosciuti, Pietro Cubello, il 29 marzo 1410, si arrese senza combattere. Molti storici pensano ad una collusione con il nemico, anche perché di li a poco, ricevette in feudo - dal re di Sardegna - il Marchesato di Oristano.
Ma il regno di Arborea, benché avesse perso la sua capitale e i territori storici, era ancora vivo e controllava tutta la Sardegna nord orientale. La capitale venne spostata a Sassari e Gugliemo III di Narbona, rientrato nell'isola, manteneva vivo il conflitto, aiutato dai genovesi e da Nicolò Doria, figlio di Brancaleone Doria. Espugnò il castello di Longosardo per poi minacciare direttamente Oristano. Il 6 maggio 1412, cercò di impadronirsi di Alghero al comando di un esercito composto da francesi e sassaresi, ma i catalani li respinsero. Ma con il passare del tempo, il regno si avviava ormai verso una inesorabile decadenza. Malvisto dai sardi giudicali e sfiduciato, il 25 maggio 1414, Gugliemo III cercò un accordo con il Re di Sardegna. Gli vennero offerti 100.000 fiorini d'oro, ma improvvisamente, Ferdinando I di Aragona morì prima di arrivare ad una conclusione.
Al suo posto, salì a sul trono della Corona il figlio Alfonso IV di Aragona. Con lui al potere, la corona raggiunse la massima estensione territoriale e prese sul serio l'idea di unificare definitivamente tutti i territori del regno di Sardegna e Corsica. Da tempo in Spagna si stava allestendo una poderosa flotta per invadere la Corsica. Senza indugi, ruppe unilateralmente la pace con Genova e i vari trattati sottoscriti. Volle comunque portare prima a termine le trattative - già intavolate dal padre - per l'acquisto dei diritti sulla corona di Arborea. Il 17 agosto 1420, ad Alghero, dopo più di cinque secoli, per 100.000 fiorini d'oro finì per sempre il Regno di Arborea. Di li a poco, intanto, la spedizione contro la Corsica andò incontro ad un completo fallimento.
Dopo la morte di Leonardo Cubello, marchese di Oristano e conte del Goceano, e del figlio Salvatore (1470), il marchesato fu rivendicato da Leonardo De Alagòn in quanto discendente per parte di madre ai Cubello. La rivendicazione di Leonardo, però, incontrò l’opposizione del viceré Nicola Carros, discendente di Ugone II di Arborea per parte di madre. A causa di queste tensioni fra opposte fazioni, ad Oristano scoppiò una rivolta capeggiata da Leonardo De Alagòn. Il 14 aprile 1470, l'esercito del viceré - che si apprestava ad occupare la città e a sedare i disordini - fu sconfitto dai rivoltosi nella battaglia di Uras. Nicolò Carros riferì al Re di Sardegna del pericolo che il Principe dei sardi rappresentava, temendo che potesse scatenare una rivoluzione generale su tutta l'Isola. Infatti il malcontento verso gli aragonesi aumentava tra gli arborensi che non avevano mai abbandonato il sogno di un'Isola tutta indigena. Giovanni II allora, dopo aver concesso a Leonardo l’investitura del marchesato, allarmato, sentenziò nei confronti di tutta la famiglia Alagòn - una terribile condanna di morte e la confisca di tutti i beni concessi. A quel punto nel 1475, la rivolta si allargò ulteriormente e Leonardo de Alagòn, riallacciandosi alle eroiche gesta dei Giudici di Arborea, che combatterono contro il Regno di Sardegna in difesa dell'indipendenza del loro regno, radunò sotto le insegne del glorioso giudicato, tutte quelle popolazioni dell’Isola insofferenti del dominio straniero. Dalla Spagna e dagli altri stati della Corona furono inviati rinforzi, mentre sull'Isola una violenta epidemia di peste bubbonica devastava i villaggi e le città. Al grido di Arborea Arborea, insorsero contro il regno di Sardegna le regioni della Barbagia, del Goceano, il Marghine, il Mandrolisai, i Campidani, e tutta l'isola fu scossa da violenti tumulti.
La battaglia decisiva fu preceduta da sanguinosi scontri a Mores e ad Ardara. Il 19 maggio 1478, l'esercito del viceré sorprese i sardi ribelli nei pressi di Macomer. Lo scontro fu durissimo. Leonardo de Alagòn fu sconfitto dalle soverchianti forze aragonesi, formate da contingenti di spingarderos e armate con potenti artiglierie giunte dalla Sicilia. Artale, il figlio di Leonardo morì combattendo. Sul campo perirono dagli 8.000 ai 10.000 uomini. Leonardo de Alagòn fuggi a Bosa da dove si imbarcò per raggiungere Genova. In alto mare fu però tradito, fatto prigioniero e consegnato all'ammiraglio aragonese Giovanni Villamarì che lo condusse a Valenza. Condannato a morte, successivamente la pena gli fu tramutata in carcere a vita. Fu rinchiuso nel castello di Xativa, dove morì il 3 novembre 1494.
Con la riconquista di Granada - il 2 gennaio 1492 - si realizzò pienamente la riunificazione dei regni iberici, assiduamente perseguita da Ferdinando II di Aragona e da Isabella di Castiglia. Dopo il loro matrimonio celebrato a Valladolid il 17 ottobre 1469, con un accordo conosciuto anche come la concordia di Segovia, nel 1475, i due sovrani avevavo giurato di non fondere le due corone in un unico Stato e ciascuna entità conservò le sue istituzioni e le sue leggi. Entrambi infatti si chiamarono: re di Castiglia, di Aragona, di Leòn, di Sicilia, di Sardegna, di Cordova, di Murcia, di Jahen, di Algarve, di Algeciras di Gibilterra, di Napoli, conti di Barcellona, signori di Vizcaya e di Molina, duchi di Atene e di Neopatria, conti di Rossiglione e di Serdagna, marchesi di Oristano e conti del Goceano. Da questo momento le due isole gemelle del Tirreno vennero separate nelle intitolazioni regie e - tranne che per il papato - il regno di Sardegna e Corsica si chiamò in tutta Europa unicamente regno di Sardegna. L'Isola sotto la potente corona di Spagna, divenne un mondo più propriamente spagnolo. Dopo la sconfitta subita da Leonardo de Alagon nel 1478, i nuovi arrivati infatti adottarono un indirizzo politico mirante a raggiungere il completo controllo del territorio, sia attraverso i feudatari nelle campagne che con gli ufficiali reali nelle città non infeudate.
Tre mesi dopo la riconquista antimusulmana, i re cattolici diedero inizio all'impresa di Cristoforo Colombo. Dopo il 12 ottobre 1492 iniziò per il mar Mediterraneo il suo repentino declassamento a favore dell' oceano Atlantico. Proprio mentre tutta l'Europa era sconvolta da importanti cambiamenti culturali ed economici, il sistema feudale oramai scomparso negli altri Stati, nel regno di Sardegna rappresentò invece uno degli aspetti più caratteristici dell'organizzazione spagnola. Il feudo fu il mezzo con il quale la Corona di Aragona ricompensò la nobiltà aragonese, catalana e valenzana che, sia attraverso donativi, sia personalmente, aveva contribuito alla conquista del Regno. Ma fu anche - nel quadro dell'ordinamento costituzionale e amministrativo - un effettivo organo di governo e di presidio del territorio. Con l'infeduazione passavano al feudatario tutti i poteri spettanti al sovrano, sia sulla terra che sugli abitanti, esclusi pochi diritti riservati alla Corona, quali l'obbligo di prestazioni militari e l'obbligo di un donativo annuo in proporzione al numero degli abitanti il feudo. Una delle prime conseguenze di questo (già allora) antiquato sistema, fu la scomparsa delle antiche classi rurali: scomparvero i grandi proprietari di terre così come le classi più umili che lavoravano la terra, con la conseguente disparizione delle colture e con l'impoverimento generale delle campagne. Ed infatti, i problemi più gravi e mai risolti restarono proprio quelli riguardanti le contrade agricole. Anche se costantemente furono poste all'attenzione dei rappresentanti spagnoli le questioni relative la dura vita condotta dai contadini, in pratica non fu mai fatto niente per migliorare la loro condizione. Ai tanti stenti si aggiunsero poi anche le epidemie di peste e di colera che falcidiarono l'Isola mietendo numerosissime vittime, oltre a quelle che annualmente già provocavano la malaria e le carestie. In quel periodo si andava così completando assai velocemente il processo di spopolamento del Regno: dopo l'epidemia di peste del 1680, negli anni che vanno dal 1678 al 1688, la popolazione passò da 337.000 a 253.000 abitanti. Quando poi in Spagna fu decisa la riorganizzazione del tribunale dell'Inquisizione, il provvedimento fu esteso anche al regno di Sardegna e tra i processi più clamorosi intentati dagli inquisitori, è da ricordare quello contro Sigismondo Arquer, accusato di luteranesimo e mandato al rogo, a Toledo, nel 1571. Alla fine del XVII secolo ed agli inizi del XVIII secolo, quando la corona di Castiglia lasciò il regno ai sovrani sabaudi, le condizioni economiche e sociali isolane furono veramente deprimenti.
Alleati con i francesi e con i pirati barbareschi tunisini e algerini guidati da Kair ed-Din (chiamato Barbarossa), i Turchi di Solimano II il Grande razziarono costantemente le coste spagnole, italiane e sarde. Nel 1509 avevano messo a ferro e a fuoco Cabras, nel 1514 Siniscola subiva la stessa sorte e l'anno dopo ancora Cabras. Nel 1520 devastarono Sant'Antioco, Pula, Carbonara. Nel 1520 i francesi assalirono Castellaragonese (l'odierna Castelsardo), Terralba e Uras nei pressi di Oristano. Carlo I, allora sovrano del regno di Spagna, tentò di porre rimedio al flagello dei pirati barbareschi e, radunata a Cagliari una grande flotta, nel luglio del 1535, si diresse contro la loro principale base, situata a Tunisi, senza però conseguire apprezzabili risultati visto che le scorrerie continuarono ancora. Nel 1538 i predoni saccheggiarono Porto Torres, nel 1540 fu la volta di Olmedo. Nel tentativo di porre rimedio a questa piaga, nel 1541, fu allora allestita un'altra spedizione, avente come obiettivo di assalire Algeri, ma la flotta fu distrutta da una terribile tempesta prima ancora di raggiungere la costa maghrebina.
Dopo la battaglia di Lepanto nel 1571 contro Alì Pascià, a cui prese brillantemente parte il Tercio de Cerdeña - sotto il comando del fratello del Re di Sardegna, Don Giovanni d'Austria - e dopo la temporanea presa di Tunisi nel 1573, dal 1577 l'importante base barbaresca venne riconquista dai musulmani e da allora la pressione turca nel Mar Mediterraneo aumentò ulteriormente. Gli Spagnoli persero l'avamposto africano più orientale e furono obbligati ad arretrare la frontiera difensiva. Il regno di Sardegna, che fino ad allora aveva avuto un ruolo secondario nello scacchiere difensivo mediterraneo, da allora in poi divenne un avamposto contro l'espansione ottomana: nell'Isola passava quel confine invisibile che costituiva la frontiera tra paesi cristiani e musulmani. Si pose allora, urgentemente, il problema del potenziamento delle difese costiere e delle tre più importanti piazzeforti marittime: la capitale del Regno, la città di Alghero e la rocca di Castellaragonese, che costituivano l'ossatura nevralgica del sistema difensivo.
Le incursioni barbaresche intanto diventavano ancora più incessanti e non davano tregua. Per proteggere le popolazioni, come negli altri Stati della Corona, anche il regno di Sardegna si dotò di una rete difensiva costiera. A partire dal 1572, sotto la direzione di Marco Antonio Camos, si iniziò la costruzione di torri di avvistamento, poste in vista una dell'altra in modo da allertare la popolazione. Alla fine del Cinquecento quelle costruite sul mare erano ben 82. Dei grandi padelloni in ferro battuto, collocati in cima alle torri, servivano da contenitori per bruciare l'erica bagnata ed il bitume: si formava così un fumo denso e scuro, ben visibile da lontano. Ma nonostante gli sforzi sostenuti per rafforzare la sicurezza dell'Isola, la difesa continuava ad essere abbastanza precaria anche perché le torri avevano il compito di segnalare l'imminente pericolo e dare l'allarme, ma gran parte di esse erano prive di adeguate guarnigioni e di armamento pesante. Si possono ancora ammirare lungo la costiera sarda un centinaio di queste torri: nella parte settentrionale da Stintino fino a Santa Teresa di Gallura, da Posada a Villasimius lungo la parte orientale, nonché da Carloforte ad Alghero, sulla costa occidentale. Restarono attive fino al 1815, quando dopo il Congresso di Vienna venne imposto agli Stati barbareschi la fine della tratta degli schiavi. Furono smilitarizzate nel 1867 dal nascente Regno d'Italia.
Iniziata in Boemia nel 1618 tra cattolici e protestanti,la guerra dei Trent'anni fu trasformata dal cardinale Richelieu in lotta politica contro la dinastia degli Asburgo di Spagna e d'Austria. Durante questo conflitto, una flotta di quarantasette vascelli, al comando di Enrico di Lorena, conte di Harcourt, il 21 febbraio 1637, sbarcò nei pressi di Oristano e saccheggiò la città per circa una settimana. Non volendo poi affrontare le milizie del Regno che arrivavano in soccorso della città assalita, i francesi si ritirarono precipitosamente, abbandonando anche gli stendardi che oggi sono custoditi nella cattedrale di Oristano. Dopo questo tentativo di invasione, si rese necessario ed urgente munire il regno di una flotta navale di difesa, ma le galee varate negli anni successivi furono solamente tre.
Agli inizi del XVIII secolo, quasi tutte le case regnanti in Europa erano unite tra di loro da legami di parentela. Quando un sovrano moriva senza lasciare eredi, si aprivano dure lotte per la successione al trono, lotte che spesso sfociavano in vere e proprie guerre: una di queste fu la guerra di successione spagnola che vide Spagna e Francia affrontare Austria, Prussia, Inghilterra, Portogallo, Olanda e gli Stati Sabaudi. La guerra scoppiò nel 1700 quando, a 39 anni, Carlo II di Spagna morì senza figli che potessero succedergli. Prima di morire, nelle sue ultime volontà, indicò come erede il duca d'Angiò, suo nipote. Ciò provocò le preoccupazioni delle altre potenze europee che temevano l'unione delle corone di Spagna e Francia e proposero come erede l'arciduca d'Austria, Carlo d'Asburgo. Il conflitto investì anche il regno di Sardegna e nel 1708, una flotta anglo-olandese, composta da quaranta vascelli, si presentò nel Golfo di Cagliari. La capitale del Regno, dopo un furioso bombardamento navale, si arrese il 13 agosto, aprendo le porte alla conquista dell'Isola. Gli Alleati, dopo una serie di rovesci iniziali, vinsero battaglie decisive in Germania ed in Italia. Nel 1706 Torino, (per la difesa della quale Pietro Micca perse la vita in un eroico gesto), fu salvata dall'assedio francese da Eugenio di Savoia. L'Inghilterra dominava in lungo e in largo nel Mediterraneo arrivando ad occupare Gibilterra e riuscendo a sbarcare a Barcellona. In seguito agli aggiustamenti territoriali seguiti alla pace firmata a Utrecht nel 1713, il duca di Savoia, Vittorio Amedeo II, ottenne il regno di Sicilia con il relativo titolo regio. Successivamente, la Spagna riprese le ostilità nel tentativo di riappropriarsi della Sicilia e della Sardegna. Comandata dall'ammiraglio Stefano Mari, una flotta di centodieci navi cannoneggiò Cagliari, mentre 8000 soldati sbarcarono sulla spiaggia del Poetto. Il 29 agosto 1717 la città si arrese. Un anno dopo gli spagnoli riuscirono a prendere anche la Sicilia, ma la guerra si risolse in un disastro e furono sconfitti dall' Alleanza composta da Inghilterra, Savoia, Austria e Olanda.
Seguì un nuovo trattato di pace (trattato di Londra del 1718), nel quale fu convenuto - tra l'altro - che il re Vittorio Amedeo II cedesse la Sicilia all'Austria in cambio della Sardegna. In ottemperanza al Trattato di Londra, fu sottoscritto all'Aja l'8 agosto 1720 l'accordo che sanciva il passaggio del Regno di Sardegna ai Savoia. Il titolo regio fu per l'antica casata la realizzazione di un obiettivo antichissimo, perseguito con costanza e tenacia attraverso i secoli. D'ora in avanti tutti gli Stati appartamenti a Casa Savoia formeranno il Regno di Sardegna o Regno sardo: l'amministrazione statale utilizzerà l'aggettivo sardo, dove richiesto, per tutti gli atti del Regno e la cittadinanza dei sudditi sarà quella sarda, fino a quando non sarà sostituita con il termine italiana nel 1861.
Umberto Biancamano nel 1032 ottenne dall'imperatore Corrado II la signoria della Savoia, della Moriana e d'Aosta. Attraverso varie succesioni ereditarie, nel tempo avevano ingrandito i loro territori a cavallo tra le Alpi Occidentali. Prima conti, poi duchi, nel 1416 ottennero pure il titolo nominale (senza territori) di re di Gerusalemme lasciato in eredità da Carlotta di Lusignano. Riuscirono abilmente nel XVII e nel XVIII secolo a difendersi dalle mire espansionistiche del regno di Francia mantenendo tenacemente la loro autonomia. Da quando poi Emanuele Filiberto di Savoia spostò la capitale da Chambéry a Torino per meglio difendersi dagli attacchi nemici, la dinastia prese le redini della storia piemontese mantenendo il dominio sul ducato prima e sul regno di Sardegna poi, fino alla unità d'Italia. Nel 1720, con l'istituzione sovrana vennero a pieno titolo annoverati fra le grandi casate d'Europa e con l'apporto degli Stati ereditari della Casata stessa, il Regno di Sardegna si allargò territorialmente e i re di Sardegna si fregiavano dei titoli di: Re di Cipro, di Gerusalemme, di Armenia; Duca di Savoia, di Monferrato, Chablais, Aosta e Genova; Principe di Piemonte ed Oneglia; Marchese d'Italia Saluzzo, Susa, Ivrea, Ceva, Maro, Oristano, Sezana; Conte di Moriana, Genova, Nice, Tenda, Asti, Alessandria, Goceano; Barone di Vaud e di Faucigny; Signore di Vercelli, Pinerolo, Tarantasia, Lumellino, Val di Sesia; Principe e Vicario perpetuo del Sacro Romano Imperio in Italia. I territori del regno si estendevano a sud del lago di Ginevra, lungo tutta la catena delle Alpi occidentali fino a Nizza, tutto il Piemonte, parte del ducato di Milano ed infine la Sardegna.
La sua scelta di allearsi dalla parte dell'imperatore e degli Alleati durante la guerra di successione spagnola, fu più che mai felice. Sarà considerato come un despota illuminato ed amministrò saggiamente tutti i territori del regno anche se, il suo luogotenente, barone di Saint-Remy divenuto il 2 settembre 1720, viceré del regno, giurò agli Stamenti di osservare le leggi e i privilegi concessi in epoca spagnola. Negli Stati di terraferma però mise in opera una serie di riforme alcune delle quali molto avanzate per quei tempi come l'istituzione del catasto. Ma anche in periodi di pace, sia le popolazioni insulari che quelle delle vallate alpine, vivevano in uno stato di precarietà e di arretratezza economica. Una certa vivacità per i commerci arrivò però intorno alla metà del XVIII secolo, quando le vallate divennero la destinazione preferita degli aristocratici inglesi a seguito, nel 1741, della scoperta dei ghiacciai di Chamonix fatta dagli inglesi William Windham e Richard Pecock. I loro racconti percorsero velocemente i salotti londinesi e parigini e ben presto le valli del massiccio del Monte Bianco divennero un richiamo per il nascente turismo alpino consacrato poi nel 1786 dalla guida Jacques Balmat, con la scalata alla vetta del Monte Bianco, che sancì la nascita dell'alpinismo.
Il successivo re di Sardegna fu Carlo Emanuele III e durante il suo lungo regno fu coinvolto nelle due sanguinose guerre che sconvolsero nuovamente l'Europa: la guerra di successione polacca e la guerra di successione austriaca. Ottenuti alcuni vantaggi nel primo conflitto, fu decisamente meno fortunato nella seconda guerra e vide ancora una volta i suoi Stati invasi dai francesi. Persa la Battaglia di Madonna dell'Olmo, riuscì però ad infliggere una pesantissima sconfitta ai francesi sulle alture dell' Assietta nel 1747, ottenendo nuovamente la piena sovranità sul Piemonte. Il 19 settembre 1772 Carlo Emanuele introdusse nei suoi Stati il servizio postale, ammodernò in seguito i porti di Nizza e di Villafranca; combatté il banditismo nell'Isola e creò i Monti frumentari, cioè dei magazzini comunali nei quali i contadini potevano comprare le sementi ad un prezzo calmierato.
Seguì un periodo di splendore per il regno. Il prestigio di Casa Savoia, che si era celebrato dopo la Battaglia di Torino con la costruzione della Basilica di Superga e la ricostruzione dell'antica capitale sabauda in stile barocco, chiamando a corte il grande architetto Filippo Juvara, si celebrava con fastosi ricevimenti e feste nel Palazzo Reale, nella reggia di Venaria Reale e nella Palazzina di caccia di Stupinigi, tutti veri capolavori dell'arte. Torino, la città dove resiedeva la corte del regno e dove vi si concentravano tutte le funzioni politiche, si abbellì ulteriormente divenendo una città completamente barocca, con palazzi e chiese di grande bellezza come quella di San Lorenzo, in Piazza Castello.
Alleandosi con Austria, Spagna e Prussia, Vittorio Amedeo III si espose alle vendette dei rivoluzionari francesi che occuparono la Savoia e Nizza. Il 21 dicembre 1792 la flotta francese comandata dall'ammiraglio La Touche-Trèville si presentò nel golfo di Cagliari. L'8 gennaio i francesi sbarcarono nell'isola di San Pietro e presero Carloforte; il 14 gennaio occuparono Sant'Antioco ed il 27 dello stesso mese iniziarono i cannoneggiamenti contro la capitale del Regno. Nel mese successivo, il 14 febbraio iniziò lo sbarco nel litorale di Quartu di 4.000 soldati. La Francia mirava all'importanza strategica dell'isola, al centro dei traffici marinari del Mediterraneo, sia civili ma soprattutto militari. Per questo da tempo aveva disseminato informatori e sobillatori nelle maggiori città isolane, mentre con politiche di sottoprezzo era riuscita a carpire quote crescenti di mercato nei principali porti sardi. La spontanea mobilitazione dei miliziani Sardi e la paura di essere rigettati in mare, spinsero i francesi a reimbarcarsi frettolosamente e ad abbandonare l'isola il 28 febbraio, lasciando nelle isole sulcitane una guarnigione di 700 soldati. Mentre Cagliari subiva il bombardamento, a nord, attraverso le Bocche di Bonifacio, Napoleone Bonaparte, allora tenente di artiglieria, attaccava e bombardava La Maddalena con l'intento di occupare la parte settentrionale. Il 25 ed il 26 febbraio la pronta reazione dei maddalenini, guidati da Domenico Millelire, fece fallire miseramente la spedizione.
In seguito a questo fatto, la classe dirigente dell'isola, in gran parte ancora di mentalità feudale e costumi spagnoli, chiese garanzie di autonomia al Re (in specie, il riconoscimento dei privilegi da sempre accordati alle istituzioni sarde, in particolare al parlamento degli Stamenti, ove sedevano i rappresentanti della nobiltà, del clero e delle città). Al rifiuto di Vittorio Amedeo III di prendere in considerazione le proposte del Parlamento sardo, il 28 aprile 1794 scoppiò una rivolta a Cagliari, che portò dapprima alla cacciata dei piemontesi dalla città, quindi ad un moto rivoluzionario di stampo repubblicano, guidato dall'avvocato Giovanni Maria Angioy che si estese su tutta l'Isola. Il tentativo venne frustrato soprattutto a causa del tradimento dei notabili sardi, timorosi di perdere i propri privilegi e, nel 1796, la sollevazione ebbe termine, con la sconfitta degli insorti presso Oristano. Giovanni Maria Angioy fu costretto a rifugiarsi in Francia, dove morì esule nel 1808. I Savoia poterono riprendere il controllo dell'isola nel volgere di qualche mese. La repressione fu durissima.
Nel 1798, attaccato dall'Austria, dall'Inghilterra e dalla Russia, Napoleone chiese l'alleanza del Regno di Sardegna che Carlo Emanuele IV, figlio di Vittorio Amedeo III, gli rifiutò. Allora fece invadere il Piemonte dal generale Joubert, e il 10 dicembre 1798 fu costituita la Repubblica Piemontese. I Savoia, con tutta la corte, lasciarono Torino e si trasferirono nel palazzo regio di Cagliari, che divenne allora anche capitale politica del Regno. La corte resterà nell'isola fino alla definitiva restituzione degli stati di terraferma. Mentre Bonaparte era in Egitto, gli austro-russi sconfissero ripetutamente i francesi e il 20 giugno 1799 le truppe alleate riconquistarono Torino, ponendo fine alla Repubblica Piemontese e restaurando il trono di Carlo Emanuele IV. Rientrato in Francia, nel 1800, Napoleone scese nuovamente nella pianura padana valicando le Alpi. A Marengo, nello scontro decisivo, le truppe francesi prevalsero ed occuparono nuovamente Torino, destituendo il re ed instaurando la Repubblica Subalpina. Questa repubblica, per prima in Italia, coniò monete secondo il sistema decimale gia adottato per il franco francese, che sarebbe poi stato alla base dell'Unione Monetaria Latina. In particolare, fu coniata una moneta in oro da 20 franchi in ricordo della battaglia di Marengo: con lo stesso nome saranno poi indicate una serie di monete anche di altri stati con caratteristiche simili a quella piemontese.
Durante il medioevo, tutti i documenti ufficiali che uscivano dalle cancellerie dei regni giudicali erano scritti in limba. Furono i catalano-aragonesi e poi gli spagnoli che obbligarono i sardi a usare la loro lingua solo nei rapporti locali e familiari, imponendo lo spagnolo negli atti ufficiali del Regno di Sardegna.
Dopo il 1815 Come in tante altri corti europee, anche i Savoia utilizzavano il francese nella loro, anche se i sudduiti abitanti le valli alpine parlavano prevalentemente l' arpitano. Quando ricevettero il Regno, poi, furono combattuti fra la possibilità di lasciare che sull'Isola si scrivesse spagnolo, oppure mettere i loro funzionari, che parlavano italiano, in grado di capire e di essere capiti. Per quasi cinquant'anni lasciarono la situazione inalterata, poi decisero di imporre l'italiano, grazie anche alla riorganizzazione delle due Università, quella di Cagliari e quella di Sassari, che diventarono i centri di diffusione dell' italiano tra i sardi. Le lingue parlate nel regno dopo il 1815 erano: * L'arpitano in Savoia, Valle d'Aosta ed in alcune valli del Piemonte * italiano nei vari dialetti in: o piemontese in Piemonte o genovese nel ducato di Nizza e a Sant'Antioco e Carloforte in Sardegna * sardo in quasi tutta la Sardegna * catalano ad Alghero in Sardegna * walser (dialetto tedesco) in Piemonte e Valle d'Aosta presso il Monte Rosa
La breve parentesi napoleonica portò con sé ben pochi vantaggi al regno, l'economia si ridusse e si verificò un considerevole crollo dell'industria tessile mentre i commerci con l'estero iniziarono a languire. Si assistette, invece, ad un evento inverso: furono cioè molti stranieri - ed in particolare francesi - a voler impiantare le loro fabbriche oltr'alpe. Gravissimi furono poi i danni recati al patrimonio artistico, le truppe francesi mal equipaggiate e mal nutrite, durante l'occupazione si diedero spesso al saccheggio delle campagne e dei villagi, depredando chiese e città, da dove rubarono inestimabili opere d'arte inviate poi a Parigi, e dove requisivano oggetti sacri d'oro e d'argento, fusi in seguito e utilizzati a finanziare la guerra d'invasione. L'attività di governo del Re fu minima durante la sua permanenza a Cagliari e gli Stamenti non si opposero a nessuna decisione, accettando l'imposizione di nuove imposte. Dopo quasi ottant'anni, Il Regno di Sardegna rientrò nuovamente nei confini dell'isola.
L'11 settembre 1802 il Piemonte fu annesso alla Francia ponendo fine alla Repubblica Subalpina. Dopo le folgoranti vittorie in Europa e dopo la disastrosa ritirata dalla Russia, Napoleone fu sconfitto dalla sesta coalizione nel 1813 e relegato nell'isola d'Elba il 6 aprile 1814. Il mese dopo, il 2 maggio 1814, Vittorio Emanuele I lasciava Cagliari e partiva per Torino, dove il 19 entrava trionfante accolto dalla popolazione. Con il trattato di Parigi del 30 maggio 1814, fu ripristinato il potere dei Savoia ed il 4 gennaio 1815 con il congresso di Vienna, furono annesse al regno di Sardegna Genova e la Liguria, assumendo la funzione di Stato cuscinetto nei confronti della Francia. Il 16 agosto la regina Maria Teresa raggiungeva Torino e a Cagliari la carica viceregia veniva assunta da Carlo Felice. Vittorio Emanuele I ed il suo successore Carlo Felice di Savoia erano figli di Carlo Emanuele IV. Vittorio Emanuele I aveva solo figlie ed il fratello Carlo Felice non ebbe figli. La successione a Casa Savoia, dunque, divenne un affare in cui l'Austria vedeva la possibilità di imporre il proprio potere anche su queste terre se mai Vittorio Emanuele I avesse scelto come suo successore il principe Francesco IV d'Este, imparentato con gli Asburgo. Non fu così, scelse invece Carlo Alberto, del ramo Savoia-Carignano, che divenne re nel 1831.
Il Regno in quegli anni era sconvolto dai moti rivoluzionari che segnarono l'inizio della stagione risorgimentale italiana. Nel 1821 scoppiarono i primi subugli, difficili da controllare, anche perché le rivolte erano segretamente appoggiate dal principe Carlo Alberto. Santorre di Santarosa, il capo dei ribelli, si era incontrato col principe di nascosto, ottenendo il suo appoggio. Ma l'aiuto promesso da Carlo Alberto venne meno proprio quando la rivolta stava per scoppiare. Vittorio Emanuele I, in seguito alle sommosse, preferì abdicare nei confronti di Carlo Felice. Questi però si trovava a Modena e Carlo Alberto assunse la reggenza del regno proclamando la costituzione, subito sconfessata dallo zio che lo destituì. Invocò poi l'aiuto della Santa Alleanza, fondata nel 1815 da quasi tutte le potenze europee per garantire gli assetti politici espressi nel congresso di Vienna. Le forze costituzionali cercarono egualmente di tenere testa a quelle austriache, ma vennero sconfitte a Novara. Carlo Felice fece incarcerare molti patriotti e la rivolta sembrò placata. Nei seguenti dieci anni di regno, innalzò lo Stato al grado di potenza marittima, effettuò la riforma della gerarchia giudiziaria, stabilì consolati sulle coste d' Africa e del Levante, adornò Genova e Torino di suntuosi palazzi. Morì il 27 aprile 1831 e con lui si estingueva la dinastia degli Amedei ed iniziava quella dei Savoia-Carignano.
I principi di Carignano erano lontani parenti dei Savoia. Si erano staccati dal ramo principale nel 1596 e si erano riavvicinati nel 1714 con il matrimonio fra Vittorio Amedeo Principe di Carignano e Vittoria Francesca, figlia naturale di Vittorio Amedeo II di Savoia. Carlo Alberto, fu un cattolico devoto e anti-rivoluzionario: non appena salito al trono, forte di una solida tradizione di alleanze dinastiche, firmò un patto militare con gli Asburgo, chiedendo l'appoggio dell'Impero austriaco per difendere il trono dalla rivoluzione. Fu anche un lavoratore instancabile e cercò di attuare un piano di rinnovamento del regno. Nel 1838, il 12 maggio, abolì il feudalesimo, introdotto in Sardegna dai catalano aragonesi nel 1323; fu imposto ai Savoia con il trattato di Londra del 1718 e loro - con Vittorio Amedeo II - giurarono di non abrogare. Il 29 novembre 1847, con la rinuncia dei sardi alla loro autonomia statuale, il regno di Sardegna si fuse con gli Stati della terraferma, divenendo uno stato unitario. Il 4 marzo 1848, promulgò dal palazzo reale di Torino il ben noto Statuto Albertino, contenente concessioni alle istanze liberali.
Le idee liberali, le speranze suscitate dall'illuminismo e le idee della Rivoluzione francese portate in Italia da Napoleone, alimentarono nel Regno un crogiolo di aspettative e di ideali, alcuni incompatibili tra loro. Vi erano in campo le idee romantico-nazionaliste, quelle repubblicane professate da Mazzini, gli ideali laici e socialisti di Garibaldi, alcuni come Cavour e Massimo D'Azeglio avevano ideali monarchici filo-Savoia, altri ancora, come Vincenzo Gioberti, pensavano ad una confederazione italiana presieduta dal Papa. Vi era anche l'ambizione espansionista di Casa Savoia e si sentiva incessante il bisogno di liberarsi dal dominio austriaco nella Lombardia e nel Veneto, unitamente al generale desiderio di migliorare la situazione socio-economica approfittando delle opportunità offerte dalla rivoluzione tecnico-industriale. Si andava pian piano sviluppando ulteriormente un'idea di patria più ampia, e forte era il desiderio di uno stato nazionale che unisse tutto il territorio italiano, analogamente a quanto avvenuto in altre realtà europee come Francia, Spagna e Gran Bretagna.
Il 23 marzo 1848 Carlo Alberto di Savoia, sollecitato dai liberali milanesi, dichiarò guerra all'Austria. La bandiera rivoluzionaria tricolore verde-bianco-rosso, nata a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797, comparve per la prima volta tra le truppe sarde che con essa combatterono vittoriosamente a Pastrengo e a Goito. A fianco dell'esercito sardo intervennero altri soldati provenienti da altri stati italiani, ansiosi di liberare i territori in mano straniera Nella fase iniziale del conflitto vengono colti alcuni successi importanti: nelle battaglie di Monzambano, Valeggio e Pastrengo i sardi ottengono alcune vittorie che comunque non vennero sfruttate appieno avanzando con notevole ritardo: una colonna riescì ad entrare a Milano, ma non inseguì subito gli austriaci in rotta. Carlo Alberto pose l'assedio a Peschiera, una delle quattro città del Quadrilatero. L'attacco del maresciallo Radetsky si risolse con la disfatta nemica nella battaglia di Goito (30 maggio) e lo stesso giorno si arrende Peschiera. Carlo Alberto, però, ancora una volta tergiversa e il maresciallo tedesco riesce a riconquistare le piazzeforti venete. Dopo questi successi iniziali la guerra volse sfavorevolmente per i Savoia; il 9 agosto 1848, l'esercito sardo fu battuto a Custoza. Dopo l'armistizio di Salasco, al quale susseguì, sette mesi dopo, la disfatta di Novara - Carlo Alberto fu costretto ad abdicare - il 23 marzo 1849, a favore del figlio Vittorio Emanuele II di Savoia, e si ritirò in esilio ad Oporto, in Portogallo, dove morì di lì a poco, il 28 luglio 1849. In seguito alla disfatta, il Regno di Sardegna cercò di ristabilire la sua economia. Massimo d'Azeglio, presidente del consiglio, approvò le leggi Siccardiane in seguito alle quali i privilegi di cui il clero aveva sempre goduto venivano aboliti.
L'11 ottobre 1850, fu chiamato al governo Camillo Benso conte di Cavour inizialmente come ministro del Commercio e dell'Agricoltura, poi in seguito come ministro delle Finanze. Nel 1852 aveva stretto un patto (il connubio) con la sinistra di Urbano Rattazzi che gli consentì di diventare in seguito primo ministro. Non piaceva nè al re nè al popolo, ma dimostrò a tutti di saper bene amministrare e ben presto la sua figura politica avrà un ruolo chiave nel prosieguo del Risorgimento. Conscio della situazione degli altri paesi europei, inizia una serie di riforme che contemplano, tra l'altro, la canalizzazione del Vercellese, finanziamenti alle industrie, creazione di ferrovie, di navi. Nel 1855 il regno si alleò con la Francia nella cosiddetta guerra di Crimea contro la Russia; il primo ministro Cavour considerava infatti l'intervento un buon trampolino di lancio per entrare a far parte del gioco politico europeo, ed inviò un corpo di Bersaglieri a combattere a fianco degli alleati, partecipando poi al Congresso di Parigi tra le nazioni vincitrici A Plombières, una stazione termale nel massiccio dei Vosgi, il 20 luglio 1858, Cavour strinse un'alleanza segreta con Napoleone III. Tale accordo prevedeva, in caso di attacco austriaco, l'intervento dei francesi a fianco dei sardi, per tentare la conquista della Lombardia e per proseguire eventualmente fino all'Adriatico; in caso di vittoria, in cambio di tale aiuto, alla Francia sarebbe stato ceduto il ducato di Savoia e la contea di Nizza insieme alla possibilità di controllare indirettamente l'Italia centrale.
Nel gennaio 1859 iniziarono i due anni più drammatici e ricchi di avvenimenti di tutto il Risorgimento. In un susseguirsi di alleanze, guerre e improvvisi colpi di scena, il regno di Sardegna si ingrandiva considerevolmente inglobando nei suoi confini quasi tutti i territori della penisola italiana. Ecco i principali avvenimenti: Le operazioni militari si svolsero tra il 29 aprile ed il 6 luglio 1859 in seguito alle provocazioni militari dei sardi ed alle quali gli austriaci reagirono. Invadendo la Lombardia, gli eserciti franco-sardi travolsero gli austro-ungarici a Montebello, Palestro e Magenta, mentre sulle alture di Solferino e di San Martino si combatté una violentissima battaglia che costo la vita a 22 mila soldati austriaci e 17 mila soldati alleati.
Contrariamente a quanto promesso a Cavour negli accordi di Plombieres, Napoleone III, preoccupato per l'andamento della guerra, non tenne fede alla sua parola e propose[3] unilateralmente la pace agli Austriaci. Cavour - sdegnato contro l’imperatore e contro il re che aveva firmato l'armistizio - si dimise da primo ministro e si ritirò sfiduciato in Savoia, tra Bonneville e Chamonix: gli accordi dei quali lui era l'artefice, erano stati ben altri[4]. I territori della Savoia e di Nizza, promessi dal re a Napoleone III, non vennero consegnati e i francesi si accontentarono di una somma in danaro per le spese di guerra. L'8 luglio1859, a seguito dei trattati di Villafranca e Zurigo, la Lombardia, tranne Mantova, venne ceduta al Regno di Sardegna dal Regno Lombardo-Veneto, ma il Veneto e Venezia rimanevano completamente in mano asburgica. Dopo questi avvenimenti, La Marmora, Rattazzi e Dabormida, formarono un nuovo governo ereditando una situazione molto tesa e difficile con gli alleati che mantennero varie guarnigioni in Lombardia. Napoleone III ben presto si rese conto che l’armistizio firmato unilateralmente con gli austriaci lasciava alla Francia ben poche possibilità di manovra in Italia. Nel dicembre 1959, decise allora di cambiare completamente politica. Nel gennaio 1860, in un rapido evolversi degli avvenimenti, Cavour venne richiamato al governo. Dopo il tradimento di Villafranca, era pronto a ribaltare l’intero sistema di alleanze, ma Napoleone III permaneva ancora con il suo esercito nell’Italia centrale e in Lombardia, assai preoccupato dalle domande di annessione al regno di Sardegna fatte nel Granducato di Toscana, nei ducati di Parma e Modena e nelle Romagne pontificie. I suoi piani per il controllo dell’Italia centrale furono completamente stravolti, ma non era per niente intenzionato a lasciare la Penisola a mani vuote, nè tantomeno era d'accordo a rafforzare ulteriormente il regno di Sardegna. Fece sapere allora (contro ogni principio di nazionalità, contro la volontà stessa dei nizzardi e dei savoiardi) che avrebbe tollerato l’annessione dell’Italia centrale al regno di Sardegna unicamente in cambio di importanti concessioni territoriali sulla frontiera alpina. Cavour stesso si rese conto in quel momento che il Regno non poteva sfidare contemporaneamente i due imperatori che dominavano la lunga catena delle Alpi. Il 12 marzo 1860, venne allora firmato un nuovo trattato segreto dove venivano riportate in vita le clausole di quello stipulato nel gennaio 1859 - prima dell'inizio della guerra - e nel quale si stabilivano le cessioni territoriali alla Francia, clausola decaduta dopo i fatti di Villafranca. Se in un primo tempo le cessioni erano frutto di un accordo bilaterale, nel nuovo trattato sono una vera e propria imposizione per il regno di Sardegna, pena la rottura con l'Alleato visto oramai non più come amico. Ma ancor prima che il documento fosse firmato, l’ annessione dell’Italia centrale era già un fatto compiuto. Le cessioni territoriali sulla frontiera furono accordate dopo l'esito positivo delle votazioni richieste per l'annessione. A partire dal 5 marzo 1860 - infatti - Parma, la Toscana, Modena e la Romagna votarono un referendum per l'unione al Regno di Sardegna.
Come Cavour stesso confessò, la cessione del nizzardo e della Savoia fu uno dei momenti più tristi della sua vita politica, un atto da lui stesso definito in privato anticostituzionale. Per lui Nizza era essenzialmente italiana e cederla ad un’altra potenza andava contro il principio di nazionalità. Cercò in ogni modo di prendere tempo, ma davanti alle perentorie insistenze dei francesi, fu costretto a cedere. Anche il Re era restìo ad abbandonare la Savoia, patria della sua dinastia, ed il ministro della guerra Manfredo Fanti, avvertì il sovrano del pericolo che il Regno e la stessa Torino avrebbero corso senza quei territori cuscinetto, diventando in quel modo militarmente indinfendibili. Aspre critiche furono mosse da Urbano Rattazzi e da Giuseppe Garibaldi, ma anche da tutti i patriotti italiani, nonché da molti stati esteri e da una incredula[5] Inghilterra: le simpatie che la causa italiana avevano destato in Europa venivano improvisamente meno a causa del tradimento del principio di nazionalità. In un clima di tristezza, Cavour autorizzò la polizia e i soldati francesi ad entrare nei territori sardi, per assicurare che i plebisciti di conferma della cessione dessero alla Francia l' unanimità richiesta. Chiese anche che il documento segreto in cui era palese la sua approvazione fosse distrutto, e persuase i francesi ad utilizzare il termine riunione anziché cessione in modo da rendere meno insostenibile la sua posizione costituzionale.
Nello stesso anno, Giuseppe Garibaldi iniziò la sua spedizione per la conquista del Regno delle Due Sicilie, arrivando nel giro di pochi mesi a Napoli (settembre 1860). Dopo la battaglia del Volturno, i garibaldini furono rilevati dall'esercito sardo che, dopo alcuni scontri con le truppe napoletane (Macerone, Garigliano) cinse d'assedio Capua che - per le pressioni del Vescovo, preoccupato per le sorti della popolazione civile - capitolò dopo i bombardamenti iniziali. Ben più lungo (4 mesi - dal novembre 1860 al febbraio 1861) si rivelerà l'assedio di Gaeta, piazzaforte di Ia classe (Capua era di IIIa), ma in ogni caso dall'esito scontato: infatti, le batterie piemontesi avevano una gittata di 5.000 metri che le manteneva al sicuro rispetto al tiro napoletano effettuato da pezzi meno moderni che raggiungevano a malapena i 4.000 metri. Val la pena ricordare che, presa Gaeta il 17 febbraio 1861, resistettero ancora qualche tempo le piazzeforti di Messina e Civitella del Tronto.
Così si completò l'unificazione dell'Italia. Con la proclamazione del Regno d'Italia il 17 marzo 1861, il Regno di Sardegna cambiò definitivamente denominazione. Il Regno fu completato con la presa di Roma (20 settembre 1870), teatralmente "conquistata" dai Bersaglieri che aprirono un varco nelle mura della città (breccia di Porta Pia) e si trovarono dopo poche centinaia di metri al Quirinale, peraltro ermeticamente sbarrato. Si tramanda che fu necessario un fabbro per entrare.
Il Risorgimento:
Dopo le campagne napoleoniche, le spinte nazionalistiche appoggiate dai Savoia, che videro in queste un'opportunità per l'espansione del Regno di Sardegna, portarono ad una serie di guerre di indipendenza contro l'Impero Austro Ungarico, grazie anche all'appoggio esterno della Francia. Decisiva in questo senso fu la presenza alla guida dell'esecutivo del Regno Sabaudo di Camillo Benso Conte di Cavour. Decisiva fu la Seconda guerra di indipendenza italiana, che, con la spedizione dei Mille al sud e la conseguente discesa da nord dei Piemontesi, riuscì ad unificare sotto i Savoia gran parte della penisola (26 ottobre 1860, incontro di Teano (Caserta) (Ponte S.Nicola) (ad esclusione di Roma e del Veneto, che sarà annesso al Regno nel 1866) ed a portare alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1861. Nel 1870 anche Roma venne annessa al Regno d'Italia, con l'inizio di una frattura tra Stato italiano e Chiesa, conclusasi con i Patti Lateranensi del 1929. La forma di governo proclamata fu quella di una monarchia costituzionale, con un parlamento eletto a suffragio limitato.
Il Regno d'Italia:
L'inizio del regno vide l'Italia impegnata in una serie di guerre di espansione coloniale in Libia, Somalia, Etiopia, Eritrea e anche, più tardi, in Cina, con la Rivolta dei Boxer. Nella Prima Guerra Mondiale l'Italia rimase inizialmente neutrale, per poi scendere al fianco degli alleati il 23 maggio 1915. Alla fine della guerra, l'Italia completò il suo assetto territoriale acquisendo alcuni territori austriaci nel nord-est del paese. Sulla spinta del malcontento dovuto alle difficoltà economiche e sociali del dopoguerra, nel 1922 si assisté alla salita al potere del Fascismo, che relegò il ruolo dei Savoia ad aspetti puramente formali. Nel 1926-27 l'Albania passa sotto il dominio italiano. Nel 1940 l'Italia fu alleata con la Germania nazista nella Seconda Guerra Mondiale contro Francia e Regno Unito, dichiarando con l'Impero giapponese nel 1941 guerra a Stati Uniti d'America ed Unione Sovietica. A seguito dell'invasione alleata in Sicilia del 1943, vi fu la caduta del Fascismo e lo schieramento dell'Italia (o Regno del Sud) a fianco degli alleati contro la Germania ed i reduci fascisti della Repubblica Sociale Italiana. Nell'aprile del 1945 le forze nazi-fasciste vennero sconfitte.
La nascita della Repubblica Italiana:
Nel 1946 un referendum istituzionale sancì la fine della monarchia e la nascita della repubblica. La nuova costituzione entrò in vigore il 1 gennaio 1948. Nel 1956 l'Italia aderì alla NATO (North Atlantic Treaty Organization) e nel 1955 venne ammessa alle Nazioni Unite. Il 1957 vide la nascita della Comunità Economica Europea, il primo passo verso la realizzazione dell'Unione Europea. Il 1968 vide l'Italia trasformarsi significativamente sul piano sociale, in seguito alle migliorate condizioni di vita dovute al boom economico degli anni precedenti, e il sorgere di movimenti radicali, soprattutto comunisti, di giovani e operai, che portarono profonde modifiche al costume, alla mentalità generale e particolarmente alla scuola. Nel 1970 venivano varate importanti riforme istituzionali e sociali: lo Statuto dei diritti dei lavoratori, l'ordinamento amministrativo regionale, la legge sul divorzio e quella per l'esercizio dell'istituto costituzionale del referendum. Negli anni settanta alcuni di quei movimenti, che sorgevano numerosi, degenerarono nel terrorismo rosso, accompagnato da quello nero. La Democrazia Cristiana (DC), partito moderato conservatore di centro, fece parte del governo della Repubblica Italiana dal 1946 al 1993, generalmente in coalizione con gli altri partiti di centro PSDI, PRI, PLI. Nel 1962 entrava nelle maggioranze governative anche il Partito socialista italiano (PSI), mentre, per qualche anno, il PLI andava all'opposizione. Salvo poche eccezioni, dal 1946 al 1993 la Presidenza del Consiglio fu democristiana. Nel 1992 iniziano dei processi per corruzione (il cosiddetto pool di "Mani pulite" o "Tangentopoli") che coinvolsero tutto il pentapartito e che ne distrussero di fatto la struttura, colpendo anche partiti esterni come la Lega Nord. Nel caos politico derivato dalla disintegrazione dell'ordine precedente emergeva un nuovo partito, Forza Italia, che otteneva un forte successo alle elezioni nel 1994, con due distinte coalizioni, al Nord con la Lega Nord, e al Centro Sud con Alleanza Nazionale. Alla coalizione erano presenti anche il CCD e partiti minori. Le due coalizioni ottennero la maggioranza assoluta alla Camera, ma non al Senato. In questa fase, definita "Seconda Repubblica", si consolida il principio del bipolarismo e l'alternanza fra i governi dei due schieramenti di centrosinistra e centrodestra: dal 1996 al 2001 i governi dell'Ulivo, dal 2001 al 2006 quelli della Casa delle Libertà e dal 2006 quello dell'Unione, una nuova coalizione dei partiti di centro-sinistra.

 
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